Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 9731 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 9731 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 14/04/2025
ORDINANZA
Oggetto
OPPOSIZIONE ATTI ESECUTIVI
Locazione “a canone vile” stipulata in data anteriore al pignoramento Potestà del giudice dell ‘ esecuzione di emettere l ‘ ordine di liberazione dell ‘ immobile Sussistenza
R.G.N. 7820/2023
COGNOME
sul ricorso 7820-2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in proprio e nella qualità di ex legale rappresentante ‘ pro tempore ‘ della società RAGIONE_SOCIALE domiciliato ‘ ex lege ‘ presso l’ indirizzo di posta elettronica del proprio difensore come in atti, rappresentato e difeso dall ‘ Avvocato NOME COGNOME; Rep. Ud. 16/12/2024 Adunanza camerale
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona dell ‘ Amministratore unico e legale rappresentante ‘ pro tempore ‘ , e per essa quale procuratrice la società RAGIONE_SOCIALE domiciliata ‘ ex lege ‘ presso l’ indirizzo di posta elettronica del proprio difensore come in atti, rappresentata e difesa dall ‘ Avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
e contro
RAGIONE_SOCIALE e per essa quale procuratrice la società RAGIONE_SOCIALE con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell ‘ Avvocato NOME COGNOME ma domiciliata ‘ ex lege ‘ presso l’ indirizzo di posta elettronica dei propri difensori come in atti, rappresentata e difesa dagli Avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME
– controricorrente –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE CANCELLIERI NOME;
– intimati –
Avverso la sentenza n. 391/2022 del Tribunale di Urbino, depositata in data 04/10/2022;
udita la relazione della causa svolta nell ‘ adunanza camerale del 16/12/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME anche in qualità di ex rappresentante legale della società RAGIONE_SOCIALE ricorre, sulla base di due motivi, per la cassazione della sentenza n. 284/22, del 4 ottobre 2022, del Tribunale di Urbino, che ha rigettato l ‘ opposizione ex art. 617 cod. proc. civ. dallo stesso proposta avverso l ‘ ordinanza pronunciata dal giudice dell ‘ esecuzione – ai sensi degli artt. 560, comma 3, cod. proc. civ. e 2923, comma 3, cod. civ. – di liberazione degli immobili staggiti, da parte dei conduttori, per asserita ‘viltà’ del canone locatizio.
Riferisce, in punto di fatto, l ‘ odierno ricorrente che la società Banca Popolare di Ancona RAGIONE_SOCIALE (poi divenuta UBI Banca
RAGIONE_SOCIALE e, di seguito, fusa per incorporazione nella società Intesa Sanpaolo, i cui crediti sono stati, infine, tutti acquisiti dalla società RAGIONE_SOCIALE) instaurava una procedura esecutiva immobiliare – poi riunita ad altra, sempre pendente a carico della debitrice principale – nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE nonché delle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, che avevano garantito, con ipoteca, il credito ipotecario azionato ‘ in executivis ‘.
Tra gli immobili oggetto del pignoramento ve ne erano due concessi in locazione – dalle predette società datrici di ipoteca alla società RAGIONE_SOCIALE, tanto che, ad istanza dei creditori, il giudice dell ‘ esecuzione pronunciava ordine di liberazione degli stessi per ‘viltà’ del canone pattuito, a norma degli artt. 560, comma 3, cod. proc. civ. e 2923, comma 3, cod. civ.
Proponeva opposizione il COGNOME, in proprio e nella già indicata qualità, per lamentare, innanzitutto, che la legittimazione attiva a richiedere l ‘ ordine di liberazione non spettava ai creditori, ma semmai, unicamente, all ‘ aggiudicatario e/o assegnatario del compendio staggito. Si doleva, inoltre, l ‘ opponente della errata valutazione del ‘giusto prezzo’, avendo il custode preso in considerazione unicamente i valori O.M.I. e non anche la reale ed effettiva situazione del mercato delle locazioni aventi ad oggetto opifici industriali nella zona di Sant ‘ Angelo in Vado, ove risultano siti gli immobili in questione.
Respinta dal giudice dell ‘ esecuzione l ‘ istanza di sospensione ex art. 624 cod. proc. civ., radicata la fase di merito del giudizio ex art. 617 cod. proc. civ., l ‘ opposizione veniva rigettata.
Avverso la sentenza del Tribunale urbinate ha proposto ricorso per cassazione il COGNOME, sulla base – come detto – di due motivi.
3.1. Il primo motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. – violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2923, comma 3, cod. civ. e 560 cod. proc. civ., assumendo ‘violazione dei poteri conferiti al giudice dell ‘esecuzione’ e ‘difetto di legittimazione dei creditori istanti e del custode a fare valere, prima dell ‘ aggiudicazione e/o dell ‘assegnazione dei beni, la ‘viltà’ della locazione (trascritta ante pignoramento immobiliare) astrattamente opponibile all ‘esecuzione’.
