Ordinanza di Cassazione Civile Sez. U Num. 4800 Anno 2024
Civile Ord. Sez. U   Num. 4800  Anno 2024
Presidente: COGNOME PASQUALE
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso 27211-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente  domiciliata  in  ROMA,  INDIRIZZO,  presso  lo studio  dell’avvocato  NOME  COGNOME,  che  la  rappresenta  e  difende unitamente all’ avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Presidente pro tempore , elettivamente domiciliata in ROMAINDIRIZZO, presso lo studio  dell’avvocato  NOME  COGNOME,  rappresentata  e  difesa  dagli avvocati NOME COGNOME ed NOME COGNOME;
RAGIONE_SOCIALE,  in  persona  del  Presidente pro  tempore , elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME ;
Oggetto
TSAP
COGNOMENZIOSO
R.G.N. 27211NUMERO_DOCUMENTO2022
COGNOME.
Rep.
Ud. 05/12/2023
CC
– controricorrenti –
RAGIONE_SOCIALE,  in  persona  del  legale  rappresentante pro  tempore , elettivamente  domiciliata  in  ROMA,  INDIRIZZO,  presso  lo studio dell’avvocato NOME  COGNOME,  che  la  rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente successivo –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMAINDIRIZZO, presso lo studio  dell’avvocato  NOME  COGNOME,  rappresentata  e  difesa  dagli avvocati NOME COGNOME ed NOME COGNOME;
-controricorrente –
nonché contro
CITTA’ METROPOLITANA DI MILANO, RAGIONE_SOCIALE DI BERGAMO;
avverso la sentenza non definitiva n. 16/2021 depositata il 01/02/2021 e la sentenza definitiva n. 161/2022 depositata il 02/08/2022, entrambe del TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE PUBBLICHE.
Udita  la  relazione  della  causa  svolta  nella  camera  di  consiglio  del 05/12/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. Le società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, con distinti ricorsi, impugnano la sentenza parziale n. 16 del 1° febbraio 2021 e la pronuncia definitiva n. 161 del 2 agosto 2022, con le quali il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche ha respinto i ricorsi riuniti, proposti nei confronti della Regione Lombardia, delle Province di Sondrio e RAGIONE_SOCIALE nonché della Città Metropolitana di Milano, volti ad ottenere l’annullamento degli atti deliberativi adottati dalla Giunta Regionale e dal dirigente della RAGIONE_SOCIALE, aventi ad oggetto la quantificazione del canone aggiuntivo, previsto dall’art. 53 bis, comma 5, della l.r. Lombardia 12 dicembre 2012 n. 26, preteso dalla Regione Lombardia in relazione alla prosecuzione temporanea delle concessioni di grande derivazione ad uso idroelettrico di rispettiva titolarità, ossia per la
RAGIONE_SOCIALE l’impianto di Cancamo/Premadio e per la RAGIONE_SOCIALE gli impianti di Mazzunno e Vaprio d’Adda nonché di Mezzoldo – Ponte Piazzolo. Le società avevano domandato l’annullamento degli atti analiticamente indicati nelle sentenze impugnate, da un lato, facendo leva sull’eccepita illegittimità costituzionale del citato art. 53 bis che, nel prevedere la corresponsione del canone aggiuntivo, avrebbe violato gli artt. 117, 23, 119 e 3 Cost.; dall’altro, lamentando l’illegittimità dell’applicazione retroattiva del canone aggiuntivo, che la Giunta Regionale, con la deliberazione del 9 maggio 2016 n. X/5130, aveva provvisoriamente quantificato in € 20,00 per chilowatt di potenza nominale media annua, pretendendone il versamento per le concessioni già scadute con decorrenza dal 1° gennaio 2011. Avevano, infine, eccepito anche l’erroneità e l’incongruenza, sul piano metodologico, tecnico ed economico, della quantificazione provvisoria, operata sulla base del documento di «analisi scenari di impatto» elaborato da RAGIONE_SOCIALE.
2.  Il  TSAP  con  la  sentenza  non  definitiva  n.  16  del  2021,  respinta l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dalla Regione Lombardia, ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del citato art. 53 bis ed ha richiamato al riguardo le sentenze di queste Sezioni Unite n. 8036/2018 e n. 15990/2020.
Ha ritenuto priva di fondamento la pretesa delle società ricorrenti al mantenimento delle stesse condizioni economiche stabilite per il periodo antecedente alla scadenza della concessione ed ha rilevato che il canone aggiuntivo compensa la non prevista pro secuzione nell’esercizio della concessione medesima e costituisce una misura indennitaria e di riequilibrio rispetto al vantaggio consistente nell’utilizzo, oltre che delle risorse naturali, anche degli impianti di derivazione, ormai ammortizzati.
