Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 14849 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 14849 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 30463/2019 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona dell’AVV_NOTAIO giusta procura rilasciata dall’AVV_NOTAIO delegato Ing. NOME COGNOME, rappresentata e difesa come da procura speciale su atto separato allegato al presente ricorso , dall’AVV_NOTAIO, che richiede di ricevere le comunicazioni e le notificazioni all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato
-ricorrente –
RAGIONE_SOCIALE, in persona del presidente del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale in calce al controricorso, dall’AVV_NOTAIO, elettivame nte domiciliata in Roma presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, INDIRIZZO, il quale chiede di ricevere tutte le comunicazioni all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato
-controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Roma n. 2451/2019, depositata in data 11 aprile 2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23 /5/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOMEAVV_NOTAIO;
RILEVATO CHE:
Con citazione notificata il 25/11/2009 la RAGIONE_SOCIALE (di seguito COGNOME) allegava che, a far data dal 3/5/2003, era subentrata alla RAGIONE_SOCIALE.
Premetteva che quest’ultima società aveva concluso con la società RAGIONE_SOCIALE convenzioni, aventi ad oggetto la disciplina della concessione per l’attraversamento di tratti autostradali per la messa in opera di cavi telefonici in fibra ottica.
L’attrice evidenziava che nel periodo tra il 2003 e 2006 la concessionaria RAGIONE_SOCIALE non aveva provveduto al pagamento del canone annuo dovuto «a titolo di ricognizione e a compenso di maggiori oneri di carattere continuativo derivanti dalle opere in attraversamento».
Chiedeva, dunque, il pagamento della somma di euro 368.431,20, portata da n. 105 fatture relative al periodo in contestazione.
Si costituiva in giudizio la RAGIONE_SOCIALE deducendo: i) l’insussistenza dei presupposti per il pagamento del canone, dovendo escludersi «l’avvenuta esecuzione di opere di attraversamento lungo il tracciato autostradale all’interno delle reti di recinzione»; ii) la sopravvenuta inefficacia delle convenzioni in applicazione dello ius superveniens costituito dagli articoli 91-94 del codice delle comunicazioni elettroniche (d.lgs. n. 259 del 2003); iii) la contrarietà a norma imperativa dell’art. 10 delle convenzioni posto a base della domanda, in virtù del quale, richiamandosi uno dei parametri «fissati dall’art. 27 del codice della strada», era determinata la misura del canone, dovendo, invece, farsi applicazione del combinato disposto «degli articoli 91 e 92» del d.lgs. n. 259 del 2003.
In via riconvenzionale, la RAGIONE_SOCIALE chiedeva che fosse statuita l’inefficacia delle convenzioni poste a base della pretesa avversaria «con la declaratoria che nulla era dovuto alla società attrice per il titolo azionato».
La RAGIONE_SOCIALE ampliava il contenuto della domanda producendo ulteriori n. 89 fatture emesse dopo il 2006, chiedendo la condanna della convenuta al pagamento della complessiva somma di euro 763.099,15.
Il tribunale di Roma riteneva applicabile alle convenzioni la disciplina del codice delle comunicazioni elettroniche a far data dal settembre 2003 (in particolare l’art. 94 e non l’art. 91 CCE quest’ultimo avrebbe escluso ogni pagamento -) e, in parziale accoglimento della domanda attorea, condannava NOME al pagamento in favore di COGNOME della somma di euro 78.176,23. Dichiarava l’inefficacia delle convenzioni poste a base della domanda
nella parte in cui richiamavano il codice della strada ai fini della quantificazione del corrispettivo.
Proponeva appello COGNOME deducendo per quel che ancora qui rileva:1) erroneamente il giudice aveva applicato il codice delle comunicazioni elettroniche a rapporti sorti prima della sua entrata in vigore; 2) la mancata applicazione nella determinazione del canone dovuto dei criteri fissati dall’art. 27 del codice della strada; 3) l’erronea qualificazione come mutamento della domanda dell’operata precisazione del tema con ampliamento dell’oggetto.
Si costituiva in giudizio RAGIONE_SOCIALE proponendo appello incidentale ove chiedeva: 1) la riforma del capo della sentenza che aveva stabilito essere dovuto il canone per gli attraversamenti, nonostante questo fosse dovuto «solo per quelli di tipo longitudinale realizzati lungo la rete autostradale», mentre nella specie si discuteva «di attraversamenti di tipo trasversale posti al di sopra ovvero al di sotto della rete autostradale, rispetto ai quali trova applicazione la peculiare disciplina agli articoli 91 e 92 del codice delle comunicazioni elettroniche con conseguente declaratoria che nulla era dovuto ad RAGIONE_SOCIALE, insistendo gli attraversamenti per cui è causa solo su beni del demanio stradale»; 2) la violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto di pronunciato, «avendo il tribunale mancato di individuare i parametri legali per la determinazione delle indennità di servitù e dei canoni in applicazione degli articoli 91-94 codice delle comunicazioni elettroniche».
La Corte d’appello di Roma rigettava il gravame principale proposto da RAGIONE_SOCIALE.
