Sentenza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 17639 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 3 Num. 17639 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/06/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 31605/2019 R.G. proposto da: REGIONE CAMPANIA, in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in ROMA, C/O UFFICIO RAPPRESENTANZA CAMPANIA INDIRIZZO rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrente-
contro
COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende;
-controricorrenti-
nonché contro
COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE;
-controricorrente-
e nei confronti di
i
COMUNE DI NAPOLI, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE NAPOLI AZIENDA SPECIALE;
-intimati- e sul ricorso incidentale proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del procuratore e speciale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, domicilio legale ex lege ;
-ricorrente incidentale-
contro
COGNOME, DI COGNOME, COMUNE DI NAPOLI, COGNOME, RAGIONE_SOCIALE, COLIMORO GELSOMINA, RAGIONE_SOCIALE;
-intimati- avverso la SENTENZA del TRIBUNALE di NAPOLI n. 3059/2019, depositata il 21/03/2019.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto procuratore, NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso principale e l’accoglimento del secondo motivo del ricorso incidentale.
Udito l’Avvocato COGNOME per la Regione Campania.
Udito l’Avvocato NOME COGNOME per NOME COGNOME e per NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME.
Udito l’Avvocato NOME COGNOME per RAGIONE_SOCIALE.
FATTI DI CAUSA
A seguito della pronuncia della Corte Costituzionale n. 335/2008 che aveva dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 14, co. 1, l. n. 36/1994 nonché dell’art. 155, co. 1, primo periodo, d.lgs. n. 152/2006 nelle parti in cui prevedevano la debenza della quota di tariffa riferita al servizio di depurazione anche nel caso in cui la fognatura fosse sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi fossero temporaneamente inattivi e che aveva stabilito che i canoni dovessero essere pagati dagli utenti del servizio idrico solo
come corrispettivo dell’effettiva esistenza del servizio di depurazione, NOME COGNOME, utente della fornitura idrica, residente nella città di Napoli con allaccio al depuratore di Cuma, risultato del tutto inefficiente e non assolvente alla sua funzione di depurazione delle acque reflue, al fine di ottenere la restituzione della somma di euro 3.424,80 pagata a titolo di depurazione delle acque, conveniva, dinanzi al Giudice di Pace di Napoli, ABC – RAGIONE_SOCIALE Napoli Azienda Speciale (d’ora in avanti, per brevità, RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE e il Comune di Napoli.
A.B.C. chiedeva, innanzitutto, di essere autorizzata a chiamare in causa la Regione Campania, proprietaria del depuratore, per esserne manlevata, quindi, di dichiararla carente di legittimazione passiva, nel merito, domandava il rigetto della domanda attrice e, in subordine, eccepiva la prescrizione del diritto, ai sensi dell’art. 2948 n. 4 cod.civ., per le somme versate nei cinque anni antecedenti alla richiesta di rimborso.
La Regione Campania, costituitasi, chiedeva di dichiarare il difetto di giurisdizione del giudice adito in favore delle Commissioni Tributarie competenti per territorio, di accertare la sua carenza di legittimazione passiva e di essere autorizzata a chiamare in causa la RAGIONE_SOCIALE (società affidataria del servizio di depurazione) <>.
In corso di causa si costituivano, con comparse di intervento volontario, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE, utenti del servizio idrico, al fine di ottenere la restituzione, ex art. 2033 cod.civ., di tutti i corrispettivi indebitamente pagati a titolo di canone di depurazione, oltre a IVA, agli interessi e alla rivalutazione, pari, rispettivamente, a euro 540,00, euro 5.000,00, euro 1.270,00 ed euro 1.022,00.
A seguito della costituzione della Regione Campania, l’attrice e gli interventori estendevano la domanda nei suoi confronti.
