LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Canone di depurazione: chi rimborsa se non funziona?

La Corte di Cassazione ha stabilito che il canone di depurazione non è dovuto se il servizio è inefficiente, anche solo parzialmente. La sentenza chiarisce che la società di gestione del servizio idrico, in quanto controparte contrattuale, è tenuta al rimborso diretto verso gli utenti. Questa potrà poi agire in regresso contro l’ente proprietario dell’impianto. La Corte ha inoltre confermato che l’onere di provare il corretto funzionamento del servizio spetta al gestore e che il termine di prescrizione per la richiesta di rimborso è di dieci anni.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 2 settembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Canone di Depurazione: Rimborso Garantito se il Servizio è Inefficiente

Il pagamento del canone di depurazione è legittimo solo se il servizio viene effettivamente erogato e funziona correttamente. Se l’impianto è inefficiente o il servizio è parziale, l’utente ha diritto al rimborso. Con una recente sentenza, la Corte di Cassazione ha ribadito questo principio fondamentale, chiarendo inoltre chi è tenuto alla restituzione e su chi grava l’onere della prova. Questa decisione consolida la tutela dei consumatori nel settore del servizio idrico integrato.

I Fatti del Caso

Un gruppo di utenti del servizio idrico citava in giudizio la società che gestiva il servizio, chiedendo la restituzione delle somme versate a titolo di canone di depurazione. La richiesta si fondava sulla comprovata inefficienza dell’impianto di depurazione a cui le loro utenze erano collegate, che non svolgeva adeguatamente la sua funzione.

La società di gestione, a sua volta, chiamava in causa la Regione, proprietaria dell’impianto, chiedendo di essere tenuta indenne da qualsiasi richiesta di risarcimento. I tribunali di primo e secondo grado accoglievano le domande degli utenti, condannando la società di gestione alla restituzione e riconoscendo la responsabilità della Regione. Sia la Regione che la società di gestione del servizio idrico proponevano quindi ricorso per Cassazione.

Canone di depurazione e onere della prova

La Regione sosteneva che il canone fosse dovuto anche in caso di malfunzionamento, purché l’impianto esistesse, e che l’onere di dimostrare il mancato servizio spettasse agli utenti. La società idrica, dal canto suo, affermava di non essere il soggetto tenuto al rimborso, essendo una mera esattrice del canone per conto della Regione.

La Corte di Cassazione ha rigettato entrambi i ricorsi, stabilendo punti fermi di grande importanza per gli utenti.

Le Motivazioni della Corte

La Suprema Corte ha chiarito diversi aspetti cruciali. In primo luogo, ha ribadito che il canone di depurazione ha natura di corrispettivo per un servizio. Di conseguenza, in assenza di una controprestazione adeguata (un servizio di depurazione funzionante), il pagamento perde la sua causa giustificativa e diventa un indebito. Questo vale non solo quando l’impianto è assente o completamente fermo, ma anche quando è in esercizio ma fornisce una prestazione “parziale e/o non ottimale”.

Un punto centrale della decisione riguarda l’onere della prova. Contrariamente a quanto sostenuto dalla Regione, la Corte ha affermato che, in base al principio di vicinanza della prova, spetta al gestore del servizio (o all’ente che pretende il pagamento) dimostrare l’esistenza e il corretto funzionamento dell’impianto di depurazione nel periodo contestato. L’utente deve solo provare la fonte del suo diritto (il contratto di fornitura) e allegare l’inadempimento della controparte.

Per quanto riguarda la legittimazione passiva, ovvero chi deve restituire le somme, la Corte ha individuato la società di gestione del servizio idrico. Essendo la controparte contrattuale degli utenti, è la società che ha incassato il canone a doverlo restituire. Successivamente, la stessa società potrà agire in via di regresso nei confronti del proprietario dell’impianto (in questo caso, la Regione) per recuperare le somme rimborsate.

Infine, la Corte ha confermato che il diritto alla restituzione del canone di depurazione non pagato si prescrive nel termine ordinario di dieci anni, e non in quello breve di cinque anni previsto per le prestazioni periodiche. Questo perché l’azione di ripetizione dell’indebito mira a recuperare un pagamento unico privo di causa, non a ottenere l’adempimento di prestazioni periodiche.

Le Conclusioni

La sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale nettamente a favore dei consumatori. Stabilisce chiaramente che il pagamento di un servizio pubblico deve corrispondere a una prestazione reale ed efficiente. Gli utenti che pagano un canone di depurazione a fronte di un servizio inadeguato hanno pieno diritto al rimborso. La decisione semplifica inoltre l’azione legale per gli utenti, indicando con certezza il soggetto a cui rivolgersi (il gestore che emette la bolletta) e ponendo a carico di quest’ultimo la prova, spesso difficile, del corretto funzionamento degli impianti.

È dovuto il canone di depurazione se l’impianto funziona male ma non è completamente fermo?
No. La Corte di Cassazione ha specificato che la tariffa non è dovuta non solo quando l’impianto è assente o temporaneamente inattivo, but anche quando fornisce una prestazione parziale e/o non ottimale.

A chi deve chiedere il rimborso del canone di depurazione l’utente? Alla società che emette la bolletta o all’ente proprietario dell’impianto?
L’utente deve chiedere il rimborso alla società con cui ha stipulato il contratto di fornitura idrica, ovvero quella che emette la bolletta. Questa società è considerata la controparte contrattuale e quindi il soggetto tenuto alla restituzione. Successivamente, la società potrà agire contro l’ente proprietario dell’impianto.

Chi deve dimostrare in tribunale che il servizio di depurazione funzionava correttamente?
L’onere di dimostrare l’esistenza e il corretto funzionamento dell’impianto di depurazione spetta al gestore del servizio convenuto in giudizio per la restituzione. L’utente deve solo provare l’esistenza del contratto e affermare l’inadempimento del gestore.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati