Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 19769 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 19769 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 25435/2022 r.g. proposto da:
Associazione RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE Irno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, giusta procura speciale in calce al ricorso dall’Avv. NOME COGNOME il quale dichiara di voler ricevere le notifiche e le comunicazioni relative al presente procedimento a ll’ indirizzo di posta elettronica certificata indicato, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso il suo studio.
-ricorrente –
CONTRO
Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso, per mandato ex
lege, dall’Avvocatura Generale dello Stato, e presso di essa domiciliato per legge in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente-
avverso la sentenza della Corte di appello di Salerno n. 959/2022, depositata il 14/6/2022
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/5 /2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
L’Associazione RAGIONE_SOCIALE, già titolare di concessione demaniale per l’esercizio di attività ricreativo – sportive, conveniva in giudizio avanti al Tribunale di Salerno il Ministero delle infrastrutture (Mit), la Capitaneria di porto di Salerno, il Ministero dell’economia e delle finanze (MEF), l’Agenzia delle dogane (ADD) e l’Autorità portuale di Salerno, al fine di sentire dichiarare non dovuto il pagamento del conguaglio del canone di concessione sul demanio marittimo per il periodo dal 1989 al 2000.
Esponeva che la Capitaneria di porto aveva determinato i canoni concessori in misura ridotta con la nota del 25/8/1988.
Tuttavia con atto dell’11/5/2001 n. 12405 la Capitaneria di porto di Salerno aveva rideterminato retroattivamente il canone concessorio, utilizzando criteri ordinari e non ricognitivi.
Il conguaglio dovuto dall’Associazione Sportiva era perciò di euro 103.329,92 per il periodo dal 1/1/1989 al 27/7/2000.
L’ordine di introito veniva impartito il 14/5/2001.
A seguito dell’intesa raggiunta in conferenza di servizi la Capitaneria di porto rilasciava il titolo concessorio in sanatoria per il periodo 1998/2000, previo pagamento della somma di euro 51.934,72.
Veniva però ingiunto, per il medesimo periodo, il pagamento di euro 155.637,00, a titolo sanzionatorio ex art. 8 del decreto-legge n. 400 del 1993.
Reputando non dovuto il conguaglio l’Associazione ricorrente chiedeva che ciò fosse giudizialmente dichiarato.
Il Tribunale, con sentenza n. 1646 del 2019, dichiarava il difetto di legittimazione passiva della Capitaneria di porto di Salerno, del MEF, dell’Agenzia del demanio e dell’Autorità portuale di Salerno. La legittimazione passiva spettava al Mit.
Il periodo in contestazione, in generale, era quello dal 1989 al 27/7/2000.
Per il periodo dal 1/1/1989 sino al 31/12/1997, in sede di regolare rinnovo della concessione, si provvedeva al conguaglio dei canoni con provvedimento del 11/5/2000.
Ciò, sotto due profili; il canone era dovuto non parzialmente, ma per intero. Infatti, non era dovuta la riduzione con riferimento alle imbarcazioni da diporto estranee all’attività sportiva dilettantistica.
Non poteva applicarsi la riduzione ex art. 3, comma 1, lettera l), del decreto-legge n. 400 del 1993 (50%); non era una società sportiva, cui spettava la riduzione, ma un’associazione dilettantistica sportiva.
L’art. 10 della legge n. 499 del 1997 si applicava solo alle concessioni successive al 31/12/1997.
Inoltre, quanto al secondo profilo, l’art. 10 della legge n. 499 del 1997, al secondo comma, prevedeva che i canoni comunque versati relativi a concessioni di beni del demanio marittimo, per qualunque uso rilasciate, aventi validità fino al 31/12/1997, erano definitivi.
Il tribunale riconosceva la prescrizione del diritto della PA per il periodo dal 1/1/1989 al 31/12/1991.
Non era decorsa la prescrizione per il periodo dal 1/1/1992 al 31/12/1997 e per il periodo dal 1/1/1998 al 27/7/2000.
Per il periodo dal 1/1/1998 al 27/7/2000 era stata computata l’indennità di occupazione abusiva con nota del 19/5/2003.
Era stato rilasciato nel 2003 il titolo concessorio con efficacia retroattiva, con previsione di pagamento della somma di euro 51.878,10, che non era un atto di esecuzione di transazione.
Vi era poi da pagare l’indennizzo ex art. 8 del decreto-legge n. 400 del 1993, trattandosi di occupazione senza titolo.
Proponeva appello il Circolo Canottieri Irno.
4.1. Con il primo motivo di impugnazione deduceva la violazione dell’art. 10 della legge n. 449 del 1997, dovendo considerarsi ‘definitivi’ i canoni comunque versati dal concessionario sino a tutto il 31/12/1997. Tale disposizione non poteva riguardare solo i canoni futuri, cioè successivi al 31/12/1997.
4.2. Con il secondo motivo di impugnazione si deduceva la violazione dell’art. 39 del cod. nav.; l’art. 37 del d.P.R. n. 328 del 1952, gli articoli 99 e 112 c.p.c.; vizio di ultrapetizione.
Dovevano essere applicate le riduzioni di 1/10 della misura e del 50%, trattandosi di associazione senza fine di lucro; sussistevano entrambi i presupposti: la finalità di interesse pubblico dell’associazione; la mancanza di utili.
Doveva essere valutata l’attività in concreto esercitata, indipendentemente dalla forma giuridica rivestita dall’ente.