Ha escluso, altresì, l’ipotizzata retroattività della fissazione del canone ed ha rilevato al riguardo che l’obbligo del versamento, delineato nei suoi elementi essenziali, era  stato  già  previsto  dal  legislatore  regionale  con l’art. 14 della l.r. Lombardia 23 dicembre 2010 n. 19, che aveva rinviato al provvedimento amministrativo la determinazione dell’importo dovuto.
Infine, quanto ai rilievi inerenti alla manifesta sproporzione ed alla erroneità dei criteri di calcolo, il Tribunale ha rilevato che in altri giudizi aventi il medesimo oggetto, rubricati ai nn. 300 e 301 R.G. 2016, era stata disposta una verificazione tecnico economica diretta ad accertare l’attendibilità della metodologia e dei criteri osservati dall’amministrazione regionale ai fini della quantificazione del canone aggiuntivo. Ha ritenuto opportuno attendere l’esito della verificazione già in corso, del la quale ha disposto l’acquisizione a cura della Cancelleria, rinviando a udienza fissa per l’ulteriore trattazione e sollecitando il contraddittorio sull’incidenza della l.r. Lombardia n. 5/2020 nella parte in cui prevede all’art. 23, comma 2, che sono confermate le modalità e le condizioni per la quantificazione dei corrispettivi aggiuntivi e gli altri eventuali oneri conseguenti, stabiliti a carico del concessionario uscente dall’art. 53 bis della l.r. n. 26/2003.
2.1. La sentenza definitiva n. 161 del 2022, dopo aver richiamato le conclusioni del verificatore e la motivazione della sentenza parziale, ha premesso che l’unico limite alla determinazione della misura del canone aggiuntivo va individuato nel rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale di onerosità della concessione e di proporzionalità all’effettiva entità dello sfruttamento delle risorse pubbliche che la concessione comporta ed all’utilità economica che il concessionario ne ricava.
Ha aggiunto che dalla ricognizione del quadro normativo in materia emerge che plurime disposizioni di legge, sia pure non applicabili alla controversia, prevedono a carico del concessionario di grande derivazione scaduta l’obbligo di versare un canone aggi untivo determinato in un importo non inferiore a quello previsto dalla delibera impugnata. Ha ricordato, sempre in premessa, che il giudice di merito, così come non ha alcun obbligo di ricorrere al consulente tecnico d’ufficio, ne può motivatamente disattendere le conclusioni esaminando direttamente la documentazione su cui si basa la relazione.
Il  Tribunale  ha,  quindi,  evidenziato  l’ontologica  diversità  fra  la  misura definitiva  del  canone  aggiuntivo,  per  la  quale  la  delibera  regionale  ha fissato  il  limite  del  20%  della  rendita  conseguita  dal  concessionario uscente nel periodo di esercizio dell’im pianto eccedente la concessione, ed
il canone provvisorio, ancorato per tutti gli ex concessionari alla potenza nominale media annua, a prescindere da qualsiasi riferimento alle caratteristiche ed alla redditività degli impianti stessi. Ha rilevato che il parametro della potenza nominale media annua, ritenuto idoneo ed appropriato anche dalla Corte Costituzionale, si fonda su dati oggettivi e storici di produzione e di ricavi, lì dove la redditività concreta dei diversi impianti è collegata anche a scelte soggettive degli imprenditori, i quali possono variare la produzione adattandola ai consumi e ai mercati elettrici. Ha aggiunto che sotto il profilo della proporzionalità e della ragionevolezza risulta assai modesta l’incidenza del canone aggiuntivo provvisorio sui ricavi, considerata l’eleva ta redditività della gestione in regime di prosecuzione temporanea, effettuata avvalendosi di impianti già del tutto ammortizzati. Ha evidenziato, altresì, che l’analisi condotta da RAGIONE_SOCIALE, fatta propria dalla Giunta regionale, si fonda su presupposti e dati (l’ipotizzato funzionamento degli impianti per il 100% del tempo disponibile ed il prezzo medio zonale di vendita pari a 60 €/kw) non inattendibili e tali da giustificare la proposta, poi recepita, del canone aggiuntivo provvisorio unico per tutti gli impianti, di importo tutt’altro che eccessivo.
Quanto alle diverse conclusioni alle quali è pervenuta la verificazione, il Tribunale ha rilevato che nella sostanza il verificatore ha ravvisato l’errore metodologico nel non avere considerato, anche ai fini della quantificazione del  canone  aggiuntivo  provvisorio,  le  caratteristiche  specifiche  e  la redditività dei singoli impianti.
