Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 14595 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 14595 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 30/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 17167-2019 proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente principale –
contro
CASSA ITALIANA DI PREVIDENZA ED ASSISTENZA DEI GEOMETRI LIBERI PROFESSIONISTI, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
ricorrente incidentale nonché contro
COGNOME
Oggetto
Cancellazione
CIPAG
R.G.N. 17167/2019
COGNOME
Rep.
Ud. 28/01/2025
CC
– ricorrente principale -controricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 577/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 10/04/2019 R.G.N. 1320/2017; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/01/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1. La Corte d’appello di Milano ha confermato la pronuncia di primo grado di rigetto della domanda di NOME COGNOME volta a conseguire la cancellazione della sua iscrizione alla Cassa Italiana di Previdenza e Assistenza dei Geometri a decorrere dal 31/12/2012 e l’annullamento della cartella esattoriale recante la pretesa contributiva per l’anno 2013, ed in subordine il suo diritto ad essere cancellato dal 13/12/2013 adducendo la responsabilità del Collegio dei Geometri per la ritardata trasmissione alla Cassa della sua dichiarata volontà di cancellazione, e di conseguenza l’accertamento negativo dell’obbligo di versamento per le due annualità successive.
In primo grado era stato rilevato il mancato completamento della pratica di cancellazione poiché alla data dell’11/2/2013 lo stesso richiedente aveva inoltrato al Collegio competente una nota con la quale confermava di non aver ancora inviato la domanda di cessazione attività, corredata di documentazione (autocertificazione sul mancato esercizio della professione, sulla mancata titolarità della partita IVA e sulla produzione di redditi professionali) che in appello riferiva di non aver prodotto per ragioni di salute; la Corte territoriale ha escluso che la volontà di cessare fosse ricostruibile dalla richiesta di simulazione della pensione e dall’inizio dell’iter per la cancellazione, e d’altronde la Cassa aveva comunicato al richiedente in data 11/12/2015 di
essere ancora iscritto indicandogli gli adempimenti necessari per la cancellazione, come confermerebbe una mail del 14/11/2013 con il Collegio Geometri di Milano, cui andava escluso l’addebito di una condotta negligente, nella quale lo stesso richiedente si rammaricava di non aver ancora inoltrato i documenti mancanti, comunque non allegati a quella missiva. La mancata dimostrazione di aver completato l’iter per giungere alla cancellazione dall’Albo ai fini della Cassa di previdenza, non poteva essere sostituita da una valutazione e/o ricostruzione della volontà del richiedente di essere, sebbene in buona fede, in regola con tale procedimento e di non dover compiere alcuna formalità.
Avverso tale pronuncia ricorre per cassazione il geometra COGNOME articolando tre motivi, a cui la Cassa geometri resiste con controricorso unitamente a ricorso incidentale sulle spese compensate in primo grado. Entrambe le parti hanno poi depositato memorie in prossimità dell’udienza camerale.
Il ricorso è stato trattato e deciso all’esito della camera di consiglio del 28 gennaio 2025.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, co.1, n. 5, c.p.c., l’ omesso esame di due fatti decisivi e controversi: il comportamento della Cassa che il 20/3/16 aveva comunicato di aver proceduto alla cancellazione dell’iscritto dal dicembre 2015 sulla base della sola volontà del richiedente e senza seguire le formalità del regolamento, ed il comportamento del COGNOME che, dopo l’inoltro di documentazione al Collegio dei Geometri tra la fine 2012 e l’inizio 2013 , nulla aveva più trasmesso sulla sua posizione
previdenziale, circostanze non esaminate e dalle quali si evincerebbe che anche per la Cassa era sufficiente la sola manifestazione di volontà.