La causa veniva decisa con sentenza n. 35360/2016 dal Giudice di Pace di Napoli che, rigettata la richiesta di chiamata in causa della RAGIONE_SOCIALE da parte della Regione Campania, dichiarava il difetto di legittimazione passiva del Comune di Napoli e della Regione Campania e condannava RAGIONE_SOCIALE alla restituzione di quanto preteso dagli attori e dagli interventori.
Con la sentenza n. 3059/2019, depositata il 21/3/2019, il Tribunale di Napoli, ha confermato l’accoglimento delle domanda dell’attrice e degli interventori e ha accolto il gravame di RAGIONE_SOCIALE nei confronti della Regione Campania, affermando che <>, ha rigettato la domanda di manleva proposta dalla Regione Campania nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, ha compensato le spese di lite.
La Regione Campania ricorre ora per la cassazione della suddetta sentenza, avvalendosi di quattro motivi.
NOME COGNOME e, con un unico atto, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME resistono con separati controricorsi.
RAGIONE_SOCIALE propone ricorso incidentale, basato su due motivi, condizionato al rigetto dei motivi primo e terzo del ricorso principale.
Con ordinanza interlocutoria n. 27590/2022, la trattazione dei ricorsi, già fissata, ai sensi dell’art. 380 bis 1 cod.proc.civ., per il 14/06/2022, è stata rinviata a nuovo ruolo e rimessa alla pubblica udienza, <>.
Le parti hanno depositato rispettiva memoria.
Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte, chiedendo il rigetto del ricorso principale e l’accoglimento del secondo motivo del ricorso incidentale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1) Con il primo motivo la ricorrente principale denunzia la violazione dell’art. 152 d.lgs. n. 163/2006, nonché l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, e la violazione e falsa applicazione dell’art. 8 sexies e dell’art. 2 del dm 30/09/2009, in riferimento all’art. 360, 1° comma, n. 3 e n. 5 cod.proc.civ., per avere il giudice a quo ritenuto provato, <>.
Si duole che il giudice dell’appello abbia omesso di esaminare alcuni documenti, tra cui la nota regionale n. 290263/2009 e la nota del Comune di Napoli G/2011/56978 del 2011, e che abbia invertito l’onere della prova, facendo gravare sull’ accipiens la prova dell’inesistenza di una causa giustificativa del pagamento.
In aggiunta, sarebbe stato violato l’art. 155, comma 1°, d.lgs. 163/2006
Deduce che, secondo l’indirizzo oramai consolidato di questa Corte, all’esito dell’intervento caducatorio della Corte Costituzionale, nell’ambito del contratto di utenza relativo alla fruizione del servizio idrico, deve ritenersi indebita la pretesa della tariffa per la depurazione delle acque esclusivamente per la mancanza degli impianti di depurazione ovvero per la loro
temporanea inattività e non anche per il malfunzionamento dell’impianto; diversamente opinando, infatti, si perverrebbe ad una conclusione in contrasto con la ratio della pronuncia del giudice delle leggi che è stata quella di definire indebito il pagamento in caso di mancata fruizione da parte dell’utente del servizio di depurazione. Nella specie, invece, l’impianto esisteva ed era stato in funzione senza interruzioni né sospensioni con riferimento al periodo in contestazione e, pertanto, non risultava temporaneamente inattivo, ai sensi dell’art. 2 del dm 30/09/2009.
Né il tribunale avrebbe tenuto conto che il concetto di servizio di depurazione comprende anche i costi dell’apprestamento delle infrastrutture necessarie a rendere il servizio, quindi la progettualità e gli interventi relativi agli impianti di depurazione, e che non è possibile scomporre le tariffe, perché anche le attività di progettazione, di realizzazione o di completamento degli impianti nonché quelli relativi ai connessi investimenti, come individuati e programmati nei piani d’ambito, costituiscono una componente vincolata della tariffa, ai sensi dell’art. 8 sexies della l. n. 13/1989.
Il motivo è infondato.