Assume, infatti, il ricorrente che ‘una corretta applicazione degli artt. 2923 cod. civ. e 560 cod. proc. civ. avrebbe dovuto condurre il Giudice dell ‘ Esecuzione (prima) ed il Tribunale nel giudizio di riassunzione ex art. 616 cod. proc. civ. (poi), a dichiarare inammissibile l ‘ istanza per difetto di legittimazione sia dei creditori istanti che del custode nonché a dichiararsi incompetente in ordine all ‘accertamento della viltà del canone’.
Difatti, se è certamente prevista ‘la possibilità per il Giudice dell ‘ Esecuzione di ordinare la liberazione dell ‘ immobile, sentiti il custode ed il debitore, quando l ‘ immobile non è abitato dal debitore o dal suo nucleo familiare’, resta, però, inteso che ‘tale potere non può dirsi illimitato o attributivo al Giudice dell ‘ Esecuzione di una cognizione pari a quella del Giudice Ordinario’, trovando ‘un limite tutte le volte in cui vi sia un atto, un contratto opponibile alla procedura esecutiva in quanto trascritto anteriormente al pignoramento ai sensi degli artt. 2643, 2644 e 2923 cod. civ., circostanza che ricorre nel caso di specie’.
In particolare, sottolinea il ricorrente, ‘l’ art. 2923 cod. civ. è finalizzato ad attuare il principio cardine del nostro ordinamento secondo cui « emptio non tollit locatum »’, sicché il giudice dell ‘ esecuzione, sul presupposto che i contratti di locazione conclusi dalla società datrici di ipoteca erano stati trascritti anteriormente alla trascrizione del pignoramento, e dunque opponibili alla procedura esecutiva, non poteva che prenderne
atto e così ‘respingere ogni istanza di liberazione proveniente dai creditori e dal custode poiché l ‘ art. 2923 cod. civ. prevede una tutela per l ‘acquirente’, rimettendo a quest’ultimo, ‘qualora venga accertato il presupposto oggettivo previsto dal comma terzo, la scelta se avvalersene o meno’.
Tale interpretazione, si sostiene, ‘è l’ unica possibile oltre ad essere costituzionalmente orientata, poiché muove dal rispetto del principio di uguaglianza di cui all ‘ art. 3 Cost. e del principio di libera iniziativa economica di cui all ‘art. 41 Cost.’. Essa, infatti, consente, da un lato, l ‘ osservanza sia dell ‘ art. 1322 cod. civ. ‘ e, quindi, dell ‘ autonomina negoziale delle parti validamente ed efficacemente oggettivata nel contratto di locazione, poiché tale è il contratto non revocato, non risolto e non annullato ‘, sia degli artt. 2643 e 2644 cod. civ.; mentre, dall ‘ altro, essa assicura ‘ il legittimo affidamento delle parti nell ‘ opponibilità del negozio ai terzi in virtù della trascrizione del medesimo, salvo il positivo esperimento, da parte dei creditori e nel rispetto del contradditorio, dei mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale’.
3.2. Il secondo motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. – violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., lamentando ‘erronea applicazione dei criteri di riferimento per le stime immobiliari (locatizie)’, oltre a ‘nullità dell’ ordinanza istruttoria del 1° agosto 2021, per difetto di motivazione e per violazione del principio di contraddittorio e di disponibilità dei mezzi di prova, nonché del diritto di difesa della parte’.
Lamenta il ricorrente che l ‘ ordine di liberazione è stato emesso sulla scorta di quanto rilevato dal Custode giudiziario il quale, ‘al fine di verificare se il canone di locazione risultasse «vile» o meno, si era in realtà limitato a calcolare il valore ipotetico della
locazione degli immobili esecutati sulla base dei dati offerti dall ‘ Osservatorio del Mercato Immobiliare (OMI), in modo schematico e totalmente avulso da qualsiasi considerazione di natura oggettiva sia in ordine allo stato di conservazione dei beni, che con riferimento alla specifica situazione del mercato immobiliare nel la zona territoriale in cui essi sono collocati’. Per contro, ‘le quotazioni O .M.I. ‘ – sottolinea il COGNOME ‘non possono intendersi sostitutive di una stima puntuale che rappresenti e descriva in maniera esaustiva e con piena efficacia l ‘ immobile, motivando il valore da attribuirgli, in quanto forniscono indicazioni di valore di «larga» massima’.