2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione, ai sensi dell’art. 360 co.1 n.3 c.p.c., degli artt. 1362 comma 2 c.c. e 1366 c.c., nonché dell’art. 47 dpr 445/00 non avendo la sentenza impugnata valorizzato il comportamento concludente della Cass a nell’aver ritenuto sufficiente (nel 2016, tre anni dopo la domanda) la manifestazione della volontà di cancellazione senza necessità di formalismi regolamentari e per non aver considerato, a conferma del comune intento della volontà di cancellazione, la contrarietà della condotta della Cassa alla buona fede nell’esecuzione del rapporto previdenziale. Lamenta la violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale, l’omessa valutazione della sufficienza di quel comportamento rimasto immutato nel 2012/2013 come nel 2015 poiché la documentazione di riferimento era rimasta inalterata. Ed ancora la formazione del documento Mod. 3/03, ‘autoprodotto’ dalla Cassa, si intenderebbe come giustificativa della tardività della produzione documentale, per una completezza raggiunta solo nell’anno 2015, sicché la Corte avrebbe omesso di valutare che la condotta della Cassa non rispondeva a canoni di interpretazione secondo buona fede del rapporto contrattuale, avendo l’ente attribuito al COGNOME le conseguenze di un proprio comportamento, trasferendo sul geometra la tardività di gestione della pratica. Aggiunge il ricorrente che il documento n.6 (la presunta autocertificazione) non risulta sottoscritto ma reca il nominativo del geometra, a stampa, e pretestuosamente la Cassa lo aveva ritenuto attuale al 2015 spostando in avanti la manifestazione di volontà, risalente, invero, già ad epoca antecedente 2012/2013; infine,
lamenta la violazione dell’art. 43 dpr 445/2000 perché se la autocertificazione non è a sua firma, non poteva essere ritenuta valida ai fini del preteso completamento della pratica, come la Corte ha invece ritenuto asserendo che il geometra non aveva fatto pervenire autocertificazioni ‘almeno sino al 31/12/2015’ .
3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 co.1 n.3 c.p.c., per non essere stati ritenuti provati, in sentenza, i fatti documentati posti a sostegno del diritto del geometra di essere cancellato dall’1/1/13 o in subordine dall’1/1/14, dando prevalenza alle regole probatorie illegittimamente stabilite dalla Cassa. In particolare, sulla mail inviata dal geometra alla Cassa in data 14/11/2013, la Corte territoriale ha ritenuto che non risultasse allegato alcunché (avrebbe dovuto esserci il Mod. 3/03 firmato) e che tale circostanza non sia stata smentita dal geometra, il quale si era limitato a sostenere che non fosse necessario fornire la prova contraria di aver inoltrato il documento, viste, poi, le risposte date dal Collegio geometri, per concludere che non era dimostrato che l’appellante avesse completato l’iter. C’era poi una comunicazione del 29/1/16 a firma degli avvocati del Collegio geometri contenente l’affermazione dell’avve nuta sottoscrizione del Mod.3/03 ad opera del COGNOME e del suo inoltro via mail all’impiegata dell’ufficio in data 14/11/13 e si trattava dell’unico modulo in atti di cui la Corte aveva rilevato la mancata produzione: si trattava di una circostanza incontroversa, che non andava provata, un fatto non contestato dalla controparte; diversamente, era stato violato l’art. 115 c .p.c. e la Corte territoriale avrebbe dovuto ritenere provato il completamento dell’iter documentale nell’anno 2013. Si trattava di un documento sul quale era già apposto il timbro di protocollo del
Collegio, con la data del 31/12/2012, spedito il 30/10/13, avente valenza probatoria in quanto dimostrerebbe la volontà di cancellarsi, e resterebbe violato l’art. 2697 c.c. per non essere stata ritenuta provata la circostanza della manifestazione di volontà nel corso del 2012. Ed infine, la Corte non aveva valutato l’illegittimità delle regole probatorie imposte dalla normativa regolamentare della Cassa, in violazione dei limiti all’autonomia organizzativa, amministrativa e contabile dell’ente, nell’ambito della delegificazione ex art. 2 d.lgs. 509/94 circa la possibilità di adottare un numero limitato di provvedimenti determinativi del trattamento pensionistico, nel rispetto del principio del pro-rata.