Giusta principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità la tariffa pretesa dal gestore del servizio idrico integrato è indebita non solo nel caso in cui gli impianti di depurazione non esistano o risultino temporaneamente inattivi ma anche quando gli impianti siano in esercizio e forniscano una prestazione parziale e/o non ottimale (v. Cass. 15/11/2024, n. 29488; ; Cass. 14/11/2022, n. 33459; Cass. 23/9/2022, n. 27941; Cass. 15/6/2020, n. 11585; Cass. 11/2/2020, n. 3314; Cass. 12/6/2020, n. 11294; Cass. 18/4/2018, n. 9500; Cass. 4/6/2013, n. 14042).
Una conclusione diversa, infatti, si porrebbe in contrasto con la ratio stessa della pronuncia del Giudice delle leggi, che è quella di rimarcare il carattere indebito del pagamento <>, qualunque esso sia, essendo, in tal caso <> (Cass. 27/2/2023, n. 5810).
Mette conto altresì rilevare che:
– nel giudizio finalizzato alla restituzione della somma pagata a titolo di canone per la depurazione delle acque (quale parte del complessivo corrispettivo dovuto per il servizio idrico), ai sensi dell’art. 2033 cod.civ., <> (Cass. 17/10/2023, n. 28842; Cass. 12/11/2022, n. 33462; Cass. 1°/02/2022, n. 3044; Cass. 12/06/2020, n. 11270; Cass. 11/02/2020, n. 3314);
– nel giudizio finalizzato alla restituzione ex art. 8sexies d.l. n. 208 del 2008 della somma pagata a titolo di canone per la depurazione delle acque (quale parte del complessivo corrispettivo per il servizio idrico), <> (Cass. 12/6/2020, n. 11270), mentre, invece, l’utente del servizio idrico <>;
quanto alla dimostrazione delle attività di progettazione, di realizzazione o di completamento dell’impianto, essendosi <>, la prova dello stesso <> (Cass. 24/11/2021, n. 36507).
Con il secondo motivo la ricorrente principale prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2033 cod.civ. e delle norme di diritto relative alla legittimazione passiva e al conseguenziale obbligo di manleva nonché l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in riferimento all’art. 360, 1° comma, n. 3 e n. 5 cod.proc.civ.
Il giudice del’appello, ritenendola responsabile per l’attività di depurazione oggetto di concessione, avrebbe violato le norme sulla ripetizione dell’indebito, condannndola alla restituzione di somme per canoni di depurazione che mai le sarebbero stati corrisposti, in quanto RAGIONE_SOCIALE non le aveva mai riversato i canoni di depurazione riscossi, anzi, dalla documentazione in atti, e segnatamente dall’atto di ricognizione del debito del 22/11/2006, risultava la sua morosità.
Il motivo è infondato.
Come questa Corte ha già in più occasioni osservato, in presenza di una temporanea inattività del servizio di depurazione acque, la condotta del proprietario dell’impianto nonché gestore del servizio di depurazione integra un concorso nell’inadempimento ascrivibile, nei confronti degli utenti, al soggetto che abbia concluso con gli stessi il contratto di utenza, sicché il medesimo, convenuto in giudizio da costoro per la restituzione della quota del corrispettivo del servizio dovuta a titolo di depurazione acque, ha diritto ad agire in via di regresso nei confronti del predetto proprietario dell’impianto e gestore del servizio (Cass. 15/06/2020, n. 11582,
n. 11295, n. 11294; Cass. 12/06/2020, n. 11270; Cass. 13/02/2020, n. 03692, Cass. 15/06/2020, n. 11586, 11585, 11584, Cass. 11/02/2020, n. 3314; Cass. 18/04/2018, n. 9500; Cass. 04/06/2013, n. 14042).
3) Con il terzo motivo la ricorrente principale si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 2033 e 2697 cod.civ. nonché degli artt. 115 e 116 cod.proc.civ., in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 3 e n. 5 cod.proc.civ. e in subordine n. 4 cod.proc.civ., per la illogica inversione dell’onere probatorio e l’errato utilizzo di presunzioni nonché per l’omesso esame di fatti e documenti.