4.3. Con il terzo motivo di impugnazione si deduceva la violazione dell’art. 12 della legge n. 103 del 1979. Dell’art. 36 del cod. nav.; dell’art. 1399 c.c.; infrapetizione; articoli 99 e 112 c.p.c.
Sussisteva l’incompetenza del Direttore generale del Ministero a superare l’accordo raggiunto con l’Avvocatura dello Stato, per il
periodo in cui mancava il titolo concessorio: gennaio 1998-luglio 2000.
Il titolo concessorio del canone si era consolidato; non sussisteva l’occupazione abusiva ex art. 8 del decreto-legge n. 400 del 1993, essendo sopravvenuto il titolo concessorio n. 6 del 2003.
La Corte d’appello, con sentenza n. 959/2022, depositata il 14/6/2022, rigettava l’appello del Circolo Canottieri Irno.
5.1. In relazione al primo ed al secondo motivo di appello, rispettivamente dal 1/1/1989 al 31/12/1991 e dal 1/1/1992 al 31/12/1997, la Corte territoriale rilevava che vi era stato il rinnovo delle concessioni.
Tuttavia, doveva essere esclusa la riduzione del canone di concessione, in relazione al particolare valore e all’interesse sociale.
Infatti, a seguito della perizia giurata espletata dalla Capitaneria di porto di Salerno, era emerso che parte degli specchi d’acqua era stata utilizzata per l’ormeggio delle imbarcazioni dei soci.
Non era sufficiente, ai fini della riduzione, l’assenza del fine di lucro, ex art. 37 del d.P.R. n. 328 del 1952, ma occorreva anche il fine di beneficenza o il pubblico interesse (si citava Consiglio di Stato n. 2839 del 2014).
Quanto poi alla riduzione di cui all’art. 3, comma 1, lettera l), del decreto-legge n. 400 del 1993, la stessa si applicava solo alle società sportive dilettantistiche, ma non alle associazioni sportive dilettantistiche.
In relazione alle somme già versate, doveva farsi riferimento esclusivamente alle somme versate dopo il 31/12/1997.
In sostanza, la data del 31/12/1997 costituiva il termine iniziale di decorrenza del nuovo regime di determinazione dei canoni demaniali, introdotto dall’art. 3, comma 1, del decreto-legge n. 400 del 1993 e, al tempo stesso, il termine finale di definitività ed
inoppugnabilità dei canoni già versati in forza del regime antecedente alla novella; con i primi due commi dell’art. 10 della legge 449 del 1997, il legislatore aveva voluto impedire che i privati, per effetto del differimento di applicazione della legge 494 del 1993 al 1/1/1998, potessero chiedere la restituzione di somme versate in eccedenza.
5.2. In relazione al terzo motivo d’appello la Corte territoriale rilevava che la somma di euro 155.337,00 era stata ingiunta dalla PA ai sensi dell’art. 8 del decreto-legge n. 400 del 1993.
È vero che vi era stato un accordo raggiunto in sede di conferenza dei servizi del 9/4/2001, in ordine all’occupazione abusiva dell’area in concessione per il periodo dal 1/1/1998 al 27/7/2000, tuttavia, il canone di euro 51.878,10 doveva essere considerato come canone determinato in via ordinaria e provvisoria, ferma restando la definizione dell’iter relativo alla richiesta di sanatoria e l’applicazione delle relative sanzioni.
La somma di euro 51.878,10, pagata al fine del rilascio del titolo concessorio costituente il titolo legittimante il godimento di aree demaniali per il periodo 1998-2000, non si riteneva coincidesse con l’indennizzo che il concessionario era tenuto a pagare nella misura stabilita, senza possibilità di riduzione discrezionale, per il medesimo periodo, a titolo di sanzione per l’abusiva occupazione, nonché per l’accertata difforme utilizzazione dei beni demaniali in concessione.
Dalla somma di euro 155.637,00, per gli anni 1989-2000, a titolo di indennità per occupazione abusiva ai sensi dell’art. 8 del decretolegge n. 400 del 1993, doveva detrarsi l’importo già corrisposto di euro 51.936,7, per un totale da versare di euro 103.700,23.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’RAGIONE_SOCIALE Irno.
Ha resistito con controdeduzioni il Mit.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «violazione e/o falsa applicazione di norme ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., in relazione agli articoli 100, comma 7, del decreto-legge n. 104 del 2020, nonché 100 e 345 c.p.c.».
In particolare, la ricorrente chiede dichiararsi l’estinzione del giudizio ai sensi degli articoli 100, comma 7, del decreto-legge n. 104 del 2020 e 100 c.p.c., in quanto erroneamente la Corte d’appello ha escluso la possibilità per l’Associazione di beneficiare del condono di cui alla legge n. 104 del 2020.
La Corte territoriale, da un lato, ha ritenuto tardiva la richiesta di parte appellante, rispetto al termine previsto del 15/12/2020 per presentare l’istanza e attivare la procedura, con pagamento entro il termine di decadenza del 30/9/2021.
Dall’altro lato, la Corte d’appello ha escluso la possibilità per l’Associazione di beneficiare del condono, in quanto lo stesso sarebbe stato limitato ai crediti vantati dall’amministrazione a seguito di rideterminazione del minore canone ricognitorio sino a quel momento corrisposto. Al contrario, l’Associazione aveva utilizzato i beni in concessione per finalità non rispondente all’interesse pubblico, in particolare destinando parte dello spazio demaniale concesso per l’ormeggio di imbarcazioni private dei propri soci.
