Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 20167 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 20167 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/07/2024
LOCAZIONE AD USO DIVERSO DALL’ABITAZIONE
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23880/2021 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, con domicilio telematico all’indirizzo PEC de l proprio difensore
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, con domicilio telematico all’indirizzo PEC del proprio difensore
-controricorrente –
Avverso la sentenza n. 1024/2021 della CORTE DI APPELLO DI FIRENZE, depositata il giorno 15 giugno 2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10 aprile 2024 dal AVV_NOTAIOigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con atto del 18 settembre 2002, la RAGIONE_SOCIALE (poi divenuta RAGIONE_SOCIALE) concesse in locazione ad uso diverso dall’abitazione alla RAGIONE_SOCIALE un immobile in Colle Val d’Elsa, cespite contestualmente sublocato alla RAGIONE_SOCIALE, in corso di rapporto (e precisamente nel maggio 2013) subentrata nel contratto in luogo della originaria conduttrice.
Con apposita clausola, il canone era stato convenuto nei seguenti importi, tutti riferiti a mese e da maggiorarsi dell’IVA dovuta per legge: euro 3.500 per il periodo settembre 2002-dicembre 2003; euro 4.000 per il periodo gennaio 2004-dicembre 2004; euro 4.500 per il periodo gennaio 2005-dicembre 2005; euro 5.000 per il periodo gennaio 2006dicembre 2006; euro 6.000 per il periodo gennaio 2007-dicembre 2007; dal 1° gennaio 2008 e sino a scadenza, euro 6.000, assoggettato a variazioni ISTAT a partire dal 1° gennaio 2008.
Nel febbraio 2017, la RAGIONE_SOCIALE intimò alla RAGIONE_SOCIALE sfratto per morosità per il mancato pagamento dei canoni da maggio 2015 a gennaio 2017, con richiesta altresì di decreto ingiuntivo per i canoni scaduti e da scadere.
Disposto il mutamento di rito per effetto dell’opposizione della parte intimata, all’esito del giudizio di prime cure l’adito Tribunale di Siena dichiarò risolto il contratto per inadempimento della conduttrice, cessata la materia in ordine al rilascio dell’immobile e condannò la conduttrice al pagamento della somma di euro 285.571,81.
La decisione in epigrafe indicata ha rigettato l’appello interposto dalla conduttrice.
Per quanto ancora qui d’interesse, la Corte d’appello fiorentina ha ritenuto la validità della clausola di determinazione del canone « a scaletta », ovvero in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell’arco del rapporto, siccome, con riferimento al
caso concreto, non diretto ad eludere il divieto stabilito dall’art. 32 della legge 27 luglio 1978, n. 392.
Ricorre per cassazione RAGIONE_SOCIALE, articolando tre motivi, cui resiste, con controricorso, RAGIONE_SOCIALE.
Fissato una prima volta per l’adunanza camerale del giorno 8 novembre 2023 (in vista della quale parte controricorrente depositò memoria illustrativa), la causa è stata poi trattata all’odierna adunanza in camera di consiglio, in occasione della quale ambedue le parti hanno depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo lamenta « omesso esame di fatti decisivi per il giudizio -motivazione apparente/illogica/perplessa (art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ.) ».
Ad avviso di parte ricorrente, la Corte d’appello ha errato nel ritenere che gli importi mensili di cui era previsto il pagamento sino al 2007 fossero stati « determinati quali modalità di pagamento ( id est rate) di un diverso e complessivo canone »: il contratto non « contiene elementi né indica le ragioni per le quali le parti siano addivenute alla determinazione di un canone progressivamente crescente o alla riduzione del canone nel periodo iniziale » tali da rendere legittima la clausola convenzionale di fissazione del canone.
Per contro continua l’impugnante -, considerando i dati offerti dalla relazione tecnica di parte, la variazione di ciascun singolo aumento del canone è « sempre nettamente maggiore (e di molto) alla variazione ISTAT », sicché la pattuizione sul canone era nulla, poiché tesa ad eludere il limite ex art. 32 della legge n. 392 del 1978.
Con il secondo mezzo, per violazione o falsa applicazione degli artt. 32 e 79 della legge n. 392 del 1978 in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., si sostiene, breviter, la nullità della clausola contrattuale sul canone c.d. a scaletta, ovvero, per le locazioni
ad uso diverso dall’abitazione, la previsione di aumenti del canone in corso di rapporto eccedenti l’entità ragguagliata all’aggiornamento del potere di acquisto della moneta.
A tacer dei dubbi di ammissibilità del primo motivo (indotti: dalla evocazione di un’apparenza e perplessità della motivazione sulla base di elementi estranei ed esulanti rispetto alla stessa; dalla allegazione, quale « fatto » omesso, di argomentazioni difensive e non già di accadimenti fenomenici; dal richiamo ad un documento -la relazione tecnica di parte del AVV_NOTAIO, di cui non si adduce il tempo e il modo di introduzione nei gradi di merito del giudizio), le censure da scrutinare congiuntamente, per ragioni di connessione – sono destituite di fondamento.
L’inte ra argomentazione del ricorrente riposa, in punto di diritto, su un presupposto: la nullità della clausola determinativa del canone c.d. a scaletta nei contratti di locazione ad uso diverso dall’abitazione.