Ha, però, ritenuto non irragionevole ed arbitraria la scelta di valorizzare il solo dato oggettivo, in ragione della provvisorietà della determinazione e della previsione del successivo meccanismo di conguaglio al momento del prelievo definitivo.
Per la cassazione della sentenza hanno proposto distinti ricorsi la RAGIONE_SOCIALE  e  RAGIONE_SOCIALE  sulla  base  di  quattro  motivi,  ai  quali  la  Regione Lombardia e la Provincia di Sondrio hanno opposto difese con separati controricorsi, mentre sono rimaste intimate la Provincia di RAGIONE_SOCIALE e la Città Metropolitana di Milano.
 Con  istanza  del  9  novembre  2023  i  difensori  delle  società  ricorrenti hanno sollecitato la trattazione del ricorso in udienza pubblica ex art. 375 cod. proc. civ., in ragione dell’oggetto del contendere, tale da coinvolgere una pluralità di soggetti nonché interessi di carattere generale, e della novità delle questioni giuridiche trattate.
Entrambe le società e la Regione Lombardia hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1. Il ricorso della RAGIONE_SOCIALE, con il primo motivo, censura il capo della sentenza  non  definitiva  n.  16  del  1°  febbraio  2021  che  ha  escluso l’eccepita retroattività della deliberazione del 9 maggio 2016, con la quale è stato determinato il canone aggiuntivo provvisorio dovuto a decorrere dal 1° gennaio 2011.
La ricorrente denuncia la violazione del comma 5 dell’art. 53 bis della l.r. Lombardia 12 dicembre 2003 n. 26, del principio di legalità dell’azione amministrativa ex art. 97 Cost., dell’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale, del principio di irretroattività degli atti amministrativi. Sostiene che, contrariamente a quanto ritenuto dal TSAP, il legislatore regionale nel 2010 non aveva delineato l’obbligazione di pagamento «nei suoi elementi essenziali», perché non ne aveva stabilito l’ammontare né aveva indicato i criteri per la sua quantificazione. Aggiunge che alla Giunta era stato attribuito il potere di determinazione del canone, ma non quello di richiederlo anche per il periodo già decorso.
1.2. Con il secondo motivo, proposto avverso la sentenza definitiva n. 161 del 2 agosto 2022, è denunciata la violazione dell’art. 143 r.d. 11 dicembre 1933 n. 1775, degli artt. 7 e 134 c.p.a. nonché dei limiti della giurisdizione amministrativa del TSAP.
Richiamato il quesito posto al verificatore e le conclusioni dell’accertamento disposto, la società ricorrente deduce che ha errato il Tribunale nell’escludere i vizi denunciati della deliberazione impugnata e nel ritenere congrua e non irragionevole la misura del canone aggiuntivo provvisorio.  Si  addebita  alla  sentenza  impugnata  di  avere  effettuato, anziché un controllo di legittimità dell’atto alla stregua dei parametri propri
del giudizio di legittimità, un esame  di merito sulla «verifica di sostenibilità/congruità» dell’importo indicato dalla Regione, finendo, quindi, per esprimere un apprezzamento non consentito sulla opportunità e convenienza dell’atto.
1.3. La sentenza definitiva è censurata anche con la terza critica che ne denuncia la nullità per violazione dell’art. 132 n. 4 cod. proc. civ. e dell’art. 111 Cost..
La RAGIONE_SOCIALE, richiamato il passaggio motivazionale nel quale si fa riferimento alla congruità «in re ipsa» del criterio utilizzato dalla Giunta regionale, sostiene che il Tribunale avrebbe confuso l’importo del canone con l’unità di misura, non avendo sp ecificato le ragioni per le quali, ferma la correttezza dell’ancoraggio al kW di potenza nominale, sarebbe stato congruo l’importo di € 20, anziché un valore inferiore. La motivazione, dunque, sarebbe, ad avviso della società, meramente apparente ed inoltre «lacunosa, contraddittoria ed incerta in più punti». Rileva, al riguardo, che la sentenza definitiva, da un lato, ammette che il metodo suggerito dal verificatore , consistente nella differenziazione dell’importo del canone caso per caso, sarebbe stato più equo; dall’altro sostiene che il non avere proceduto in tal senso non rende irragionevole l’importo fissato dalla deliberazione impugnata.
1.4.  Infine  con  il  quarto  motivo  si  addebita,  sempre  alla  sentenza definitiva, la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. e dell’implicito giudicato interno emergente dalla pronuncia parziale n. 16 del 2021.
