Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 33491 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 33491 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/12/2024
ORDINANZA
nel ricorso n. 06283/2022 R.G.
promosso da
Il Sole 24 RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME (PEC: ), presso lo studio di quest’ultimo elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO in virtù di procura speciale in atti;
ricorrente
contro
Comune di Rocca di Papa , in persona del sindaco pro tempore , rappresentato e difeso da ll’avv. NOME COGNOME (PEC: ), presso lo studio di quest’ultimo elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO in virtù di procura speciale in atti;
contro
ricorrente
avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 5464/2021, pubblicata il 22/07/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/09/2024 dal Cons. NOME COGNOME letti gli atti del procedimento in epigrafe;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Sole 24 RAGIONE_SOCIALE con atto di citazione per accertamento negativo, conveniva in giudizio, dinanzi il Tribunale di Velletri, il Comune di Rocca di Papa, per ottenere la dichiarazione di inesistenza del credito in relazione all’avviso con protocollo 8340 con il quale il Comune di Rocca di Papa invitava la RAGIONE_SOCIALE, soggetto poi incorporato nella Il Sole 24 Ore RAGIONE_SOCIALE, al pagamento del canone di occupazione spazi ed aree pubbliche (COSAP), in relazione a beni siti in INDIRIZZO 1 e precisamente: ‘COSAP EROGAZIONE PUBBLICI SERVIZI -SUP. MQ. 1- TARIFFA MQ. 516,46 TOTALE DENUNCIA 516,46’ e ‘Tariffa Ordinaria – SUP. MQ. 9- TARIFFA MQ. 17,77 TOTALE DENUNCIA 159,89 per un totale di €. 677,35.
Si costituiva in giudizio il Comune di Rocca di Papa, contestando la domanda dell’attore e chiedendone il rigetto. A sostegno delle proprie difese deduceva che l’avviso di pagamento traeva origine da una relazione della Polizia Locale del Comune di Rocca di Papa, che aveva accertato l’esistenza sul suolo pubblico del box n. 17 e del traliccio n. 11, utilizzati dall’emittente radiofonica. Aggiungeva che, con certificazione del 13/05/2014, il geom. NOME COGNOME Responsabile dell’Ufficio Urbanistica del C omune di Rocca di Papa, aveva confermato che il box n. 17 insisteva su strada pubblica ed il traliccio n. 11 insisteva su area comunale e che erano entrambi riconducibili all’emittente radiofonica della società attrice.
Con sentenza n. 3022/2016 il Tribunale di Velletri rigettava la domanda, ritenendo documentalmente provato che il box n. 17 e il traliccio n. 11, di proprietà della società Il Sole 24 Ore fossero ubicati su area demaniale il primo e su area appartenente al patrimonio
indisponibile del Comune di Rocca di Papa il secondo, sussistendo, pertanto sia il presupposto soggettivo che quello oggettivo per la debenza del canone , essendo il canone dovuto anche per l’occupazione abusiva dell’area.
Il Sole 24 Ore s.p.a. proponeva appello contro tale sentenza e il Comune, costituendosi, ne chiedeva il rigetto.
La C orte d’appello disponeva C.T.U. per accertare la natura dei beni sui quali insistevano il box e il traliccio, all’esito della quale emergeva che il box chiosco n. 17 ricadeva all’interno della Antica INDIRIZZO priva di identificativo catastale, di proprietà pubblica, mentre il traliccio n. 11 ricadeva all’interno della particella 905 del foglio 11, acquistato dal Comune di Rocca di Papa con atto di compravendita del 30/09/2000.
La Corte territoriale rigettava, quindi, l’appello.
In particolare, il Giudice di appello riteneva sussistente il presupposto oggettivo per l’imposizione del canone C OSAP costituito dall’occupazione di suolo pubblico, sia esso appartenente al demanio, al patrimonio disponibile e/o indisponibile dell’ente pubblico.
Con il rigetto anche del secondo motivo d’appello, la Corte confermava la sussistenza del presupposto soggettivo in quanto, in assenza di concessione, il soggetto passivo del canone doveva ritenersi essere l’utilizzatore , ossia il soggetto che materialmente realizzava l’occupazione e d assumeva la veste di concessionario.
Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione Il Sole 24 Ore RAGIONE_SOCIALE.p.aRAGIONE_SOCIALE, affidato a cinque motivi di doglianza.
Il Comune si è difeso con controricorso.
La ricorrente ha depositato memoria difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione dell ‘ art. 63, comma 1, d.lgs. n. 446 del 1997, nonché la violazione e falsa
applicazione dell’artt. 822, 826 e 2700 c.c. e degli artt. 75, 132, n. 4, 115 e 116 c.p.c. , in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c..
Parte ricorrente ha dedotto che non vi era prova che il box e il traliccio posassero sul suolo appartenente al demanio comunale o al patrimonio indisponibile dell’ente , come richiesto dall’art. 63, comma 1, d.lgs. n. 446 del 1997, emergendo, anzi, dagli atti del Comune la prova che il traliccio insistesse su terreno appartenente al suo patrimonio disponibile, dovendosi anche considerare che gli atti provenienti dall’ente, in cui si attestava la proprietà pubblica delle aree, non facevano pubblica fede fino a querela di falso.
Con il secondo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 132 n. 4, c.p.c., per avere la Corte d’ appello erroneamente percepito le risultanze probatorie, la situazione fattuale e quella giuridica della fattispecie in giudizio, con illogicità della decisione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. , in particolare con riguardo alla proprietà pubblica delle aree e all’occupazione da parte della ricorrente.
Con il terzo motivo di ricorso è dedotta la violazione degli artt. 75, 132, n. 4, 115 e 116 c.p.c. , in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c., con riguardo all’accertamento operato dal C .T.U., ritenuto gravemente viziato, in ordine alla proprietà delle aree occupate dai manufatti.
Con il quarto motivo di ricorso è denunciat o l’ omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti in riferimento agli artt. 75, 115, 116 e 132, n. 4, c.p.c., in combinato disposto con gli artt. 2697 e 2700 c.c. e dell’art. 38, comma 5, d.lgs. n. 507 del 1993, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. , in ragione del passivo recepimento della C.T.U..
Con il quinto motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c., in combinato disposto con l’art. 132
c.p.c., stante la mancata applicazione de ll’ art. 63, comma 1, d.lgs. n. 446 del 1997 e degli artt. 822, 826 e 2700 c.c. , in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., per non avere la Corte d’ appello pronunciato sull’appello proposto sotto il profilo della carenza di prova.
Il primo motivo di ricorso è fondato sia pure nei termini di seguito evidenziati.
2.1. Com’è noto, ai sensi dell’art. 63, comma 1, d.lgs. n. 446 del 1997, ancora vigente ratione temporis , «I comuni e le province possono, con regolamento adottato a norma dell’articolo 52, escludere l’applicazione, nel proprio territorio, della tassa per occupazione di spazi ed aree pubbliche, di cui al capo II del decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507. I comuni e le province possono, con regolamento adottato a norma dell’articolo 52, prevedere che l’occupazione, sia permanente che temporanea, di strade, aree e relativi spazi soprastanti e sottostanti appartenenti al proprio demanio o patrimonio indisponibile, comprese le aree destinate a mercati anche attrezzati, sia assoggettata, in sostituzione della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, al pagamento di un canone da parte del titolare della concessione, determinato nel medesimo atto di concessione in base a tariffa. Il pagamento del canone può essere anche previsto per l’occupazione di aree private soggette a servitù di pubblico passaggio costituita nei modi di legge. Agli effetti del presente comma si comprendono nelle aree comunali i tratti di strada situati all’interno di centri abitati con popolazione superiore a diecimila abitanti, individuabili a norma dell’articolo 2, comma 7, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285.»
Non è controverso che il Comune di Rocca di Papa avesse esercitato l’opzione menzionata nella norma, atteso che il giudizio era stato introdotto davanti al Tribunale di Velletri proprio al fine di accertare la
non debenza, nella specie, del canone sopra indicato, oggetto della richiesta di pagamento da parte del Comune.
Per quanto di interesse, la norma espressamente stabilisce che si deve trattare di occupazione, sia permanente che temporanea, di strade, aree e relativi spazi soprastanti e sottostanti appartenenti al demanio comunale o al patrimonio indisponibile del Comune, oltre che, ove previsto, di occupazione di aree private soggette a servitù di pubblico passaggio costituita nei modi di legge.
2.2. Questa Corte, anche di recente, ha affermato che il canone per l ‘ occupazione di spazi ed aree pubbliche (COSAP), istituito dal d.lgs. n. 446 del 1997, come modificato dall ‘art. 41 l. n. 448 del 1998, costituisce il corrispettivo di una concessione, reale o presunta (nel caso di occupazione abusiva), dell’uso esclusivo o speciale di beni pubblici, cosicché esso è dovuto, non in base alla limitazione o sottrazione all’uso normale o collettivo di parte del suolo, ma in relazione all’utilizzazione particolare eccezionale che ne trae il singolo (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 18171 del 06/06/2022).
Il presupposto applicativo del COSAP è costituito, infatti, dall’uso particolare del bene che ha impressa una destinazione pubblica, ed è irrilevante la mancanza di una formale concessione, se vi è comunque un’occupazione di fatto del suolo pubblico (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 1435 del 19/01/2018; Cass., Sez. 5, Sentenza n. 18037 del 06/08/2009).
Tale principio è stato espresso anche dalle Sezioni Unite (Cass., Sez. U, Sentenza n. 61 del 07/01/2016), in tema di riparto di giurisdizione, le quali hanno ribadito che il COSAP costituisce il corrispettivo di una concessione, reale presunta (nel caso di occupazione abusiva), dell’uso esclusivo o speciale di beni destinati a soddisfare interessi pubblici.
