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Canone locazione tabaccheria: la Cassazione chiarisce

La Cassazione ha stabilito che il canone locazione tabaccheria situata in una stazione ferroviaria può essere liberamente determinato tra le parti. La Corte ha chiarito che il limite del 15% del reddito, previsto da una legge speciale, si applica solo al corrispettivo per la vendita di generi di monopolio e non all’intero affitto del locale commerciale, soprattutto se si vendono anche altri prodotti. Rigettata anche la richiesta di rimborso per le spese di ristrutturazione a carico del conduttore.

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Canone Locazione Tabaccheria: la Cassazione distingue tra affitto e aggio per la concessione

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta un’importante questione relativa al canone locazione tabaccheria, specialmente per quelle situate all’interno di grandi stazioni ferroviarie. La decisione chiarisce la distinzione fondamentale tra il canone di affitto per i locali commerciali e il corrispettivo dovuto per la concessione della vendita di generi di monopolio, stabilendo che il limite legale previsto per quest’ultimo non si estende automaticamente al primo. Questa pronuncia offre spunti cruciali per gli operatori del settore e per la redazione dei contratti di locazione commerciale.

I fatti di causa: la disputa sul canone

La vicenda nasce dalla controversia tra un’esercente, conduttrice di un locale ad uso commerciale in una stazione ferroviaria, e la società di gestione immobiliare proprietaria dei locali. Il contratto di locazione prevedeva, oltre alla vendita di tabacchi, anche quella di altri articoli.

La conduttrice sosteneva che il canone di locazione dovesse essere limitato al 15% del reddito annuo derivante dalla vendita dei tabacchi, in applicazione di una norma speciale (art. 11, comma 2, L. 25/1986). A fronte del mancato pagamento dei canoni richiesti dalla società locatrice, quest’ultima avviava una procedura di sfratto per morosità. I due procedimenti venivano riuniti e il Tribunale di primo grado dava ragione alla società locatrice, dichiarando la risoluzione del contratto per inadempimento della conduttrice e condannandola al pagamento dei canoni arretrati.

La decisione veniva confermata in secondo grado dalla Corte d’Appello, spingendo l’esercente a ricorrere in Cassazione.

Il calcolo del canone locazione tabaccheria secondo la normativa

Il fulcro del ricorso verteva sulla presunta violazione e/o falsa applicazione della normativa speciale che, secondo la ricorrente, imporrebbe un tetto massimo al canone di locazione per le rivendite speciali di tabacchi. La tesi era che tale norma, essendo imperativa, non potesse essere derogata dalla libera contrattazione delle parti.

La Corte di Cassazione, tuttavia, ha ritenuto il motivo infondato, operando una distinzione netta e fondamentale.

La distinzione tra canone di locazione e corrispettivo per la concessione

I giudici hanno chiarito che occorre distinguere due rapporti giuridici differenti:
1. Il rapporto con lo Stato (o l’ente concessionario): riguarda la concessione per la vendita di generi di monopolio. Per questa attività, la legge prevede un corrispettivo, definito come ‘aggio’, calcolato in percentuale sui ricavi. È a questo specifico corrispettivo che si applica il limite massimo del 15% previsto dalla Legge 25/1986. Questo importo remunera l’autorizzazione a vendere prodotti monopolistici.
2. Il rapporto di locazione commerciale: riguarda il godimento del locale fisico in cui l’attività viene esercitata. Il canone per questo rapporto è liberamente determinato dalla volontà delle parti, secondo i principi generali dei contratti di locazione ad uso diverso dall’abitativo (L. 392/1978).

La Corte ha specificato che estendere il limite del 15% all’intero canone di affitto, soprattutto quando nel locale si vendono anche prodotti non monopolistici (‘extra privativa’), creerebbe una distorsione della concorrenza a danno di altri esercizi commerciali che non beneficiano di tale agevolazione.

La questione delle spese di ristrutturazione

Un secondo motivo di ricorso riguardava la richiesta di risarcimento per le spese sostenute dalla conduttrice per rendere l’immobile idoneo all’uso. La ricorrente lamentava che il locale era stato consegnato non ultimato, rendendo necessarie opere a suo carico, in violazione dell’art. 1575 c.c. che pone le spese di manutenzione straordinaria a carico del locatore.

