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Canone di depurazione: quando spetta il rimborso?

Un utente ha richiesto il rimborso del canone di depurazione per un servizio non fornito. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 3468/2024, ha dichiarato il ricorso inammissibile. Sebbene la Corte ribadisca che l’onere di provare il funzionamento dell’impianto spetta al gestore, ha ritenuto che la decisione del giudice di merito, basata sulla documentazione attestante la progettazione dell’impianto, non fosse censurabile in sede di legittimità per i motivi addotti dal ricorrente.

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Pubblicato il 30 ottobre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Canone di depurazione: spetta il rimborso se il servizio manca?

Il pagamento del canone di depurazione è legittimo solo se il servizio viene effettivamente fornito. Ma cosa succede se l’impianto di depurazione non è ancora in funzione, ma sono in corso le attività di progettazione? La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 3468 del 7 febbraio 2024, ha affrontato un caso emblematico, dichiarando inammissibile il ricorso di un utente che chiedeva la restituzione totale delle somme versate. Analizziamo la vicenda e i principi di diritto ribaditi dalla Corte.

I Fatti di Causa

Un cittadino conveniva in giudizio la società di gestione del servizio idrico per ottenere la restituzione di circa 1.400 euro, versati a titolo di canone di depurazione, pur non usufruendo del relativo servizio. La richiesta si fondava sulla normativa di settore e su una precedente sentenza della Corte Costituzionale (n. 335/2008), che lega il pagamento del canone all’effettiva prestazione del servizio.

In primo grado, il Giudice di Pace accoglieva parzialmente la domanda, riconoscendo un rimborso inferiore a quello richiesto, ritenendo congrua la somma già offerta dall’azienda. L’utente proponeva appello, lamentando un difetto di motivazione e sostenendo che il rigetto parziale si basava su un generico richiamo a documenti prodotti dall’azienda, che avrebbero dovuto provare attività di progettazione di un impianto mai realizzato.

Il Tribunale, in funzione di giudice d’appello, rigettava il gravame, confermando la decisione di primo grado. Secondo il Tribunale, dal progetto esecutivo prodotto in giudizio emergeva che le opere in corso nella zona dell’utente riguardavano non solo la rete fognaria, ma anche la depurazione delle acque. Contro questa sentenza, l’utente proponeva ricorso per Cassazione.

Il Principio dell’Onere della Prova nel Canone di Depurazione

Prima di esaminare i motivi del ricorso, la Corte di Cassazione ha colto l’occasione per ribadire un principio fondamentale: nel giudizio finalizzato alla restituzione delle somme pagate a titolo di canone di depurazione, l’onere della prova grava sul gestore del servizio. È quest’ultimo, infatti, a dover dimostrare l’esistenza e il funzionamento dell’impianto di depurazione o, in alternativa, l’esistenza di attività di progettazione, realizzazione o completamento che giustifichino il prelievo. Questo perché tali fatti costituiscono elementi “impeditivi” della pretesa restitutoria dell’utente.

La Decisione della Corte di Cassazione

Nonostante la premessa sull’onere della prova, la Suprema Corte ha dichiarato il ricorso dell’utente inammissibile, esaminando e respingendo tutti e tre i motivi di impugnazione.

Le Motivazioni

La Corte ha basato la sua decisione di inammissibilità su ragioni squisitamente processuali.

1. Primo Motivo – Violazione dell’art. 115 c.p.c.: Il ricorrente lamentava che il giudice d’appello avesse erroneamente ritenuto provata la progettazione dell’impianto di depurazione basandosi su documenti relativi alla sola rete fognaria. La Corte ha ritenuto il motivo inammissibile per due ragioni. In primo luogo, una violazione dell’art. 115 c.p.c. (principio di disponibilità delle prove) si configura solo se il giudice decide sulla base di prove non introdotte dalle parti, e non quando, come nel caso di specie, valuta diversamente le prove offerte. In secondo luogo, il ricorso mancava di autosufficienza, poiché faceva riferimento al progetto esecutivo senza riportarne il contenuto specifico, impedendo alla Corte di valutarne la rilevanza.

2. Secondo Motivo – Violazione dell’art. 2909 c.c.: Il ricorrente sosteneva che il giudice avrebbe dovuto considerare l’efficacia riflessa di altre sentenze (giudicato) relative a casi simili contro la stessa società. La Corte ha respinto il motivo, chiarendo che l’efficacia riflessa del giudicato opera solo in presenza di un rapporto di pregiudizialità-dipendenza tra le situazioni giuridiche, condizione assente nel caso di specie, dove i rapporti contrattuali tra la società e i singoli utenti sono tra loro indipendenti.

3. Terzo Motivo – Violazione del D.M. 30/09/2009: Il ricorrente denunciava un’errata interpretazione della normativa, sostenendo che il progetto citato dal Tribunale riguardasse esclusivamente la rete fognaria e non l’impianto di depurazione. Anche questo motivo è stato giudicato inammissibile. La Corte ha spiegato che, così formulata, la censura non denunciava una violazione di legge, ma mirava a ottenere una nuova e diversa valutazione del contenuto del documento (il progetto esecutivo), un’attività di merito preclusa al giudice di legittimità.

Conclusioni

L’ordinanza in esame, pur concludendosi con una declaratoria di inammissibilità sfavorevole al cittadino, offre importanti spunti di riflessione. Ribadisce con forza che spetta sempre al gestore del servizio idrico dimostrare l’effettiva erogazione del servizio di depurazione o, quantomeno, l’avvio concreto di attività volte a realizzarlo. Tuttavia, evidenzia anche le insidie del processo: per far valere le proprie ragioni in Cassazione, non è sufficiente lamentare un errore di valutazione del giudice di merito, ma è necessario formulare i motivi di ricorso nel rigoroso rispetto dei requisiti formali e sostanziali previsti dal codice di procedura civile, come il principio di autosufficienza.

A chi spetta l’onere di provare che l’impianto di depurazione è funzionante?
Secondo la Corte di Cassazione, l’onere della prova circa il funzionamento dell’impianto di depurazione, o l’esistenza di attività di progettazione e realizzazione, incombe sul gestore del servizio idrico, in quanto si tratta di fatti che impediscono la richiesta di rimborso dell’utente.

Perché il ricorso dell’utente è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile per diversi motivi processuali: il primo motivo era generico e non autosufficiente (non riportava il contenuto dei documenti contestati), il secondo invocava erroneamente l’efficacia riflessa del giudicato e il terzo mirava a una nuova valutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità.

Il solo progetto di un impianto di depurazione giustifica il pagamento del canone?
La sentenza non lo afferma direttamente, ma conferma la decisione del giudice di merito che ha ritenuto le spese per la progettazione e realizzazione dell’impianto come un costo che può essere detratto dalla somma da rimborsare all’utente, legittimando così un rimborso parziale anziché totale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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