Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 18509 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 18509 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n° 15492 del ruolo generale dell’anno 2020
, proposto da
RAGIONE_SOCIALE (c.f. NUMERO_DOCUMENTO) in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede in Montemurlo (PO) INDIRIZZO quale incorporante per fusione della RAGIONE_SOCIALE con sede in Montemurlo (PO), INDIRIZZO, C.F. n. NUMERO_DOCUMENTO, rappresentato e difeso come da procura speciale appositamente conferita, dall’avv. NOME COGNOME (c.f. VCC GTN CODICE_FISCALE) e dall’Avv. NOME COGNOME entrambi del Foro di Firenze, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME.
Ricorrente
contro
Regione Toscana (C.F. e P.IVA P_IVA), in persona del Presidente pro-tempore della Giunta Regionale, rappresentata e difesa in giudizio, congiuntamente e disgiuntamente tra loro, dall’Avv. NOME COGNOMEc.f. CODICE_FISCALE; PEC: EMAIL) e, in base a mandato integrativo, dall’Avv. NOME COGNOME (C.F. GNT CODICE_FISCALE; pec: EMAIL
postacert.toscana.it), ed elettivamente domiciliata presso lo Studio dell’Avv. NOME COGNOME in Roma, INDIRIZZO
Controricorrente
nonché contro .
Provincia di Prato , Agenzia del Demanio
Intimate
avverso la sentenza della Corte d’appello di Firenze n° 2256 depositata il 26 settembre 2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16 maggio 2025 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1 .- RAGIONE_SOCIALE (cui in corso di causa è subentrata RAGIONE_SOCIALE) conveniva davanti al tribunale di Prato l’Agenzia del Demanio e la Provincia di Prato.
L’attrice precisava di avere un pozzo nel comune di Montemurlo, località Oste, denunciato nel 1994, e di aver presentato il 28 gennaio 1997 una domanda di concessione di derivazione di acque pubbliche sotterranee per uso industriale ed antincendio.
A fronte del silenzio, il pozzo non era mai stato utilizzato, tanto che per soddisfare il proprio fabbisogno idrico essa aveva stipulato un contratto di fornitura con l’ente gestore dell’acquedotto pubblico.
Solo il 13 dicembre 2005 la Grima, ricevendo la lettera prot. 39790 della Provincia, con la quale le veniva comunicata l’archiviazione della domanda di concessione di derivazione d’acqua e contestualmente chiesto il pagamento dei canoni concessori 20012005 relativi al pozzo, apprendeva che l’Ente territoriale aveva sollecitato un’integrazione documentale con lettere prot. 22823 del 28 maggio 2003 e prot. 2988 del 2 febbraio 2004: missive mai ricevute in quanto spedite presso la sua precedente sede sociale.
A tale scambio di lettere seguiva, dopo poco tempo, la missiva 28 dicembre 2005 dell’Agenzia del Demanio, con la quale le veniva chiesto il pagamento di euro 2.423,40 per la derivazione di acqua
pubblica dall’11 agosto 1999 al 31 dicembre 2000: somma poi iscritta a ruolo e riportata nella cartella di pagamento n° 13620080005509116 notificata tramite Equitalia.
Tanto premesso, la COGNOME conveniva davanti al tribunale di Prato la Provincia di Prato e l’Agenzia del Demanio, chiedendo di accertare l’insussistenza del suo obbligo di pagamento dei canoni per l’utilizzo dell’acqua pubblica del pozzo; l’annullamento della cartella n° 13620080005509116; la prescrizione del diritto alla riscossione delle somme richieste dall’Agenzia del Demanio a titolo di canoni per derivazione e utilizzazione di acque pubbliche dall’11 agosto 1999 al 31 dicembre 2000.
2 .-Si costituiva la Provincia di Prato, mentre l’Agenzia del Demanio rimaneva contumace.
All’esito, la domanda veniva respinta dal tribunale e la Corte d’appello di Firenze, adita dalla società soccombente confermava la prima decisione con la sentenza indicata in intestazione (nel corso del giudizio di secondo interveniva la Regione Toscana, quale titolare delle funzioni amministrative per cui era lite e successore nel rapporto controverso in luogo della Provincia).
