Sentenza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 2345 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 1 Num. 2345 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: RAGIONE_SOCIALE
Data pubblicazione: 24/01/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 33646/2018 R.G. proposto da:
2I RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) per procura speciale allegata al ricorso
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) per procura speciale allegata al controricorso
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di MILANO n. 1973/2018 depositata il 19/04/2018; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28/09/2023 dal AVV_NOTAIO; udita la requisitoria del P.M. in persona del AVV_NOTAIO che chiede il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. Con ricorso in data 10 gennaio 2014, il Comune di Nerviano chiedeva e otteneva l’emissione di ingiunzione (immediatamente esecutiva) contro RAGIONE_SOCIALE (ora RAGIONE_SOCIALE) per l’importo di Euro 906.201,16 (529.073,96 + 376.947,20 iva inclusa), in base a quanto previsto dall’art. 2 del contratto di affidamento del servizio di distribuzione del gas metano (originariamente stipulato, in data 25.06.2004, con la società RAGIONE_SOCIALE cui, a seguito di vari passaggi, era succeduta RAGIONE_SOCIALE s.p.a.), ai sensi del quale RAGIONE_SOCIALE (dal 2014 divenuta RAGIONE_SOCIALE), nella qualità di concessionaria del suddetto servizio, era tenuta a versare annualmente al Comune: a) un importo a titolo di quota del corrispettivo per l’ingresso nella gestione degli impianti, pari ad Euro 351.200,00 oltre rivalutazione e, quindi, Euro 431.208,16, oltre i.v.a, per un totale di Euro 529.073,96; b) un corrispettivo per l’utilizzazione della rete, nella misura di Euro 0,0155 oltre rivalutazione, per ogni metro cubo di gas immesso nella rete di distribuzione, quantificato, con riferimento all’anno 2013, in Euro 308.973,11, oltre i.v.a, per un totale di Euro 376.947,20.
Il Tribunale di Milano, con la sentenza n. 3862/2016 pubblicata in data 25 marzo 2016, accoglieva l’opposizione proposta da RAGIONE_SOCIALE, revocava il decreto ingiuntivo e condannava il Comune opposto alla rifusione delle spese lite, oltre che alla restituzione degli importi nel frattempo corrisposti al medesimo da parte di RAGIONE_SOCIALE
in forza della provvisoria esecutorietà al decreto inizialmente concessa.
Con sentenza n. 1973/2018 pubblicata il 19.04.2018 la Corte di appello di Milano ha accolto il gravame proposto dal Comune RAGIONE_SOCIALE Nerviano avverso la citata sentenza, compensando le spese di lite del doppio grado. La Corte di merito ha affermato che la norma di interpretazione autentica di cui all’art.1, comma 453, della legge n.232 del 2016, relativa all’art.14, comma 7, del d.lgs. 164 del 2000, era tesa a garantire la continuità di un servizio di interesse pubblico sottratto alla libera determinazione del mercato e la previsione della permanente gestione ordinaria del servizio senza obbligo di pagamento del canone concessorio si poneva in evidente contrasto con l’art. 81 Cost. e con il principio secondo cui le concessioni pubbliche debbono svolgersi secondo criteri di economicità. Inoltre la Corte territoriale ha ritenuto che la proroga del contratto alle condizioni originarie fosse un rischio conosciuto da RAGIONE_SOCIALE al momento in cui aveva partecipato alla gara per l’affidamento, essendo all’epoca in vigore il c.d. «decreto Letta», così da consentire alla società di tenerne conto nell’ambito delle sue scelte imprenditoriali. La Corte territoriale ha pertanto escluso, con riferimento al diritto europeo, la violazione del principio di certezza del diritto e del legittimo affidamento, come pure del diritto di libertà economica d’impresa e di proprietà; la Corte di appello, infine, ha ritenuto non fondati i profili di illegittimità costituzionale del predetto art.1, comma 453, prospettati dall’appellata con riferimento agli artt.3,41,42, 97 e 117 Cost..
Avverso la predetta sentenza 2i RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi e illustrato con memoria, resistito dal Comune di Nerviano con controricorso, pure illustrato con memoria.