In sintesi, in virtù dell’esatta interpretazione del richiamato art. 63 d.lgs. cit., il canone dovuto per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche trova il suo fondamento nell’utilizzazione che il singolo faccia, nel proprio interesse, di un suolo altrimenti destinato all’uso della generalità dei cittadini (v. in motivazione Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 28869 del 19/11/2021; v. anche Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 17296 del 27/06/2019, ove la S.C. ha confermato la decisione di merito, che aveva ritenuto obbligata al pagamento del canone -non la concessionaria del servizio pubblico televisivo, che diffondeva i suoi programmi grazie a una dorsale, i cui cavi, posati sotto il suolo pubblico, convogliavano il segnale verso l ‘ antenna trasmittente – ma la società a cui detta concessionaria aveva affidato la gestione dell’intero impianto, la quale, svolgendo detta attività, occupava di fatto il suolo pubblico).
2.3. Presupposto per la legittima richiesta del canone è, dunque, l’o ccupazione, in virtù di concessione o per mere vie di fatto, di beni appartenenti al demanio comunale o al patrimonio indisponibile del Comune, oltre che, ove previsto, per l’occupazione di aree private soggette a servitù di pubblico passaggio costituita nei modi di legge, fermo restando che si intendono strade comunali, e dunque appartenenti al demanio dell’ente locale, le strade urbane di scorrimento, le strade urbane di quartiere e le strade locali situati all’interno di centri abitati con popolazione superiore a diecimila abitanti.
Anche in base al tenore letterale del citato art.63, è da escludersi la debenza del canone di cui si discute nel caso di occupazione, anche solo di fatto, di aree appartenenti al patrimonio disponibile dell’ente locale, poiché dette aree non hanno impressa una specifica destinazione pubblicistica e sono del tutto equiparabili ai beni
appartenenti a privati, differenziandosi solo per la titolarità della proprietà in capo ad un soggetto pubblico.
2.4. La Corte d’appello non si è attenuta ai principi appena illustrati, poiché, a fronte delle contestazioni della società appellante, secondo cui le aree occupate dal box e dal traliccio non erano riconducibili al demanio o al patrimonio indisponibile del Comune, ha statuito come segue: «Il Consulente il cui elaborato appare documentato, accuratissimo ed esente da vizi logici – ha concluso nel senso che entrambi i manufatti ricadono su area di proprietà comunale. In particolare, il box-chiosco n. 17 sulla antica INDIRIZZO INDIRIZZO ed il ripetitore-traliccio n. 11 sulla particella 905 del foglio 11, divenuta di proprietà del Comune di Rocca di Papa in seguito all’atto di compravendita concluso con la precedente proprietaria Banca Nazionale dell’Agricoltura, mediante atto notarile del 30/9/2000. Né la antica INDIRIZZO, né la particella 905 del foglio n. 11 sono quindi di proprietà della società RAGIONE_SOCIALE, a nulla rilevando che quest’ultima abbia arbitrariamente recintato l’area in questione, assumendosene proprietaria e concludendo con la società appellante un contratto di locazione. Ha infatti concluso il CTU: “Dalla documentazione in atti e dall’atto di compravendita emerge che la Società RAGIONE_SOCIALE non è la proprietaria della porzione di terreno sulla quale insistono i manufatti in questione. La circostanza che ne detenga il possesso e che non abbia permesso l’ accesso non è rilevante per rispondere al quesito proposto”. Sussiste dunque il presupposto oggettivo per l’ imposizione del canone, costituito dall’occupazione di suolo pubblico, sia esso appartenente al demanio ovvero al patrimonio indisponibile e/o disponibile dell’ente pubblico.»
Orbene, alla stregua dei suesposti principi, la mera affermazione della proprietà pubblica dell’area su cui insistono i manufatti utilizzati dalla ricorrente non è sufficiente, di per sé sola, a far ritenere che si
tratti di beni appartenenti al demanio comunale o al patrimonio indisponibile dell’ente, o che comunque si tratti di aree per le quali l’art. 63, comma 1, d.l.gs. n. 446 del 1997 e il Regolamento comunale prevedono il pagamento del canone in questione. Non risulta, infatti, accertato nella sentenza impugnata che l’area individuata come antica strada consolare fosse non solo un’area di proprietà del Comune, ma anche effettivamente destinata al pubblico transito, solo così entrando a far parte del demanio comunale (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 20405 del 28/09/2010; Cass., Sez. 1, Sez. 1, Sentenza n. 12540 del 26/08/2002). Neppure risulta accertato che il mappale acquistato dal Comune nel 2000 recasse impresso un vincolo pubblicistico che consentisse di considerarlo appartenente quanto meno al patrimonio indisponibile dello stesso Comune.
L’accoglimento del primo motivo di ricorso, nei termini precisati, rende superfluo l’esame de gli altri, che devono ritenersi assorbiti. La sentenza impugnata deve essere, pertanto, cassata nei limiti del motivo accolto e la causa va rinviata alla Corte d’appello di Roma, in