La Corte rigettava, anzitutto, l’eccezione di prescrizione sollevata dall’appellante col terzo motivo.
Infatti, sebbene fosse applicabile alla fattispecie il termine di prescrizione quinquennale previsto dall’art. 2948 n° 5 cod. civ., la richiesta di pagamento era stata formulata dalla Provincia di Prato con lettera raccomandata del 13 dicembre 2005 recapitata il 15 dicembre 2005, ovvero entro il quinquennio dalla scadenza della prima annualità 2001-2005.
Era pure infondato il secondo motivo, con cui la COGNOME lamentava l’omesso esame di una quaestio facti decisiva, rappresentata dalla condizione di inattività del pozzo, constatata dall’Amministrazione nel sopralluogo del 23 novembre 2005: tale accertamento, infatti,
non permetteva di escludere l’operatività del pozzo negli anni precedenti, in riferimento ai quali i canoni erano stati richiesti.
Quanto al primo motivo di gravame, la Corte riteneva di decidere la causa osservando il precedente di Cass. sez. un. 3162/2011.
Secondo tale precedente, la concessione di derivazione aveva natura meramente dichiarativa, con la conseguenza che COGNOME non doveva attendere il rilascio di essa per esercitare il proprio diritto di attingimento e, d’altra parte, nel momento in cui aveva denunciato la disponibilità del pozzo, era tenuta per ciò stesso a pagare il canone.
In conclusione, la denuncia del pozzo implicava di per sé l’obbligo di pagare i canoni, spettando semmai all’utente dimostrare l’inattività del pozzo.
Nella specie, come rilevato dal Tribunale, COGNOME non aveva soddisfatto tale onere probatorio, in quanto la constatazione dell’inattività delle opere di captazione, avvenuta col sopralluogo della Provincia del 23 novembre 2005, si collocava al termine del periodo di utilizzo per il quale era preteso il canone; d’altro lato, la stipulazione di un diverso contratto di una fornitura d’acqua non escludeva il parallelo sfruttamento del pozzo denunciato.
3 .- Avverso tale sentenza ha interposto ricorso per cassazione COGNOME, affidando il gravame a tre mezzi.
Resiste la Regione Toscana, concludendo per la reiezione dell’impugnazione, mentre la Provincia di Prato è rimasta meramente intimata.
Il ricorso è stato assegnato per la trattazione in Adunanza Camerale ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ.
La ricorrente ha depositato una memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4 .- Col primo motivo , formulato ai sensi dell’art. 360 n° 3 cod. proc. civ., la ricorrente lamenta la violazione e/o l’errata applicazione del r.d. n° 1775/1933 e del r.d. n° 1285/1920.
La decisione di Cass. sez. un. n° 3162/2011 sarebbe stata erroneamente invocata dalla Corte d’appello, in quanto le Sezioni unite avevano individuato il momento di decorrenza della debenza dei canoni in relazione ad un utilizzo effettivo delle acque estratte dal suolo.
La fattispecie concretamente analizzata nella decisione, infatti, atteneva ad un utilizzo avvenuto e (non contestato) di acque sotterrane che dallo stesso momento del prelievo legittimava la pretesa del canone concessorio, mentre nel caso sottoposto all’esame della Corte territoriale non vi era stato alcun prelievo d’acqua, come dimostravano il contratto di fornitura idrica concluso con gestore dell’acquedotto pubblico e il sopralluogo del 23 novembre 2005.
Infatti, dagli artt. 2 e 37 del r.d. 11 dicembre 1933 n° 1775 e 10 del r.d. 14 agosto 1920 n° 1285 si ricaverebbe che l’obbligo di pagamento del canone insorge solo al momento del rilascio della concessione, oppure nei casi di prelievo abusivo di acqua o di rilascio un titolo preferenziale ai sensi dell’art. 4 del r.d. n° 1775/1933: ipotesi qui del tutto assenti.