Premesso che il compito del verificatore non è quello di individuare i vizi del provvedimento impugnato bensì solo quello di fornire al giudice indicazioni tecniche necessarie per la soluzione di questioni implicanti specifiche conoscenze, la società rileva che ha errato il Tribunale nell’affermare che la consulenza avrebbe dovuto indicare vizi della deliberazione. Aggiunge che parimenti ha errato il TSAP nel valorizzare il successivo conguaglio che non tutela affatto gli operatori idroelettrici in quanto non garantisce il principio della proporzionalità.
2.1. Il ricorso della RAGIONE_SOCIALE, da qualificare incidentale sulla base del principio di diritto enunciato, fra le tante, da Cass. S.U. 1° febbraio 2021 n.  2155,  è  sostanzialmente  sovrapponibile  a  quello  della  ricorrente
principale, dal quale si differenzia solo nella formulazione della rubrica dei motivi e svolge, per il resto, le medesime argomentazioni a sostegno della invocata richiesta di cassazione delle sentenze impugnate.
Denuncia, con il primo motivo formulato ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la violazione del comma 5 dell’art. 53 bis della l.r. Lombardia n. 26 del 2003, del principio di legalità dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 Cost. ed all’art. 11 delle dis posizioni sulla legge in generale, del principio di certezza dei rapporti giuridici; con il secondo motivo, egualmente ricondotto al vizio di cui al n. 3 dell’art. 360 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dei limiti della giurisdizione amministrativa del TSAP nonchè degli artt. 7 e 34 cod. proc. amm., degli artt. 140 e 143 r.d. n. 1775/1933, dell’art. 103 Cost; con il terzo motivo, formulato ex art. 360 nn. 4 e 5 cod. proc. civ., la violazione dell’art. 132 cod. proc. civ. ed eccepisce la nullità della sentenza per motivazione apparente e, comunque, perplessa; con il quarto motivo, oltre al vizio motivazionale, la violazione, denunciata ex art. 360 n. 4 cod. proc. civ., degli artt. 64 e 66 cod. proc. amm. e dell’art. 116 cod. proc. civ., per avere la sentenza definitiva violato il giudicato interno formatosi sulle statuizioni della pronuncia parziale.
Preliminarmente rileva il Collegio che deve essere disattesa l’istanza di rinvio a nuovo ruolo e di fissazione dell’udienza pubblica ex art. 375 cod. proc. civ..
All’esito della riformulazione dell’art. 375 cod. proc. civ., operata dal d.lgs. n. 149/2022, la Corte di Cassazione, anche a Sezioni Unite, pronuncia in pubblica udienza unicamente nei casi di ricorso per revocazione ex art. 391 quater cod. proc. civ. e di particolare rilevanza della questione di diritto, mentre delibera con ordinanza resa all’esito della camera di consiglio ex art. 380 bis 1 cod. proc. civ., «in ogni altro caso in cui non pronuncia in pubblica udienza» (art. 375, comma 2, n. 4 quater).
La disposizione delinea un rapporto regola/eccezione secondo cui i ricorsi sono «normalmente» destinati ad essere definiti nel rispetto delle forme previste  dall’art.  380  bis  1  cod  proc.  civ.,  ossia  all’esito  di  adunanza camerale, salvo che non ricorrano le condizioni indicate nel primo comma dello stesso art. 375 cod. proc. civ., la cui applicabilità, quanto all’ipotesi
riferibile all’esercizio del potere nomofilattico, richiede che la questione di diritto sulla quale la Corte è chiamata a pronunciare si presenti di particolare rilevanza, che va esclusa, non solo nell’ipotesi in cui la questione medesima non sia nuova, perché già risolta dalla Corte, ma anche qualora il principio di diritto che la Corte è chiamata ad enunciare sia solo apparentemente connotato da novità, perché conseguenza della mera estensione di principi già affermati, sia pure in relazione a fattispecie concrete connotate da diversità rispetto a quelle già vagliate.
Quest’ultima evenienza è quella che ricorre nel caso di specie, giacché, se è vero che sulla questione della legittimità della delibera regionale che viene  in  rilievo  questa  Corte  non  si  è  ancora  pronunciata,  quanto  alla misura del canone provvisorio richiesto, le censure prospettano errores in iudicando e in procedendo in relazione ai quali la pronuncia da rendere non presenta i requisiti richiesti dal richiamato comma 1 dell’art. 375 cod. proc. civ.
Nello storico di lite si è evidenziato che il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, con la sentenza non definitiva n. 16 del 2021, ha innanzitutto ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 53 della l.r. Lombardia n. 26 del 2003, nella parte in cui, nel prevedere la prosecuzione temporanea da parte dei concessionari uscenti delle concessioni scadute o in scadenza, la subordina, oltre che al rispetto delle condizioni tecniche ed economiche stabilite dalla Giunta Regionale, al pagamento di «un canone aggiuntivo rispetto ai canoni e sovracanoni e alla cessione gratuita di energia già stabiliti».
