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Canone a scaletta: valido nelle locazioni commerciali?

La Corte di Cassazione ha confermato la piena legittimità della clausola di “canone a scaletta” nei contratti di locazione ad uso diverso dall’abitazione. Tale pattuizione, che prevede un importo del canone crescente nel tempo secondo scadenze predeterminate, è valida a meno che la parte che ne contesta la nullità non dimostri che essa avesse il solo scopo di eludere i limiti di aggiornamento ISTAT previsti dalla legge. Nel caso di specie, il ricorso della società conduttrice è stato rigettato.

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Pubblicato il 5 dicembre 2025 in Diritto Civile, Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile

Canone a Scaletta nelle Locazioni Commerciali: La Cassazione ne Conferma la Validità

La stipula di un contratto di locazione commerciale rappresenta un momento cruciale sia per il proprietario dell’immobile sia per l’imprenditore. Una delle clausole più discusse è quella del canone a scaletta, che prevede un aumento progressivo dell’affitto nel corso del tempo. Con la recente ordinanza n. 20167/2024, la Corte di Cassazione ha ribadito un principio ormai consolidato, facendo chiarezza sulla sua legittimità e sui limiti da rispettare.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine da un contratto di locazione commerciale stipulato nel 2002. Le parti avevano concordato un canone mensile con importi predeterminati e crescenti per i primi anni di contratto: partendo da 3.500 euro, l’importo sarebbe aumentato gradualmente fino a raggiungere i 6.000 euro dal 2008 in poi, cifra da quel momento soggetta alle variazioni ISTAT.

Nel 2017, la società locatrice avviava una procedura di sfratto per morosità nei confronti della società conduttrice, che non aveva pagato i canoni da quasi due anni. La conduttrice si opponeva, sostenendo la nullità della clausola sul canone a scaletta, in quanto a suo dire violava l’articolo 32 della Legge n. 392/1978, che limita gli aumenti del canone alla sola variazione ISTAT.

Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello davano ragione alla locatrice, ritenendo valida la clausola. La conduttrice decideva quindi di ricorrere in Cassazione.

La Questione Giuridica: Validità del Canone a Scaletta

Il cuore della controversia risiede nel bilanciamento tra due principi fondamentali: da un lato, l’autonomia contrattuale delle parti, che consente loro di determinare liberamente il contenuto del contratto; dall’altro, la norma imperativa dell’art. 32 della Legge sull’Equo Canone, posta a tutela del conduttore da aumenti del canone slegati dall’effettiva inflazione.

La società ricorrente sosteneva che gli aumenti predeterminati fossero di gran lunga superiori alla variazione ISTAT, configurando un tentativo di eludere il divieto di legge e rendendo la clausola nulla.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando la decisione dei giudici di merito e consolidando un orientamento ormai pacifico. Gli Ermellini hanno chiarito che la pattuizione di un canone a scaletta è, in linea di principio, pienamente legittima nei contratti di locazione a uso diverso dall’abitazione.

Il ragionamento della Corte si basa su una distinzione cruciale: gli aumenti predeterminati al momento della stipula del contratto non costituiscono un “aggiornamento” del canone, ma rappresentano la determinazione originaria del corrispettivo, frazionata nel tempo. Le parti, nell’esercizio della loro autonomia negoziale, possono prevedere un canone variabile per diversi segmenti temporali del rapporto, ad esempio per tener conto di un avviamento commerciale crescente o per agevolare il conduttore nella fase iniziale dell’attività con un canone più basso.

La nullità della clausola, sancita dall’art. 79 della stessa legge, interviene solo se viene fornita la prova che le parti abbiano perseguito surrettiziamente lo scopo di neutralizzare gli effetti della svalutazione monetaria, eludendo i limiti quantitativi posti dall’art. 32. L’onere di fornire tale prova spetta a chi invoca la nullità, ovvero al conduttore. Nel caso specifico, la società conduttrice non è riuscita a dimostrare tale intento elusivo.

Anzi, la Corte d’Appello aveva correttamente interpretato la clausola come una forma di ausilio al conduttore, prevedendo rate iniziali inferiori al valore medio del canone complessivo, per poi aumentarle gradualmente.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame conferma un principio di fondamentale importanza per il mercato immobiliare commerciale: il canone a scaletta è uno strumento contrattuale valido e flessibile. I proprietari e gli inquilini possono liberamente concordare un canone progressivo, purché tale accordo sia parte della determinazione iniziale del prezzo e non mascheri un’indicizzazione occulta del canone al di fuori dei limiti ISTAT. Per contestare la validità di una simile clausola, non è sufficiente lamentare che gli aumenti superino l’inflazione, ma è necessario dimostrare in modo concreto che l’unico scopo dell’accordo era quello di aggirare la legge.

È legittima una clausola che prevede un canone di locazione commerciale a importi crescenti nel tempo (c.d. “canone a scaletta”)?
Sì, la Corte di Cassazione ha confermato che tale clausola è legittima. Si considera parte della determinazione originaria del corrispettivo pattuito tra le parti e non un aggiornamento vietato dalla legge, a condizione che non sia volta a eludere i limiti di indicizzazione ISTAT.

Chi deve provare che un canone a scaletta è stato pattuito per eludere i limiti di aggiornamento ISTAT?
L’onere della prova grava sulla parte che invoca la nullità della clausola, ovvero sul conduttore. Quest’ultimo deve dimostrare che lo scopo della pattuizione era quello di neutralizzare gli effetti della svalutazione monetaria in violazione della legge.

Un aumento del canone predeterminato nel contratto è considerato un aggiornamento vietato dalla legge?
No, secondo la giurisprudenza consolidata, un aumento predeterminato nel contratto fin dalla sua stipula non è un “aggiornamento” del canone, ma una modalità di determinazione del corrispettivo complessivo del rapporto di locazione, differenziato per frazioni di tempo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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