Reputava – quanto ai motivi primo e secondo di appello principale, esaminati congiuntamente – che correttamente il primo giudice aveva dichiarato l’inefficacia di una norma pattizia (ossia l’art. 10 delle convenzioni azionate da RAGIONE_SOCIALE) che, pur essendo
espressione dell’autonomia negoziale, era però « ex post , risultata essere in contrasto con norme imperative dettate da una legge speciale di recepimento all’interno dell’ordinamento di una direttiva europea».
L’intervento di una norma nuova imperativa «condizionante l’autonomia delle parti, comporta che ogni clausola pattizia di contenuto difforme debba essere espunta dal contratto, dovendosene affermare la totale inefficacia, in quanto i relativi effetti che non si siano già prodotti non trovano più giustificazione sul piano causale».
Per la Corte territoriale, dunque, operava «il meccanismo di integrazione del contratto disegnato dall’art. 1339 c.c., grazie al quale, con la decorrenza dal 16 settembre 2003, in sostituzione della clausola negoziale in contestazione, sono state ex lege introdotti nelle 12 convenzioni i criteri fissati dagli articoli 91 e seguenti d.lgs. n. 259 del 2003».
Di qui, l’infondatezza anche degli altri motivi di appello formulati da RAGIONE_SOCIALE (terzo e quarto).
La Corte territoriale accoglieva, invece, il primo motivo di appello incidentale proposto da RAGIONE_SOCIALE.
Il tribunale, dunque, non aveva considerato che le convenzioni erano state integrate dallo ius superveniens in virtù del meccanismo predisposto dall’art. 1339 c.c., che aveva sostituito, oltre all’art. 10, anche la clausola trasfusa nell’art. 9 (richiamata dal tribunale), rinviando alla disciplina degli articoli 91 e seguenti del d.lgs. n. 259 del 2003 ai fini dell’individuazione delle ipotesi di attraversamento «che intitolano il soggetto che sia tenuto a subirle a conseguire un canone ovvero la corresponsione di un’indennità una tantum ».
Risultava dimostrato che la rete di E-Via era stata realizzata sul demanio stradale come emergeva dalla convenzione in atti conclusa
dalla società appellante (RAGIONE_SOCIALE con RAGIONE_SOCIALE «con la conseguenza che la stessa RAGIONE_SOCIALE è sì tenuta al pagamento dell’indennità per l’attraversamento con appoggio sulla strada appartenente al demanio dello Stato sulla quale è stata costituita la servitù di passaggio dei cavi in applicazione del combinato disposto degli articoli 823 c.c. e degli articoli 44 d.P.R. n. 327 del 2001, 3 della legge n. 166 del 2002 e 92 e 94, comma 9, del d.lgs. n. 259 del 2003, sicché con ogni evidenza RAGIONE_SOCIALE non può vantare alcuna ragione di credito in dipendenza di questo specifico titolo».
Tuttavia, era pacifico che gli attraversamenti non interessavano direttamente la rete autostradale, in quanto realizzati non lungo il tracciato autostradale «all’interno delle reti di recinzione», ma «posti al di sopra di questa ovvero al di sotto della stessa, all’interno dei sottopassi».
Presupposto per l’applicazione della norma (art. 94 CCE) era l’occupazione della sede autostradale intesa come compresa «nella recinzione che ne circoscrive l’ambito con manufatti invasivi che ne diminuiscano in modo sensibile la fruizione».
Pertanto, laddove l’art. 94 del d.lgs. n. 259 del 2003 fa riferimento ad occupazioni «lungo il percorso delle autostrade all’interno delle recinzioni» doveva escludersi dal campo di applicazione della norma «quanto non si identifichi con l’autostrada intesa come sede stradale dedicata tout court alla circolazione dei veicoli».
Non poteva trovare applicazione, allora, l’art. 94 del d.lgs. n. 299 del 2003, in quanto la rete di RAGIONE_SOCIALE si sviluppava «al di fuori di cavedi costruiti o posti a latere di cavalcavia o sottopassi posti lungo il tratto autostradale», dovendosi applicare invece l’art. 91 del d.lgs. n. 259 del 2003, che, «ponendo una limitazione legale alla proprietà, conforma una peculiare figura di servitù legale gratuita, comunque
escludendo che RAGIONE_SOCIALE abbia titolo per esigere la corresponsione di un canone».
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione COGNOME, depositando memoria illustrativa.
Ha resistito con controricorso RAGIONE_SOCIALE
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «violazione e/o falsa applicazione articoli 25,26,27 e 231 del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, nonché articoli 238 e 239 del d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, nonché art. 91-94 e 95 del d.lgs. 1° agosto 2003, n. 259. – Violazione e/o falsa applicazione articoli 14 e 15 delle disposizioni sulla legge in generale e principi in materia di successione delle leggi con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
In particolare, con l’atto di citazione RAGIONE_SOCIALE evidenziava la inapplicabilità delle disposizioni del codice delle comunicazioni elettroniche approvato con d.lgs. 1° agosto 2003, n. 259, almeno «fino alla modifica dell’art. 231, 3º comma, del nuovo codice della strada ad opera dell’art. 1, comma 6, della legge 18 giugno 2009, n. 69».
Il tribunale – ad avviso della ricorrente – avrebbe errato nel ritenere che la normativa intervenuta successivamente alla stipula delle convenzioni, costituita dal codice delle comunicazioni elettroniche, non poteva che ritenersi prevalente rispetto a quella cui facevano riferimento le convenzioni già stipulate, ossia il codice della strada.