Si tratta di conclusioni che queste Sezioni Unite hanno già condiviso, evidenziando che il canone aggiuntivo si pone in relazione funzionale e corrispettiva con la protrazione dell’esercizio della grande derivazione idrica e pertanto, da un lato, è privo dei tratti caratteristici e fondamentali dell’imposta, soggetta alla riserva di legge di cui all’art. 23 Cost., dall’altro la sua previsione costituisce legittima manifestazione della potestà legislativa regionale, in quanto inerente alla materia, non già della concorrenza, bensì della produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, rientrante nella legislazione concorrente ex art.117, comma
3, Cost. ( si rimanda a Cass. S.U. 14 gennaio 2022 n. 1043; Cass. S.U. 27 luglio 2020 n. 15990; Cass. S.U.  30 marzo 2018 n. 8036).
Sono infondati il primo motivo del ricorso principale ed il primo motivo del ricorso incidentale, che prospettano entrambi la violazione del principio di irretroattività degli atti amministrativi.
La l.r. Lombardia n. 19 del 23 dicembre 2010 ha inserito nel testo della l.r. Lombardia 12 dicembre 2003 n. 26, l’art. 53 bis che, nella sua formulazione originaria, dopo aver previsto, al comma 4, la prosecuzione temporanea da parte del concessionario uscente dell’esercizio degli impianti di grande derivazione ad uso idroelettrico, al comma 5 disponeva, per quel che qui rileva, che « la prosecuzione temporanea di cui al comma 4 è subordinata al rispetto delle condizioni tecniche ed economiche definite dalla Giunta regionale con propria deliberazione, sentite le province interessate. Nel periodo di prosecuzione temporanea, il concessionario uscente è tenuto a versare alla Regione, secondo le modalità e gli importi stabiliti con la predetta deliberazione di Giunta regionale, un canone aggiuntivo rispetto ai canoni e sovracanoni e alla cessione gratuita di energia già stabiliti…. ».
La l.r. 30 dicembre 2014 n. 35, art. 6, ha compiuto un ulteriore intervento additivo ed ha inserito nel testo della disposizione i commi 5 bis e 5 ter, con quali ha armonizzato il comma 5, sicché alla data dell’adozione della deliberazione regionale della cui legittimità si discute, la legge regionale così si esprimeva: «5. La prosecuzione temporanea di cui al comma 4 è subordinata al rispetto delle condizioni tecniche ed economiche definite dalla Giunta regionale con propria deliberazione. Nel periodo di prosecuzione temporanea, il concessionario uscente è tenuto a versare alla Regione, secondo le modalità e gli importi stabiliti con la predetta deliberazione di Giunta regionale, e tenuto conto di quanto previsto al comma 5 bis, un canone aggiuntivo rispetto ai canoni e sovracanoni e alla cessione gratuita di energia già stabiliti. …… 5 bis. Il canone aggiuntivo di cui al comma 5 costituisce corrispettivo per il beneficio ottenuto dal godimento, da parte del soggetto cui è consentita la prosecuzione temporanea, della derivazione dell’acqua pubblica, nonché dell’esercizio delle opere e dei beni afferenti alla concessione oltre il termine di scadenza
della medesima. Il corrispettivo è stabilito in rapporto alla rendita conseguita dal soggetto di cui al primo periodo per la prosecuzione temporanea di cui al comma 4. Ai fini del presente articolo si applicano le seguenti definizioni: a) rendita, quale differenza tra ricavo e costo;b) ricavo, quale prodotto tra il prezzo di vendita dell’energia comprensivo di eventuali incentivi e la quantità venduta;c) costo, formato dalla somma dei costi operativi e di ammortamento, di remunerazione del capitale, degli oneri, canoni e tasse. 5 ter. Le disposizioni di cui al comma 5 bis si applicano anche alle prosecuzioni temporanee in essere alla data di entrata in vigore della legge recante ‘Disposizioni per l’attuazione della programmazione economico-finanziaria regionale, ai sensi dell’articolo 9 ter della legge regionale 31 marzo 1978, n. 34 (Norme sulle procedure della programmazione, sul bilancio e sulla contabilità della Regione) Collegato 2015’, a decorrere dalla data di scadenza delle rispettive concessioni di grande derivazione d’acqua pubblica ».
Non ha, quindi, errato il TSAP nell’affermare che nella fattispecie la Giunta Regionale non ha violato la regola dell’irretroattività dell’azione amministrativa, perché l’obbligo del pagamento del canone aggiuntivo è stato imposto dal legislatore regionale già con la legge n. 19 del 2010 ed il successivo intervento additivo, attuato con la citata l.r. n. 35 del 2014, ha espressamente previsto l’applicazione del canone in parola, alle prosecuzioni temporanee in atto, a far tempo dalla data di scadenza delle relative concessioni.