Tale assunto – ad avviso della ricorrente – non può essere condiviso, in quanto la funzione del condono del 2020 è quella di deflazionare i contenziosi in corso aventi ad oggetto le concessioni demaniali turistico-ricreative e quelle marittime.
Tra l’altro, la ricorrente, nel corso del giudizio d’appello, in data 7/12/2020 ha presentato, tramite PEC prodotta agli atti del giudizio, istanza per la definizione transattiva delle somme dovute a titolo di conguaglio, dichiarando di voler pagare il 30% dell’intera somma di
euro 207.030,15, originariamente richiesta dalla Capitaneria di porto di Salerno.
È stata prodotta agli atti anche la prova del pagamento effettuato in favore del demanio tramite modello F24 del 20/9/2021.
I documenti sono stati depositati all’udienza di precisazione delle conclusioni dinanzi alla Corte d’appello di Salerno in data 10/2/2022. Pertanto, è venuto meno il contenzioso.
Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta la «violazione e/o falsa applicazione di norme ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., in relazione agli articoli 3, comma 1, lettera l), decreto-legge 400 del 1993,39 cod. nav. e 37 d.P.R. n. 328 del 1952».
Ad avviso del ricorrente spetta la riduzione del canone di concessione, sussistendo entrambi i requisiti di legge: il fine di interesse pubblico e il mancato conseguimento di utili.
Lo sport dilettantistico, infatti, integrerebbe un’attività di interesse pubblico per la funzione sociale che assolve.
Inoltre, l’attività sarebbe svolta in assenza di uno scopo di lucro. Per tale ragione, la ricorrente avrebbe dimostrato «l’impiego per scopi di interesse pubblico anche delle imbarcazioni dei soci ormeggiate nelle aree demaniali».
Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente si duole della «violazione e/o falsa applicazione di norme ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., in relazione agli articoli 3, comma 1, lettera f), del decreto-legge n. 400 del 1993 e 12 preleggi».
La riduzione del canone spetterebbe, non per la ragione sociale dell’ente, ma in ragione della natura dell’attività in concreto esercitata dal concessionario.
Per la ricorrente, dunque, anche se la norma prevede la riduzione del canone solo per le società sportive dilettantistiche, la stessa
dovrebbe applicarsi anche alle associazioni sportive dilettantistiche, «in quanto entrambe esercitano l’attività sportiva in forma necessariamente dilettantistica, non hanno scopo di lucro e accedono ai medesimi benefici e agevolazioni fiscali».
Ne sarebbe testimonianza la piena corrispondenza tra le due forme anche nell’ambito della legge n. 280 del 2002, ossia «Codice del Terzo Settore».
L’espressione «società sportive» sarebbe stata utilizzata dal legislatore in senso atecnico e dovrebbe essere interpretata in base alla ratio legis , nel senso che essa farebbe riferimento a tutti gli enti che svolgono attività sportiva dilettantistica e che siano affiliati a federazioni nazionali, qualunque sia la forma (societaria e non) che essi rivestono.
Con il quarto motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «violazione e/o falsa applicazione di norme ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., in relazione agli articoli 10 legge n. 449 del 1997 e 12 preleggi».
La Corte d’appello ha escluso la definitività dei canoni comunque versati a tutto il 31/12/1997 per qualunque tipo di concessione, proponendo una interpretazione dell’art. 10, comma 2, legge n. 449 del 1997 che non sarebbe condivisibile.
Per la Corte territoriale non era possibile, infatti, un’interpretazione meramente letterale dell’art. 10, comma 2, della legge n. 449 del 1997, dovendo procedere ad una interpretazione in relazione all’intera disposizione, ed in particolare tenendo conto del primo comma dell’art. 10, a mente del quale i canoni per concessioni di beni del demanio marittimo «si applicano alle concessioni aventi decorrenza successiva al 31 dicembre 1997».
Per la Corte territoriale, dunque, la data del 31/12/1997 costituisce il termine iniziale di decorrenza del nuovo regime di
determinazione dei canoni demaniali, introdotto dall’art. 3, comma 1, del decreto-legge n. 400 del 1993.
Allo stesso modo, il termine del 31 dicembre 1997 costituisce sempre a giudizio della Corte d’appello – il termine finale di definitività ed inoppugnabilità dei canoni già versati in forza del regime antecedente alla novella di cui all’art. 3 del decreto-legge n. 400 del 1993.
Pertanto, il legislatore ha voluto impedire che i privati, per effetto del differimento di applicazione della legge n. 494 del 1993 al 1/1/1998, «potessero chiedere la restituzione di somme versate in eccedenza».
In sostanza, la cristallizzazione dei canoni già versati in base alla precedente normativa, nel periodo anteriore al 31/12/1997, non può estendersi anche all’ipotesi della rideterminazione dei vecchi canoni, per la non spettanza di benefici agevolativi e riduttivi.
A tale interpretazione, la ricorrente contrappone una diversa esegesi, fondata sul dato letterale della norma, per cui la stessa avrebbe sancito «la definitività dei canoni comunque versati a tutto il 31/12/1997 per qualunque tipo di concessione».
Ciò sarebbe dimostrato dalla locuzione relative canoni «comunque versati», trattandosi di disposizione generale relativa «allo speciale regime di definitività che, in mancanza di puntuali ed espresse limitazioni, non può che applicarsi sia nel caso in cui il concessionario abbia corrisposto importi superiore al dovuto (con conseguente diritto alla restituzione del maggiore importo versato), sia nell’ipotesi in cui canoni versati siano inferiori e sia stata chiesta la differenza titolo di conguaglio (come nella fattispecie de qua )».