Attinta da censura è la statuizione con cui il tribunale ha ritenuto che in forza del principio di vicinanza della prova competesse alla P.A. dimostrare l’avvenuto espletamento del servizio di depurazione, producendo documentazione idonea; il giudice a quo sarebbe incorso nella violazione dell’art. 2697 cod.civ. che pone a carico del creditore l’onere di provare non solo il pagamento ma anche la mancanza originaria o sopravvenuta della causa giustificativa del pagamento: onere della prova che non avrebbe potuto ritenersi soddisfatto adducendo la ricorrenza del fatto notorio quanto al cattivo funzionamento dell’impianto.
In aggiunta, il tribunale erroneamente avrebbe fatto riferimento alla sentenza penale n. 4351/2009, prodotta dagli attori, la quale aveva accertato l’inefficacia dell’impianto, ma con riferimento al periodo precedente ai fatti di causa (1998-2002) e gli articoli di stampa che erano relativi al periodo 2007/2008.
In conclusione, il giudice a quo avrebbe motivato solo sulle prove presuntive fornite dagli appellati e con un ragionamento deduttivo non fondato su fatti certi e incontestati, avrebbe disapplicato il principio del prudente apprezzamento delle prove ex di cui agli artt. 115 e 116 cod.proc.civ.
Il motivo è infondato.
Sul punto, in via preliminare, va osservato che la <> (Cass. 29/05/2018, n. 13395).
Tale evenienza non ricorre nel caso di specie.
Costituisce principio generale quello secondo cui il creditore di una prestazione contrattuale – nella specie, l’utente del servizio idrico è tenuto a provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi poi ad allegare la circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre al debitore convenuto spetta la prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento (Cass. 15/6/2020, n.11585).
Proprio con riferimento specifico alla presente fattispecie, si è ritenuto che, configurandosi <> (Cass. 21/9/2022, n.27550; Cass. 21/9/2022, n.27552).
Neppure coglie nel segno la censura relativa all’applicazione del principio della vicinanza della prova, essendo lo stesso <> (Cass. 14/11/2022, n. 33462 e n. 33459).
Le restanti censure sono inammissibili perché si risolvono in un tentativo di mettere in discussione l’apprezzamento delle risultanze istruttorie, senza né aver correttamente dedotto la violazione degli artt. 115 (approfondimenti sul punto si rinvengono in Cass. 10/06/2016, 11892, che riprende un principio di diritto già espresso in motivazione da Cass., Sez. Un., 05/08/2016, n. 16598 e ribadito da Cass., Sez. Un., n. 24/09/2020, n. 20087) e 116 cod.proc.civ. (Cass. 10/06/2016, n. 11892; Cass. 1°/03/2022, n. 6774) né aver dimostrato l’errore del tribunale in punto di ragionamento inferenziale (Cass. 21/03/2022, n. 9054).
4) Con il quarto motivo la ricorrente principale denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2946 e 2948 cod.civ., in relazione all’art. 360, 1° comma, nn. 3 e 5 cod.proc.civ., per avere il giudice dell’appello omesso di esaminare l’eccezione di prescrizione quinquennale ex art. 2948 n. 4 cod.civ., trattandosi di canoni pagabili in ragione di anno o termini più brevi.
Il motivo è infondato.
Atteso che la pretesa restitutoria azionata trova titolo nella mancata esecuzione di una prestazione nascente dal contratto di utenza, con tale rilievo non è in contrasto l’applicazione del termine prescrizionale (decennale) previsto per la ripetizione dell’indebito in luogo di quello -più breve – fissato per i crediti relativi a prestazioni periodiche dall’art. 2948, 1° comma, n. 4, cod. civ. Si consideri, infatti, che questa Corte ha più volte affermato che <>, e ciò secondo una <> e che <>.