4. Nel controricorso la CIPAG eccepisce l’inammissibilità del ricorso che tende ad una rivalutazione, nel merito, delle circostanze di fatto dolendosi di una loro errata/omessa valutazio ne, non già delle violazioni di cui all’art. 360 c.p.c., fornendo la propria interpretazione dei fatti. A fronte di motivi generici ed incomprensibili, carenti anche di autosufficienza, spetta comunque al giudice di merito il compito di valutare le prove non nella fase di legittimità; il ricorrente, invero, non muove contesta zioni sull’iter logico giuridico svolto dalla Corte di appello, ma si duole di una sua errata interpretazione e chiede la rivalutazione di fatti e documenti. In particolare, sul primo motivo non c’è lacuna motivazionale avendo la Corte territoriale esaminato le due circostanze tacciate di omesso esame, e poi il ricorrente si contraddice con gli altri due motivi dove da un omesso esame si passa ad una errata valutazione; sul secondo motivo i primi due aspetti sarebbero infondati perché non v’è alcun contratto da interpretare ed il terzo profilo riguarda un’autocertificazione non sottoscritta , facente riferimento a circostanze chiarite solo nel 2015 (ossia la chiusura della partita
IVA e la cessazione di attività); mentre il terzo motivo sarebbe infondato poiché entra nel merito delle circostanze di fatto già esaminate, ossia che il ritardo nella cancellazione sia imputabile al geometra, come si evince dalla mail dell ‘ 11/2/2013 e dalla consapevole perdurante iscrizione fino al 2015.
4.1- Il controricorrente, inoltre, propone ricorso incidentale avverso la medesima impugnata pronuncia nella parte in cui la Corte d’appello, in violazione dell’art. 92 c.p.c., ha compensato le spese processuali fra le parti ‘ in considerazione della oggettiva difficoltà di accertamento dei fatti preclusiva della conoscibilità a priori delle ragioni delle parti in causa ‘; per contro, la parte appellante era rimasta soccombente e non si individua né la complessità delle questioni, né si ravvisano gravi ed eccezionali ragioni come indicato dalla pronuncia della Corte Costituzionale n. 77/2018.
Il primo motivo è inammissibile: su entrambe le circostanze di fatto, che si traducono peraltro nell’interpretazione valutativa dei comportamenti pre-processuali di entrambe le parti, la sentenza impugnata, benvero, ha fornito una risposta: sulla prima, la Corte territoriale ha ritenuto rilevante la non esplicita volontà di cancellarsi -non desumibile dal solo contatto preliminare per ricevere una simulazione sulla propria pensione e dall’aver iniziato l’iter di canc ellazione , ovvero di ‘ disiscrizione ai fini della cancellazione dalla Cassa ‘ -, e l’inidoneità di tale comportamento a superare le presunzioni stabilite dalla normativa regolamentare -dando quindi una risposta formalistica-; per la seconda circostanza è lo stesso ricorrente che ricorda di aver inoltrato l’autocertificazione soltant o nel 2015, sulla base di un modulo predisposto dalla Cassa (cd. Mod. 3/03). Quindi una valutazione delle due circostanze c’è stata in
appello, non v’ è omessa pronuncia; e ad ogni modo non va sottaciuto che il denunciato errore percettivo del giudice di merito su un fatto storico, principale o secondario, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e che risulti idoneo ad orientare in senso diverso la decisione, può essere fatto valere, ai sensi dell’art. 360, co.1, n.5, c.p.c., e nei ristretti limiti di tale disposizione, qualora l’errore consi sta nell’omesso esame del predetto fatto (e non anche quando si traduca nella mera insufficienza o contraddittorietà della motivazione), sempre che non ricorra l ‘ ipotesi della cd. “doppia conforme” ai sensi dell’art. 348 ter, commi 4 e 5, c.p.c. (cfr. Cass. sent. n. 37382/2022). Trattasi di una considerazione ostativa alla proposizione della denunciata violazione, con ‘ conseguente inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, co.1, n.5, c.p.c., non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizion e già assunta dal primo giudice’ (cfr. Cass. ord. n. 7724/2022).
