Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 3468 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3   Num. 3468  Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso 8767/2020 proposto da:
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME e COGNOME NOME;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona dell’Amministratore Unico e Legale Rappresentante  pro  tempore, rappresentata  e  difesa  dall’avvocato COGNOME NOME;
-controricorrente – avverso  la  sentenza  n.  3566/2019  del  TRIBUNALE  di  PALERMO, depositata il 18/07/2019;
udita  la  relazione  della  causa  svolta  nella  camera  di  consiglio  del 17/01/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1.COGNOME  NOME  conveniva  davanti  al  Giudice  di  Pace  di RAGIONE_SOCIALE l’RAGIONE_SOCIALE (di seguito,
per brevità, RAGIONE_SOCIALE), chiedendo che quest’ultima fosse condannata alla restituzione della somma di euro 1.403,21 oltre interessi e rivalutazione, a titolo di somme riscosse e non dovute per il servizio di fognatura e depurazione. Precisamente, poiché la sua utenza idrica non era fornita del servizio di depurazione, il COGNOME rivendicava il rimborso della quota del servizio idrico, riferita al canone di depurazione, in forza del combinato disposto degli artt. 2, 4 e 6 del D.M. Ambiente e Tutela del Territorio del 30 settembre 2009 e della sentenza n. 335/2008 della Corte costituzionale.
Costituitasi l’azienda convenuta ed istruita la causa, il giudice di primo  grado  con  sentenza  n.  2680/2016  rigettava  la  domanda, dichiarando congrua la somma di rimborso pari ad euro 387,53 già riconosciuta e quantificata dall’RAGIONE_SOCIALE in favore del COGNOME.
 Avverso la suddetta sentenza proponeva appello il COGNOME deducendo l’erroneità della sentenza per difetto assoluto di motivazione, e per avere fondato il rigetto della domanda  di ripetizione, sulla base del generico richiamo agli atti prodotti dall’RAGIONE_SOCIALE, quale prova delle attività di progettazione dell’impianto di depurazione,  in  effetti  mai  realizzato  ed  inesistente,  senza  mai indicare il documento ritenuto determinante.
Si costituiva l’RAGIONE_SOCIALE, contestando in fatto ed in diritto l’impugnazione ex adverso proposta, della quale chiedeva il rigetto, richiamando il principio secondo il quale è ammissibile una motivazione della sentenza per relationem , richiamando atti del processo; senza riportarne il contenuto. Evidenziava inoltre la correttezza del richiamo, operato dal giudice di primo grado, ai documenti da essa prodotti in primo grado, documenti dai quali era risultato che la zona in cui ricade l’abitazione del COGNOME era interessata da opere. di progettazione e realizzazione di impianti di depurazione, sicché dalla somma pretesa era stato correttamente detratto l’importo degli oneri connessi a tali attività.
Il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE con sentenza n. 3566/2019, rigettando l’appello, confermava integralmente la sentenza del giudice di primo grado e condannava il COGNOME alla rifusione delle spese processuali relative al grado. In particolare, il giudice di appello osservava che dal progetto esecutivo, relativo alle opere di realizzazione delle reti fognarie nei quartieri dell’Arenella e Vergine Maria dell’abitato di RAGIONE_SOCIALE (zona in cui ricade l’abitazione del COGNOME), approvato con delibera comunale n. 413/2005, si evince chiaramente che le opere in oggetto riguardavano non soltanto la realizzazione del sistema fognario ma anche quello di depurazione delle acque nere e di disinquinamento delle acque bianche.
3.Avverso la sentenza del giudice di appello ha proposto ricorso il COGNOME.
Ha resistito con controricorso l’RAGIONE_SOCIALE.
Per l’odierna udienza il Procuratore Generale non ha depositato conclusioni  scritte,  mentre  il  ricorrente  ha  depositato  memoria  di costituzione di secondo difensore.
Il  Collegio  si  è  riservato  di  depositare  la  motivazione  della decisione entro il termine di sessanta giorni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Appare opportuno premettere allo scrutinio dei motivi che questa Corte di recente ha avuto modo di precisare (Cass. n. 28842/2023; cfr. altresì Cass. n. 11270 e n. 3311/2020) che <>.
Invero, come pure è stato precisato (Cass. n. 3692/2020 e n. 14042/2013), configurandosi la tariffa del servizio idrico integrato, in tutte le sue componenti, come il corrispettivo di una prestazione commerciale complessa, è il soggetto esercente detto servizio, il quale pretenda il pagamento anche degli oneri relativi al servizio di depurazione delle acque reflue domestiche, ad essere tenuto a dimostrare l’esistenza di un impianto di depurazione funzionante nel periodo oggetto della fatturazione, in relazione al quale esso pretenda la riscossione.
I suddetti principi costituiscono specificazione del principio generale (ripetutamente affermato da questa Corte: cfr., tra le tante, Cass. n. 3314 e n. 11586/2020, nonché n. 826/2015) per cui il creditore di una prestazione contrattuale (nella specie, per l’appunto, l’utente del servizio idrico) deve provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi poi ad allegare la circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre al debitore convenuto spetta la prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento.