Il tribunale, quindi, aveva affermato, da una parte, l’applicabilità dell’art. 94 del codice delle comunicazioni elettroniche e, dall’altra, l’inefficacia sopravvenuta delle convenzioni già stipulate nella parte
in cui richiamavano il codice della strada per la quantificazione del corrispettivo.
La Corte d’appello aveva ribadito la supremazia del codice delle comunicazioni elettroniche sul codice della strada, ma aveva escluso il diritto di COGNOME al pagamento del canone, ritenendo applicabile alla fattispecie, non l’art. 94, in forza del quale era dovuta l’indennità per l’occupazione del sedime autostradale, ma l’art. 91 del codice delle comunicazioni (che non prevedeva alcun pagamento).
Per la ricorrente, però, il codice della strada non poteva essere qualificato come una normativa di carattere generale, «consistendo al contrario anch’essa in una normativa speciale».
Ed infatti, l’art. 231 comma 3 del nuovo codice della strada indicava le deroghe tassative alle disposizioni speciali in materia di attraversamenti ed uso della sede stradale, ritenendo prevalenti le disposizioni di cui al d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156 in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni.
Ma le disposizioni del d.P.R. n. 156 del 1973 erano state abrogate dal codice delle comunicazioni elettroniche (CCE) dal 16 settembre 2003 fino alla modifica del 2009 di cui alla legge n. 69 del 2009. Pertanto, in tale periodo si applicavano, non più le norme vigenti del d.P.R. n. 156 del 1973, da intendersi abrogate, ma «piuttosto le allora e tuttora vigenti disposizioni speciali stabilite dagli articoli 25 e 27 del nuovo codice della strada».
Tanto è vero che il legislatore successivamente ha ravvisato l’esigenza di modificare l’art. 231 del codice della strada, adeguandolo al sopravvenuto CCE, con l’art. 1, comma 6, della legge 18 giugno 2009, n. 69.
Non era condivisibile, allora, l’assunto della Corte d’appello in ordine alla prevalenza del diritto comunitario e quindi della normativa di cui al CCE rispetto al codice della strada.
La Corte d’appello aveva poi applicato erroneamente l’art. 91 del CCE sull’erroneo presupposto che gli attraversamenti in questione non interessavano direttamente la rete autostradale trattandosi non già di attraversamenti realizzati lungo il tracciato all’interno delle reti di recinzione, ma di «attraversamenti che sono trasversali rispetto alla rete autostradale nel senso che sono posti al di sopra di questa ovvero al di sotto della stessa, all’interno dei sottopassi».
Sul punto, la ricorrente richiama l’ordinanza di questa Corte n. 8453 del 2019, la quale ha ritenuto che il corrispettivo dovuto allo Stato, al concessionario o al proprietario dell’autostrada è dovuto «sia nel caso in cui la rete di telecomunicazioni venga realizzata lungo il percorso dell’autostrada all’interno delle reti di recinzione, sia qualora – per i percorsi autostradali di nuova costruzione – si utilizzino i cavidotti appositamente realizzati ».
L’articolo da applicare risulta allora il 94 CCE. Del resto, anche la Corte d’appello riconosce la non gratuità per l’occupazione del suolo stradale tramite reti di comunicazione elettronica ex art. 94 CCE, anche se poi «non lo applica per le errate argomentazioni già analizzate».
Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente si duole «dell’omesso esame e pronunciamento sulla integrazione del quantum della domanda di RAGIONE_SOCIALE di condanna di NOME».
La Corte d’appello ha ritenuto assorbito tale motivo, in quanto il tribunale non aveva mai preso in esame la questione sulla «latitudine consentita dalla precisazione del tema di causa nel corso del giudizio», cioè sulla domanda per i canoni maturati dopo il 2006, avendo affermato «la sopravvenuta inefficacia a partire dal 16 settembre 2003, della clausola dell’articolo 10 delle convenzioni» e dovendo limitare la pronuncia ai canoni maturati fino a quella data.
In realtà, trattavasi di una semplice emendatio libelli , consistente in un semplice ampliamento dell’originario quantum sotto il mero profilo dell’oggetto mediato della domanda.
3.Il primo motivo è parzialmente fondato nei termini che seguono.
3.1. È corretta l’affermazione della Corte d’appello per cui il d.lgs. n. 259 del 2003 (CCE) prevale sulla normativa statale, e segnatamente sugli articoli 25 e 27 del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada).
Nelle dodici convenzioni stipulate tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, nel periodo interessato, quindi tra l’anno 2003 ed il 2006, era inserita la clausola pattizia, di cui all’art. 10, che prevedeva a carico del concessionario il pagamento di un canone annuo «a titolo di ricognizione e a compenso di maggiori oneri di carattere continuativo derivanti dalle opere in attraversamenti».
4.1. L’art. 27 citato – che va letto unitamente all’art. 25 (Attraversamento ed uso della sede stradale) – stabilisce che «le domande dirette a conseguire le concessioni e le autorizzazioni di cui al presente titolo, se interessano strade o autostrade statali, sono presentate al competente ufficio dell’RAGIONE_SOCIALE , precisando al comma 5 che «i provvedimenti di concessione ed autorizzazione di cui al presente titolo indicano le condizioni e le prescrizioni di carattere tecnico o amministrativo la somma dovuta per l’occupazione o per l’uso concesso, nonché la durata».