In aggiunta, va considerato che la prescrizione breve di cui all’art. 2948, 1° comma, n. 4, cod. civ. si applica solo alle azioni volte ad ottenere il pagamento, in esecuzione di contratti di durata, di somme che presentino il carattere della periodicità, e non – come nella specie – di un importo dovuto a titolo di restituzione e in unica soluzione. La previsione suddetta, infatti, <> (Cass. 13/12/2020, nn. 1586, 11585, 11584, 11582, 11295, 11294).
Atteso che il ricorso incidentale è condizionato al rigetto dei soli motivi primo e terzo del ricorso principale, esso va esaminato.
Con il primo motivo la ricorrente incidentale si duole della violazione e della falsa applicazione degli artt. 154-156 d.lgs. n.
152/2006 in relazione all’art. 2033 ex art. 360, 1° comma, n. 3 cod.proc.civ. nonché dell’omesso esame di un fatto controverso e decisivo, ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 5 cod.proc.civ.
La ricorrente sostiene che il servizio di depurazione delle acque è erogato dalla RAGIONE_SOCIALE , che l’unica prestazione assunta nei confronti del Comune di Napoli e degli utenti è quella di distribuzione di acqua potabile, sebbene essa sia connessa con quella di depurazione delle acque, tant’è che l’art. 156 dlgs. n. 152/2006 le attribuisce il compito di calcolare e riscuotere la tariffa di depurazione per poi riversarla alla Regione Campania, e lamenta di essere stata ritenuta legittimata passiva dell’azione di restituzione della somma dovuta per il servizio di depurazione per il solo fatto di essere tenuta ad un’attività di contabilizzazione impostale dalla legge, perciò l’unico soggetto gravato dell’obbligo di restituzione del canone di depurazione è, secondo quanto prospettato, il gestore del servizio, cioè la Regione Campania.
Chiede, pertanto, la cassazione della sentenza impugnata nella parte in cui il tribunale l’ha ritenuta legittimata passivamente alla restituzione delle somme riscosse a titolo di canoni per la depurazione, anziché considerare la Regione Campania l’unica legittimata passiva.
Il motivo è infondato.
La titolarità – dal lato passivo – del rapporto controverso originato dalla pretesa restitutoria degli utenti in capo al gestore del servizio trova il suo fondamento nella posizione di parte negoziale del contratto di utenza, in quanto la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione, componente della complessiva tariffa del servizio idrico integrato, ne ripete necessariamente la natura di corrispettivo contrattuale, il cui ammontare è inserito automaticamente nel contratto; pertanto, ove il servizio di depurazione non sia stato fornito, ma quella quota di tariffa sia stata comunque versata, è nei confronti della
contro
parte del contratto di utenza che la pretesa restitutoria va azionata, in quanto è alla <> (cfr. Cass. 4/6/2013 n. 14042; Cass. 12/6/2020 nn. 11270, 11294, 11295, 11582 e 11586); sul punto, occorre muovere infatti dalla constatazione che – mentre fino al 3 ottobre 2000 – il canone o diritto di cui alla legge 10 maggio 1976, n. 319 <> successivamente, per effetto dell’art. 24 del d.lgs. 18/08/2000, n. 258, <>, la quale quanto al servizio di depurazione, <>.
Non rileva la circostanza che il servizio idrico somministrato non presenti carattere “integrato”, sicché ciascuna delle quote del corrispettivo per esso complessivamente dovuto (ovvero, per il consumo di acqua potabile, per il servizio di fognatura e per quello di depurazione) risultano da essa, successivamente, ripartiti tra i diversi soggetti interessati.
