Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 20014 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 20014 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5128/2023 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE. – RAGIONE_SOCIALE NAPOLI AZIENDA SPECIALE, già RAGIONE_SOCIALE, in persona del direttore e legale rappresentante p.t., NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, domicilio digitale ex lege ;
-ricorrente-
contro
NOME COGNOME DI NARDO NOMECOGNOME COGNOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME CONDOMINIO TRAIANO N. 389 ISOLATO 37, CONDOMINIO TRAIANO N. 329 333 ISOLATO 39, COGNOME NOMECOGNOME DI NOME COGNOME NOME COGNOME COGNOME
VINCENZA, tutti rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOMECODICE_FISCALE, domicilio digitale ex lege ; -controricorrenti-
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE, i n persona del liquidatore, NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, domicilio digitale ex lege ;
-controricorrente-
e contro
REGIONE CAMPANIA, in persona del rappresentante legale p.t., COGNOME COGNOME elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende;
-controricorrente-
e nei confronti di
COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, CONDOMINIO COGNOME RAGIONE_SOCIALE DI INDIRIZZO, COGNOME EMILIA, COGNOME NOME, COGNOME, CONDOMINIO VELA DI INDIRIZZO, COGNOME COGNOME, COGNOME NOME, CONDOMINIO COGNOME RAGIONE_SOCIALE DI INDIRIZZO; COMUNE DI NAPOLI;
-intimati-
avverso la SENTENZA del TRIBUNALE di NAPOLI n. 7124/2022, depositata il 15/07/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/07/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
A seguito della pronuncia della Corte Costituzionale n. 335/2008 che aveva dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 14, co. 1, l. n. 36/1994 nonché dell’art. 155, co. 1, primo periodo, d.lgs. n. 152/2006 nelle parti in cui prevedevano che la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione delle acque fosse dovuta dagli utenti anche nel caso in cui la fognatura fosse sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi fossero temporaneamente inattivi e che aveva stabilito che i canoni dovessero essere pagati dagli utenti del servizio idrico solo come corrispettivo dell’effettiva esistenza del servizio di depurazione, NOME COGNOME e, successivamente, NOME COGNOME, il Condominio Palazzo COGNOME di INDIRIZZO, il Condominio Palazzo COGNOME di INDIRIZZO, il Condominio RAGIONE_SOCIALE di INDIRIZZO, il Condominio di INDIRIZZO, il Condominio di INDIRIZZO, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME tutti utenti della fornitura idrica, con allaccio al depuratore di Cuma, risultato del tutto inefficiente e non assolvente alla sua funzione di depurazione delle acque reflue, citavano, dinanzi al Giudice di Pace di Napoli, RAGIONE_SOCIALE, cui è subentrata RAGIONE_SOCIALE e il Comune di Napoli, al fine di ottenerne la condanna alla restituzione delle somme pagate a titolo di depurazione delle acque.
La causa veniva decisa con sentenza n. 19575/2017 dal Giudice di Pace di Napoli che, in accoglimento della domanda proposta dagli
utenti, statuiva che RAGIONE_SOCIALE era il soggetto legittimato a rispondere, perché percettore dei pagamenti, mentre il Comune non era legittimato passivo nella vicenda in esame, rigettava la domanda di ‘manleva’ e/o di ‘regresso’ proposta RAGIONE_SOCIALE nei confronti della Regione Campania, perché non risultava provato che RAGIONE_SOCIALE le avesse effettivamente riversato le somme incassate a titolo di canoni di depurazione.
Con la sentenza n. 7124/2022, depositata il 15/07/2022 , il Tribunale di Napoli ha rigettato il gravame promosso da RAGIONE_SOCIALE confermando la sentenza del giudice di prime cure.