Nondimeno la Corte avrebbe ritenuto dovuto il canone in base ad una presunzione di consumo fatta discendere dalla domanda di concessione, peraltro senza considerare che il canone era stato calcolato in base al consumo massimo d’acqua indicato nella domanda di concessione e non in base quello effettivo accertabile all’esito del collaudo previsto dagli artt. 24 e 25 del r.d. n° 1285/1920.
5 .- Il motivo è infondato.
La Corte d’appello di Firenze ha fatto corretta applicazione del principio sancito da Cass., sez. un., 9 febbraio 2011, n° 3162.
Con tale decisione il Supremo consesso di questa Corte -decidendo in tema di prescrizione del diritto ai canoni demaniali -ha, infatti, chiarito che la fonte giuridica di questi ultimi risiede nel
legittimo prelievo dell’acqua, con la conseguenza che la concessione ha natura meramente dichiarativa ed il diritto all’esazione, nonché il corrispondente obbligo di pagamento, derivano direttamente dalla derivazione e dell’utilizzo dell’acqua.
La ricorrente assume che, a differenza del caso deciso dalle Sez. un., non vi sarebbe stata in concreto alcuna derivazione di acqua.
Il tema involge un accertamento di fatto totalmente rimesso, come si dirà in sede di esame del successivo mezzo, alla discrezionalità del giudice di merito, con conseguente insindacabilità di tale conclusione in sede di legittimità.
Quanto poi al rilievo concernente le modalità di calcolo del canone, esso non risulta dalla sentenza impugnata con la conseguenza che il ricorrente avrebbe dovuto precisare il tempo ed il luogo processuali nei quali la questione venne trattata (per tutte: Cass., sez. VI-T, 13 dicembre 2019, n° 32804).
Non avendo provveduto a ciò, il profilo appare inammissibile.
6 .- Col secondo motivo , formulato ai sensi dell’art. 360 n° 3 (‘ violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione ai principi in materia di valutazione delle prove. Violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, sulle regole di riparto dell’onere della prova e 2729 sull’ammissione delle presunzioni semplici ‘) e n° 5 (‘ Omesso esame di un fatto decisivo nella valutazione degli atti processuali, motivazione contraddittoria ed insufficiente ‘) cod. proc. civ., la ricorrente lamenta che la Corte avrebbe erroneamente ritenuto irrilevante sia il sopralluogo del 23 novembre 2005, nel corso del quale era stato accertato che le opere di captazione delle acque erano del tutto inattive, sia il contratto di fornitura d’acqua stipulato col gestore dell’acquedotto pubblico, così invertendo l’onere della prova, dovendosi invece ritenere onerata la PA di dimostrare l’utilizzo effettivo delle acque, tanto più che la tesi seguita in sentenza avrebbe implicato l’onere probatorio dell’utente di dimostrare non solo un fatto negativo, ma
un fatto negativo costante, ossia il mancato attingimento per tutti gli anni cui si riferivano i canoni.
7 .- Il motivo è inammissibile.
È, infatti, ben noto ( ex multis : Cass., sez. II, 23 aprile 2024, n° 10927) che la ricostruzione probatoria, anche qualora sostenuta dall’asserita violazione degli artt. 115 e 116, cod. proc. civ., non può essere contestata in sede di legittimità, poiché l’apprezzamento delle prove effettuato dal giudice del merito non è sindacabile in cassazione, neppure attraverso l’espediente dell’evocazione dell’art. 116, cod. proc. civ., giacché una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito.
Infatti, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo ” prudente apprezzamento “, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore, oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, ancora, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento.
Al contrario, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione.
Nulla di tutto ciò è avvenuto nel caso di specie, dove la ricorrente lamenta, in sostanza, che il giudice abbia tratto la conclusione cui è pervenuto a seguito di un erroneo apprezzamento dei due elementi probatori addotti dalla ricorrente a sostegno della tesi della
mancata utilizzazione del pozzo, ossia il sopralluogo del 23 novembre 2005 e il contratto stipulato col gestore della rete idrica.