La Procura AVV_NOTAIO e il controricorrente hanno concluso chiedendo il rigetto del ricorso e la ricorrente chiedendone l’accoglimento.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1 comma 453 L. 232/2016 e dell’art. 14, comma 7 D. lgs. 164/2000, nonché violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la Corte di merito, anche travisando le domande di causa ed il contenuto del contratto inter partes , sancito che tale norma di asserita interpretazione autentica avesse previsto una proroga auto -matica, incondizionata e senza limiti temporali della concessione scaduta, pervenendo anche alla conclusione della debenza per il periodo post scadenza dell’intero canone contrattualmente previsto (quale asserita alternativa alla gratuità completa della gestione), omettendo, senza alcuna motivazione, di valutare la diversa interpretazione della norma offerta da RAGIONE_SOCIALE. Nello specifico la ricorrente denuncia: a) il travisamento delle proprie domande, in violazione dell’art.112 cod. proc. civ., rilevando di aver chiesto una pronuncia di infondatezza della richiesta di pagamento del canone nella precisa misura prevista dal contratto, e non di inesistenza dell’obbligo di pagare qualunque canone nel periodo successivo alla scadenza; b) il travisamento del contenuto della concessione de qua, con particolare riferimento al tema del canone, in quanto, anche assumendo che la norma del 2016 avesse determinato una proroga sine die del canone contrattuale, non risulterebbe giustificata in alcun modo, la perpetuazione, nel periodo “post scadenza” dell’obbligo di pagamento anche della rata annuale della “quota di ingresso”, che non era legata all’utilizzazione nel tempo della rete comunale e, quindi, non può essere ritenuta un canone in senso proprio; inoltre la voce di corrispettivo espressamente collegata alla “utilizzazione della rete’ non avrebbe dovuto essere versata anche nel periodo di gestione necessitata “post scadenza” con riferimento all’importo migliorativo che il gestore aveva volontariamente offerto in gara, rispetto alle condizioni-base richieste dal Comune, per il solo decennio di durata della concessione, atteso che la gestione era
continuata per necessità e non per volontà del concessionario; c) l’erroneità dell’interpretazione della Corte territoriale nel senso della proroga automatica ed integrale ex lege del contratto, in quanto smentita proprio dal tenore testuale della norma de qua , secondo cui l’art. 14 comma 7 “si interpreta nel senso che il gestore uscente resta obbligato al pagamento del canone di concessione previsto dal contratto”, in particolare poiché, se il legislatore avesse sposato la tesi della proroga del contratto in quanto tale, non avrebbe avuto senso precisare alcunché sull’applicazione del canone contrattuale, derivando tale applicazione de plano dalla proroga del contratto, sicché, ad avviso della ricorrente, la disposizione è incompatibile con la tesi del Giudice di secondo grado della automatica e integrale proroga delle condizioni contrattuali, per necessità logica, prima ancora che giuridica; in particolare la legge impone al gestore alcuni obblighi minimi funzionali a garantire la regolare continuità del pubblico servizio e l’obbligatorietà dell’ordinaria amministrazione, non la regola della proroga automatica, integrale e generalizzata dell’intero contratto, sicché deve escludersi dal canone dovuto la quota d’ingresso una tantum ; d) l’erroneità dell’interpretazione di cui alla sentenza impugnata dell’art. 1 comma 453 L. 232/2016 anche per lesione dell’equilibrio economico-giuridico del contratto, in quanto la suddetta disposizione non può essere ragionevolmente interpretata – pena la sua illegittimità costituzionale/comunitaria nel senso di imporre alle parti di continuare automaticamente e meccanicamente ad applicare il medesimo importo del canone dovuto per l’ultimo anno di validità del contratto, prescindendo dalla valutazione globale dello specifico rapporto intercorrente tra le parti e, segnatamente, prescindendo dal sinallagma sotteso all’intera vicenda negoziale, in considerazione della significativa importanza dei rialzi offerti in gara dalla concessionaria rispetto alle condizioni di base; e) l’erronea omessa considerazione del fatto che il canone dovuto nella fase transitoria, in base ad una interpretazione
costituzionalmente e comunitariamente orientata dell’art. 1, comma 453, 1. n. 232/2016, era da determinarsi, solo al fine di rimarcare l’erroneità dell’opinamento della Corte di merito, ossia in via meramente astratta e non in concreto nel presente giudizio, dal quale esulava ogni domanda al riguardo, facendo riferimento al tenore testuale dello schema di contratto-tipo previsto dal d.m. 5.2.13 (a prescindere dalla ovvia previsione di applicabilità ai contratti successivi), come precisato dal Tribunale; in alternativa, il canone per la fase transitoria avrebbe dovuto calcolarsi escludendo la componente relativa alla quota di ingresso, e avrebbe dovuto essere limitato, in coerenza proprio con lo stesso contratto di concessione, alla voce correlata all’utilizzazione della rete comunale, depurata del rialzo offerto dalla concessionaria, in quanto non più applicabile dopo la scadenza, per le ragioni già espresse.
5. Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1 L. 1/1948, nonché violazione degli articoli 3, 41, 97, 117 Cost. e degli articoli 49, 56 e 106 del TFUE, nella parte in cui – ove denegatamente si dovesse ritenere che l’art. 1 co. 453 L. 232/2016 avesse in effetti disposto una proroga automatica, incondizionata e senza limiti temporali della concessione scaduta-, la Corte di merito ha erroneamente omesso di rimettere alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale della stessa ovvero non l’ha disapplicata per illegittimità comunitaria. Nello specifico la ricorrente deduce che: i) è ravvisabile la violazione dell’art. 3, comma 1, Cost., per avere la Corte di merito attribuito alla disposizione oggetto della norma di interpretazione autentica un significato non riconoscibile come una delle sue possibili letture, mentre deve aversi riguardo al fatto che si tratta di disciplina imperativa di contenuto minimo che impone al Concessionario scaduto – al di là della sua volontà – di garantire la sola ordinaria amministrazione, non aggiungendo alcun altro obbligo diverso ed ulteriore rispetto agli obblighi imposti dalla regolazione di
settore ad ogni distributore di gas naturale; ii) è ravvisabile, sotto altro profilo, la violazione dell’art. 3, comma 1, Cost. per avere la Corte di merito attribuito alla disposizione oggetto della norma di interpretazione autentica un significato incompatibile con il diritto comunitario, sicché è ravvisabile anche la violazione degli artt. 49, 56 e 106 del TFUE e del divieto di proroga delle concessioni di servizi, in quanto contrastante con il principio dell’affidamento delle concessioni di servizi mediante procedure concorrenziali, non essendo minimamente fondata la distinzione operata dalla Corte territoriale tra l’istituto della proroga (asseritamente lecita) e quella del rinnovo, atteso che, come da giurisprudenza amministrativa citata, il sistema non prevede infatti altra via che quella del reperimento del contraente secondo le regole dell’evidenza pubblica; iii) è ravvisabile la violazione dei principi di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento, rilevanti sia sotto il profilo comunitario sia sotto il profilo costituzionale in relazione agli artt. 3 e 41 Cost., poiché l’impresa, da operatrice accorta, quando, nel 2002, aveva formulato la sua (assai generosa) offerta di canone, era tenuta a sapere – come in effetti sapeva – di dover pagare quel canone per tutti i 10 anni di durata del contratto (dal 1.1.2003 al 31.12.2012) ed invece la fase transitoria ed eccezionale si era prolungata già per sei anni e si sarebbe ulteriormente prolungata in quanto alla data del ricorso la nuova gara non era stata ancora indetta; iv) è ravvisabile la violazione degli artt. 3, comma 1, 41, comma 1, 42, Cost., nonché la violazione degli artt. 16 e 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, in relazione all’art. 6 del Trattato sull’Unione Europea, e quella degli artt. 49, 56 e 106 del TFUE, mentre la Corte d’appello aveva confuso il tema della continuità del servizio, che effettivamente corrisponde ad una utilità sociale, con l’obbligo in capo al gestore di pagamento, sine die , del medesimo canone di cui alla concessione scaduta, di per se stesso non corrispondente ad alcun primario interesse pubblico e
certamente non rientrante neppure tra i prevedibili rischi di impresa; v) è ravvisabile la violazione dell’art. 97 comma 1 Cost. e dell’art. 3 comma 1 Cost., sotto ulteriori profili, poiché l’art. 1 comma 453 L. 232/2016 è lesivo del principio del buon andamento e dell’imparzialità della Pubblica Amministrazione, oltre che del principio di ragionevolezza di cui all’art. 3, comma 1, Cost., atteso che la concessione di cui trattasi era scaduta da quasi 6 anni, e ancora non risultava bandita la procedura per il nuovo affidamento, trattandosi di situazione anomala dal punto di vista del rispetto dei già citati principi comunitari a tutela della concorrenza, che, alla scadenza delle concessioni, ne impongono il nuovo affidamento con gara; vi) è ravvisabile la violazione dell’art. 117 comma 1 Cost. in quanto l’art. 1 comma 453 L. 232/2016 si pone in contrasto sotto vari profili con le norme ed i principi comunitari in materia, imponendo l’art. 117 comma 1 Cost. che la potestà legislativa venga esercitata “nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario”.
