Ordinanza di Cassazione Civile Sez. U Num. 4383 Anno 2024
Civile Ord. Sez. U Num. 4383 Anno 2024
Presidente: COGNOME PASQUALE
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 19/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso 27502-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE (Già RAGIONE_SOCIALE), in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Presidente pro tempore , elettivamente domiciliata in ROMAINDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME ed NOME COGNOME;
– controricorrente –
contro
PROVINCIA DI BRESCIA;
Oggetto
TSAP
COGNOMENZIOSO
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 05/12/2023
CC
– intimata –
avverso la sentenza non definitiva n. 25/2021 depositata il 04/02/2021 e la sentenza definitiva n. 162/2022 depositata il 02/08/2022, entrambe del TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE PUBBLICHE.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/12/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La società RAGIONE_SOCIALE ( già RAGIONE_SOCIALE) impugna la sentenza parziale n. 25 del 4 febbraio 2021 e la pronuncia definitiva n. 162 del 2 agosto 2022, con le quali il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche ha respinto il ricorso, proposto nei confronti della Regione Lombardia e della Provincia di Brescia , volto ad ottenere l’annullamento degli atti deliberativi adottati dalla Giunta Regionale e dal dirigente della RAGIONE_SOCIALE, aventi ad oggetto la quantificazione del canone aggiuntivo, previsto dall’art. 53 b is, comma 5, della l.r. Lombardia 12 dicembre 2012 n. 26, preteso dalla Regione Lombardia in relazione alla prosecuzione temporanea della concessione di grande derivazione ad uso idroelettrico inerente all’impianto di Resio, co ncessione scaduta il 21 febbraio 2003 e poi più volte prorogata.
La società aveva domandato l’annullamento degli atti analiticamente indicati nelle sentenze impugnate, da un lato, facendo leva sull’eccepita illegittimità costituzionale del citato art. 53 bis che, nel prevedere la corresponsione del canone aggiuntivo, avrebbe violato gli artt. 117, 23, 119 e 3 Cost.; dall’altro eccependo l’erroneità e l’incongruenza, sul piano metodologico, tecnico ed economico, della quantificazione provvisoria, operata sulla base del documento di «analisi scenari di impatto» elaborato da RAGIONE_SOCIALE.
Il TSAP con la sentenza non definitiva n. 25 del 2021, respinta l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dalla Regione Lombardia, ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità
costituzionale del citato art. 53 bis ed ha richiamato al riguardo le sentenze di queste Sezioni Unite n. 8036/2018 e n. 15990/2020.
Ha ritenuto priva di fondamento la pretesa della società ricorrente al mantenimento delle stesse condizioni economiche stabilite per il periodo antecedente alla scadenza della concessione ed ha rilevato che il canone aggiuntivo compensa la non prevista pro secuzione nell’esercizio della concessione medesima e costituisce una misura indennitaria e di riequilibrio rispetto al vantaggio consistente nell’utilizzo, oltre che delle risorse naturali, anche degli impianti di derivazione, ormai ammortizzati.
Infine, quanto ai rilievi inerenti alla manifesta sproporzione ed alla erroneità dei criteri di calcolo, il Tribunale ha rilevato che in altri giudizi aventi il medesimo oggetto, rubricati ai nn. 300 e 301 R.G. 2016, era stata disposta una verificazione tecnico economica diretta ad accertare l’attendibilità della metodologia e dei criteri osservati dall’amministrazione regionale ai fini della quantificazione del canone aggiuntivo. Ha ritenuto opportuno attendere l’esito della verificazione già in corso, del la quale ha disposto l’acquisizione a cura della Cancelleria, rinviando a udienza fissa per l’ulteriore trattazione e sollecitando il contraddittorio sull’incidenza della l.r. Lombardia n. 5/2020 nella parte in cui prevede all’art. 23, comma 2, che sono confermate le modalità e le condizioni per la quantificazione dei corrispettivi aggiuntivi e gli altri eventuali oneri conseguenti stabiliti a carico del concessionario uscente dall’art. 53 bis della l.r. n. 26/2003.