Assume, inoltre, il ricorrente che ‘il principale e più importante metodo di stima (più attendibile, e contrapposto ai criteri O.M.I.), al fine di effettuare una congrua valutazione del canone locativo, è il metodo Market Comparison Approach (MCA), il quale si basa sulla rilevazione dei dati reali di mercato e delle caratteristiche degli immobili, quali termini di paragone del confronto estimativo’, confrontando ‘l’ immobile oggetto di stima e un insieme di immobili simili, al fine di ottenere una valutazione attendibile circa l ‘ accertamento del canone di mercato, il c.d. «giusto prezzo»’.
A tale metodo, dunque, si sarebbe dovuto attenere il custode giudiziario – e il giudice dell ‘ esecuzione – nello stabilire il carattere ‘vile’, o meno, del canone di locazione, ciò che non risulta avvenuto.
D ‘ altra parte, censurabile è pure la decisione assunta dal Tribunale – con ordinanza istruttoria del 1° agosto 2021 – di non ammettere le prove richieste da esso COGNOME per dimostrare che il canone di locazione non avesse carattere ‘vile’.
Orbene, tale ordinanza, secondo il ricorrente ‘è nulla, per difetto di motivazione, per violazione del principio del contraddittorio, per violazione del diritto di difesa e per violazione
del principio di disponibilità dei mezzi di prova’. In particolare, quest ‘ultimo è ‘leso dall’ inosservanza di quanto disposto dall ‘ art. 115 cod. proc. civ., che impone al Giudice di porre a fondamento della decisione, le prove proposte dalle parti, nonché i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita, e dall ‘ art. 116 cod. proc. civ. che, ugualmente, prescrive al Giudice di valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento, ma pur sempre attenendosi al materiale probatorio offerto in comunicazione dalle parti stesse, nel rispetto del diritto di difesa facente parte ad entrambe’.
Hanno resistito all ‘ avversaria impugnazione, con distinti controricorsi, le società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata.
Sono rimasti solo intimati gli altri soggetti meglio identificati nell ‘ epigrafe della presente sentenza
Formulata proposta di definizione accelerata del ricorso, ex art. 380bis , comma 1, cod. proc. civ., sul presupposto dell ‘ inammissibilità dell ‘ impugnazione, il ricorrente ha richiesto la decisione del collegio ai sensi del comma 2 del medesimo articolo, sicché la trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell ‘ art. 380bis .1 cod. proc. civ.
Il ricorrente e la controricorrente RAGIONE_SOCIALE hanno presentato memoria.
Il Collegio si è riservato il deposito nei successivi sessanta giorni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso è inammissibile, in conformità alla proposta di definizione accelerata.
9.1. Il primo motivo è, infatti, inammissibile, ex art. 360bis cod. proc. civ.
9.1.1. Come già evidenziato nella proposta di definizione accelerata, questa Corte ha chiarito che la locazione ‘a canone vile’, stipulata in data anteriore al pignoramento, è inopponibile non solo all ‘ aggiudicatario ai sensi dell ‘ art. 2923, comma 3, cod. civ., ma ‘anche alla procedura o ai creditori che ad essa danno impulso, stante l ‘ interesse pubblicistico al rituale sviluppo del processo esecutivo e, quindi, per un motivo di ordine pubblico processuale, il quale impone l ‘ anticipazione degli effetti favorevoli dell ‘ aggiudicazione e del decreto di trasferimento, col peculiare regime di efficacia « ultra partes » di quest ‘ ultimo: ne consegue che è pienamente legittima l ‘ emanazione diretta, da parte del giudice dell ‘ esecuzione, dell ‘ ordine di liberazione -con la successiva attuazione da parte del custode e senza che sia necessario munirsi preventivamente di un titolo giudiziale conseguito in sede cognitiva -avvalendosi delle stesse inopponibilità previste per l ‘ aggiudicatario, potendo i vari soggetti coinvolti o pregiudicati da tale provvedimento trovare tutela delle loro ragioni nelle forme dell ‘opposizione agli atti esecutivi’ (così Cass. Sez. 3, sent. 28 marzo 2022, n. 9877, Rv. 664400-02).
Si tratta di principio che questa Corte ha successivamente ribadito, fugando dubbi di costituzionalità analoghi a quelli che vengono evocati con il presente ricorso, dichiarando manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell ‘ art. 2923, comma 3, cod. civ., sottolineando
che l ‘ interpretazione che consente al giudice dell ‘ esecuzione l ‘ emanazione diretta dell ‘ordine di liberazione, ‘non impedisce al conduttore l ‘ esercizio del diritto di difesa, né ostacola l ‘ impresa privata, mirando, piuttosto, a salvaguardare il diritto al recupero del credito -che gode di tutela costituzionale e anche sovranazionale -da iniziative economiche fraudolente o, comunque, lesive delle ragioni creditorie’ (Cass. Sez. 3, ord. 9 maggio 2023, n. 12473, Rv. 667573-02).