Anche questo motivo è stato rigettato. La Corte ha osservato che le parti avevano espressamente derogato a tale disposizione nel contratto, pattuendo che tutti i lavori di completamento e adeguamento fossero a carico della conduttrice. Questa clausola era bilanciata da un’altra previsione contrattuale: la decorrenza economica del rapporto, e quindi l’obbligo di pagare il canone, era stata posticipata alla data di effettiva apertura al pubblico dell’attività. Questo differimento, secondo la Corte, escludeva uno squilibrio contrattuale e rendeva legittima la pattuizione.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Cassazione ha enunciato un principio di diritto chiaro: nella locazione di locali situati in grandi stazioni ferroviarie, destinati sia alla vendita di generi di monopolio sia ad altre attività commerciali, l’ammontare del canone locativo è liberamente determinabile dalle parti. La percentuale prevista dalla legge speciale (art. 11, L. 25/1986) rappresenta solo la quota del canone complessivo dovuta per l’esercizio della rivendita di tabacchi, ma non limita l’importo totale che il locatore può richiedere per l’affitto dei locali. La Corte ha sottolineato che il legislatore del 1986, parlando di reddito derivante dalla vendita dei tabacchi, ha inteso riferirsi solo a quella specifica attività e non all’intero reddito della rivendita. Pertanto, le parti possono legittimamente concordare una quota ulteriore di canone per la vendita di altri prodotti. Per quanto riguarda le spese di manutenzione, la Corte ha ribadito la validità della deroga contrattuale all’art. 1575 c.c., specialmente se bilanciata da altre condizioni favorevoli per il conduttore, come il posticipo della decorrenza del canone.

Le conclusioni: implicazioni per i contratti di locazione

La decisione della Cassazione ha importanti implicazioni pratiche. In primo luogo, consolida il principio della libertà contrattuale nelle locazioni commerciali, anche in settori parzialmente regolamentati come quello delle rivendite di tabacchi. Gli operatori devono essere consapevoli che il canone locazione tabaccheria per i locali non è soggetto a tetti massimi legali, ma è il risultato della negoziazione tra le parti. In secondo luogo, evidenzia l’importanza di una redazione contrattuale chiara e dettagliata, specialmente per quanto riguarda la ripartizione delle spese di manutenzione e adeguamento dell’immobile. Le clausole in deroga alla legge sono ammissibili, a patto che non creino un eccessivo squilibrio tra le posizioni dei contraenti e siano frutto di una specifica trattativa, come dimostrato nel caso di specie dal differimento del pagamento del canone.

Il canone di locazione per una tabaccheria in stazione è sempre limitato al 15% del reddito annuo?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che il limite del 15% previsto dalla Legge n. 25/1986 si riferisce esclusivamente al corrispettivo per la concessione della vendita di generi di monopolio (l’aggio), e non all’intero canone di affitto del locale commerciale, che può essere liberamente pattuito tra le parti, specialmente se l’attività include la vendita di altri prodotti.

Chi paga le spese di manutenzione straordinaria in un immobile commerciale locato?
In linea di principio, le spese di manutenzione straordinaria sono a carico del locatore (art. 1575 c.c.). Tuttavia, le parti possono accordarsi diversamente nel contratto (deroga). In questo caso, la clausola che poneva le spese a carico della conduttrice è stata ritenuta valida perché bilanciata dal fatto che il pagamento del canone iniziava solo dall’effettiva apertura dell’attività, compensando così l’onere economico iniziale.

È possibile vendere prodotti diversi dai tabacchi in una rivendita speciale e come influisce sul canone?
Sì, è possibile vendere altri prodotti (articoli ‘extra privativa’). Secondo la sentenza, questo rafforza la tesi della libera determinazione del canone. Poiché il limite legale si applica solo ai ricavi dei generi di monopolio, le parti possono legittimamente concordare una quota di canone aggiuntiva per la vendita degli altri beni, portando l’importo totale a un valore di mercato liberamente negoziato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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