I motivi, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono in parte infondati e in parte inammissibili.
6.1. Circa le questioni di diritto, poste da entrambi i motivi, il punto di partenza è l’illustrazione del quadro normativo di riferimento, come ricostruito dalla sentenza della Corte costituzionale n.239 del 9.11.2021, condividendo il Collegio i principi già espressi da questa Corte nelle pronunce riguardanti controversie analoghe (cfr. Cass. 14531/2023; Cass. 21921/2023; Cass.24240/2023; Cass. 22260/2023). La Consulta, con la citata sentenza n.239 del 9.11.2021, intervenuta nelle more del presente giudizio, ossia dopo la proposizione del ricorso in esame, ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale, che era stata proposta, al pari di quella prospettata dalla parte ricorrente, senza considerare gli strumenti di tutela che l’ordinamento appresta in favore del concessionario nel caso di specie. La pretesa di negare allo ius
superveniens valore di norma di interpretazione autentica (primo motivo di ricorso) è smentita dalla condivisibile ricostruzione del quadro normativo effettuata dalla citata pronuncia della Corte costituzionale, da intendersi per brevità integralmente richiamata, né, invero e in ogni caso, come di seguito più diffusamente si dirà, la ricorrente deduce di avere proposto domanda subordinata di rideterminazione del canone, fondata sull’applicazione dell’art. 165 del c.d. codice dei contratti pubblici (ovvero sullo strumento idoneo a consentire una rinegoziazione del contratto di affidamento del servizio).
6.2. La Corte Costituzionale ha, innanzitutto, rilevato che la disposizione interpretativa di cui alla legge n. 232 del 2016, art. 1, comma 453, in tal senso, si è allineata al parere dell’Autorità indipendente, pur riconoscendo che dalla descritta ricostruzione normativa emergesse senz’altro un’anomalia nell’effettuazione delle gare per l’affidamento del servizio di distribuzione del gas, con un percorso di riforma ancora non attuato a più di quindici anni dalla sua entrata in vigore e a dieci dall’adozione dei provvedimenti attuativi. Operata tale premessa, la Corte ha proceduto allo scrutinio di costituzionalità del predetto art. 1, comma 453, della legge n. 232 del 2016, limitato secondo consolidata giurisprudenza alle sole questioni oggetto dell’ordinanza di rimessione, che ipotizzava unicamente violazione dei limiti costituzionali alla retroattività della legge, oltre che del principio di buon andamento dell’amministrazione (pure oggetto del secondo motivo del ricorso in scrutinio). Sono, dunque, rimaste estranee al perimetro della decisione della Corte le censure (sollevate anche nel presente giudizio) di contrasto della disposizione impugnata con le norme poste a tutela della libertà d’impresa dal Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea oltre che dagli artt. 41 e 42 Cost., nonché di lesione dei principi di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento,
garantiti, sia dal diritto europeo – in particolare in virtù dell’art. 6 del Trattato sull’Unione Europea – sia dagli artt. 3 e 41 Cost.. In particolare la Corte Costituzionale, sia pur al fine di motivare la dichiarazione di inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 453, della legge 11 dicembre 2016, n. 232, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, non ha escluso che la proroga ex lege , risultante dal combinato disposto dell’art. 1, comma 453, della legge n. 232 del 2016 e dell’art. 14, comma 7, del d.lgs. n. 264 del 2000, ricorrendo determinate circostanze, potesse effettivamente determinare un irragionevole squilibrio delle prestazioni contrattuali, ma ha constatato che « per ovviare a tali possibili conseguenze negative l’ordinamento prevede appositi strumenti, generali e specifici ». La Consulta, a tale proposito, si è riferita ai « poteri sostitutivi, già previsti dal D. Lgs. n. 164 del 2000, art. 14, comma 7, e successivamente riformulati dal D.L. n. 159 del 2007, art. 46-bis », nonché ai « rimedi del D. Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, ex artt. 30 e 31 », da utilizzare avverso il silenzio e l’inerzia della pubblica amministrazione e suscettibili di portare anche a una condanna della stessa e al risarcimento del danno patito dal concessionario, non escludendo che sia proprio in tale sede che debba trovare tutela la pretesa del concessionario.