2.1. La sentenza definitiva n. 162 del 2022, dopo aver richiamato le conclusioni dei verificatori e la motivazione della sentenza parziale, ha premesso che l’unico limite alla determinazione della misura del canone aggiuntivo va individuato nel rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale di onerosità della concessione e di proporzionalità all’effettiva entità dello sfruttamento delle risorse pubbliche che la concessione comporta ed all’utilità economica che il concessionario ne ricava.
Ha aggiunto che dalla ricognizione del quadro normativo in materia emerge che plurime disposizioni di legge, sia pure non applicabili alla controversia, prevedono a carico del concessionario di grande derivazione scaduta l’obbligo di versare un canone aggi untivo determinato in un
importo non inferiore a quello previsto dalla delibera impugnata. Ha ricordato, sempre in premessa, che il giudice di merito, così come non ha alcun obbligo di ricorrere al consulente tecnico d’ufficio, ne può motivatamente disattendere le conclusioni esaminando direttamente la documentazione su cui si basa la relazione.
Il Tribunale ha, quindi, evidenziato l’ontologica diversità fra la misura definitiva del canone aggiuntivo, per la quale la delibera regionale ha fissato il limite del 20% della rendita conseguita dal concessionario uscente nel periodo di esercizio dell’im pianto eccedente la concessione, ed il canone provvisorio, ancorato per tutti gli ex concessionari alla potenza nominale media annua, a prescindere da qualsiasi riferimento alle caratteristiche ed alla redditività degli impianti stessi. Ha rilevato che il parametro della potenza nominale media annua, ritenuto idoneo ed appropriato anche dalla Corte Costituzionale, si fonda su dati oggettivi e storici di produzione e di ricavi, lì dove la redditività concreta dei diversi impianti è collegata anche a scelte soggettive degli imprenditori, i quali possono variare la produzione adattandola ai consumi e ai mercati elettrici. Ha aggiunto che sotto il profilo della proporzionalità e della ragionevolezza risulta assai modesta l’incidenza del canone aggiuntivo provvis orio sui ricavi, considerata l’elevata redditività della gestione in regime di prosecuzione temporanea effettuata avvalendosi di impianti già del tutto ammortizzati. Ha evidenziato, altresì, che l’analisi condotta da RAGIONE_SOCIALE, fatta propria dalla Giunta regionale, si fonda su presupposti e dati (l’ipotizzato funzionamento degli impianti per il 100% del tempo disponibile ed il prezzo medio zonale di vendita pari a 60 €/kw) non inattendibili e tali da giustificare la proposta, poi recepita, del canone aggiuntivo provvisorio unico per tutti gli impianti di importo tutt’altro che eccessivo.
Quanto alle diverse conclusioni alle quali è pervenuta la verificazione, il Tribunale ha rilevato che nella sostanza il verificatore ha ravvisato l’errore metodologico nel non avere considerato, anche ai fini della quantificazione del canone aggiuntivo provvisorio, le caratteristiche specifiche e la redditività dei singoli impianti.
Ha, però, ritenuto non irragionevole ed arbitraria la scelta di valorizzare il solo dato oggettivo, in ragione della provvisorietà della determinazione e della previsione del successivo meccanismo di conguaglio al momento del prelievo definitivo.
Per la cassazione delle sentenze ha proposto ricorso la RAGIONE_SOCIALE sulla base di quattro motivi, ai quali la Regione Lombardia ha opposto difese con controricorso.
Con istanza del 13 novembre 2023 i difensori della società ricorrente hanno sollecitato la trattazione del ricorso in udienza pubblica ex art. 375 cod. proc. civ., in ragione dell’oggetto del contendere, tale da coinvolgere una pluralità di soggetti nonché interessi di carattere generale, e della novità delle questioni giuridiche trattate.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1. Il ricorso della RAGIONE_SOCIALE, con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 nn. 4 e 5 cod. proc. civ., denuncia «violazione e falsa applicazione artt. 111 Cost. e 132, comma 2, n. 4 c.p.c. – irriducibile contraddittorietà fra affermazioni inconciliabili -motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile – illogicità manifesta».