La legge istitutiva è chiara nel prevedere che il canone aggiuntivo è posto a carico dell’ex concessionario per tutto il periodo di utilizzazione temporanea, e con altrettanta chiarezza l’intervento additivo del 2014 individua la natura del canone aggiuntivo valorizzandone la corrispettività rispetto al beneficio ottenuto dalla protrazione, oltre la data di scadenza della concessione, delle utilità tratte dall’utilizzazione delle risorse pubbliche e dalla gestione degli impianti ormai ammortizzato.
A  fronte  di  detto  quadro  normativo  è  da  escludere  che  l’obbligo  del versamento sia stato differito dal legislatore regionale sino al momento dell’adozione della delibera regionale, alla quale è stato demandato solo di quantificare, e di rendere esigibile, un obbligo già sorto per effetto della
fonte normativa. La delibera regionale del 2016, quindi, nell’indicare la misura del canone a partire dall’anno 2011, non ha imposto retroattivamente una prestazione in precedenza non prevista, bensì ha realizzato  la  condizione  di  esigibilità  della  prestazione  medesima,  già ancorata dal legislatore regionale alla data di scadenza della concessione ed all’entrata in vigore della normativa, se successiva.
5. Parimenti infondati sono il secondo, il terzo ed il quarto motivo che i due ricorsi sviluppano per censurare la sentenza definitiva nella parte in cui ha escluso l’eccepita illegittimità della deliberazione regionale, con la quale il canone aggiuntivo è stato determinato, in via provvisoria e salvo conguaglio, utilizzando un unico parametro oggettivo ( 20€/kW), senza tener conto della redditività dei singoli impianti, valorizzata ai soli fini della quantificazione definitiva, da effettuare «impianto per impianto».
Queste Sezioni Unite hanno già affermato, ed il principio deve essere qui ribadito, che «l’ambito del sindacato del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, qualora sia chiamato a pronunciarsi in unico grado sulla legittimità dei provvedimenti amministrativi impugnati, è limitato all’accertamento dei vizi possibili dello svolgimento della funzione pubblica, compresi quelli denotati dalle figure sintomatiche dell’eccesso di potere; esso attiene, quindi, alla verifica della ragionevolezza e proporzionalità della scelta rispetto al fine e non si estende alle ragioni di merito, dovendosi arrestare dinanzi non solo alle ipotesi di scelte equivalenti ma anche a quelle meno attendibili, purché congruenti con il fine da raggiungere e con le esigenze da governare» ( Cass. S.U. 20 gennaio 2023 n. 1885 e negli stessi termini Cass. S.U. 20 aprile 2021 n. 11291 e Cass. S.U. 1° febbraio 2023 n. 3077).
Dal richiamato principio non si è discostata la sentenza n. 161 del 2022 qui impugnata, perché tutte le considerazioni che si leggono nella motivazione sulla congruità e sulla ragionevolezza del parametro oggettivo utilizzato dall’amministrazione, lungi da l costituire uno sconfinamento nel merito dell’azione amministrativa, sono appunto finalizzate alla verifica della legittimità dell’atto impugnato, del quale il Tribunale ha escluso l’arbitrarietà e l’irragionevolezza, valorizzando innanzitutto la natura provvisoria del canone, come tale non governato dai medesimi principi ai
quali  l’amministrazione  deve  attenersi  nella  quantificazione  definitiva, nonché i plurimi dati emergenti  dagli atti, tutti convergenti nel senso di far  ritenere  congrua,  proporzionata  e  ragionevole  la  misura    unitaria indicata.
Il Tribunale ha dato atto che sarebbe stato possibile per la Regione differenziare ab initio il canone aggiuntivo, tenendo conto della diversa tipologia degli impianti e della redditività di ciascuno di essi, ma ha anche aggiunto che detta possibilità non poteva da sola valere a rendere illegittima la delibera adottata, una volta esclusa l’irragionevolezza del criterio prescelto, sicché, così ragionando, non ha fatto altro che applicare il principio di diritto richiamato in premessa, che non consente al giudice di ritenere illegittimo l’operato della pubblica amministrazione solo perché la tutela dell’interesse pubblico poteva essere perseguita anche optando per una scelta diversa e, in ipotesi, più congruente.