Anche il secondo motivo è inammissibile, poiché tendente ad una rivalutazione, nel merito, del materiale probatorio acquisito, in tal modo sollecitando una pronuncia di merito, di diverso tenore rispetto a quella già formulata in secondo grado, inammissibile nel presente grado di giudizio. Invero, il ricorrente utilizza la violazione di legge interpretativa dei contratti, per fornire non tanto una corretta interpretazione quanto per confutare l’interpretazione resa dalla Cassa e dalla Corte d’appello circa la volontà del geometra di ‘ disiscriversi ‘ dalla
Cassa, e circa la volontà della Cassa che ha ritenuto tale condotta sufficiente a tal fine, cioè per sciogliere il rapporto previdenziale; ma, a ben vedere, l’impugnata pronuncia non ha omesso una valutazione del comportamento della parte, ha invece valutato che non potesse essere ricostruita la volontà del geometra di cessare l’attività des umendola dal suo comportamento. Non si verte in un’ipotesi di omessa valutazione della inequivocità del comportamento del geometra ma di diversa valutazione del materiale documentale e del comportamento delle parti, che è stata compiuta dalla Corte e differentemente opinata dal ricorrente; ad ogni modo le regole interpretative dell’art. 1362 e ss. non sovrintendono alla regola di giudizio del giudice di merito ma ai rapporti fra le parti ed in questa sede dovrebbe solo essere valutata l’eventuale violazione del canone interpretativo. Non risulta invece, che la parte ricorrente abbia inteso contestare l’utilizzabilità e la sufficienza autocertificativa del documento Mod. 3/03 stampato ma non firmato, disconoscendone la paternità alla data in cui esso è stato contemplato dalla Cassa per definire l’iter di cancellazione; ed invece, il ricorrente intende avvalersi della sua inesistenza per sostenere che quella volontà di ‘disiscriversi’ -usando un termine che non è quello della CIPAG, che parla di cancellazione- era già inequivocamente esistente nel 2013: in realtà, tale volontà non era chiaramente espressa, come dice la Corte d’appello -circostanza non specificamente confutata nel ricorso e neppure illustrata nei motivi trascrivendo l’originaria istanza, nel rispetto del parametro di autosufficienzae soprattutto non era formalizzata con le modalità autocertificate di impegno a comunicare l’eventuale ripristino dell’attività e di allegazione della chiusura di partita IVA.
Egualmente inammissibile è il terzo motivo: il ricorrente ricostruisce l’esistenza della sottoscrizione del Modulo 3/03 dalla comunicazione del 29/1/16 a firma degli avvocati del Collegio dei Geometri nella quale si dava atto che il geometra COGNOME aveva sottoscritto il modulo e lo aveva restituito via mail all’impiegata in data 14/11/13; fonda la prova della completezza dell’iter documentale -che nel precedente motivo di ricorso aveva invece negato ritenendo sufficiente la sola inequivoca manifestazione di volontà- su una comunicazione proveniente da terze parti non contestata dalla Cassa, così affidando a documenti di provenienza non controllabile la prova di un fatto che la Corte ha ritenuto invece non provato, senza addurre un errore valutativo di documenti probatori e traducendo in una lamentata violazione delle regole di riparto dell’onere probatorio un giudizio su un documento che lo stesso geometra ha più volte ritenuto non indispensabile ai fini di prova di un altro fatto, ossia della inequivoca manifestazione di volontà; peraltro si tratterebbe di un documento (la comunicazione mail degli avvocati del 29/1/16) di non equivoca produzione in epoca anteriore -2013- e dimostrativo proprio di quanto poi la Corte ha asserito, ossia che almeno fino al 31/12/2015 il COGNOME non aveva fatto pervenire le autocertificazioni attestanti il mancato esercizio della professione. Il motivo difetta di specificità e precisione, ed è illogico e contraddittorio con il motivo n.2, quindi inammissibile. Non ricorre, poi, alcuna violazione della L.509/94 perché è nell’interesse del professionista rendere la richiesta dichiarazione sull’esercizio della professione , circostanza che la Cassa non accerta.