La Corte costituzionale ha inoltre osservato: (a) che le concessioni per la distribuzione del gas rientrano tra le concessioni di servizi, definite dal d.lgs. 18.4.2016, n. 50, art. 3, comma 1, lett. vv), (Codice dei contratti pubblici) come contratti pubblici aventi ad oggetto la fornitura e la gestione di servizi diversi dall’esecuzione di lavori, disciplinate nello specifico ai successivi artt. da 164 a 178; (b) che in base all’art. 165, comma 1, cod. contratti pubblici, pur trasferendosi in capo al concessionario il rischio operativo, deve pur sempre essere salvaguardato l’equilibrio economico-finanziario nel rapporto regolato dalla concessione (ossia la contemporanea
presenza delle condizioni di convenienza economica e sostenibilità finanziaria); (c) che a tal fine, il comma 6 del citato art.165 prevede che il verificarsi di fatti non riconducibili al concessionario incidenti sull’equilibrio del piano economico finanziario può comportare la sua revisione da attuare mediante la rideterminazione delle condizioni di equilibrio; (d) che la revisione deve consentire la permanenza dei rischi trasferiti in capo all’operatore economico e delle condizioni di equilibrio economico finanziario relative al contratto; (e) che in caso di mancato accordo sul riequilibrio del piano economico finanziario, le parti possono recedere dal contratto. Di conseguenza, la proroga del rapporto limitatamente all’ordinaria amministrazione, ivi compresa l’obbligazione di pagamento del canone concessorio previsto dal contratto, non esclude la possibilità per le parti di ottenere una revisione degli obblighi contrattuali, compatibilmente con il vincolo per le stesse parti di non poter recedere dal rapporto sino al nuovo affidamento, che resterebbe fermo in forza della previsione di legge speciale di cui al d.lgs. n. 164 del 2000, art. 14, comma 7, avuto riguardo alla possibilità di qualificare i ritardi nell’avvio delle gare quali fatti non riconducibili al concessionario che incidono sull’equilibrio del piano economico finanziario di cui all’art. 165, comma 6, cod. contratti pubblici.
6.3. In altri termini e in definitiva, si può giungere alla conclusione, sulla traccia delle considerazioni espresse dal Giudice delle leggi, che l’ordinamento non solo contempla già un rimedio per consentire, alle parti del contratto di affidamento del servizio di distribuzione del gas, di rinegoziarne le condizioni, assicurando persino la possibilità di recedere dal contratto, ove tale rinegoziazione non vada a buon fine, ma riconosce pure al concessionario del servizio, che non intenda perseguire tale via, strumenti tanto per reagire all’inerzia dell’amministrazione nel provvedere all’indizione delle gare (o all’esercizio dei poteri sostitutivi), quanto per neutralizzare- sotto forma di risarcimento del danno derivante tale inerzia – l’eventuale
minore redditività, o addirittura la perdita, conseguente alla ‘sclerotizzazione’ del rapporto contrattuale. Si può così escludere che la scelta del legislatore- interprete del 2016 di confermare la necessità del pagamento del canone di concessione anche nel corso della proroga del rapporto presenti una portata confiscatoria delle disponibilità economiche di ogni bene/valore che rientra nella proprietà di un soggetto, alla luce del diritto euro-unitario e ai sensi degli artt. 41 e 42 Cost..