E’ consolidato l’orientamento secondo cui l’eccesso di potere giurisdizionale sotto il profilo dello sconfinamento nella sfera del merito è configurabile soltanto quando l’indagine svolta dal Giudice amministrativo ecceda i limiti del riscontro di legittimità del provvedimento impugnato, dimostrandosi strumentale ad una diretta e concreta valutazione della opportunità e convenienza dell’atto, ovvero quando la decisione finale, pur nel rispetto della formula dell’annullamento, evidenzi l’intento dell’organo giudicante di sostituire la propria volontà a quella dell’Amministrazione, mediante una pronuncia che, in quanto espressiva di un sindacato di merito ed avente il contenuto sostanziale e l’esecutorietà propria del provvedimento sostituito, non lasci spazio ad ulteriori provvedimenti dell’autorità amministrativa (cfr. tra le più recenti, Cass., Sez. Un. 4/02/2021 n. 2604; 24/05/2019 n. 14264; 26/11/ 2018 n. 30526; 2/02/2018 n. 2582). E’ quanto accade nelle ipotesi in cui il Giudice amministrativo invade arbitrariamente il campo dell’attività riservata alla Pubblica Amministrazione attraverso l’esercizio di poteri di cognizione e di decisione non previsti dalla legge, cioè compiendo atti di valutazione della mera opportunità dell’atto impugnato, oppure sostituendo propri criteri di valutazione a quelli discrezionali dell’Amministrazione, o ancora adottando decisioni finali c.d. autoesecutive, ovverosia interamente sostitutive delle
determinazioni  dell’Amministrazione,  con  conseguente  trapasso  da  una giurisdizione  di  legittimità  a  quella  di  merito  (cfr.  Cass.,  Sez.  Un., 9/11/2011, n. 23302; 15/03/1999, n. 137).
E’ stato precisato al riguardo che «l’ambito del controllo di legittimità del giudice amministrativo esige la pienezza del sindacato non solo sul fatto sottostante  il  provvedimento  devoluto  al  suo  esame,  ma  pure  sulle valutazioni, anche e soprattutto di ordine tecnico, operate dall’amministrazione, col solo ovvio limite del divieto di sostituzione diretta di una propria scelta a quella dell’autorità amministrativa» ( Cass. Sez. U. 9/3/2020 n. 6691).
Nella fattispecie non si è verificata alcuna indebita sostituzione del TSAP all’autorità amministrativa, esclusa alla radice dal rigetto della domanda di  annullamento  dell’atto  da  quest’ultima  adottato,  e  l’indagine  che  il Tribunale  ha  condotto,  sulle  valutazioni  di  ordine  tecnico  effettuate dall’ente, è stato, lo si ripete, finalizzato a valutare la sussistenza dei vizi denunciati, nel rispetto dei limiti posti alla giurisdizione di legittimità.
5.1. Né vizia la sentenza impugnata il solo rilievo che a diverse conclusioni era giunto il verificatore, quanto alla congruità del parametro utilizzato.
Nel processo amministrativo la verificazione di cui all’art. 66 cod. proc. amm. è diretta a far emergere «la realtà oggettiva delle cose, e si risolve essenzialmente in un accertamento diretto ad individuare, nella realtà delle cose, la sussistenza di determinati elementi, ovvero a conseguire la conoscenza dei fatti, la cui esistenza non sia accertabile o desumibile con certezza dalle risultanze documentali» (cfr. C.d.S. 14 gennaio 2020 n. 330). Si tratta, dunque, di uno strumento istruttorio che mira all’effettuazione di un mero accertamento tecnico di natura non valutativa che, però, ha ad oggetto fatti complessi, rispetto ai quali anche l’attività meramente accertativa richiede uno specifico sapere scientifico, al quale il giudice fa ricorso in funzione consultiva (cfr. C.d.S. 7 luglio 2021 n. 5169 e C.d.S. 25 marzo 2021 n. 2537).
La consulenza tecnica, invece, disciplinata dal successivo art. 67 cod. proc. amm., consente al giudice di acquisire un giudizio tecnico ed il consulente non si limita «ad un’attività meramente ricognitiva e circoscritta ad un elemento o fatto specifico ma, utilizzando le proprie specifiche cognizioni
tecniche,  prende  in  carico  situazioni  ed  oggetti  complessi  al  fine  di elaborare un proprio giudizio, e di conseguenza a rispondere al quesito ritenuto dal giudice utile ai fini del decidere con una soluzione tecnicamente idonea alla stregua di un “giudizio di valore”» (C.d.S. 19 ottobre 2017 n. 4848).
Nell’uno e nell’altro caso, peraltro, così come accade nel giudizio dinanzi al giudice ordinario, è consentito disattendere le conclusioni esposte dal verificatore o dal consulente, purché delle ragioni del dissenso il giudice dia adeguato conto, giacché, come queste Sezioni Unite hanno già affermato, si deve escludere «in modo radicale qualsiasi vincolatività dei giudizi valutativi del verificatore sulla autonomia della cognizione del giudice amministrativo rispetto alle conclusioni assunte in sede di accertamento tecnico» (Cass. S.U. 9 gennaio 2020 n. 158).