Non vi sarebbe allora spazio per limitare temporalmente il regime di definitività ai canoni successivi al 31/12/1997, postergatine gli effetti ai canoni futuri.
Nessun conguaglio è allora dovuto per il periodo dal 1992 al 1997, in applicazione dell’art. 10, comma 2, della legge n. 449 del 1997.
Con riferimento al periodo 1989-1991 è stata dichiarata la prescrizione.
Con il quinto motivo di impugnazione si deduce la «violazione e/o falsa applicazione di norme ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., in relazione agli articoli 12 legge 103 del 1979,36 cod. nav. e 1399 c.c.».
La Corte d’appello, con riferimento al terzo periodo temporale, dal 1/1/1998 al 27/7/2000, ha ritenuto legittimo il provvedimento di liquidazione di euro 155.637,00 emesso dalla p.a., a titolo di occupazione abusiva dell’aria in concessione per tale periodo.
Per la Corte territoriale, il rilascio del titolo concessorio con la corresponsione della somma di euro 51.878,10, con efficacia retroattiva al triennio di riferimento, non ha comportato alcun effetto in ordine alla natura sanzionatoria dell’art. 8 del decreto-legge n. 400 del 1993.
Per la Corte d’appello, dunque, la concessione retroattiva ha lasciato impregiudicate le questioni riguardanti la richiesta di sanatoria degli abusi del 1997, per la quale era ancora in corso l’iter istruttorio.
L’art. 8 del decreto-legge n. 400 del 1993, convertito in legge n. 494 del 1993, in caso di utilizzazione senza titolo dei beni del demanio marittimo, prevede indennizzi dovuti in misura pari ai canoni di concessione, con una maggiorazione del 200 o del 100%, la cui applicazione è automatica e disposta per legge con finalità sanzionatorie, essendo esclusa qualsiasi valutazione discrezionale del giudice fondata sulla maggiore o minore gravità della singola fattispecie.
Per la Corte territoriale, dunque, l’attività di interlocuzione delle parti in causa, culminata con la conferenza dei servizi del 9/4/2001, non poteva disciplinare aspetti ulteriori e diversi rispetto alla determinazione delle modalità ed alla fissazione del canone per il rapporto concessorio relativo al triennio 1998-2000.
Non vi era invece alcuna discrezionalità in ordine al diverso profilo delle conseguenze dei riscontrati abusi del circolo in qualità di concessionario di aree demaniali.
Il Direttore generale del Ministero delle infrastrutture e trasporti con la nota del 10/4/2003 non poteva rimuovere il titolo concessorio.
Per la ricorrente, invece, sarebbe erronea l’interpretazione della Corte d’appello.
In primo luogo, il collegio non avrebbe valutato la questione centrale, relativo all’incompetenza del direttore generale del Mit a rimuovere la rideterminazione del canone per il periodo 1998-2000, a valle del titolo rilasciato nel 2003, mediante richiesta dell’indennizzo ex art. 8 del decreto-legge n. 400 del 1993.
La posizione del circolo sarebbe stata definita in contraddittorio tra tutte le parti interessate (Autorità portuale, Capitaneria di porto, Agenzia del demanio) nella conferenza di servizi del 9/4/2001, previo parere dell’avvocatura dello Stato, cui aveva fatto seguito il rilascio del relativo titolo concessorio.
Tale assetto di interessi, definitivamente cristallizzato nella conferenza di servizi e nel successivo titolo concessorio, non poteva essere rimosso unilateralmente dal direttore Generale del Ministero delle infrastrutture e trasporti, attraverso la mancata adesione al parere favorevole dell’Avvocatura.
L’art. 12 della legge n. 103 del 1979 riserva alla competenza esclusiva del Ministro le divergenze con l’Avvocatura di Stato.
La rimozione della determinazione di rinnovare il titolo concessorio per il periodo 1998-2000 è stata effettuata da soggetto privo di poteri, il cui operato non è stato mai ratificato dal Ministro.
Tra l’altro la concessione demaniale rientra nella competenza esclusiva del capo del compartimento marittimo ex art. 35, comma 2, del cod. nav. Ciò costituirebbe ulteriore profilo di incompetenza del direttore generale del Mit.
Pertanto, il titolo concessorio per il periodo gennaio 1998-luglio 2000 e il relativo canone si sarebbero definitivamente consolidati, con conseguente insussistenza dell’obbligo di pagamento delle maggiori somme quantificate a titolo indennitario.
Con il sesto motivo di impugnazione si deduce la «violazione e/o falsa applicazione di norme ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., in relazione all’art. 8 del decreto-legge n. 400 del 1993».
La Corte d’appello avrebbe erroneamente attribuito alla previsione di cui all’art. 8 del decreto-legge n. 400 del 1993, natura sanzionatoria «anziché risarcitoria».
Per la Corte d’appello, dunque, trattandosi di natura sanzionatoria del provvedimento, sarebbe suscettibile di applicazione automatica, vincolando l’amministrazione all’applicazione di una maggiorazione del canone in misura fissa, rigidamente predeterminata legislatore, privandola di ogni margine di discrezionalità.
Al contrario, per la ricorrente, l’indennizzo per l’occupazione abusiva ha natura risarcitoria, con conseguente disponibilità per la PA.
A conferma di ciò sarebbe intervenuta la legge n. 417 del 2013 che ha previsto espressamente la possibilità di definire bonariamente le controversie in materia di concessioni demaniali marittime relative ai canoni e agli indennizzi.
Il primo motivo è infondato.