6.4. Appare, inoltre, rilevante nella prospettiva di escludere che la normativa in esame finisca, in spregio al diritto dell’Unione Europea, con l’incoraggiare un assetto anticoncorrenziale del mercato della distribuzione del gas, la previsione sia di poteri sostitutivi, rispetto a quelli demandati ai Comuni, sia di misure per contrastare l’inerzia dei soggetti pubblici e, soprattutto, per farne valere la responsabilità risarcitoria. La tesi che la perdurante percezione del canone, corrisposto dal concessionario uscente al Comune, finirebbe con il disincentivare l’interesse dello stesso a procedere ad una nuova aggiudicazione, si scontra con la possibilità per l’Ente pubblico di essere chiamato in futuro a rispondere – sul piano risarcitorio – della propria inerzia che vale, quantomeno, a controbilanciare la tentazione di prorogare sine die e a propria discrezione il rapporto già esistente.
6.5. Quanto affermato dalla Corte Costituzionale, nel senso di attribuire rilievo agli strumenti di tutela che competono al concessionario esposto alla protrazione del servizio e all’obbligazione di pagamento del canone, possiede una innegabile valenza estensiva e consente di fugare i dubbi relativi a tutti i profili di illegittimità costituzionale, inclusi quelli rimasti estranei allo scrutinio dell’ordinanza della Consulta n.239/2021 (tutela del legittimo affidamento, della certezza del diritto, della libertà d’impresa e del diritto di proprietà) e di contrarietà all’ordinamento dell’Unione Europea della legge n. 232 del 2016, art. 1, comma 453, oggetto del
secondo motivo di ricorso. In particolare, l’esistenza degli strumenti di tutela sopra ricordati consente di prevenire il rischio di una rilevante discriminazione di trattamento fra le imprese, come pure il timore di una lesione del valore di certezza del diritto e del principio di legittimo affidamento, in qualche misura governabili e correggibili d’impulso dell’impresa interessata.
Del pari, il ricorso ai citati strumenti esclude il pericolo di attitudine confiscatoria delle disponibilità economiche di un soggetto agitato della parte ricorrente. Va pertanto ribadito che l’esistenza degli strumenti di tutela di cui sopra scongiura i rischi di illegittimità costituzionale della disciplina censurata non solo con riferimento ai profili già scrutinati dalla Consulta ma anche con riferimento a quelli allora non denunciati (libertà d’impresa, certezza del diritto, legittimo affidamento), per cui valgono le stesse considerazioni.
Non appaiono, infine, convincenti le considerazioni esposte dalla società ricorrente nella sua memoria per negare l’efficacia degli strumenti e quindi dei rimedi indicati dalla Corte Costituzionale. E ciò non solo per l’evidente contrasto di tali considerazioni con le valutazioni giuridiche espresse dal Giudice delle leggi, ma anche per il loro fondamento su assunti generici. Non convincente è pure l’assunto della ricorrente, ricavato in modo non inequivoco da un passaggio della sentenza della Corte Costituzionale, circa la non esperibilità del recesso in caso di ingiustificato rifiuto di revisione della concessione da parte d ell’Ente locale, che scaturirebbe dal vincolo di non poter recedere dal rapporto sino al nuovo affidamento, che resterebbe fermo in forza della previsione di legge speciale di cui all’art. 14, comma 7, del d.lgs. n. 164 del 2000; tesi questa, per vero, che non coordina il vincolo con l’ art.165, comma 6, d.lgs.50 del 2016. In ogni caso la Corte Costituzionale ha affermato chiaramente che ove sia dimostrato dal concessionario un sopravvenuto squilibrio contrattuale, sarebbe legittima una richiesta di revisione dello stesso piano, che, in caso di mancata o negativa
risposta dell’amministrazione, potrebbe anche essere fatta valere nelle competenti sedi giurisdizionali, sicché, ai fini che qui interessano, è sufficiente, in modo dirimente per quanto si è detto, l’esistenza di un rimedio efficace nel sistema, e in tale ottica non rileva quale esso sia (recesso o intervento correttivo del giudice competente).
Sono inammissibili le censure con cui la ricorrente denuncia la violazione dell’art.112 cod. proc. civ., il ‘travisamento’ della sua domanda e l’errata individuazione del canone dovuto in denegata ipotesi di proroga ex lege del rapporto.