La ricorrente sostiene, in sintesi, che la sentenza definitiva si pone in assoluta contraddittorietà con le statuizioni della pronuncia parziale e stravolge il significato degli atti di causa ed anche del quesito rivolto al verificatore, al quale era stato espressamente richiesto di accertare l’attendibilità delle operazioni tecnico valutative compiute dalla società regionale e fatte proprie dall’amministrazione, non già di limitare l’accertamento alla sproporzione del canone aggiuntivo.
Rileva che il verificatore si era espresso nel senso della inattendibilità del metodo di calcolo, in quanto non riferito al singolo impianto, e addebita alla sentenza definitiva di avere, nella sostanza, affermato l’inutilità della verificazione, muovendo da una lettura degli atti di causa falsata e, comunque, non coincidente con quella desumibile dalla pronuncia parziale.
1.2. Con il secondo motivo, è denunciata, ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ., «illogica, immotivata e contraddittoria valutazione delle risultanze della verificazione; motivazione apparente».
Si addebita alla sentenza definitiva di avere concluso per l ‘ attendibilità delle valutazioni compiute dalla Regione Lombardia ai fini della fissazione del canone aggiuntivo provvisorio unico, sebbene il rapporto redatto da RAGIONE_SOCIALE fosse stato specificamente censurato perché basato su dati non dimostrati e non rispondenti alle condizioni attuali del mercato dell’energia. Ribadis ce la società ricorrente che quel rapporto era stato ritenuto inattendibile dal verificatore e sottolinea che l’insufficienza dell’unico parametro era sostanzialmente già stata esclusa dalla sentenza non definitiva. Deduce che, secondo la giurisprudenza amministrativa, le conclusioni di carattere tecnico cui perviene il verificatore possono essere disattese, ma solo in ipotesi di evidenti e macroscopici vizi di illogicità, contraddittorietà e irragionevolezza, non sussistenti nella fattispecie. Richiama, infine, le molteplici ragioni per le quali il verificatore aveva ritenuto inattendibile il metodo di calcolo utilizzato e deduce che il Tribunale avrebbe dovuto specificamente motivare su ciascun rilievo.
1.3. La sentenza definitiva è censurata anche con la terza critica, ricondotta al vizio di cui all’art. 360 n. 1 cod. proc. civ. in combinato disposto con l’art. 111, comma 8, Cost., che denuncia la violazione dell’art. 143 del R.D. n. 1775/1933 e addebita al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche di avere violato i limiti propri della giurisdizione di legittimità nell’esprimere valutazioni che, non solo non considerano l’attività svolta dal verificatore e le allegazioni delle parti, ma attengono al merito dell’attività amministrativa.
1.4. Infine con il quarto motivo è denunciata «violazione dei principi di incentivazione delle fonti energetiche rinnovabili e di stabilità dei regimi di sostegno sanciti dalle direttive 2001/77/CE, 2009/28/CE, 2018/2001/UE e delle relative norme statali di recepimento; violazione del principio di legittimo affidamento; violazione dell’art. 117 Cost.».
La ricorrente sostiene che la previsione del canone aggiunto violerebbe le direttive europee richiamate in rubrica, che vincolano gli Stati membri ad affidare all’iniziativa economica privata lo sviluppo della produzione di
energia da fonti rinnovabili in un contesto di mercato e impongono di mantenere immutate le condizioni del sostegno concesso ai progetti relativi alla produzione di energia in quanto, come osservato dalla Commissione europea, le modifiche improvvise sono dannose e pregiudicano le strategie di investimento.
La previsione di onerosi canoni aggiuntivi a carico dei concessionari uscenti rappresenta un disincentivo all’investimento e mina la stabilità del sistema mettendo in pericolo la propensione del mercato ad investire nel settore delle fonti rinnovabili.