7.1. Pur essendo erronea l’affermazione della Corte d’appello in ordine alla pretesa tardività della domanda di condono presentata dall’Associazione Circolo Canottieri Irno, tuttavia, la stessa ha correttamente ritenuto non applicabile il condono di cui all’art. 100, comma 7, del decreto-legge n. 104 del 2020 alla fattispecie in esame, esulandone sotto il profilo oggettivo.
In realtà, la domanda di condono è stata presentata in data 7/12/2020, quindi prima del termine di scadenza del 15/12/2020. Il pagamento è stato effettuato tramite modello F24 il 20/9/2021, prima della scadenza del termine del 30/9/2021.
La documentazione stata prodotta all’udienza di precisazione delle conclusioni in data 10/2/2022. Non si trattava, dunque, di richiesta avanzata dall’appellante circolo nelle memorie di replica depositate il 2/5/2022.
La Corte d’appello ha evidenziato che nella specie si è in presenza di un’azione di accertamento negativo di un credito vantato dall’amministrazione; a seguito di rideterminazione del minor credito ricognitorio corrisposto in precedenza dall’Associazione, il maggiore canone ordinario è emerso in ragione di verifiche delle competenti autorità.
In particolare, la fattispecie in esame si connota per la condotta dell’Associazione che ha utilizzato i beni in concessione per finalità non rispondenti ad interesse pubblico previsto, avendo destinato lo spazio demaniale concesso «per l’ormeggio di imbarcazioni private dei propri soci».
Oltre al profilo ricognitivo vi è poi un profilo sanzionatorio, in quanto l’indennizzo dovuto dal circolo riguarda anche la sanzione per l’occupazione abusiva di spazi demaniali, ai sensi dell’art. 8 del decreto-legge n. 440 del 1994.
Come si vede, dunque, l’oggetto del giudizio risulta del tutto distinto rispetto a quello perimetrato dall’art. 100 del decreto-legge n. 104 del 2020, che ha riproposto la disciplina del condono di cui alla legge n. 147 del 2013, apportando minime modificazioni.
L’oggetto dei condoni citati era esclusivamente relativo al contenzioso derivante dall’applicazione dei criteri di calcolo dei canoni delle concessioni demaniali.
9. Invero, la legge n. 147 del 2013, art. 1, comma 732, stabilisce, testualmente: «nelle more del riordino della materia da effettuare entro il 15 ottobre 2014, al fine di ridurre il contenzioso derivante dall’applicazione dei criteri per il calcolo dei canoni delle concessioni demaniali marittime ai sensi del D.L. 5 ottobre 1993, n. 400, art. 3, comma 1, lett. b), n. 2.1), convertito, con modificazioni, dalla L. 4 dicembre 1993, n. 494, e successive modificazioni, i procedimenti giudiziari pendenti alla data del 30 settembre 2013 concernenti il pagamento in favore dello Stato dei canoni e degli indennizzi per l’utilizzo dei beni demaniali marittimi e delle relative pertinenze, possono essere integralmente definiti, previa domanda all’ente gestore e all’Agenzia del demanio da parte del soggetto interessato ovvero del destinatario della richiesta di pagamento, mediante il versamento: a) in un’unica soluzione, di un importo, pari al 30 per cento delle somme dovute; b) rateizzato fino a un massimo di sei rate annuali, di un importo pari al 60 per cento delle somme dovute, oltre agli interessi legali, secondo un piano approvato dall’ente gestore».
Il successivo comma prevede che «la domanda di definizione, ai sensi del comma 732, nella quale il richiedente dichiara se intende avvalersi delle modalità di pagamento di cui alla lett. a) o di quelle di cui alla lett. b) del medesimo comma, è presentata entro il 28 febbraio 2014. La definizione si perfeziona con il versamento
dell’intero importo dovuto, entro il termine di sessanta giorni dalla data di presentazione della domanda di definizione…».
Stando al tenore del dettato normativo, la definizione della lite rimane condizionata al fatto che: i) il procedimento giudiziario sia pendente e concerna il pagamento in favore dello Stato dei canoni e degli indennizzi per l’utilizzo dei beni demaniali marittimi e delle relative pertinenze; ii) il contenzioso abbia ad oggetto l’applicazione dei criteri per il calcolo dei canoni delle concessioni demaniali marittime ai sensi del D.L. 5 ottobre 1993, n. 400, art. 3, comma 1, lett. b), n. 2.1), convertito, con modificazioni, dalla L. 4 dicembre 1993, n. 494, e successive modificazioni; iii) sia previamente depositata una domanda in tal senso; iv) venga effettuato il versamento in un’unica soluzione o rateizzato nelle somme dovute.
9.2. Il decreto legge 14 agosto 2020, n. 104, convertito con modificazioni nella legge 13 ottobre 2020, n. 126, all’art. 100 (concessioni del demanio marittimo, lacuale e fluviale) stabilisce, poi, al comma 7: «Al fine di ridurre il contenzioso relativo alle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative e per la realizzazione e la gestione di strutture dedicate alla nautica da diporto, derivante dall’applicazione dei criteri per il calcolo dei canoni ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera b), n.2.1., del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494, nel testo vigente fino alla data di entrata in vigore del presente decreto, i procedimenti giudiziari o amministrativi pendenti alla data di entrata in vigore del presente decreto, concernenti il pagamento dei relativi canoni, possono essere definiti, previa domanda all’ente gestore e all’Agenzia del demanio da parte del concessionario, mediante versamento: a) in un’unica soluzione, di un importo, pari al 30% delle somme richieste dedotte le somme eventualmente già versate a tale titolo; b) rateizzato fino
a un massimo di 6 annualità, di un importo pari al 60% delle somme richieste dedotte le somme eventualmente già versate a tale titolo».