Ai commi 7 e 8 dell’art. 27 del d.lgs. n. 285 del 1992, sono indicate le modalità di determinazione della somma dovuta per l’uso o l’occupazione delle strade e delle loro pertinenze.
Tale norma va letta unitamente agli artt. 65, 66 e 67 del d.P.R. n. 495 del 1992 (Regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada).
4.2. Peraltro, l’art. 231 del d.lgs. n. 285 del 1992 (Abrogazione di norme precedentemente in vigore), nella sua formulazione originaria stabiliva che «sono abrogate dalla data di entrata in vigore del presente codice, salvo quanto diversamente previsto dalle disposizioni del capo II del presente titolo, le seguenti disposizioni:».
Al comma 3 dell’art. 231 richiamato si stabiliva che «in deroga a quanto previsto dal capo I del titolo II, continuano ad applicarsi le disposizioni di cui al libro 4º, titolo I, capo VI, del testo unico delle disposizioni legislative in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 29 marzo 1973, n. 156 ».
Pertanto, vi era il rimando agli artt. 238 e 239 del d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156.
L’art. 238 del d.P.R. n. 156 del 1973 (Divieto di imporre altri oneri) stabiliva che «le pubbliche amministrazioni, le regioni, le province ed i comuni non possono imporre per l’impianto o per l’esercizio dei servizi di telecomunicazioni oneri o canoni che non siano stabiliti per legge, salvo che non sia diversamente disposto dal presente decreto»; la norma è stata abrogata dal d.lgs. 1 ° agosto 2003, n. 259. Mentre l’art. 239 (Occupazione di sedi autostradali da gestire in concessione e di proprietà dei concessionari) prevedeva: «per la realizzazione e la manutenzione di impianti di telecomunicazione ad uso pubblico, può essere occupata una sede idonea, lungo il percorso delle autostrade, gestite in concessione e di proprietà del concessionario, all’interno delle reti di recinzione»; norma abrogata anch’essa dal d.lgs. n. 259 del 2003.
Il comma 3 dell’art. 231 del d.lgs. n. 285 del 1992, è stato poi modificato dalla legge n. 69 del 2009, sicché dal 4 luglio 2000 la norma attualmente in vigore prevede «in deroga a quanto previsto
dal capo I del titolo II, continuano ad applicarsi le disposizioni di cui al capo V del titolo II, del codice delle comunicazioni elettroniche, di cui al d.lgs. 1 agosto 2003, n. 259, e successive modificazioni».
Tuttavia, il d.lgs. 1° agosto 2003, n. 259 (Codice delle comunicazioni elettroniche) recepisce alcune direttive comunitarie ed introduce nell’ordinamento statale una disciplina speciale con riferimento allo sviluppo delle comunicazioni elettroniche.
5.1. La giurisprudenza di legittimità che si è pronunciata sul rapporto tra la disciplina di cui al CCE e quella dettata dalla normativa statale (segnatamente in ordine al demanio idrico coinvolto in opere per lo sviluppo delle comunicazioni elettroniche) ha affermato in modo costante la prevalenza della disciplina del CCE sulla normativa nazionale anteriore.
Le norme oggetto di interpretazione sono quelle relative agli articoli 91,92 e 93 CCE.
L’art. 91 CCE (Limitazioni legali della proprietà) stabilisce che «negli impianti di reti di comunicazione elettronica di cui all’art. 90, commi 1 e 2, i fili o cavi senza appoggio possono passare, anche senza il consenso del proprietario, sia al di sopra delle proprietà pubbliche o private, sia dinanzi a quei lati di edifici ove non siano finestre od altre aperture praticabili a prospetto», precisando al comma 5 che «nei casi previsti dal presente articolo al proprietario non è dovuta alcuna indennità».
L’art. 93 del CCE (Divieto di imporre altri oneri), che costituisce la norma oggetto di plurime interpretazioni giurisprudenziali di legittimità, prevedeva in origine (nel testo in vigore dal 16 settembre 2003) che «le pubbliche amministrazioni, le regioni, le province ed i comuni non possono imporre, per l’impianto di reti o per l’esercizio dei servizi di comunicazione elettronica, oneri o canoni che non siano stabiliti per legge».
Al comma 2 dell’art. 93 si chiarisce che «gli operatori che forniscono reti di comunicazione elettronica hanno l’obbligo di tenere indenne l’ente locale, ovvero l’ente proprietario, dalle spese necessarie per le opere di sistemazione delle aree pubbliche specificamente coinvolte negli interventi di installazione e manutenzione e di ripristinare a regola d’arte le aree medesime nei tempi stabiliti dall’ente locale. Nessun altro onere finanziario o reale può essere imposto, in base all’art. 4 della legge 31 luglio 1997, n. 249, salva l’applicazione della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche di cui al capo II del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, oppure del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche di cui all’art. 63 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 ovvero dell’eventuale contributo una tantum per spese di costruzione delle gallerie ».
L’art. 93 ha subito diverse modifiche nel tempo. In particolare, a decorrere dal 1° giugno 2012 (a seguito dell’art. 68 del d.lgs. n. 70 del 2012) si è stabilito che «nessun altro onere finanziario, reale o contributo può essere imposto fatta salva ».