Nella  fattispecie  il  Tribunale  ha  spiegato  i  motivi  per  i  quali  dovevano essere  disattese  le  conclusioni  espresse  dal  verificatore,  incentrate, sostanzialmente, sull’omessa considerazione, da parte della Giunta Regionale  che  aveva  recepito  il  rapporto  redatto  da  RAGIONE_SOCIALE, delle caratteristiche dei singoli siti e della tipologia dei diversi impianti.
5.2.  La  motivazione  resa  non  è  né  apparente  né  contraddittoria,  come sostenuto  dalle  società  ricorrenti  che,  peraltro,  fanno  leva  su  singoli passaggi estrapolati dal testo della decisione il cui significato va, invece, apprezzato avendo riguardo al tenore complessivo delle plurime argomentazioni sviluppate, sicché si deve escludere il vizio motivazionale denunciato nel terzo motivo di entrambi i ricorsi.
Occorre ribadire al riguardo l’orientamento consolidato espresso da queste Sezioni Unite secondo cui la sentenza del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, soggetta ratione temporis all’applicazione dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., come riformulato dal d.l. n. 83/2012, è ricorribile per cassazione per vizio di motivazione solo qualora il vizio integri violazione di legge costituzionalmente rilevante (art. 111 Cost.), da denunciare ex art. 360 n. 4 cod. proc. civ. in relazione all’art. 132 n. 4 cod. p roc. civ.. Rilevano, di conseguenza, solo i profili dell’inesistenza o della mera apparenza per intrinseca inidoneità a consentire il controllo delle ragioni che stanno alla
base della decisione, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, e purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali, mentre non rientra nei compiti della Corte di cassazione la verifica della sufficienza o della razionalità della motivazione in ordine alle quaestiones facti , verifica che comporta un raffronto tra le ragioni del decidere espresse nella sentenza impugnata e le risultanze istruttorie sottoposte al vaglio del giudice del merito ( cfr. fra le tante più recenti Cass. S.U. 6 giugno 2023 n. 15931; Cass. S.U. 4 luglio 2023 n. 18843; Cass. S.U. 6 luglio 2023 n. 19227).
I motivi sono dunque inammissibili nelle parti in cui, attraverso la denuncia del  vizio  motivazionale,  sollecitano  un  raffronto  fra  la  motivazione  e  le risultanze processuali,  e,  quindi,  un  esame  diretto  delle  risultanze istruttorie non consentito alla Corte di Cassazione.
Infine non sussiste il vizio che entrambi i ricorsi denunciano con il quarto motivo.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, in sede di  sentenza definitiva, il giudice resta vincolato dalla sentenza non definitiva, anche se non passata in giudicato, in ordine alle questioni decise ed a quelle che ne costituiscano il presupposto logico necessario, senza poter più risolvere le stesse questioni in senso diverso ( cfr. fra le tante Cass. 9 novembre 2021 n.  32654; Cass. 23 giugno 2021 n. 17950; Cass n. 5 ottobre 2020 n. 21258).
Nel caso di specie, peraltro, sulla congruità del canone provvisorio il TSAP con la sentenza n. 16 del 2021 non ha reso alcuna statuizione, avendo solo ritenuto opportuno attendere l’esito della verificazione tecnico -economica già disposta in altri giudizi aventi il medesimo oggetto. Si tratta, all’evidenza, di un provvedimento di carattere meramente ordinatorio ed istruttorio, che non risolve in alcun modo la questione ancora controversa e, come tale, inidoneo a limitare il potere di decisione in sede di adozione della sentenza definitiva.
 In  via  conclusiva  entrambi  i  ricorsi  devono  essere  rigettati,  con conseguente condanna delle società ricorrenti al pagamento delle spese del  giudizio  di  cassazione  in  favore  della  Regione  Lombardia  e  della Provincia RAGIONE_SOCIALE Sondrio, liquidate come da dispositivo.
8. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla L. 24.12.12 n. 228, si deve dare atto, ai fini e per gli effetti  precisati  da  Cass.  S.U.  n.  4315/2020,  della  ricorrenza  delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dalla ricorrente principale e dalla ricorrente incidentale.
P.Q.M.
La  Corte,  rigetta  i  ricorsi  e  condanna  le  società  ricorrenti,  in  solido,  al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate per ciascuna parte  controricorrente  in  €  200,00  per  esborsi  ed  €  8.000,00  per competenze professionali, oltre al rimborso spese generali del 15% ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle società ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per i ricorsi rispettivamente proposti, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 5 dicembre 2023