Preliminarmente rileva il Collegio che deve essere disattesa l’istanza di rinvio a nuovo ruolo e di fissazione dell’udienza pubblica ex art. 375 cod. proc. civ..
All’esito della riformulazione dell’art. 375 cod. proc. civ., operata dal d.lgs. n. 149/2022, la Corte di Cassazione, anche a Sezioni Unite, pronuncia in pubblica udienza unicamente nei casi di ricorso per revocazione ex art. 391 quater cod. proc. civ. e di particolare rilevanza della questione di diritto, mentre delibera con ordinanza resa all’esito della camera di consiglio ex art. 380 bis 1 cod. proc. civ., «in ogni altro caso in cui non pronuncia in pubblica udienza» ( art. 375, comma 2, n. 4 quater).
La disposizione delinea un rapporto regola/eccezione secondo cui i ricorsi sono «normalmente» destinati ad essere definiti nel rispetto delle forme previste dall’art. 380 bis 1 cod proc. civ., ossia all’esito di adunanza camerale, salvo che non ricorrano le condizioni indicate nel primo comma dello stesso art. 375 cod. proc. civ., la cui applicabilità, quanto all’ipotesi riferibile all’esercizio del potere nomofilattico, richiede che la questione di diritto sulla quale la Corte è chiamata a pronunciare si presenti di particolare rilevanza, che va esclusa, non solo nell’ipotesi in cui la questione medesima non sia nuova, perché già risolta dalla Corte, ma anche qualora il principio di diritto che la Corte è chiamata ad enunciare sia solo apparentemente connotato da novità, perché conseguenza della mera estensione di principi già affermati, sia pure in relazione a fattispecie concrete connotate da diversità rispetto a quelle già vagliate.
Quest’ultima evenienza è quella che ricorre nel caso di specie, giacché, se è vero che sulla questione della legittimità della delibera regionale che
viene in rilievo questa Corte non si è ancora pronunciata, quanto alla misura del canone provvisorio richiesto, le censure prospettano errores in iudicando e in procedendo in relazione ai quali la pronuncia da rendere non presenta i requisiti richiesti dal richiamato comma 1 dell’art. 375 cod. proc. civ.
3. Nello storico di lite si è evidenziato che il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, con la sentenza non definitiva n. 25 del 2021, ha innanzitutto ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 53 della l.r. Lombardia n. 26 del 2003, nella parte in cui, nel prevedere la prosecuzione temporanea da parte dei concessionari uscenti delle concessioni scadute o in scadenza, la subordina, oltre che al rispetto delle condizioni tecniche ed economiche stabilite dalla Giunta Regionale, al pagamento di «un canone aggiuntivo rispetto ai canoni e sovracanoni e alla cessione gratuita di energia già stabiliti».
Si tratta di conclusioni che queste Sezioni Unite hanno già condiviso, evidenziando che il canone aggiuntivo si pone in relazione funzionale e corrispettiva con la protrazione dell’esercizio della grande derivazione idrica e pertanto, da un lato, è privo dei tratti caratteristici e fondamentali dell’imposta, soggetta alla riserva di legge di cui all’art. 23 Cost., dall’altro la sua previsione costituisce legittima manifestazione della potestà legislativa regionale, in quanto inerente alla materia, non già della concorrenza, bensì della produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, rientrante nella legislazione concorrente ex art.117, comma 3, Cost. ( si rimanda a Cass. S.U. 14 gennaio 2022 n. 1043; Cass. S.U. 27 luglio 2020 n. 15990; Cass. S.U. 30 marzo 2018 n. 8036).