Il d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 33 ha disposto (con l’art. 12, comma 3) che «l’art. 93, comma 2, del d.lgs. 1° agosto 2003, n. 259, e successive modificazioni, si interpreta nel senso che gli operatori che forniscono reti di comunicazione elettronica possono essere soggetti soltanto alle prestazioni e alle tasse o canoni espressamente previsti dal comma 2 della medesima disposizione».
L’art. 94 del CCE (Occupazione di sedi autostradali da gestire in concessione e di proprietà dei concessionari) stabilisce, al comma 1, che «per la realizzazione e la manutenzione di reti di comunicazione elettronica ad uso pubblico, può essere occupata una sede idonea, lungo il percorso delle autostrade, gestite in concessione e di proprietà del concessionario, all’interno delle reti di recinzione». Al
comma 3 si prevede che « L’ufficio provinciale dell’RAGIONE_SOCIALE, sentite le parti, esprime il suo parere in merito e stabilisce la indennità da pagarsi al proprietario in base all’effettiva diminuzione del valore del fondo, all’onere che ad esso si impone ed al contenuto della servitù».
6. La Corte costituzionale con varie pronunce ha chiarito che con il CCE l’RAGIONE_SOCIALE ha recepito le direttive quadro del Parlamento europeo e del Consiglio sulle comunicazioni elettroniche del 7 marzo 2002 (direttiva 2002/19/CE, relativa all’accesso alle reti di comunicazione elettronica e alle risorse correlate, e all’interconnessione delle medesime – direttiva accesso; direttiva 2002/20/CE, relativa alle autorizzazioni per le reti e i servizi di comunicazione elettronica direttiva autorizzazioni; direttiva2002/21/CE, che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica – direttiva quadro; direttiva 2002/22/CE, relativa al servizio universale e ai diritti degli utenti in materia di reti ed i servizi di comunicazione elettronica – direttiva servizio universale).
La finalità perseguita è quella del superamento «delle situazioni di monopolio del settore, mediante la progressiva diminuzione dell’intervento gestorio delle autorità pubbliche e la incentivazione di un vasto processo di liberalizzazione delle reti e dei servizi nei settori convergenti delle telecomunicazioni, dei media e delle tecnologie dell’informazione», con la previsione di una serie di misure regolatorie «destinate ad incidere sul comportamento delle imprese e che dovrebbero condurre ad una completa operatività delle regole della concorrenza» (Corte cost., sentenza n. 336 del 2005).
Trattando dell’art. 93 del CCE la Corte costituzionale (sentenza n. 336 del 2005; poi Corte cost., n. 450 del 2006; Corte Cost., sentenza n. 272 del 2010; Corte cost., sentenza n. 47 del 2015) evidenzia che tale disposizione «deve ritenersi espressione di un
principio fondamentale, in quanto persegue la finalità di garantire a tutti gli operatori un trattamento uniforme e non discriminatorio, attraverso la previsione del divieto di porre a carico degli stessi oneri o canoni. In mancanza di un tale principio, infatti, ciascuna regione potrebbe liberamente prevedere obblighi pecuniari a carico dei soggetti operanti sul proprio RAGIONE_SOCIALE, con il rischio, appunto, di una ingiustificata discriminazione rispetto ad operatori di altre regioni, per i quali, in ipotesi, tali obblighi potrebbero non essere imposti. È evidente che la finalità della norma è anche quella di ‘tutela della concorrenza’, sub specie di parità di trattamento e di misure volte a non ostacolare l’ingresso di nuovi soggetti nel settore» (sentenze della Corte costituzionale richiamate da Cass. n. 10221 del 2019).
7.La giurisprudenza di legittimità inizialmente si è occupata delle fattispecie relative all’attraversamento, con infrastrutture della rete di telecomunicazione, del «reticolo idrico demaniale», gestito dalle regioni ai sensi degli articoli 86 e 89 del d.lgs. n. 112 del 1998.
Questa Corte ha ritenuto che tale attraversamento non è assoggettabile al pagamento di oneri o canoni diversi da quelli previsti dal d.lgs. n. 259 del 2003 o da legge statale ad esso successiva (Cass., sez. 1, 3 settembre 2015, n. 17524; che richiama Cass., 30 giugno 2014, n. 14788 e Cass., 30 giugno 2014, n. 14789; oltre a Cass., n. 18004 del 2014).
Si è chiarito che il menzionato principio ha trovato conferma nella nuova formulazione dell’art. 93, comma 2, del Codice (come novellato dall’art. 68 del d.lgs. n. 70 del 2012, inapplicabile ” ratione temporis “), la quale – a fronte di una generica indicazione contenuta nel comma 1 – ha precisato, in senso restrittivo, che nessun altro onere finanziario, reale o contributo può essere imposto per l’esercizio dei servizi di comunicazione elettronica, fatta salva
l’applicazione della tassa o del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche.
Pertanto, l’operatore che fornisce reti di comunicazione elettronica ha soltanto l’obbligo di tenere indenne l’ente dalle spese necessarie per le opere di sistemazione delle aree pubbliche specificamente coinvolte dagli interventi di installazione e manutenzione, e di ripristinare a regola d’arte le aree medesime nei tempi stabiliti dall’ente locale, fatta salva la tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (TOSAP), il canone (COSAP) ovvero l’eventuale contributo una tantum per le spese di costruzione delle gallerie di cui al decreto legislativo 15/11/1993, n. 507, articolo 47, comma 4 (Cass., sez. 1, n. 10221 del 2019).