Ai sensi del comma 8 dell’art. 100, del decreto-legge n. 104 del 2020, poi, «la domanda per accedere alla definizione di cui al comma 7 è presentata entro il 15 dicembre 2020 ed entro il 30 settembre 2021 sono versati l’intero importo dovuto, 6 in un’unica soluzione, o la prima rata, se rateizzato».
Il comma 9 dell’art. 100 stabilisce che «la liquidazione e il pagamento nei termini assegnati degli importi di cui alle lettere a) e b) del comma 7 costituisce a ogni effetto rideterminazione dei canoni dovuti per le annualità considerate».
Il comma 10 dell’art. 100 del decreto-legge n. 104 del 2020 dispone che «la presentazione della domanda nel termine di cui al comma 8 sospende i procedimenti giudiziario amministrativi di cui al comma 7, compresi quelli di riscossione coattiva nonché i procedimenti di decadenza della concessione demaniale marittima per mancato pagamento del canone. La definizione dei procedimenti amministrativi o giudiziari si realizza con il pagamento dell’intero importo dovuto, se in un’unica soluzione, o dell’ultima rata, se rateizzato. Il mancato pagamento di una rata entro 60 giorni dalla relativa scadenza comporta la decadenza dal beneficio».
Pertanto, al comma 7 dell’art. 100 del decreto-legge n. 104 del 2020 si prevede espressamente che si debba tenere conto delle «somme eventualmente già versate a tale titolo».
10. È evidente, dunque, che la disciplina del condono di cui alla legge n. 104 del 2020, come del resto quella precedente di cui alla legge n. 147 del 2013, si incentra sul meccanismo di calcolo per la determinazione dei canoni delle concessioni demaniali marittime.
Sono del tutto fuori norma, invece, le questioni esaminate in questo giudizio, relative, per un lato, alla rideterminazione dei canoni
demaniali, in assenza dei requisiti che ne avevano consentito una applicazione ridotta (assenza dell’interesse pubblico) e per un altro lato, all’applicazione di sanzioni per l’assenza di titolo autorizzativo nel corso di alcuni anni, e segnatamente nel periodo dal 1/1/1998 al 27/7/2000.
11. Il secondo motivo è inammissibile.
11.1. Infatti, la Corte d’appello ha ritenuto insussistente il diritto alla riduzione del canone, come applicato all’associazione, per l’assenza del requisito dell’interesse pubblico, con lo specifico riferimento alla circostanza che parte dello spazio demaniale concesso era stato utilizzato «per l’ormeggio di imbarcazioni private dei propri soci».
12. La ricorrente, invece, nel motivo di ricorso per cassazione, non coglie la ratio decidendi insita nella motivazione della Corte territoriale, limitandosi ad affermare la sussistenza dell’interesse pubblico – oltre che naturalmente l’assenza di lucro – anche nell’ipotesi in cui i beni demaniali siano stati utilizzati per l’ormeggio di imbarcazioni private dei soci («nel caso di specie, peraltro, il soggetto concessionario, che è un’associazione a scopo non lucrativo, ha ampiamente argomentato e dimostrato l’impiego per scopi di interesse pubblico anche delle imbarcazioni dei soci ormeggiati nelle aree demaniali: a tal fine è incontestato che le imbarcazioni ormeggiate possono essere destinate anche a manifestazioni sportive, turistiche e/o ricreative»).
Oltre a non cogliere la ratio decidendi , quindi, la ricorrente si spinge anche ad una valutazione nuova del merito della controversia, sovrapponendosi al giudizio di pieno merito della Corte territoriale, rendendo il motivo inammissibile anche sotto questo ulteriore profilo.
Peraltro, per giurisprudenza amministrativa la destinazione ad ormeggio delle imbarcazioni dei soci, a prescindere dalla sua gratuità o meno, non concreta, di per sé, quel fine di interesse pubblico al quale è ancorata la disposizione di favore, e neppure rileva l’eventuale messa a disposizione della propria imbarcazione da parte del socio per manifestazioni sportive, turistiche o ricreative (Cons. Stato, sez. VI, 3/6/2014, n. 2839).
Il terzo motivo è infondato.
13.1. Non v’è dubbio che la normativa di riferimento consenta la riduzione dell’importo del canone per la concessione demaniale, esclusivamente nell’ipotesi di attività svolte da società sportive dilettantistiche, non menzionando in alcun modo le associazioni sportive dilettantistiche.
13.2. Ed infatti, l’art. 03, del decreto-legge 5/10/1993, n. 400, convertito con modificazioni nella legge 4/12/1993, n. 494 (Disposizioni per la determinazione dei canoni relativi a concessioni demaniali marittime), stabilisce, al comma 1, nella versione dal 5/12/1993 al 31/12/2006, che «i canoni annui per concessioni con finalità turistico-ricreative di aree, pertinenze demaniali marittime e specchi acquei per i quali si applicano le disposizioni relative alle utilizzazioni del demanio marittimo sono determinati, a decorrere dal 1° gennaio 1994, con decreto del Ministro della marina mercantile, emanato sentita la conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, nel rispetto dei seguenti criteri direttivi ».
Di qui, l’applicazione della nuova normativa a decorrere dal 1° gennaio 1994.