7.1- Ad ogni modo, sul tema della doluta violazione dell’art. 2697 c.c., in linea generale si segua l’orientamento di questa Corte
(ord. n.24609/23) secondo cui può essere censurata in sede di legittimità, ai sensi dell’art. 360 co.1, nr. 3 c.p.c., solo quando il giudice abbia attribuito l’onere della prova a una parte diversa da quella che ne era gravata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni (ex plurimis, tra le più recenti, v. Cass. n.3129/2023, al punto 11.1, sulla scia di Cass. n.13395/2018). E, come logico corollario, la Corte afferma che la violazione dell’art. 2697 c.c. ‘ non può essere utilmente denunciata quando la parte imputi alla sentenza impugnata l’erronea valutazione delle acquisizioni istruttorie e assume che il Giudice abbia sbagliato nel ritenere assolto l’onus probandi: in questo caso è censurato l’apprezza = mento degli elementi di prova, sindacabile nei ristretti limiti di cui all’art. 360 n.5 cpc (ex multis, Cass. n.17313/20 20)’
Il ricorso principale va, dunque, complessivamente dichiarato inammissibile.
Il ricorso incidentale, che non contesta precipuamente la ‘oggettiva difficoltà di accertamento dei fatti’ posta dal giudice di merito a sostegno della compensazione delle spese, ma si duole della inidoneità di tale espressione a ravvisare la ‘complessità’ delle questioni che la giustificherebbe (nulla indicando sull’impedita conoscibilità a priori delle ragioni delle parti in causa se non a seguito di accertamento giudiziale), va dichiarato inefficace; esso, notificato al ricorrente il 5/7/2019, è stato tardivamente proposto rispetto alla data di notifica della sentenza, compiuta il 10/4/19 a cura del procuratore dell’appellata -come riportato nel ricorso principale-, e va pertanto dichiarato inefficace ai sensi del secondo comma dell’art. 334 c.p.c. stante la dichiarata inammissibilità del ricorso principale. Né, al riguardo, rileva il rispetto dei termini di cui all’art. 371 c.p.c. in relazione alla notifica del ricorso principale;
sul punto, vale il consolidato principio ribadito da questa Corte con ord. n.17707/2021: « in tema di giudizio di cassazione, il ricorso incidentale tardivo, proposto oltre i termini di cui agli artt. 325, comma 2, ovvero 327, comma 1, c.p.c., è inefficace qualora il ricorso principale per cassazione sia inammissibile, senza che, in senso contrario rilevi che lo stesso sia stato proposto nel rispetto del termine di cui all’art. 371, comma 2, c.p.c. (quaranta giorni dalla notificazione del ricorso principale)» (Cass., n. 6077 del 26/03/2015)’ .
10. Le spese del giudizio di cassazione sono poste a carico del solo ricorrente principale in virtù del principio di soccombenza, e sono liquidate in ragione del valore determinato di lite. Sul punto, si richiama il precedente di questa Corte, ord. n. 33733 del 2023, secondo cui ‘ in caso di declaratoria di inammissibilità del ricorso principale, il ricorso incidentale tardivo è inefficace ai sensi dell’art. 334, comma 2, c.p.c., con la conseguenza che la soccombenza va riferita alla sola parte ricorrente in via principale, restando irrilevante se sul ricorso incidentale vi sarebbe stata soccombenza del controricorrente, atteso che la decisione della Corte di cassazione non procede all’esame dell’impugnazione incidentale e dunque l’applicazione del principio di causalità con riferimento al decisum evidenzia che l’instaurazione del giudizio è da addebitare soltanto alla parte ricorrente principale ‘.
Segue altresì la pronuncia in tema di versamento del doppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater d.P.R. n. 115/02, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale ed inefficace il ricorso incidentale.
Condanna il ricorrente principale al pagamento delle spese processuali liquidate in € 1 .700,00, oltre accessori di rito ed € 200,00 per esborsi, con attribuzione al difensore antistatario.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n.115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Roma, 28 gennaio 2025.