Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 2423 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 2423 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso 21029-2019 proposto da:
COGNOME, domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1108/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 29/12/2018 R.G.N. 82/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/12/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
Previdenza agricoli
R.G.N. 21029/2019
COGNOME
Rep.
Ud.12/12/2024
CC
RILEVATO CHE
Con sentenza n.1108/18, la Corte d’appello di Catania confermava la pronuncia di primo grado che aveva respinto la domanda di COGNOME NOME tesa ad ottenere il diritto alla reiscrizione negli elenchi dei braccianti agricoli per gli anni dal 1999 al 2005, d opo che l’Inps, nel 2008, aveva provveduto alla relativa cancellazione.
Riteneva la Corte che il giudizio avesse ad oggetto non la legittimità dell’atto amministrativo di cancellazione, ma la sussistenza del rapporto previdenziale con correlato onere dell’appellante di dimostrare che, negli anni 1999 -2005, era stata svolta effettivamente attività lavorativa alle dipendenze dell’azienda agricola di Firera Giuseppe. Tale prova non era stata raggiunta, poiché i testi escussi erano inattendibili, né era rilevante nei confronti dell’Inps la documentazione amministrativa proveniente dal datore di lavoro (CUD e buste paga). La Corte d’appello confermava quindi il difetto di prova anche alla luce del verbale della Guardia di Finanza redatto nei confronti del titolare COGNOME
Avverso la sentenza, COGNOME NOME ricorre per tre motivi.
L’Inps resiste con controricorso.
All’odierna adunanza camerale, il collegio riservava il termine di 60 giorni per il deposito del presente provvedimento.
RILEVATO CHE
Con il primo motivo di ricorso, COGNOME Michele deduce violazione degli artt.17 e 22 d.l. n.7/70, 9 d.lgs. n.375/93 e dell’art.97, co.2 Cost. L a Corte avrebbe errato nel qualificare l’opposizione intentata non come impugnazione dell’atto amministrativo dell’Inps di cancellazione dagli elenchi dei lavoratori agricoli, ma come giudizio sul rapporto previdenziale.
Con il secondo motivo di ricorso, COGNOME Michele deduce violazione dei principi di ragionevolezza e di affidamento e dell’art.8 d.P.R. n.818/57, per non aver considerato la Corte che l’Inps non poteva procedere alla cancellazione dagli elenchi dopo vari anni, quando già era sorto un affidamento in capo al lavoratore, dovendo l’azione amministrativa essere improntata a ragionevolezza.
Con il terzo motivo di ricorso, COGNOME Michele deduce violazione e falsa applicazione degli artt.2697 c.c. e 115 c.p.c. in quanto la Corte non avrebbe considerato che il proprio onere probatorio era alleggerito dalle generiche contestazioni dell’Inps, basate sul verbale di accertamento fiscale della Guardia di Finanza, che non conduceva a un disconoscimento del rapporto di lavoro.
Il primo motivo è infondato.
La Corte si è conformata al costante orientamento di questa Corte di legittimità (Cass.12001/18, Cass.6229/19, Cass.31954/19, Cass.30858/21, Cass.2125/23, Cass.4523/24) secondo cui: a) l ‘ iscrizione negli elenchi anagrafici dei lavoratori agricoli costituisce presupposto per l’attribuzione della prestazione previdenziale; b) a seguito del disconoscimento dell’Inps del rapporto di lavoro agricolo , con cancellazione dagli elenchi dei lavoratori agricoli, spetta al lavoratore l’onere di provare l’esistenza, la durata e la natura onerosa del rapporto dedotto a fondamento del diritto di iscrizione e di ogni altro diritto consequenziale di carattere previdenziale che abbia fatto valere; c) il relativo giudizio è un giudizio non di impugnazione dell’atto di cancellazione, ma di accertamento del rapporto previdenziale; resta irrilevante, ad esempio, che il provvedimento di cancellazione sia privo di motivazione (Cass.2125/23, Cass.14110/24).
Allo stesso modo deve restare irrilevante che esso, come lamenta il motivo, non abbia attestato che l’iscrizione negli elenchi per gli anni 1999-2005 fosse sorretta da manifesta illegittimità, ai sensi dell’art.15, co.3 d.l. n.7/70. Si tratterebbe , anche in questo caso, di un vizio di motivazione del provvedimento amministrativo, irrilevante in questa sede, dove non viene in luce l’art.3 l. n.241/90 ma il rapporto previdenziale.
Per le stesse ragioni è infondato il secondo motivo.
Con esso si fa valere nuovamente un vizio dell’atto amministrativo di cancellazione, ovvero che esso fu adottato tardivamente, quindi in violazione del principio di ragionevolezza. Va ribadito che il presente giudizio non è volto a sindacare l’ agere amministrativo dell’Inps, ma a dimostrate la sussistenza del rapporto di lavoro agricolo e del connesso rapporto previdenziale.
Inconferente è il richiamo all’art. 8 d.P.R. n.818/57, secondo cui sono irripetibili i contributi per i quali l’accertamento dell’indebito versamento sia posteriore di oltre 5 anni dal versamento. La norma ha infatti ad oggetto la ripetizione d’indebito contributivo, escludendola dopo 5 anni . Nel caso di specie però il presente giudizio non ha tale oggetto, bensì la pretesa del ricorrente di ottenere la reiscrizione e quindi la ricostituzione della posizione assicurativa.
Il terzo motivo è inammissibile.
Ribadito che correttamente l’onere probatori o sulla sussistenza e durata del rapporto di lavoro incombeva sull’odierno ricorrente, va ricordato che è inammissibile la censura con cui ci si limiti a dedurre che il giudice di merito abbia male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova: in tal caso si fuoriesce dalla violazione dell’art.116 c.p.c., rientrandosi nel
diverso caso dell’art.360, co.1, n.5 c.p.c. e il motivo di ricorso è assoggettato ai limiti ivi previsti (Cass., Sez. Un., n.20867/20). Ora, il motivo in questione giunge, nella sostanza, a contestare l’accertamento in fatto compiuto dalla Corte territoriale sull ‘ assenza di elementi probatori fondanti tale rapporto. Il ricorrente propugna un alleggerimento del proprio onere probatorio senza però individuare in concreto alcun fatto storico decisiv o e omesso, ai sensi dell’art.360, co.1, n.5 c.p.c. , dal quale risulterebbe una qualche prova positiva a proprio favore della sussistenza del rapporto lavorativo. Ancora, si censura l’efficacia probatoria del verbale di accertamento fiscale della Guardia di Finanza, ma in modo inammissibile, poiché di fatto si arriva a confutare il modo in cui il Collegio ha prudentemente apprezzato il quadro probatorio ex art.116 c.p.c. D’altro canto, una volta censurato tale verbale, il motivo non adduce quali sarebbero i fatti storici rilevanti e decisivi da cui inferire la sussistenza del rapporto di lavoro.
Conclusivamente il ricorso va respinto con condanna alle spese secondo soccombenza.
P.Q.M.
ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, atteso il rigetto del ricorso, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis., se dovuto.