Segnatamente, il tribunale ha confermato l’affermazione della sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario (Cass., Sez. Un., n. 7937/2017); ha ricondotto la pretesa degli utenti nell’alveo dell’inadempimento del contratto di utenza, con tutte le conseguenze processuali in tema di distribuzione dell’onere probatorio (ribadendo che gli utenti erano tenuti a fornire la prova della fonte del loro diritto e del termine di scadenza e ad allegare l’inadempimento, mentre alla convenuta spettava dimostrare il fatto estintivo della loro pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento (Cass. n. 11270/2020); ha, dunque ritenuto accertata la titolarità attiva del rapporto in capo agli utenti, alcuni dei quali avevano prodotto le bollette/fatture periodiche loro intestate ed altri avevano dimostrato di essere succeduti ai titolari originari del contratto di utenza e di aver provveduto ai relativi pagamenti, altri avevano depositato la lettera di riscontro dell’RAGIONE_SOCIALE che riconosceva di avere incassato il canone di depurazione, altri avevano prodotto in giudizio bollettini/fatture che contenevano la dicitura «I vostri pagamenti precedenti sono regolari»; ha considerato provato l’avvenuto pagamento delle somme oggetto della richiesta restitutoria anche perché RAGIONE_SOCIALE non aveva mai specificamente contestato il versamento del canone di depurazione, limitandosi ad affermare che gli istanti non avevano
fornito la prova dei pagamenti eseguiti e omettendo di assumere una posizione precisa in ordine all’effettiva corresponsione delle somme richieste in restituzione (in particolare, ha precisato che RAGIONE_SOCIALE si era limitata a denunziare che gli appellati avessero depositato solo la prima pagina delle fatture e non le successive, dove era riportato il canone di depurazione, che il giudice di pace avesse rinvenuto documentazione che la difesa non aveva avuto modo di verificare, che gli importi riconosciuti dalle missive inviate da RAGIONE_SOCIALE non corrispondevano a quelli della richiesta restitutoria); ha confermato la legittimazione passiva di RAGIONE_SOCIALE in quanto accipens delle somme di cui veniva chiesta la restituzione, a nulla rilevando che il Comune di Napoli e/o la Regione Campania e/o la RAGIONE_SOCIALE fossero i beneficiari finali del canone; ha confermato il difetto di prova da parte di RAGIONE_SOCIALE di avere provato l’affidamento delle opere di progettazione, completamento o ristrutturazione del depuratore di Cuma, ai fini della detrazione dal quantum del credito restitutorio degli oneri di cui all’art. 8 sexies , comma 1 del d.l. n. 208/2008 convertito in l. n. 13/2009; ha confermato l’applicazione del termine ordinario di prescrizione; ha disatteso la domanda di manleva spiegata nei confronti del Comune di Napoli, della Regione Campania e della RAGIONE_SOCIALE: quella nei confronti del Comune, perché l’ente comunale non era proprietario dell’impianto e non era destinatario per il depuratore di Cuma di alcuna somma percepita a titolo di canone di depurazione; quella nei confronti della Regione Campania, perché non era stato dimostrato che avesse ricevuto da RAGIONE_SOCIALE gli importi riscossi a titolo di depurazione delle acque; quella nei confronti di RAGIONE_SOCIALE perché era stata proposta solo in grado di appello e perché comunque il soggetto tenuto alla restituzione era solo l’ accipiens e non quello asseritamente responsabile dell’inadempimento.
RAGIONE_SOCIALE ricorre per la cassazione di detta sentenza, formulando tre motivi.
La Regione Campania, RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, Condominio Traiano N. 389 Isolato 37, Condominio Traiano N. 329 333 Isolato 39, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME resistono con separati controricorsi.
NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, Condominio Palazzo COGNOME Di INDIRIZZO NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, Condominio RAGIONE_SOCIALE Di INDIRIZZO, NOME COGNOME, NOME COGNOME, Condominio Palazzo COGNOME Di INDIRIZZO, il Comune di Napoli non svolgono attività difensiva in questa sede.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bi cod.proc.civ.