Ai fini, infatti, del riconoscimento della legittimazione passiva rispetto alla domanda restitutoria fatta valere dai singoli utenti del servizio idrico ciò che rileva è che RAGIONE_SOCIALE, in quanto parte del rapporto contrattuale intrattenuto con essi, si sia posta come “accipiens”; in altri termini, la titolarità di RAGIONE_SOCIALE – dal lato passivo del rapporto controverso originato dalla pretesa restitutoria degli utenti, trova il suo fondamento nella posizione di parte negoziale
del contratto di utenza, ciò che del resto, fino al riconoscimento della non debenza della quota della tariffa relativa alla depurazione acque (per effetto dell’intervento caducatorio del Giudice delle leggi), aveva legittimato la predetta azienda municipalizzata a pretendere la riscossione dell’intero corrispettivo del servizio idrico (Cass. 15/6/2020, n . 11586; Cass. 15/6/2020, n . 11585; Cass. 15/6/2020, n. 11584).
Per quanto sia vero che il soggetto riscossore sia stato individuato nel gestore del servizio di acquedotto solo ed esclusivamente al fine di agevolare le operazioni di incasso (giacché, diversamente, l’Azienda Speciale <>), un’analoga, o per meglio dire “speculare”, esigenza di concentrazione e unificazione si è ritenuto che imponga di porre in capo alla predetta Azienda Speciale l’obbligo restitutorio, <> (Cass. 24/11/2021, n.36507).
Con il secondo motivo la ricorrente incidentale denunzia <> dell’art. 92 cod.proc.civ., in relazione alla mancata riforma del governo delle spese del primo grado di giudizio in ragione del parziale accoglimento del suo appello in punto di legittimazione passiva della Regione Campania e del suo obbligo di manleva, i sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3 e n. 5 cod.proc.civ.
Lamenta che, pur avendo riformato la sentenza di primo grado, accogliendo il motivo di appello con cui aveva chiesto di essere manlevata dalla Regione Campania, il giudice dell’appello non ha
modificato la pronuncia di primo grado che aveva posto le spese di lite interamente a suo carico.
Il motivo è infondato.
Il giudice d ‘ appello ha confermato la liquidazione delle spese del giudizio di primo grado nonostante l’accoglimento parziale dell’appello proposto dal gestore del servizio idrico.
Le Sezioni Unite di questa Corte, nel decidere sulla questione di massima di particolare importanza, rimessa al suo esame dall’ordinanza interlocutoria n. 28048 del 14/10/2021, ha affermato che «l’accoglimento in misura ridotta, anche sensibile, di una domanda articolata in un unico capo non dà luogo a reciproca soccombenza configurabile esclusivamente in presenza di una pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo tra le stesse parti o in caso di parziale accoglimento di un’unica domanda articolata in più capi, e non. consente quindi la condanna della parte vittoriosa al pagamento delle spese processuali in favore della parte soccombente, ma può giustificarne soltanto la compensazione totale o parziale, in presenza di altri presupposti previsti dall’art. 92, 2° comma, c. p. c., (Cass., Sez. Un., 31/10/2022, n. 32061).
Il che significa che RAGIONE_SOCIALE non può dolersi del fatto di essere stata condannata al pagamento delle spese di lite del giudizio di primo grado, non risultando violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa.
All’infondatezza dei motivi consegue il rigetto di entrambi i ricorsi, principale e incidentale.
Attesa la reciproca soccombenza, va disposta la compensazione delle spese del giudizio di cassazione tra la ricorrente principale e quella incidentale.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore di ciascuna parte controricorrente, seguono la soccombenza.
La Corte rigetta i ricorsi, principale e incidentale. Compensa le spese del giudizio di cassazione tra la ricorrente principale e la ricorrente incidentale. Condanna la ricorrente principale e la ricorrente incidentale al solidale pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 1.400,00, di cui euro 1.200,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori come per legge, in favore della controricorrente COGNOME; in complessivi euro 3.200,00, di cui euro 3.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori come per legge, in favore dei controricorrenti COGNOME e COGNOME, con distrazione in favore del difensore dichiaratosi antistatario.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, come modif. dalla l. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente principale e di quella incidentale all’ufficio del merito competente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella Camera di Consiglio del 9 maggio 2025 dalla