La legittimità dell’imposizione del canone aggiuntivo da parte del legislatore regionale è stata riconosciuta anche dalla più recente legislazione statale (si rimanda a Corte Cost. 16 maggio 2019 n. 119 che in tal senso interpreta, al punto 3.2., il comma 1 septies dell’art. 12 del d.lgs. n. 79 del 1999, inserito dall’articolo 11-quater, comma 1, lettera a), del d.l. 14 dicembre 2018, n. 135, convertito, con modificazioni, dalla l. 11 febbraio 2019, n. 12) e non può essere messa in dubbio invocando le fonti sovranazionali sulle quali la società ricorrente fa leva con il quarto
motivo, perché quei principi non possono essere estesi agli ex concessionari che, scaduta la concessione e in attesa del completamento delle procedure di nuova assegnazione , continuano a trarre un’utilità dall’impianto che avrebbero dovuto dismettere . Queste Sezioni Unite, infatti, hanno già rimarcato che il canone aggiuntivo è «correlato al beneficio aggiuntivo ottenuto dal concessionario uscente tramite la prosecuzione, anche se temporanea, della gestione della derivazione mediante l’impiego protratto di risorse naturali ed impianti già del tutto ammortizzati».
Il quarto motivo, pertanto, non merita accoglimento.
4. Parimenti infondati sono i primi tre motivi di ricorso che, in ragione della loro connessione logica e giuridica, possono essere trattati unitariamente. E’ stato già affermato , ed il principio deve essere qui ribadito, che «l’ambito del sindacato del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, qualora sia chiamato a pronunciarsi in unico grado sulla legittimità dei provvedimenti amministrativi impugnati, è limitato all’accertamento dei vizi possibili dello svolgimento della funzione pubblica, compresi quelli denotati dalle figure sintomatiche dell’eccesso di potere; esso attiene, quindi, alla verifica della ragionevolezza e proporzionalità della scelta rispetto al fine e non si estende alle ragioni di merito, dovendosi arrestare dinanzi non solo alle ipotesi di scelte equivalenti ma anche a quelle meno attendibili, purché congruenti con il fine da raggiungere e con le esigenze da governare» ( Cass. S.U. 20 gennaio 2023 n. 1885 e negli stessi termini Cass. S.U. 20 aprile 2021 n. 11291 e Cass. S.U. 1° febbraio 2023 n. 3077). Dal richiamato principio non si è discostata la sentenza n. 163 del 2022 qui impugnata, perché tutte le considerazioni che si leggono nella motivazione sulla congruità e sulla ragionevolezza del parametro oggettivo utilizzato dall’amministrazione, lungi da l costituire uno sconfinamento nel merito dell’azione amministrativa, sono appunto finalizzate alla verifica della legittimità dell’atto impugnato, del quale il Tribunale ha escluso l’arbitrarietà e l’irragionevolezza, valorizzando innanzitutto la natura provvisoria del canone, come tale non governato dai medesimi principi ai quali l’amministrazione deve attenersi nella quantificazione definitiva, nonché i plurimi dati emergenti dagli atti, tutti convergenti nel senso di
far ritenere congrua, proporzionata e ragionevole la misura unitaria indicata.
Il Tribunale ha dato atto che sarebbe stato possibile per la Regione differenziare ab initio il canone aggiuntivo, tenendo conto della diversa tipologia degli impianti e della redditività di ciascuno di essi, ma ha anche aggiunto che detta possibilità non poteva da sola valere a rendere illegittima la delibera adottata, una volta esclusa l’irragionevolezza del criterio prescelto, sicché, così ragionando, non ha fatto altro che applicare il principio di diritto richiamato in premessa, che non consente al giudice di ritenere illegittimo l’operato della pubblica amministrazione solo perché la tutela dell’interesse pubblico poteva essere perseguita anche optando per una scelta diversa e, in ipotesi, più congruente.