Le parti hanno depositato rispettiva memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1) Con il primo motivo la ricorrente denunzia <> dell’art. 2697 cod.civ. e degli artt. 115 e 116, 167 cod.proc.civ. nonché dell’art. 1988 cod.civ., in riferimento all’art. 360 n. 4 cod.proc.civ. (motivazione apparente e carente del ‘minimo costituzionale’).
Attinta da censura è la statuizione con cui il tribunale ha ritenuto provata da parte degli attori la corresponsione delle somme a titolo di canone di depurazione oggetto della pretesa restitutoria.
La ricorrente deduce che il tribunale è incorso in un errore di percezione sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova, ha invertito l’onere della prova, ha errato nell’applicazione del principio della non contestazione sui fatti costitutivi della domanda, ha reso una motivazione apparente, illogica, irrimediabilmente contraddittoria ed inadeguata.
Il motivo è infondato.
Il tribunale, dopo aver premesso, secondo quanto indicato da Cass. 11270/2020, che la pretesa azionata dagli utenti del servizio idrico a seguito di Corte Cost. 335/2008, per la restituzione di quanto corrisposto a titolo di canone di depurazione, è da ricondurre nell’alveo dell’inadempimento di una prestazione trovante origine nel contratto di utenza (pp. 7-9), ha richiamato il riparto dell’onere probatorio in tema di inadempimento delle obbligazioni (Cass., Sez. un., n. 13533/2001) (p. 10), ne ha fatto applicazione nella vicenda per cui causa (p. 11) e ha spiegato le ragioni per cui ha ritenuto, contrariamente a quanto denunziato dall’appellante, che gli attori avessero dimostrato il titolo su cui si basava la loro pretesa restitutoria (pp. 14-16): alcuni avevano depositato i bollettini di pagamento o le fatture, dalle quali risultava riscosso anche il canone di depurazione, altri la lettera di riscontro da parte di RAGIONE_SOCIALE, dante causa della odierna ricorrente, dell’avvenuta riscossione del canone di depurazione; ha aggiunto che non solo nel giudizio di primo grado ma neppure in appello RAGIONE_SOCIALE aveva specificamente contestato -se non genericamente, ai sensi dell’art. 167 cod.proc.civ. l’avvenuto pagamento del canone di depurazione, con conseguente « inidoneità a far sorgere in capo al proprio contraddittore l’onere di dimostrare l’esistenza di detti fatti e rapporti » (p. 16).
Il che dimostra, in primo luogo, l’insussistenza di alcuna carenza sotto il profilo motivazionale, come denunciato dalla ricorrente che si duole, con argomentazioni che occupano una parte consistente dell’illustrazione del motivo, della ricorrenza di «una motivazione in via di mera ipotesi» e della non esplicitazione della « ‘ragione’, concreta ed effettiva, che, in fatto e diritto, deve sorreggere la decisione (art. 132 cod.proc.civ.)», avendo il giudice a quo «ripetuto pedissequamente la totale assenza di motivazione della sentenza di primo grado rispetto a quanto eccepito (…) sul mancato
deposito in atti delle ricevute di pagamento delle fatture e quindi del versamento delle somme richieste in restituzione».
A tal proposito va ribadito essere apparente, in quanto carente del giudizio di fatto, la motivazione basata su affermazione generale e astratta (Cass. 15/02/2024, n. 4166), che, benché graficamente esistente, non renda invero percepibile e comprensibile il fondamento della decisione, recando argomentazioni obiettivamente inidonee a delineare l’ iter logico-giuridico seguito dal giudice per addivenire all’adottata decisione , non potendo lasciarsi all’interprete il compito di integrarla con le più varie congetture (Cass 28/1/2025, n. 1986).
Ipotesi non ricorrente invero nella specie, atteso che la motivazione della sentenza rispetta il «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost.; la motivazione è senz’altro sussistente ed espressa in termini tali da rendere senz’altro comprensibile l’ iter logico-giuridico seguito dal giudice del gravame, non risultando inficiata da affermazioni inconciliabili e irriducibilmente contrastanti (Cass., Sez. Un., 7/04/2014, n. 8053 e 8054).