7.1. Particolarmente chiara è, poi, la sentenza di questa Corte n. 283 del 10 gennaio 2017, che si occupa proprio dell’applicabilità o meno dell’art. 27 del d.lgs. n. 285 del 1992, proprio come nel caso in esame, riguardando proprio una controversia di RAGIONE_SOCIALE.
In motivazione, si è chiarito che la disciplina di cui all’art. 93 del CCE è stata sempre considerata, dall’indirizzo interpretativo assolutamente prevalente, come espressione di un principio fondamentale dell’ordinamento di settore delle telecomunicazioni, in quanto «persegue la finalità di garantire a tutti gli operatori un trattamento uniforme e non discriminatorio, attraverso la previsione del divieto di porre a carico degli stessi oneri o canoni». Del resto, in caso contrario, ogni singola amministrazione dotata di potestà impositiva potrebbe liberamente prevedere obblighi pecuniari a carico dei soggetti operanti sul proprio RAGIONE_SOCIALE (si richiamano anche le pronunce della Corte cost., nn. 336 del 2005; 450 del 2006; 47 del 2015).
Si chiarisce ancora in motivazione che «un orientamento monolitico di questa Corte [si citano Cass. n. 14788 del 2014; n.
17524 del 2015, n. 13912 del 2016] riferito, peraltro, alla diversa materia dell’attraversamento, con infrastrutture della rete di telecomunicazione, del c.d. reticolo idrico demaniale gestito dalle regioni ai sensi degli articoli 86 89 del d.lgs. n. 112 del 1998, ha stabilito che l’attraversamento in questione non è assoggettabile al pagamento di oneri o canoni diversi da quelli previsti dal d.lgs. n. 259 del 2003 o da legge statale ad esso successiva».
Del resto, tale principio ha trovato conferma nella nuova formulazione dell’art. 93, comma 2, del CCE, come novellato dall’art. 68 del d.lgs. n. 70 del 2012, la quale ha precisato «in senso restrittivo, che nessun altro onere finanziario, reale o contributo può essere imposto per l’esercizio dei servizi di comunicazione elettronica, fatta salva l’applicazione della tassa o del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche».
Nella pronuncia richiamata (Cass., sez. 1, n. 283 del 10/1/2017) non si manca di osservare – per confutarlo – anche la formazione di un indirizzo giurisprudenziale minoritario, per il quale «l’applicabilità dell’art. 27 del d.lgs. n. 285 del 1992 (che consente all’ente proprietario della strada l’imposizione di un canone per l’uso o l’occupazione a qualsiasi titolo del suolo e del sottosuolo della strada medesima), non sarebbe esclusa per effetto dell’entrata in vigore dell’art. 93 del d.lgs. n. 259 del 1993, benché si tratti di norma ad esso precedente».
L’art. 27, commi 7 e 8, del d.lgs. n. 285 del 1992, dunque, in base a tale peculiare interpretazione, sarebbe richiamato proprio dall’art. 93 del CCE, che, al comma 1, fa espressamente salva «l’applicazione di altre disposizioni di legge che stabiliscono altri canoni o oneri per l’impianto di reti o per l’esercizio di servizi di comunicazione elettronica».
Tale tesi minoritaria troverebbe giovamento anche dal 22º ‘Considerando’ della direttiva 2002/21/CE 7 marzo 2002, che istituisce un quadro normativo comune per le reti di servizi di comunicazione elettronica (direttiva quadro), per la quale rimangono impregiudicati le «disposizioni nazionali vigenti in materia di espropriazione o uso di una proprietà, normale esercizio dei diritti di proprietà, normale uso dei beni pubblici».
Non troverebbe poi applicazione alla fattispecie concreta il disposto dell’art. 1, comma 6, della legge n. 69 del 2009, a mente del quale «l’art. 231, comma 3, del codice della strada, di cui al d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, il primo periodo è sostituito dal seguente: ‘in deroga a quanto previsto dal capo I del titolo II, si applicano le disposizioni di cui al capo V del titolo II del CCE, di cui al d.lgs. 1° agosto 2003, n. 259, e successive modificazioni’». Ciò in quanto tale norma non inciderebbe sull’attribuzione agli enti locali del potere di imporre altri oneri, oltre TOSAP e COSAP, attesa la natura di norme speciali rivestite dalle disposizioni legislative che prevedono il predetto potere impositivo degli enti locali, ed allo stesso art. 27 del d.lgs. n. 285 del 1992 con specifico riferimento alle strade ».
Per questa Corte (Cass. n. 283 del 2017, cit.), però, a confutazione di quanto sopra affermato, proprio la linea interpretativa seguita da una parte delle decisioni della giurisprudenza amministrativa ed ordinaria «ha indotto il legislatore ad emanare una norma di interpretazione autentica dell’art. 93 del d.lgs. n. 259 del 2003. Ed invero, l’art. 12, comma 3, del d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 33 ha stabilito che «l’art. 93, comma 2, del d.lgs. 1° agosto 2003, n. 259, e successive modificazioni, si interpreta nel senso che gli operatori che forniscono reti di comunicazione elettronica possono essere soggetti soltanto alle prestazioni e alle
tasse o canoni espressamente previsti dal comma 2 della medesima disposizione».