Elementi probatori che sono stati, invece, adeguatamente saggiati dalla Corte territoriale e disattesi (con motivazione che sicuramente è rispettosa del minimo costituzionale), osservando che il sopralluogo era successivo al periodo temporale per il quale vennero chiesti i canoni e che il contratto col gestore non escludeva il contemporaneo utilizzo del pozzo.
Quanto, poi, alla violazione dell’art. 2697 cod. civ., essa non coglie l’intera ratio decidendi posta dal giudice di secondo grado a fondamento della decisione.
La Corte fiorentina, infatti, ha posto l’onere probatorio a carico della società utente in base alla natura dichiarativa della domanda di concessione: conclusione che nei precedenti paragrafi si è già detto essere corretta.
La ricorrente ha censurato tale tesi ma senza successo, con la conseguenza che essa ormai può definitivamente considerarsi elemento irretrattabile che giustifica la ripartizione dell’onere probatorio nel senso indicato in sentenza.
8 .- Col terzo mezzo , proposto ex art. 360 n° 3 cod. proc. civ., la ricorrente si duole della ‘ Violazione e/o errata applicazione dall’art. 2948 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c. nella valutazione degli atti processuali ‘, nonché del ‘ Travisamento dei fatti e motivazione meramente apparente ‘.
La Corte avrebbe ritenuto interrotta la prescrizione dei canoni 2001-2005 con la raccomandata del 13 dicembre 2005 inviata dalla Provincia di Prato.
In realtà COGNOME aveva sollevato, in subordine, eccezione di prescrizione nei confronti dell’Agenzia del Demanio (rimasta sempre contumace) a fronte della pretesa di pagamento dei canoni dall’11 agosto 1999 al 31 dicembre 2000, avanzata per la prima volta con lettera del 2 gennaio 2006, prot. 34518/05.
9 .- Il motivo è inammissibile.
La Fineuro col terzo motivo di appello (sentenza pagina 4 sub n° III) aveva chiesto alla Corte territoriale di dichiarare la prescrizione quinquennale dei canoni dall’11 agosto 1999 al 31 dicembre 2000 e tale domanda venne anche ribadita nelle conclusioni nelle quali l’appellante aveva chiesto di ‘ in ogni caso, accertare e dichiarare l’avvenuta prescrizione del diritto alla riscossione delle somme richieste dall’Agenzia del Demanio a titolo di canoni per derivazione e utilizzazione di acque pubbliche in riferimento al periodo 11.08.1999-31.12.2000 ‘.
La sentenza impugnata esamina, invece, l’eccezione prescrizione solo in relazione ai canoni 2001-2005 (sentenza pagina 5).
Tuttavia, l’odierna ricorrente non si duole della violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., derivante dall’omessa pronuncia sul terzo motivo di gravame, ma impugna la decisione di secondo grado come se essa avesse deciso nel merito, ossia per la sua erronea applicazione degli artt. 2948 cod. civ. e 115 e 116 cod. proc. civ.: violazioni che sono invece del tutto insussistenti, giacché, come già detto, la Corte non ha affatto pronunciato sulla prescrizione dei canoni 1999-2000.
10 .- Al rigetto del ricorso segue la condanna della Fineuro alla rifusione delle spese del presente grado, per la cui liquidazione -fatta in base al valore della lite ed al d.m. n° 55 del 2014, come modificato dal d n° 147 del 2022 -si rimanda al dispositivo che segue.
Va, inoltre, dato atto della sussistenza dei presupposti di cui all’articolo 13, comma 1 -quater , del decreto del presidente della repubblica 30 maggio 2002 n° 115, per il raddoppio del contributo unificato a carico della ricorrente, ove dovuto.
p.q.m.
la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere alla controricorrente costituita le spese del presente giudizio, che
liquida in euro 3.200,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso forfettario delle spese in ragione del 15%, oltre al cp ed all’iva, se dovuta. Dà atto della sussistenza dei presupposti di cui all’articolo 13, comma 1 -quater , del decreto del presidente della repubblica 30 maggio 2002 n° 115, per il raddoppio del contributo unificato a carico della ricorrente, ove dovuto.
Così deciso in Roma il 16 maggio 2025, nella camera di