All’art. 03, comma 1, lettera l), del decreto-legge n. 400 del 1993 si prevede la «riduzione in misura pari al 50% dei canoni annui relativi alle concessioni demaniali marittime assentite alle società
sportive dilettantistiche affiliate alla Federazione Italiana Vela, ovvero alle Federazioni sportive nazionali».
Non v’è dubbio, dunque, che – come correttamente affermato dalla Corte d’appello – trattandosi peraltro di una disposizione agevolativa che richiede una interpretazione restrittiva, il beneficio spetta soltanto alle società sportive dilettantistiche, ma non alle associazioni sportive dilettantistiche.
Del resto, sono evidenti le differenze tra i due modelli; vi è una maggiore dimensione dell’associazione, rispetto alle società sportive, come pure diverse sono le modalità di organizzazione di gestione: di tipo democratico nelle associazioni sportive dilettantistiche, di tipo capitalistico nelle società sportive dilettantistiche; il rischio di impresa ed autonomia patrimoniale risultano limitati al capitale conferito nelle sole società sportive dilettantistiche.
14. Il quarto motivo è infondato.
14.1. Deve muoversi dal disposto di cui all’art. 10 della legge 27/12/1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica), a mente del quale «i canoni per concessioni di beni del demanio marittimo e di zone del mare territoriale, determinati ai sensi dell’art. 03, comma 1, applicabili alle sole utilizzazioni per finalità turistico-ricreative, con esclusione delle strutture dedicate alla nautica da diporto, e dell’art. 1 del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494, si applicano alle concessioni aventi decorrenza successiva al 31 dicembre 1997».
Al secondo comma dell’art. 10 predetto si stabilisce, poi, che «i canoni comunque versati relativi a concessioni di beni del demanio marittimo e di zone del mare territoriale, per qualunque uso rilasciate, aventi validità fino al 31 dicembre 1997, sono definitivi».
14.2. Questa Corte ha già chiarito che l’art. 10 della legge n. 447 del 1997 costituisce un’interpretazione autentica di quanto previsto dall’art. 03, comma 1, del decreto-legge n. 400 del 1993.
Ed infatti, l’art. 03, comma 1, del decreto-legge n. 400 del 1993 non prevedeva una disposizione intertemporale, idonea a disciplinare un periodo transitorio.
I nuovi criteri di determinazione dei canoni demaniali marittimi avrebbero, infatti, comportato un minore introito per lo Stato, essendo di importi minori rispetto a quelli precedenti. Ciò in quanto il nuovo regime di determinazione del canone di cui all’art. 3 del decreto-legge n. 400 del 1993, in ragione delle numerose ipotesi di canone ricognitorio (e dunque inferiori al canone ordinario), da esso introdotte, in mancanza di apposita regolamentazione del regime di efficacia intertemporale della disposizione, avrebbe dato la stura a richieste di revisione (retroattiva) al ribasso, con conseguente restituzione dell’eccedenza già versate da parte dei titolari delle concessioni antecedente al 31/12/1997 e tuttavia ancora in corso a tale data.
Proprio per tale ragione si è previsto il differimento di tali criteri alle concessioni aventi decorrenza successiva al 31/12/1997.
Tuttavia, il legislatore, per ovviare alla possibilità che i concessionari potessero chiedere per il periodo dal 1/1/1994 fino al 31/12/1997, la restituzione di importi pagati in eccesso, sulla base della nuova normativa (nel periodo dal 1994 al 21/12/1997), ha inserito il comma 2 all’art. 10 della legge n. 449 del 1997.
Pertanto, la cristallizzazione dei canoni comunque versati relativi a concessioni di beni del demanio marittimo, per qualunque uso rilasciate, aventi validità fino al 31/12/1997, deve riguardare, conformemente al primo comma dell’art. 10 citato, esclusivamente le ipotesi in cui i concessionari hanno pagato misure superiori, in
relazione alla vecchia normativa, rispetto a quelle previste dai nuovi criteri di determinazione dei canoni, con criteri applicati in precedenza ma superati dalla novella di cui all’art. 3 del decretolegge n. 400 del 1993.
L’art. 10, comma 2, della legge n. 449 del 1997, non può consentire, invece, una cristallizzazione dei canoni pagati in misura inferiore da parte dei concessionari, ma esclusivamente per avere utilizzato i beni in concessione per scopi diversi da quelli dell’interesse pubblico oppure per avere utilizzato tali beni senza titolo concessorio.
Del resto per questa Corte l’art. 10, comma 1, della l. n. 449 del 1997, secondo cui i canoni per le concessioni dei beni del demanio marittimo, determinati ai sensi dell’art. 3, comma 1, del d.l. n. 400 del 1993 (conv. con mod. dalla l. n. 494 del 1993), si applicano solo alle concessioni aventi decorrenza successiva al 31 dicembre 1997, non è stato abrogato dalla legge n. 296 del 2006 che, pur procedendo ad una incisiva revisione della disciplina preesistente e modificando selettivamente specifici commi dell’art. 3 del d.l. n. 400 del 1993 e dell’art. 10 cit., non è intervenuta sul comma 1 di quest’ultimo che ospita la norma di interpretazione autentica sul regime intertemporale. Tuttavia, la circostanza che l’art. 10, mediante un rinvio fisso, escluda l’applicabilità dei canoni determinati ai sensi dell’art. 3 a concessioni aventi decorrenza anteriore al 31 dicembre 1997, non esclude che i nuovi canoni, determinati ai sensi dell’art. 1, comma 251, della legge n. 296 del 2006, trovino applicazione anche per le concessioni già rilasciate o rinnovate, purché ancora in corso al momento dell’entrata in vigore di tale ultima legge (Cass., sez. 1, 29/12/2020, n. 29771).