Pertanto è di tutta evidenza – altrimenti la disposizione non avrebbe alcun significato, essendo la prescrizione suindicata già desumibile dal testo dell’art. 93, comma 2, – che «la norma ha inteso stabilire il canone interpretativo unico applicabile alla disposizione specifica concernente ‘gli operatori che forniscono reti di comunicazione elettronica’, prescrivendo che la disposizione in parola debba essere interpretata nel senso che essi siano sottoposti soltanto alle tasse o canoni (TOSAP e COSAP) previsti dal comma 2 della disposizione succitata».
Per tale ragione, resta esclusa «per tali soggetti l’applicabilità del comma 1, che concerne genericamente ‘l’impianto di reti’ o ‘l’esercizio dei servizi di comunicazione elettronica’, vietando alle amministrazioni, anche locali, di imporre ‘oneri o canoni che non siano stabiliti per legge’ ».
Si è anche chiarito che tale norma interpretativa, per tale sua natura, è applicabile retroattivamente anche a fattispecie insorte prima della sua entrata in vigore (Cass. n. 293 del 2017).
Nella stessa direzione muove anche la giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato, sez. III, 1 giugno 2016, n. 2335), per la quale art. 93, comma 1, del d.lgs. n. 259 del 2003 deve essere letto alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 272 del 2010, che ha specificato che «il richiamo dell’art. 93, comma 1, dello stesso d.lgs. n. 259 del 2003, ad altri eventuali oneri o canoni che non siano stabiliti dalla legge deve intendersi alla sola legge statale».
Si richiama anche la ratio della sentenza della Corte costituzionale n. 336 del 2005, e quindi al fine di evitare che ogni regione possa «liberamente prevedere obblighi pecuniari a carico dei soggetti operanti sul proprio RAGIONE_SOCIALE, con il rischio, appunto, di una
ingiustificata discriminazione rispetto ad operatori di altre regioni, per i quali, in ipotesi, tali obblighi potrebbero non essere imposti».
Si fa presente che anche nella giurisprudenza di legittimità, il titolo legittimante l’imposizione di oneri o canoni per l’esercizio dei servizi di comunicazione elettronica «non può essere rinvenuto né negli articoli 822 e 823 c.c. né negli articoli 86 e 89 del d.lgs. n. 112 del 1998, che delegano alle regioni la gestione del demanio idrico, le relative concessioni, la determinazione dei canoni ed introito dei relativi proventi».
9. Anche la giurisprudenza di questa Corte, a sezioni unite, ha ritenuto che lo scadere di una concessione non comporta il venir meno del radicale divieto contenuto nell’art. 93 del d.lgs. n. 259 del 2003, di assoggettare a canoni – o, comunque, a qualsiasi altro onere – la occupazione di aree con infrastrutture di telecomunicazione ancora utilizzabili, essendo la menzionata disposizione finalizzata in recepimento delle Direttive unionali – ad eliminare ogni possibile interferenza sulla libera concorrenza, nel settore di mercato delle telecomunicazioni che possa derivare dalla sottoposizione all’interno del RAGIONE_SOCIALE dello Stato a canoni o oneri geograficamente differenziati (Cass., Sez. U., 3 maggio 2018, n. 10536).
Questa Corte, a sezioni unite, occupandosi della materia in sede di regolamento di giurisdizione, ha ribadito il principio per cui l’attraversamento del demanio idrico gestito dalle regioni, ai sensi del d.lgs. n. 112 del 1998, art. 86 e 89, da parte di infrastrutture di comunicazione elettronica, non è soggetto al pagamento di oneri o canoni che non siano previsti dal d.lgs. n. 259 del 2003 o da legge statale ad esso successiva (Cass., Sez. U., 2 febbraio 2017, n. 2730).
10. Va, poi, fatto riferimento alla questione relativa all’influenza che può avere il d.lgs. n. 259 del 2003 sui contratti di concessione già stipulati, in quanto la giurisprudenza di legittimità si è
pronunciata su domande presentate dagli operatori economici nei confronti degli enti territoriali, ma non nei confronti dei concedenti.
In realtà, vi è un unico precedente, che non risolve però la questione della prevalenza tra il d.lgs. n. 259 del 2003 e la normativa statale pregressa, costituita dall’art. 27 del d.lgs. n. 295 del 1992.
Si è, quindi, sostenuto che, dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 259 del 2003 è rimasto fermo il principio, sancito dagli artt. 25 e 27 del codice della strada, dell’onerosità dell’uso della sede stradale da parte dell’operatore di telecomunicazioni, posto che l’art. 94 del citato d.lgs., che è norma speciale rispetto al precedente art. 93, con riferimento all’installazione di linee di telecomunicazioni lungo le sedi autostradali, ha previsto che l’occupazione della sede o delle strutture autostradali per la realizzazione di reti di comunicazione elettronica ad uso pubblico dà luogo ad una servitù che viene imposta con decreto del Ministro dello sviluppo economico previo pagamento di un’indennità nella misura stabilita dall’ufficio provinciale dell’RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE – in applicazione del principio, la RAGIONE_SOCIALE.C. ha cassato la sentenza di merito che, in virtù dell’errato principio di gratuità dell’installazione di linee di telecomunicazioni lungo le sedi autostradali, aveva respinto la domanda di pagamento del canone di occupazione del suolo autostradale proposta dalla concessionaria nei confronti di un operatore di telecomunicazioni, peraltro in relazione ad un arco temporale in parte antecedente all’entrata in vigore del codice comunicazioni elettroniche (Cass., sez. 3, 27 marzo 2019 n. 8453).