Né giova alla ricorrente il tentativo di addurre un vizio di percezione del contenuto dei documenti prodotti dagli utenti che, in thesi , dovrebbe sfociare in un travisamento degli stessi, perché non può essere sottaciuto che la censura della ricorrente non supera gli stretti limiti entro cui può essere invocato detto vizio, dopo il ridimensionamento significativo che emerge da Cass., Sez. Un., 4/03/2024, n. 5792, la quale, dopo aver delineato storicamente la distinzione travisamento del fatto -travisamento della prova e del fatto, ha ribadito che se il travisamento è «frutto di errore di percezione, soccorre la revocazione», se il travisamento della prova attiene all’individuazione delle informazioni probatorie desunte per inferenza logica è un «affare del giudice di merito» per questo sottratto al giudizio di legittimità, non essendovi il rischio che si
verifichi, «un’inemendabile forma di patente illegittimità della decisione», giacché, una volta che il giudice di merito abbia fondato la propria decisione su un dato probatorio preso in considerazione nella sua oggettività, pena la rettifica dell’errore a mezzo della revocazione, ed abbia adottato la propria decisione sulla base di informazioni probatorie desunte dal dato probatorio, il tutto sostenuto da una motivazione rispettosa dell’esigenza costituzionale di motivazione, si è dinanzi ad una statuizione fondata su basi razionali idonee a renderla accettabile. Diversamente opinando, se si ammettesse la ricorribilità per cassazione in caso di travisamento della prova, il giudizio di legittimità si trasformerebbe «verso un terzo grado» nel quale questa Corte avrebbe «il potere di rifare daccapo il giudizio di merito».
In ordine invece alla dedotta violazione del combinato disposto degli artt. 115 e 167 cod.proc.civ., ipotizzata per non avere il tribunale considerato che non poteva esserle imposto un onere di specifica contestazione, perché gli appellati non avevano ottemperato all’onere processuale a loro carico di compiere una puntuale allegazione dei fatti di causa, diversamente opinando le sarebbe stato ribaltato l’onere di allegare il fatto costitutivo dell’avversa pretesa (Cass. 17/02/2016 n. 3023; v. pure Cass. 29/09/2020 n. 20525), deve osservarsi che tutto il ragionamento si fonda su una premessa che non trova riscontro nei fatti di causa.
Il tribunale infatti ha ritenuto soddisfatto l’onere di provare il fatto costitutivo gravante sugli utenti del servizio idrico e ne ha indicato le ragioni, per contro, la ricorrente non ha negato di avere formulato contestazioni solo generiche e di stile, come le è stato imputato dal giudice a quo .
2) Con il secondo motivo la ricorrente prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod.civ. e del principio di distribuzione dell’onere della prova in relazione all’art. 360, 1°
comma, n. 3 cod.proc.civ. in ordine all’operata inversione dell’onere della prova con riferimento agli oneri relativi all’attività di progettazione, realizzazione o completamento degli impianti di depurazione ai sensi dell’art. 8 sexies del d.l. n. 208/2008 convertito in l. n. 13/2009.
La ricorrente si duole che il tribunale abbia affermato che era suo onere fornire la prova delle opere di progettazione, completamento o ristrutturazione dell’impianto di depurazione.
Tenuto conto che aveva svolto una domanda c.d. traversale di manleva e/o di regresso verso la Regione Campania, e con la chiamata in causa di RAGIONE_SOCIALE aveva rappresentato di voler riversare su di esse le conseguenze della mancata attività di depurazione, erroneamente il tribunale l’avrebbe considerata tenuta a dare la prova degli oneri di progettazione, realizzazione e completamento dell’impianto, violando l’art. 2697 cod. civ.
Il motivo è inammissibile.