E’ consolidato l’orientamento secondo cui l’eccesso di potere giurisdizionale sotto il profilo dello sconfinamento nella sfera del merito è configurabile soltanto quando l’indagine svolta dal Giudice amministrativo ecceda i limiti del riscontro di legittimità del provvedimento impugnato, dimostrandosi strumentale ad una diretta e concreta valutazione della opportunità e convenienza dell’atto, ovvero quando la decisione finale, pur nel rispetto della formula dell’annullamento, evidenzi l’intento dell’organo giudicante di sostituire la propria volontà a quella dell’Amministrazione, mediante una pronuncia che, in quanto espressiva di un sindacato di merito ed avente il contenuto sostanziale e l’esecutorietà propria del provvedimento sostituito, non lasci spazio ad ulteriori provvedimenti dell’autorità amministrativa (cfr. tra le più recenti, Cass., Sez. Un. 4/02/2021 n. 2604; 24/05/2019 n. 14264; 26/11/ 2018 n. 30526; 2/02/2018 n. 2582). E’ quanto accade nelle ipotesi in cui il Giudice amministrativo invade arbitrariamente il campo dell’attività riservata alla Pubblica Amministrazione attraverso l’esercizio di poteri di cognizione e di decisione non previsti dalla legge, cioè compiendo atti di valutazione della mera opportunità dell’atto impugnato, oppure sostituendo propri criteri di valutazione a quelli discrezionali dell’Amministrazione, o ancora adottando decisioni finali c.d. autoesecutive, ovverosia interamente sostitutive delle determinazioni dell’Amministrazione, con conseguente trapasso da una
giurisdizione di legittimità a quella di merito (cfr. Cass., Sez. Un., 9/11/2011, n. 23302; 15/03/1999, n. 137).
E’ stato precisato al riguardo che «l’ambito del controllo di legittimità del giudice amministrativo esige la pienezza del sindacato non solo sul fatto sottostante il provvedimento devoluto al suo esame, ma pure sulle valutazioni, anche e soprattutto di ordine tecnico, operate dall’amministrazione, col solo ovvio limite del divieto di sostituzione diretta di una propria scelta a quella dell’autorità amministrativa» ( Cass. Sez. U. 9/3/2020 n. 6691).
Nella fattispecie non si è verificata alcuna indebita sostituzione del TSAP all’autorità amministrativa, esclusa alla radice dal rigetto della domanda di annullamento dell’atto da quest’ultima adottato, e l’indagine che il Tribunale ha condotto, sulle valutazioni di ordine tecnico effettuate dall’ente, è stato, lo si ripete, finalizzato a valutare la sussistenza dei vizi denunciati, nel rispetto dei limiti posti alla giurisdizione di legittimità.
4.1. Né vizia la sentenza impugnata il solo rilievo che a diverse conclusioni era giunto il verificatore, quanto alla congruità del parametro utilizzato.
Nel processo amministrativo la verificazione di cui all’art. 66 cod. proc. amm. è diretta a far emergere «la realtà oggettiva delle cose, e si risolve essenzialmente in un accertamento diretto ad individuare, nella realtà delle cose, la sussistenza di determinati elementi, ovvero a conseguire la conoscenza dei fatti, la cui esistenza non sia accertabile o desumibile con certezza dalle risultanze documentali» (cfr. C.d.S. 14 gennaio 2020 n. 330). Si tratta, dunque, di uno strumento istruttorio che mira all’effettuazione di un mero accertamento tecnico di natura non valutativa che, però, ha ad oggetto fatti complessi, rispetto ai quali anche l’attività meramente accertativa richiede uno specifico sapere scientifico, al quale il giudice fa ricorso in funzione consultiva (cfr. C.d.S. 7 luglio 2021 n. 5169 e C.d.S. 25 marzo 2021 n. 2537).
La consulenza tecnica, invece, disciplinata dal successivo art. 67 cod. proc. amm., consente al giudice di acquisire un giudizio tecnico ed il consulente non si limita «ad un’attività meramente ricognitiva e circoscritta ad un elemento o fatto specifico ma, utilizzando le proprie specifiche cognizioni tecniche, prende in carico situazioni ed oggetti complessi al fine di
elaborare un proprio giudizio, e di conseguenza a rispondere al quesito ritenuto dal giudice utile ai fini del decidere con una soluzione tecnicamente idonea alla stregua di un “giudizio di valore”» (C.d.S. 19 ottobre 2017 n. 4848).