Ed infatti, dopo l’emissione del decreto applicativo dell’art. 3 del decreto-legge n. 400 del 1993, era insorto contrasto con la Corte dei
conti, che aveva ritenuto che i canoni rideterminati dal decreto-legge citato dovessero essere applicati anche alle concessioni rilasciate in precedenza.
È stata così introdotta la norma intertemporale di cui all’art. 10, comma 1, della legge n. 449 del 27/12/1997.
Di conseguenza, il decreto ministeriale del 5/8/1998, n. 342 ha fissato i canoni concessori, delimitandone l’operatività alle concessioni rilasciate con decorrenza successiva al 31/12/1997.
In questo contesto è stata introdotta la disposizione del comma 251 della legge finanziaria per il 2007, che ha sostituito il comma 1 dell’art. 3 del decreto-legge n. 400 del 1993, dettando i nuovi criteri per la determinazione dei canoni di concessione del demanio marittimo.
Il quinto motivo è infondato.
15.1. Devono qui distinguersi due diverse fattispecie, come messo in evidenza dalla Corte territoriale.
Ed infatti, da una parte, deve farsi riferimento al periodo temporale che va dall’1/1/1998 al 27/7/2000, sotto il profilo dell’assenza del titolo concessorio, poi pervenuto, a seguito di un procedimento concertato, tra tutte le parti in causa, ivi inclusa la conferenza di servizi, in data 31/3/2003, previo pagamento della somma di euro 51.878,10.
Dall’altra, deve porsi attenzione agli obblighi sanzionatori, derivanti, per il medesimo periodo, in ragione dell’assenza del titolo concessorio, ai sensi dell’art. 8 del decreto-legge n. 400 del 1993, per il quale «a decorrere dal 1990, gli indennizzi dovuti per le utilizzazioni senza titolo dei beni demaniali marittimi, di zone del mare territoriale e delle pertinenze del demanio marittimo, ovvero per utilizzazioni difformi dal titolo concessorio, sono determinati in misura pari a quella che sarebbe derivata dall’applicazione del
presente decreto, maggiorata rispettivamente del 200% e del 100%».
Non è possibile, dunque, ipotizzare che l’accordo scaturito tra le parti, anche a seguito della conferenza di servizi, abbia di fatto eliso l’obbligo sanzionatorio, attraverso il pagamento della somma di euro 51.878,10.
Del resto, per questa Corte gli indennizzi dovuti per le utilizzazioni senza titolo di beni e pertinenze del demanio marittimo e di zone del mare territoriale, ovvero per le utilizzazioni difformi dal titolo concessorio, sono determinati dall’art. 8 del d.l. n. 400 del 1993 (conv., con modif., dalla l. n. 494 del 1993) in misura pari ai canoni di concessione, con una maggiorazione del duecento o del cento per cento, la cui applicazione è automatica e disposta per legge con finalità sanzionatorie, sicché è esclusa qualsiasi valutazione discrezionale del giudice fondata sulla maggiore o minore gravità della singola fattispecie (Cass., sez. 3, 5/7/2017, n. 16491).
16. Tra l’altro, non è neppure accoglibile la tesi della ricorrente per cui l’assetto di interessi cristallizzatosi a seguito della conferenza di servizi del 9/4/2001, sarebbe stato rimosso unilateralmente dal direttore Generale del Ministero delle infrastrutture e trasporti, discostandosi dal parere favorevole dell’Avvocatura dello Stato, non avendo tale direttore alcuna competenza in materia, ai sensi dell’art. 12 della legge n. 103 del 1979.
Ed infatti, tale ultima disposizione stabilisce che «e divergenze che insorgono tra il competente ufficio dell’avvocatura dello Stato e le amministrazioni interessate, circa la instaurazione di un giudizio o la resistenza nel medesimo, sono risolte dal Ministro competente con determinazione non delegabile».
Nella specie, però, non ci si trova dinanzi alla decisione di intraprendere un giudizio o di resistere nell’ambito dello stesso, ma
si è in presenza esclusivamente di un procedimento amministrativo instaurato per il rilascio di un canone concessorio di natura retroattiva, sicché sussisteva la competenza del direttore generale del Mit.
17. Il sesto motivo è infondato.
Per la ricorrente avrebbe errato la Corte d’appello nel reputare la natura sanzionatoria dell’indennizzo di cui all’art. 8 del decreto-legge n. 440 del 1994, avente invece natura risarcitoria, con conseguente disponibilità per la PA.
Ciò troverebbe conferma nella legge 417 del 2013 che ha previsto espressamente la possibilità di definire bonariamente le controversie in materia di concessioni demaniali marittime relative a canoni ed indennizzi.
In realtà, il contenuto stesso dell’art. 8 del decreto-legge n. 400 del 1993, lascia intendere con chiarezza che trattasi di un provvedimento sanzionatorio, tanto che è prevista la maggiorazione del 200% e del 100%, rispettivamente nell’ipotesi di utilizzazione senza titolo dei beni demaniali marittimi, ovvero per utilizzazioni difformi da titolo concessorio. E dunque la censura non ha fondamento.
Le spese del giudizio di legittimità vanno poste, per il principio della soccombenza, a carico della ricorrente si liquidano come da dispositivo.
rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente a rimborsare in favore del controricorrente le spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi euro 8.200,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-q uater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento,
da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 1, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della I sezione