In tale precedente si è ritenuto che «il contrasto fra il codice della strada e il CCE ravvisato dalla Corte d’appello non sussiste. Entrambe le discipline sono ispirate al principio dell’onerosità dell’uso della sede autostradale da parte dell’operatore di telecomunicazioni», mentre le sole novità consistono
nell’individuazione «delle competenze del Ministro dello sviluppo, quanto all’adozione del decreto impositivo della servitù, e dell’RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE, per quel che concerne la determinazione dell’indennità dovuta al gestore della sede autostradale».
Pertanto, si è ritenuto che il giudice di merito aveva «parimenti errato nel ravvisare una discontinuità fra tale disciplina e le regole precedentemente poste dal codice della strada. Non sussistendo un simile contrasto fra i due codici, si è inutilmente soffermata sulla questione della prevalenza dell’uno sull’altro» (Cass., n. 8453 del 2019).
Nella parte finale della motivazione questa Corte giunge ad affermare che «piuttosto, avuto riguardo all’arco temporale che costituisce oggetto della domanda formulata – dal 2001 al 2009 – , avrebbe dovuto verificare la sussistenza dei presupposti per il pagamento di una somma determinata ai sensi dell’art. 27, commi 7 e 8 , cod. strada, fino all’entrata in vigore del CCE (16 settembre 2003); e poi, per il periodo successivo, per il pagamento di un’indennità nella misura stabilita dall’art. 94 Cod. comunicazioni».
Ciò che più conta, ai fini della risoluzione della controversia è quanto afferma in motivazione questa Corte nel precedente richiamato, ove si ritiene che «dunque, anche dopo l’entrata in vigore del CCE è rimasto fermo il principio per il quale l’operatore di telecomunicazioni che utilizzi la sede o le strutture autostradali per l’istallazione di cavi è tenuto al pagamento di un corrispettivo allo Stato o al concessionario o al proprietario dell’autostrada. Tale corrispettivo è dovuto sia nel caso in cui la rete di telecomunicazioni venga realizzata lungo il percorso della autostrada all’interno delle reti di recinzione, sia qualora – per percorsi autostradali di nuova costruzione – si utilizzino i cavidotti appositamente realizzati, sia –
infine – quando sia necessario spostare l’impianto per far spazio ai lavori di ampliamento della sede stradale».
Ciò comporta, dunque, che trova applicazione, non l’art. 93 del d.lgs. n. 259 del 2003, ma l’art. 94, che prevede un’indennità da pagarsi al proprietario o al concedente.
Inoltre, l’art. 94, comma 8, prevede un richiamo agli articoli 3 e 40 della legge 1° agosto 2002, n. 166.
Anche su questo, questa Corte, nel precedente richiamato (Cass. n. 8453 del 2019), ha chiarito che «l’art. 3 della legge n. 166 del 2002 pone la regola dell’onerosità delle servitù previste dalle leggi in materia di trasporti, telecomunicazioni, acque ed energia, relative a servizi di interesse pubblico. Il successivo art. 40 fissa come obbligatoria, nei lavori di costruzione e di manutenzione straordinaria di strade ed autostrade la cui esecuzione comporti lavori di scavo del sottosuolo, la realizzazione di cavidotti per il passaggio di cavi di telecomunicazioni: l’accesso a tali strutture da parte degli interessati avviene a fronte del pagamento di un corrispettivo commisurato alle spese aggiuntive sostenute per la realizzazione dei cavidotti».
Ciò a conferma, che anche dopo l’entrata in vigore del CCE, è rimasto fermo il principio per il quale l’operatore è tenuto al pagamento di un corrispettivo.
12. Il secondo motivo è inammissibile.
Invero, nel giudizio di legittimità introdotto a seguito di ricorso per cassazione non possono trovare ingresso, e perciò non sono esaminabili, le questioni sulle quali, per qualunque ragione, il giudice inferiore non si sia pronunciato per averle ritenute assorbite in virtù dell’accoglimento di un’eccezione pregiudiziale, con la conseguenza che, in dipendenza della cassazione della sentenza impugnata per l’accoglimento del motivo attinente alla questione assorbente,
l’esame delle ulteriori questioni oggetto di censura va rimesso al giudice di rinvio, salva l’eventuale ricorribilità per cassazione avverso la successiva sentenza che abbia affrontato le suddette questioni precedentemente ritenute superate (Cass., sez. 1, 16 giugno 2022, n. 19442).
Ed infatti, la Corte di appello, in ordine al secondo motivo di appello incidentale di RAGIONE_SOCIALE, ha ritenuto che «all’accoglimento del primo motivo e, dunque, alla statuizione a questo conseguente che nulla è dovuto dalla RAGIONE_SOCIALE a far data dal 16 settembre 2003 per il titolo dedotto da RAGIONE_SOCIALE consegue l’assorbimento del secondo motivo di appello, essendo stato questo formulato in via gradata».
La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata, in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte d’appello di Roma,