Si tratta di un assunto che – quantunque abbia trovato riscontro in alcuni precedenti di legittimità (in specie, da Cass. 04/04/2017, n. 8669 e da Cass. 11/10/2016, n. 20834, citate in ricorso) – può dirsi definitivamente sconfessato nella sua fondatezza, a seguito della rimeditazione critica e della sistemazione organica dell’istituto operata , con anelito nomofilattico, da Cass. 10/11/2016, n. 22908, e ribadita, in maniera oramai consolidata, dalla successiva giurisprudenza di questa Corte ( ex plurimis, cfr. Cass. 22/02/2023, n. 5554; Cass. 14/02/2023, n. 4445; Cass. 09/09/2022, n. 26619; Cass. 25/07/2022, n. 23145; Cass. 12/11/2021, n. 33884; Cass. 27/03/2020, n. 7574; Cass. 18/11/2019, n. 29813; Cass. 16/01/2019, n. 1004; Cass. 09/03/2018, n. 5656; Cass. 21/06/2017, n. 15348).
Costituisce oramai ius receptum il principio secondo cui in tema di locazione di immobili ad uso diverso da quello di abitazione, è legittima la pattuizione -convenuta all’atto della conclusione del contratto o in
corso di rapporto – di un canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo, realizzata mercé pagamento di rate predeterminate per ciascun segmento temporale, con frazionamento dell ‘ intera durata del contratto in periodi più brevi a ciascuno dei quali corrisponda un canone passibile di maggiorazione, oppure correlando l ‘ entità del rateo all ‘ incidenza di elementi e fatti predeterminati influenti sull ‘ equilibrio sinallagmatico; la legittimità di detti patti (iniziali o successivi) va esclusa ove risulti (dal testo contrattuale o da elementi extratestuali , l’allegazione dei quali è onere della parte che invochi la nullità della pattuizione) che le parti abbiano in realtà perseguito surrettiziamente lo scopo di neutralizzare gli effetti della svalutazione monetaria, in elusione dei limiti quantitativi posti dall ‘ art. 32 della legge n. 392 del 1978, così incorrendo nella sanzione di nullità prevista dal successivo art. 79, primo comma, della stessa legge.
A tale indirizzo -cui va data ulteriore e convinta continuità – si è pienamente conformato il giudice territoriale il quale, a fronte della in abstracto legittima – pattuizione del canone di locazione in esame in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo, ha, sulla scorta di una interpretazione del testo contrattuale e dell’analisi delle circostanze del caso concreto, escluso -reputando non offerta alcuna valida prova al riguardo ad opera della parte conduttrice -che il concordato ‘ scalettamento ‘ fosse stato concordato al solo scopo di neutralizzare gli effetti della svalutazione monetaria in elusione dei limiti imposti dall ‘ art. 32 della legge n. 392 del 1978.
Più in dettaglio, valorizzando il principio fondamentale della libertà ed autonomia negoziale, la Corte fiorentina ha ritenuto che l’importo globale del canone (calcolato mediante un’agevole operazione matematica di somma degli importi stabiliti per i singoli importi) fosse graduato « in modo oggettivamente d’ausilio al conduttore », poiché
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importante rate di canone « inferiori al valore medio mensile nei primi anni e superiore solo dopo oltre la metà della durata complessiva ».
Alla descritta trama motivazionale l’odierna ricorrente contrappone argomenti già spesi nel merito, ed adeguatamente disattesi, senza neppure addurre la inosservanza di canoni di ermeneutica negoziale, unica censura in ipotesi idonea contrastare una errata esegesi delle previsioni del contratto di locazione.
Il terzo motivo, nuovamente intestato « omesso esame di fatti decisivi per il giudizio -motivazione apparente/illogica/perplessa (art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ.) », contesta l’assorbimento e la dichiarata inammissibilità del terzo motivo di appello « concernente la c.t.u. », sostenendo che la stima del « valore locatizio dell’immobile nel 2002 » operata dal c.t.u. era « da tenere in considerazione » sicché il giudice di secondo grado « avrebbe dovuto accogliere la richiesta di rinnovazione della c.t.u. ».
4.1. La doglianza è inammissibile.
Essa censura la reiezione di un motivo di appello: ma di esso omette – in maniera radicale – di riportare o trascrivere (quantomeno per stralci e nei passaggi di interesse) il contenuto, sì da rendere non comprensibile (in maniera adeguata o quantomeno sufficiente) a questa Corte il fatto processuale e da precludere, per l’effetto, il vaglio sulla fondatezza della sollevata ragione di impugnazione di legittimità.
Sol per completezza espositiva, si osserva come la rinnovazione della consulenza tecnica di ufficio costituisce estrinsecazione di un potere tipicamente discrezionale del giudice di merito, esercitabile anche di ufficio, non censurabile in sede di legittimità, pur in ipotesi di implicito o immotivato diniego di esplicita richiesta della parte, quando dal complesso della motivazione risultino esaurienti i risultati probatori già acquisiti e irrilevanti o superflue le ulteriori indagini (Cass.
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20/08/2019, n. 21525; Cass. 24/01/2019, n. 2103; Cass. 29/09/2017, n. 22799; Cass. 19/07/2013, n. 17693).
Il ricorso è rigettato.
Il regolamento delle spese del giudizio di legittimità segue il principio della soccombenza.
A tteso l’esito del ricorso, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente – ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 – di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello prev isto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla refusione in favore della parte controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 7.000 (settemila) per compensi professionali, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori, fiscali e previdenziali, di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento al competente ufficio di merito da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1bis .
Così deciso in Roma, nella Camera di AVV_NOTAIOiglio della Terza Sezione