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Canone concessorio: quando è dovuto per l’uso di acque?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 14995/2024, ha stabilito che una società è tenuta al pagamento di un canone concessorio per l’utilizzo di un corso d’acqua, anche se su di esso ha eseguito opere private. La decisione si fonda sul fatto che il corso d’acqua era stato inserito nel reticolo idrico minore del Comune con una delibera mai impugnata dalla società. Di conseguenza, la natura pubblica del bene è incontestabile e l’uso esclusivo per scarichi industriali giustifica la richiesta del canone. La Corte ha respinto il ricorso della società, confermando le decisioni dei precedenti gradi di giudizio.

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Pubblicato il 20 novembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Canone concessorio: quando è dovuto per l’uso di acque?

L’uso di un corso d’acqua per scopi industriali, anche se oggetto di interventi privati, può comportare il pagamento di un canone concessorio. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite (n. 14995/2024) ha fatto luce su un punto cruciale: la natura pubblica di un bene, una volta stabilita da un atto amministrativo non impugnato, rende legittima la richiesta di un canone per il suo utilizzo esclusivo. Analizziamo insieme questo caso per capire le implicazioni per le imprese.

I Fatti di Causa

Una società si opponeva alla richiesta di pagamento di un canone avanzata da un Comune per l’utilizzo di una roggia. L’azienda utilizzava questo corso d’acqua per lo scarico delle acque provenienti dal proprio insediamento industriale. La società sosteneva che la roggia fosse un’opera privata, realizzata a sue spese anni prima, e che quindi non rientrasse nel demanio pubblico. Per questo motivo, riteneva di non dover alcun canone e chiedeva la restituzione delle somme già versate, pari a oltre 10.000 euro.

L’ente locale, al contrario, affermava che la roggia fosse parte del “reticolo idrico minore” di sua competenza, come stabilito da una specifica delibera comunale, e che l’uso esclusivo da parte della società giustificasse pienamente la richiesta del canone.

L’iter Giudiziario e la Decisione sul canone concessorio

Sia il Tribunale regionale che il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche avevano dato ragione al Comune, respingendo le richieste della società. Quest’ultima, non soddisfatta, ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione, basandosi principalmente su due argomenti:

1. Eccesso di potere e illogicità: la società lamentava che la decisione dei giudici fosse viziata da irragionevolezza, in quanto basata su una qualificazione errata del bene come pubblico.
2. Violazione di legge: l’azienda invocava la violazione di diverse norme, tra cui quelle sul legittimo affidamento, sostenendo che l’uso pacifico e prolungato del bene senza richieste di pagamento avesse consolidato una posizione giuridica meritevole di tutela.

La Corte di Cassazione ha esaminato entrambi i motivi, giungendo a una conclusione netta.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso della società, fornendo chiarimenti fondamentali.

In primo luogo, i giudici hanno dichiarato inammissibile il primo motivo. Hanno ricordato che il ricorso in Cassazione contro le sentenze del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche ha limiti ben precisi e non consente un riesame dei fatti della causa (quaestiones facti). La società, criticando la decisione, stava in realtà cercando di ottenere una nuova valutazione del merito, attività preclusa in sede di legittimità.

In secondo luogo, la Corte ha respinto anche il secondo motivo, entrando nel cuore della questione. La chiave di volta della decisione è stata la delibera comunale del 2006, con la quale il Comune aveva formalmente inserito la roggia in questione nell’elenco dei corsi d’acqua appartenenti al reticolo idrico minore. Questo atto amministrativo, mai impugnato dalla società nei termini di legge, ha reso definitiva la qualificazione pubblica del bene.

Di conseguenza, la Corte ha stabilito che:

* La natura pubblica della roggia è un fatto giuridicamente accertato e non più contestabile.
* L’uso che la società ne faceva (scarico di acque industriali) costituisce un utilizzo speciale di un bene pubblico.
* Tale utilizzo giustifica pienamente l’imposizione di un canone concessorio.

La Corte ha inoltre precisato che l’argomento del legittimo affidamento non poteva trovare applicazione, poiché la qualificazione pubblica del bene era stata sancita da un atto formale e pubblico. Infine, è stato confermato che il calcolo del canone era stato effettuato correttamente dal Comune, in base ai parametri fissati dalla normativa regionale, senza margini di discrezionalità.

Conclusioni

Questa ordinanza offre una lezione importante per tutte le imprese che utilizzano risorse idriche: la qualificazione di un bene come pubblico, se stabilita da un atto amministrativo non contestato, diventa un presupposto invalicabile. È essenziale monitorare attentamente gli atti delle amministrazioni locali che possono incidere sui beni utilizzati per la propria attività e, se necessario, impugnarli tempestivamente nelle sedi competenti. Una volta consolidata la natura pubblica di un bene, l’obbligo di pagare un canone concessorio per il suo uso esclusivo o speciale diventa una conseguenza diretta e difficilmente contestabile, anche a fronte di opere di manutenzione o miglioramento eseguite dal privato.

È dovuto un canone concessorio per l’utilizzo di un corso d’acqua su cui un’azienda ha realizzato opere private?
Sì, il canone è dovuto se il corso d’acqua è stato classificato come bene pubblico da un atto amministrativo (come una delibera comunale) che non è stato impugnato. Le opere private realizzate non modificano la natura pubblica del bene.

Come si stabilisce se un corso d’acqua fa parte del demanio pubblico o è privato?
La sua appartenenza al demanio pubblico, in questo caso al reticolo idrico minore, viene stabilita da un atto formale dell’ente competente, come una delibera del Comune. Se tale atto non viene contestato nei termini di legge, la sua classificazione diventa definitiva.

È possibile contestare la richiesta di un canone concessorio basandosi sul principio del legittimo affidamento per un uso prolungato nel tempo senza pagamenti?
No, secondo questa ordinanza, il principio del legittimo affidamento non è sufficiente a contrastare la richiesta di un canone se la natura pubblica del bene è stata formalmente stabilita da un atto amministrativo valido ed efficace.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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