A queste affermazioni, dunque, questo Collegio intende dare piena continuità, non essendovi ragioni per discostarsene, a dispetto di quanto diversamente affermato -peraltro, anteriormente agli arresti di questa Corte di cui si è detto – da talune sporadiche pronunce della giurisprudenza di merito, richiamate dal COGNOME nel proprio ricorso.
9.2. Inammissibile è pure il secondo motivo, per le ragioni evidenziate nella proposta.
9.2.1. Non trova, infatti, riscontro nella giurisprudenza di questa Corte l ‘ assunto del ricorrente – dal medesimo, peraltro, meglio specificato nella memoria depositata in vista della presente adunanza camerale – secondo cui l ‘ ordinanza che ha escluso l ‘ ammissibilità delle prove da esso articolate, volte a dimostrare la natura non ‘vile’ del canone, sarebbe censurabile, sotto il profilo del difetto di motivazione, ai sensi degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ.
Le norme evocate, per vero, non risultano conferenti.
Neppure astrattamente ipotizzabile è, in primo luogo, la violazione dell ‘ art. 115 cod. proc. civ. – norma che sancisce il principio secondo cui il giudice decide ‘ iuxta alligata et probata partium ‘ -giacché essa ‘può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato
espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli’ (Cass. Sez. 3, sent. 10 giugno 2016, n. 1189 2, Rv. 640192-01; Cass. Sez. Un., sent. 30 settembre 2020, n. 20867, Rv. 659037-01).
Inammissibile, del pari, è la censura di violazione dell ‘ art. 116 cod. proc. civ., norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale, essendo la stessa ravvisabile solo quando ‘il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all ‘ opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime’ (Cass. Sez. 3, sent. 10 giugno 2016, n. 11892, Rv. 640193-01, nello stesso, più di recente, in motivazione, Cass. Sez. 6-2, ord. 18 marzo 2019, n. 7618, non massimata sul punto, nonché Cass. Sez. 6-3, ord. 31 agosto 2020, n. 18092, Rv. 658840-02), mentre ‘ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione’ (Cass. Sez. Un. , sent. 30 settembre 2020, n. 20867, Rv. 659037-02), ovvero evidenziando la presenza, nella motivazione, di profili di ‘irriducibile contraddittorietà’ (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 12 ottobre 2017, n. 23940, Rv. 645828-01; Cass. Sez. 6-3, ord. 25 settembre 2018, n. 22598, Rv. 650880-01) o di inconciliabilità logica (da ultimo, Cass. Sez. 6-Lav., ord. 25 giugno 2018, n. 16111, Rv. 64962801), tali da rendere le sue ‘argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento’ (Cass. Sez. Un., sent. 3 novembre 2016, n. 22232, Rv. 641526-01,
nonché, più di recente, Cass. Sez. 6-5, ord. 23 maggio 2019, n. 13977, Rv. 654145-01).
In conclusione, il ricorso è inammissibile.
Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo in relazione alle attività in concreto rispettivamente svolte.
Inoltre, essendo stato il presente giudizio definito conformemente alla proposta ex art. 380bis cod. proc. civ., trovano applicazione le previsioni di cui ai commi 3 e 4 dell ‘ art. 96 cod. proc. civ.
Va, pertanto, disposta – ai sensi della prima delle due previsioni normative testé richiamate – la condanna del ricorrente al pagamento delle somme di €. 6.600,00 e di € 5.100,00, in favore, rispettivamente, di RAGIONE_SOCIALE e di RAGIONE_SOCIALE, somme determinate in misura corrispondente a quelle delle spese processuali.
In forza, invece, di quanto stabilito dalla seconda delle due citate previsioni normative, va, altresì, disposta la condanna del ricorrente al pagamento di un ‘ ulteriore somma di denaro alla Cassa delle ammende, somma che si reputa equo fissare, nella specie, nella misura massima di legge, pari a € 5.000,00 .
A carico del ricorrente, stante la declaratoria di inammissibilità del ricorso, sussiste l ‘ obbligo di versare, al competente ufficio di merito, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto secondo un accertamento spettante all ‘ amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 657198-01), ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P. Q. M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso, condannando NOME COGNOME a rifondere, alle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate, per la prima, in € 6.600,00, più € 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge, nonché, per la seconda, in € 5.1 00,00, più € 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell ‘ art. 96, commi 3 e 4, cod. proc. civ., condanna NOME COGNOME al pagamento delle somme di €. 6.600,00 e di € 5.100,00, in favore, rispettivamente, di RAGIONE_SOCIALE e di RAGIONE_SOCIALE nonché di una ulteriore somma di €. 5.000,00, in favore della Cassa delle Ammende.
Ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall ‘ art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, al competente ufficio di merito, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, all ‘ esito dell ‘ adunanza camerale della