Il tribunale sul punto ha sostenuto «Ai fini della detrazione del ‘quantum’ del credito restitutorio spettante agli utenti in relazione al pagamento della quota, del complessivo corrispettivo del servizio idrico, dovuta a titolo di canone di depurazione acque, gli neri derivanti dalle attività di progettazione, di realizzazione o di completamento dell’impianto di depurazione (…) debbono essere provati dal soggetto convenuto in giudizio per la restituzione, ex art. 2967 cod.civ., comma 2°, cod. civ., trattandosi di fatto impeditivo della pretesa restitutoria».
Detta statuizione deve essere intesa «nel significato che ragionevolmente può essere attribuito all’espressione usata, ossia non che RAGIONE_SOCIALE fosse tenuta a provvedere agli oneri di progettazione, realizzazione o completamento dell’impianto, ma alla prova del relativo ammontare onde provvedere allo scomputo da quanto oggetto di restituzione per effetto del non regolare
funzionamento dell’impianto, per essere a ciò tenuta in base al contratto di utenza idrica» (cfr. Cass. 5/06/2025, n. 15059 ).
E ciò trova giustificazione nel fatto che la titolarità -dal lato passivo -del rapporto controverso originato dalla pretesa restitutoria degli utenti in capo al gestore del servizio trova il suo fondamento nella posizione di parte negoziale del contratto di utenza, in quanto la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione, componente della complessiva tariffa del servizio idrico integrato, ne ripete necessariamente la natura di corrispettivo contrattuale, il cui ammontare è inserito automaticamente nel contratto; pertanto, ove il servizio di depurazione non sia stato fornito, ma quella quota di tariffa sia stata comunque versata, è nei confronti della controparte del contratto di utenza che la pretesa restitutoria va azionata, in quanto è alla «effettiva fruizione del servizio di depurazione che, per la rilevata natura sinallagmatica del rapporto, risulta condizionato l’accoglimento della pretesa di pagamento» (cfr. Cass. 4/6/2013 n. 14042; Cass. 12/6/2020 nn. 11270, 11294, 11295, 11582 e 11586); sul punto, occorre muovere infatti dalla constatazione che -mentre fino al 3 ottobre 2000 -«il canone o diritto di cui alla legge 10 maggio 1976, n. 319 doveva essere considerato un tributo» successivamente, per effetto dell’art. 24 del d.lgs. 18/08/2000, n. 258, «si è passati all’applicazione della tariffa del servizio idrico integrato di cui alla legge 5 gennaio 1994 n. 36, art. 13 e ss.», la quale quanto al servizio di depurazione, «è divenuta, appunto, una componente della complessiva tariffa del servizio idrico integrato, configurato come corrispettivo di una prestazione commerciale complessa che, per quanto determinata nel suo ammontare in base alla legge, trova fonte non in un atto autoritativo direttamente incidente sul patrimonio dell’utente, bensì nel contratto di utenza».
Non rileva la circostanza che il servizio idrico somministrato non presenti carattere “integrato”, sicché ciascuna delle quote del corrispettivo per esso complessivamente dovuto (ovvero, per il consumo di acqua potabile, per il servizio di fognatura e per quello di depurazione) risultano da essa, successivamente, ripartiti tra i diversi soggetti interessati.
Ai fini, infatti, del riconoscimento della legittimazione passiva rispetto alla domanda restitutoria fatta valere dai singoli utenti del servizio idrico ciò che rileva è che RAGIONE_SOCIALE , in quanto parte del rapporto contrattuale intrattenuto con essi, si sia posta come “accipiens”; in altri termini, la titolarità di RAGIONE_SOCIALE -dal lato passivo -del rapporto controverso originato dalla pretesa restitutoria degli utenti, trova il suo fondamento nella posizione di parte negoziale del contratto di utenza, ciò che del resto, fino al riconoscimento della non debenza della quota della tariffa relativa alla depurazione acque (per effetto dell’intervento caducatorio del Giudice delle leggi), aveva legittimato RAGIONE_SOCIALE a pretendere la riscossione dell’intero corrispettivo del servizio idrico (Cass. 15/06/2020, n . 11586, n . 11585).
