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Canone aggiuntivo idroelettrico: legittimo per la Cass.

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha rigettato il ricorso di una società energetica contro una Regione, confermando la legittimità del canone aggiuntivo idroelettrico imposto per la prosecuzione temporanea di una concessione scaduta. La Corte ha stabilito che tale canone non è una tassa, ma un corrispettivo per il vantaggio economico derivante dall’utilizzo di beni pubblici e impianti già ammortizzati, rientrando pienamente nella potestà legislativa regionale in materia di energia.

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Canone Aggiuntivo Idroelettrico: La Cassazione Conferma la Legittimità della Norma Regionale

L’ordinanza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 4341 del 2024 affronta un tema di grande rilevanza nel settore energetico: la legittimità del canone aggiuntivo idroelettrico richiesto dalle Regioni alle società che proseguono l’esercizio di impianti idroelettrici dopo la scadenza della concessione originaria. La pronuncia chiarisce la natura di tale canone e i limiti della potestà legislativa regionale in materia.

I Fatti di Causa: La Controversia sul Canone

Una primaria società energetica ha impugnato due sentenze del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche (TSAP) che avevano respinto il suo ricorso. L’azienda chiedeva l’annullamento delle delibere di una Regione che imponevano, per la prosecuzione transitoria dell’esercizio di un impianto idroelettrico, il pagamento di un canone aggiuntivo. La società ricorrente sosteneva l’illegittimità costituzionale della legge regionale, denunciando la violazione di norme statali e principi europei, tra cui la tutela della concorrenza, il legittimo affidamento e il divieto di discriminazione.

Le Obiezioni della Società Energetica

Le principali doglianze della ricorrente si basavano sull’idea che il canone aggiuntivo:
1. Fosse in contrasto con la normativa statale che, a suo dire, garantiva la prosecuzione alle medesime condizioni economiche precedenti.
2. Costituisse una prestazione patrimoniale imposta, simile a una tassa, senza collegamento con la capacità contributiva del gestore.
3. Creasse una discriminazione ingiustificata rispetto ad operatori di altre regioni o a concessionari con concessioni non ancora scadute.
4. Violasse le direttive europee sulla promozione delle energie rinnovabili, disincentivando gli investimenti nel settore.

La Decisione del TSAP e l’Appello in Cassazione

Il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche aveva già respinto tali argomentazioni con due sentenze, una parziale e una definitiva. Il TSAP aveva ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale, affermando che il canone aggiuntivo non fosse altro che il giusto compenso per il vantaggio ottenuto dal concessionario uscente, che continuava a sfruttare risorse naturali e impianti ormai completamente ammortizzati. Contro queste decisioni, la società ha proposto ricorso per Cassazione, riproponendo le medesime censure.

L’Analisi della Cassazione e il canone aggiuntivo idroelettrico

Le Sezioni Unite, con l’ordinanza in esame, hanno rigettato il ricorso in ogni sua parte, trattando unitariamente i primi tre motivi per la loro connessione logica e giuridica. La Corte ha fornito chiarimenti fondamentali sulla natura del canone e sulla ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni in materia energetica.

Potestà Legislativa Regionale e Principi Fondamentali

La Corte ha ribadito che la normativa regionale in questione non rientra nella materia della ‘tutela della concorrenza’ (di competenza esclusiva statale), ma in quella concorrente della ‘produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia’. In questo ambito, allo Stato spetta determinare i principi fondamentali (come l’onerosità della concessione e la proporzionalità del canone), mentre alla Regione compete la fissazione del quantum, nel rispetto di tali principi.

Le Motivazioni della Sentenza

Le Sezioni Unite hanno smontato punto per punto le tesi della ricorrente. Innanzitutto, hanno chiarito che il canone aggiuntivo idroelettrico non è un’imposta, ma un corrispettivo per lo ‘sfruttamento supplementare’ della derivazione idrica e la gestione di un impianto ammortizzato. La sua funzione è quella di riequilibrare le condizioni economiche del rapporto, riconducendo ad equità le prestazioni. La Corte ha escluso la disparità di trattamento, evidenziando che la situazione dei concessionari con concessione scaduta non è comparabile a quella di chi opera con una concessione in corso. I primi, infatti, traggono un’utilità non prevista al momento della stipula del contratto, utilizzando beni che avrebbero dovuto essere restituiti. Infine, la Corte ha negato che il canone violi le norme europee, sostenendo che proprio i principi di equità e non distorsione del mercato giustificano l’imposizione di un costo per un beneficio aggiuntivo ottenuto dall’operatore.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia

L’ordinanza n. 4341/2024 consolida un importante principio: le Regioni hanno il potere di imporre un canone aggiuntivo ai concessionari idroelettrici che continuano l’attività dopo la scadenza del titolo. Questa maggiorazione è legittima perché compensa la collettività per l’ulteriore sfruttamento di una risorsa pubblica e di impianti già ammortizzati, garantendo l’imparzialità e l’economicità dell’agire pubblico. La decisione conferma che tale potere non lede la concorrenza né i principi europei sulle energie rinnovabili, ma serve a riequilibrare un vantaggio economico altrimenti ingiustificato a favore del concessionario uscente.

Una Regione può imporre un canone aggiuntivo per la prosecuzione di una concessione idroelettrica scaduta?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, rientra nella potestà legislativa concorrente della Regione in materia di energia stabilire un canone aggiuntivo, a condizione che rispetti i principi fondamentali di onerosità e proporzionalità fissati dallo Stato.

Il canone aggiuntivo idroelettrico è da considerarsi un’imposta illegittima?
No. La Corte ha chiarito che non si tratta di un’imposta, ma del corrispettivo per lo sfruttamento supplementare della risorsa pubblica e per la gestione di impianti già ammortizzati. La sua finalità è riequilibrare il rapporto economico, non ha natura tributaria.

L’imposizione di un canone aggiuntivo viola il principio di non discriminazione o le direttive europee?
No. La Corte ha escluso la violazione del principio di parità di trattamento, poiché la situazione di un concessionario con concessione scaduta non è paragonabile a quella di chi ha una concessione attiva. Inoltre, ha ritenuto che l’imposizione del canone non si ponga in contrasto con le fonti sovranazionali, ma anzi giustifichi la remunerazione di un beneficio aggiuntivo che altrimenti altererebbe il mercato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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