Nell’uno e nell’altro caso, peraltro, così come accade nel giudizio dinanzi al giudice ordinario, è consentito disattendere le conclusioni esposte dal verificatore o dal consulente, purché delle ragioni del dissenso il giudice dia adeguato conto, giacché, come queste Sezioni Unite hanno già affermato, si deve escludere «in modo radicale qualsiasi vincolatività dei giudizi valutativi del verificatore sulla autonomia della cognizione del giudice amministrativo rispetto alle conclusioni assunte in sede di accertamento tecnico» (Cass. S.U. 9 gennaio 2020 n. 158).
Nella fattispecie il Tribunale ha spiegato i motivi per i quali dovevano essere disattese le conclusioni espresse dal verificatore, incentrate, sostanzialmente, sull’omessa considerazione, da parte della Giunta Regionale che aveva recepito il rapporto redatto da RAGIONE_SOCIALE, delle caratteristiche dei singoli siti e della tipologia dei diversi impianti.
4.2. La motivazione resa non è né apparente né contraddittoria.
Occorre ribadire al riguardo l’orientamento consolidato espresso da queste Sezioni Unite secondo cui la sentenza del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, soggetta ratione temporis all’applicazione dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., come riformulato dal d.l. n. 83/2012, è ricorribile per cassazione per vizio di motivazione solo qualora il vizio integri violazione di legge costituzionalmente rilevante (art. 111 Cost.), da denunciare ex art. 360 n. 4 cod. proc. civ. in relazione all’art. 132 n. 4 cod. proc. civ.. Rilevano, di conseguenza, solo i profili dell’inesistenza o della mera apparenza per intrinseca inidoneità a consentire il controllo delle ragioni che stanno alla base della decisione, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, e purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali, mentre non rientra nei compiti della Corte di cassazione la verifica della sufficienza o della razionalità della motivazione in ordine alle quaestiones facti , verifica che comporta un raffronto tra le ragioni del decidere
espresse nella sentenza impugnata e le risultanze istruttorie sottoposte al vaglio del giudice del merito ( cfr. fra le tante più recenti Cass. S.U. 6 giugno 2023 n. 15931; Cass. S.U. 4 luglio 2023 n. 18843; Cass. S.U. 6 luglio 2023 n. 19227).
I motivi sono dunque inammissibili nelle parti in cui, attraverso la denuncia del vizio motivazionale, sollecitano un raffronto fra la motivazione e le risultanze processuali, e, quindi, un esame diretto delle risultanze istruttorie non consentito alla Corte di Cassazione.
Infine non sussiste il denunciato contrasto fra le due pronunce impugnate in questa sede.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, in sede di sentenza definitiva, il giudice resta vincolato dalla sentenza non definitiva, anche se non passata in giudicato, in ordine alle questioni decise ed a quelle che ne costituiscano il presupposto logico necessario, senza poter più risolvere le stesse questioni in senso diverso ( cfr. fra le tante Cass. 9 novembre 2021 n. 32654; Cass. 23 giugno 2021 n. 17950; Cass n. 5 ottobre 2020 n. 21258).
Nel caso di specie, peraltro, sulla congruità del canone provvisorio il TSAP con la sentenza n. 25 del 2021 non ha reso alcuna statuizione, avendo solo ritenuto opportuno attendere l’esito della verificazione tecnico -economica già disposta in altri giudizi aventi il medesimo oggetto. Si tratta, all’evidenza, di un provvedimento di carattere meramente ordinatorio ed istruttorio, che non risolve in alcun modo la questione ancora controversa e, come tale, inidoneo a limitare il potere di decisione in sede di adozione della sentenza definitiva.
In via conclusiva il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla L. 24.12.12 n. 228, si deve dare atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dalla ricorrente.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in € 200,00 per esborsi ed € 8.000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso spese generali del 15% ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Roma, così deciso nella Camera di consiglio del 5 dicembre 2023