2.Tanto premesso, il COGNOME articola in ricorso tre motivi.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art.  115 c.p.c.  nella  parte  in  cui  il  Tribunale,  quale giudice di appello, ha errato nel ricostruire la fattispecie, oggetto di giudizio e, in particolare, nel ritenere provata  la  progettazione dell’impianto di depurazione.
Si duole che il giudice di appello ha attribuito efficacia probatoria determinante alla progettazione della rete fognaria senza avvedersi del fatto che detta progettazione non conteneva anche la progettazione dell’impianto di depurazione.
Osserva che l’art. 2 del D.M. 30/09/2009  evidenzia che dall’impianto di depurazione è escluso tutto ciò che attiene alla rete fognaria e che i due servizi, essendo distinti ed autonomi, costituiscono il presupposto di due distinti canoni (quello di fognatura e quello di depurazione).
L’inammissibilità di tale complessiva doglianza consegue al fatto che essa non risponde ai paradigmi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità.
Infatti, per dedurre la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio, fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 (mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 cod. proc. civ., che non a caso è dedicato alla valutazione delle prove; Cass. Sez. U. 05/08/2016, n. 16598).
Al  rilievo  che  precede  si  aggiunge,  quale  ulteriore  profilo  di inammissibilità, il difetto di autosufficienza, in quanto parte ricorrente fa  riferimento  al  progetto  esecutivo,  ma  inammissibilmente  non  ne precisa il contenuto. Tanto  più che il giudice di appello nella impugnata  sentenza  (p.  5)  deduce  che  dallo  stesso  <> che le opere in oggetto non riguardavano soltanto la
realizzazione  del  sistema  fognario  ma  anche  quello  di  depurazione delle acque nere e di disinquinamento delle acque bianche.
2.2.  Con  il  secondo  motivo  il  ricorrente  denuncia  violazione dell’art.  2909  c.c.  nella  parte  in  cui  il  giudice  d’appello  ha  ritenuto provata  l’esistenza  della  progettazione  dell’impianto  di  depurazione senza  considerare  l’efficacia  riflessa  del  giudicato  formatosi  in  altri giudizi, promossi contro la stessa società, aventi il medesimo oggetto ed in particolare la medesima produzione documentale.
Sostiene  che  sul  documento,  assunto  a  fondamento  della decisione, si è formato il giudicato.
Il motivo è inammissibile.
Invero, per consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 29301/2023) <<Può essere ravvisata l'efficacia riflessa del giudicato nei soli casi in cui si configuri una relazione di pregiudizialità-dipendenza, in senso giuridico, tra la situazione che forma oggetto del processo e quella facente capo a un terzo estraneo al giudizio e, dunque, anche quando solo alcuni dei fatti costitutivi della fattispecie del rapporto pregiudiziale-condizionante integrino gli elementi del rapporto pregiudicato-condizionato.
Senonché  nel  caso  di  specie,  nel  quale  vengono  in  rilievo rapporti tra loro evidentemente indipendenti, non sussistono affatto i presupposti per l'operatività della invocata efficacia riflessa.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 4 e 6 del DM 30/09/2009, nella parte in cui il giudice di appello ha statuito che: <>.
Sostiene  che  dalle  disposizioni  normative  denunciate  risulta evidente come la scelta del legislatore di tenere distinti i due servizi non  consentisse  una  progettazione  comune  tra  rete  fognaria  e servizio  di  depurazione;  e  che,  d’altronde,  lo  stesso  progetto,  a conferma del dettato normativo, riguardava soltanto ed esclusivamente la rete fognaria (e non anche l’impianto di depurazione).
Il motivo è inammissibile.
Esso invero si risolve nella prospettazione di una valutazione e di un apprezzamento del contenuto del progetto esecutivo che si colloca del tutto al di fuori non solo della logica della violazione delle norme di diritto evocate nella intestazione, alle quali pure si riferisce, ma anche al di fuori della logica della c.d. falsa applicazione, che suppone l’assunzione della vicenda fattuale oggetto di giudizio nei termini indicati dal giudice di merito e l’addebito ad esso dell’averlo mal sussunto sotto una norma, oppure di non averlo erroneamente sussunto sotto di essa: del resto nemmeno in astratto potendo qualificarsi come violazione o falsa applicazione delle norme definitorie l’apprezzamento del contenuto di un documento riferito ad alcune di quelle.
All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna di parte ricorrente  alla  rifusione  delle  spese  sostenute  da  parte  resistente, nonché  la  declaratoria  della  sussistenza  dei  presupposti  processuali per il pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge ed indicato in dispositivo, se dovuto (Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020 n. 4315).
La Corte:
dichiara inammissibile il ricorso;
 condanna  parte  ricorrente  al  pagamento  delle  spese  del presente giudizio, spese che liquida in euro 600 per compensi, oltre alle  spese  forfettarie  nella  misura  del  15  per  cento,  agli  esborsi liquidati in euro 200 ed agli accessori di legge;
-ai  sensi  dell’art.  13  comma  1 -quater  del  d.P.R.  n.  115  del 2002,  dà  atto  della  sussistenza  dei  presupposti  processuali  per  il versamento,  ad  opera  di  parte  ricorrente,  dell’ulteriore  importo  a titolo di contributo unificato a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
Così  deciso  in  Roma,  il  17  gennaio  2024,  nella  camera  di