Di conseguenza, le argomentazioni difensive della ricorrente relative al rapporto processuale con la Regione Campania e, mediatamente, con RAGIONE_SOCIALE, risultano del tutto eccentriche rispetto alla decisione impugnata basata, invece, sul rapporto esistente tra RAGIONE_SOCIALE e gli utenti del servizio di utenza idrica.
3) Con il terzo motivo parte ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 32, 106 e 112 cod.proc.civ. e degli artt. 1292, 1298, 2043 e 2055 cod.civ., in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ., per avere il tribunale rigettato la domanda di manleva proposta nei confronti della Regione Campania sul presupposto della mancata prova del versamento
delle somme incassate dagli utenti del servizio idrico, oggetto della domanda di restituzione.
La ricorrente deduce che la domanda svolta nei confronti della Regione Campania non era di tipo restitutorio, ma diretta «alla “manleva” da parte della seconda, quale esercente il servizio di depurazione e proprietaria dell’impianto, a tenerla indenne di qualsiasi somma fosse costretta a pagare in ragione delle domande proposte dall’attore e dagli interventori».
Il motivo è fondato e va accolto nei termini di seguito indicati.
Come questa Corte ha già avuto occasione di affermare, in presenza di una temporanea inattività del servizio di depurazione delle acque la condotta del proprietario dell’impianto nonché gestore del servizio di depurazione integra un concorso nell’inadempimento ascrivibile, nei confronti degli utenti, al soggetto che abbia concluso con gli stessi il contratto di utenza, sicché il medesimo, convenuto in giudizio da costoro per la restituzione della quota del corrispettivo del servizio dovuta a titolo di depurazione acque, ha diritto ad agire in via di regresso nei confronti del predetto proprietario dell’impianto e gestore del servizio (Cass. 15/06/2020, n. 11582, n. 11295, n. 11294; Cass. 12/06/2020, n. 11270; Cass. 13/02/2020, n. 03692, Cass. 15/06/2020, n. 11586, 11585, 11584, Cass. 11/02/2020, n. 3314; Cass. 18/04/2018, n. 9500; Cass. 04/06/2013, n. 14042).
Orbene, nella specie l’odierna ricorrente, oltre ad eccepire il proprio difetto di legittimazione passiva adducendo di essere stata mero adiectus solutionis causa relativamente al canone di depurazione, ha instato per la qualificazione della domanda degli utenti del servizio idrico come di inadempimento contrattuale, chiedendo conseguentemente disporsi l’integrazione del contraddittorio nei confronti della Regione Campania, quale responsabile ( rectius: corresponsabile con il Comune di Napoli e con la RAGIONE_SOCIALE di tale inadempimento, a fronte
della sua totale estraneità in ordine a ll’attività di depurazione e al raggiungimento degli standard qualitativi da raggiungere, incombenti su altri soggetti.
Un tanto invero emerge inequivocabilmente (anche) dall ‘ impugnata sentenza (v. p. 3, ove si dà atto che RAGIONE_SOCIALE si era doluta del fatto che il giudice di pace non l’avesse ritenuta estranea alla responsabilità per la disfunzione dell’impianto e che non avesse ritenuto la Regione Campania e la RAGIONE_SOCIALE corresponsabili in solido dei fatti di causa).
Alla fondatezza nei suindicati termini del terzo motivo di ricorso, infondato il primo e inammissibile il secondo, consegue quindi l’accoglimento del ricorso e la cassazione in relazione dell’impugnata sentenza , con rinvio al Tribunale di Napoli, che in diversa composizione procederà a nuovo esame, facendo dei suindicati disattesi principi applicazione, e provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso nei termini di cui in motivazione; rigetta il primo motivo; dichiara inammissibile il secondo . Cassa in relazione l’impugnata sentenza e rinvia , anche per le spese del giudizio di cassazione, al Tribunale di Napoli, in diversa composizione.
Così deciso nella Camera di Consiglio del 4 luglio 2025 dalla Terza