7.1. La ricorrente deduce che il canone del contratto di concessione in esame sarebbe costituito, come da offerta di gara della concessionaria oltremodo generosa perché di gran lunga superiore (quasi cinque volte) al corrispettivo di base d’asta, da una quota di ingresso, che la ricorrente definisce una tantum e di importo fisso, e da una quota variabile correlata all’utilizzazione della rete, sicché la cd. quota di ingresso non potrebbe considerarsi un vero e proprio corrispettivo e dovrebbe essere esclusa dal canone dovuto nella fase di proroga ex lege (primo motivo) . La ricorrente assume, inoltre, di non avere sostenuto che non fosse dovuto alcun canone, in denegata ipotesi di proroga, ma solo che non fosse dovuto il canone contrattuale monitoriamente preteso dal Comune (pag.13 del ricorso), nonché deduce che, come precisato nella sentenza del Tribunale, esulava dal giudizio la determinazione del diverso corrispettivo correttamente dovuto al Comune (pag. 14 del ricorso) e che, al più, la corretta individuazione del canone dovuto nella fase transitoria , da effettuarsi ‘
sarebbe dovuta avvenire in base alla disciplina dettata dal contratto-tipo per la fase transitoria successiva alla scadenza contrattuale, ex D.M. 5-2-2013, benché non in vigore al momento in cui era stata bandita la gara di cui trattasi (2002), in
quanto parte integrante e necessaria della disciplina di tutte le concessioni affidate nella vigenza del d.lgs.n.164/2000.
7.2. Delle suddette questioni, che involgono anche questioni di fatto e interpretative del contratto di servizio, non vi è menzione alcuna nella sentenza impugnata e la ricorrente non indica compiutamente e precisamente se, come e quando le abbia specificamente dedotte nei giudizi di merito, difettando così la doglianza di autosufficienza. Ciò anche a fronte del rilievo del Comune (pag.12 controricorso) secondo cui le questioni, in quanto presupponenti una domanda della concessionaria di riduzione del canone eventualmente dovuto nel periodo di proroga, non erano state introdotte nei giudizi di merito, ma solo nel giudizio di cassazione. Al riguardo, nella memoria illustrativa, la ricorrente si limita ad affermare di non aver sostenuto che non fosse dovuto alcun corrispettivo, ma non adduce di aver quantomeno allegato, seppure solo ‘in via astratta’, che in ogni caso fosse dovuto un canone inferiore, nonché afferma che il Comune, attore in senso sostanziale, aveva ritenuto di non fare accertare la debenza di un diverso corrispettivo e che, dunque, la questione ‘ esula dal presente giudizio ‘ (pag. 4 memoria della ricorrente).
Tali argomentazioni, in disparte il rilievo già evidenziato della novità, si palesano contraddittorie, posto che, invece, al contempo la ricorrente assume l’eventuale debenza di un canone diverso e inferiore (solo quota variabile o da determinarsi in base al contratto tipo ex D.M. 5-2-2013) e lamenta il vizio di omessa pronuncia ex art.112 cod. proc. civ. su di una pretesa mai introdotta, a dire della stessa ricorrente, nei giudizi di merito.
Sotto ulteriore profilo e per quanto occorra, si osserva che la ricorrente sostiene anche che la quota d’ingresso fosse stata pattuita una tantum, ma non precisa perché sia tale e neppure precisa che fosse di durata temporale limitata, anzi, invero, riconosce che l’importo fisso offerto a tale titolo fosse stato corrisposto durante tutto il corso di durata del rapporto.
8. In conclusione, il ricorso deve essere complessivamente rigettato. Sussistono tuttavia giusti motivi per la compensazione delle spese del giudizio di cassazione, tenuto conto della peculiarità delle questioni controverse e del fatto che la sentenza Corte Cost. n. 239/2021 è intervenuta dopo la proposizione del ricorso.
Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di una somma a titolo di contributo unificato pari a quella versata per il ricorso, se dovuta.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e dichiara compensate tra le parti le spese processuali.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P .R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale/ricorso incidentale, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, il 28 settembre 2023 nella camera di consiglio