Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 27980 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2   Num. 27980  Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24202/2020 R.G. proposto da :
COGNOME AVV_NOTAIO, rappresentato e difeso da sé medesimo, -ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE,  elettivamente domiciliata  in  INDIRIZZO,  presso  lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che la rappresenta e difende anche disgiuntamente all’AVV_NOTAIO NOME COGNOME,
-controricorrente-
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO COGNOME
COGNOME che lo rappresenta e difende  anche disgiuntamente all’AVV_NOTAIO NOME COGNOME,
-controricorrente-
 avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di TRIESTE n.353/2020 depositata il 27.7.2020.
Udita  la  relazione  svolta  nella  camera  di  consiglio  del  14.10.2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. del 2016 l’AVV_NOTAIO, proprietario dal 2009 di un appartamento ricompreso nel Condominio di Trieste, INDIRIZZO, le cui unità immobiliari avevano un’originaria destinazione catastale ad abitazione, o ufficio, dopo il rigetto di analoga richiesta cautelare avanzata ex art. 700 c.p.c. per il Condominio, e dopo avere rinunciato alla procedura di mediazione avviata personalmente, domandava al Tribunale di Trieste di interdire alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE l’utilizzo come magazzino merci dell’unità immobiliare posta al primo piano dello stabile, di cui la società era conduttrice, poiché in contrasto con l’originaria classificazione catastale ed asseritamente pregiudizievole per il diritto dei condomini al pari uso delle parti comuni dell’edificio .
Precisava  il  ricorrente  che  anche  l’RAGIONE_SOCIALE  si  era opposta  al  mutamento  di  destinazione  d’uso  da  residenziale  a commerciale,  perché  non  legittimato  dal  rilascio  del  permesso  di costruire necessario in base alla normativa statale, non derogabile dalla legge regionale anche perché la sua violazione dava luogo ad un  illecito  penale,  come  emergente  dalla  decisione  del  giudice tributario.
Domandava pertanto il ricorrente il risarcimento dei danni personalmente patiti, inizialmente indicati in € 5.000,00 (poi ridotti in sede di conclusioni ad  € 2.000,00), previo accertamento
dell’illegittimità  del  cambio  di  destinazione  d’uso  dell’immobile  del primo  piano,  e  nelle conclusioni del giudizio  di  primo  grado proponeva anche una denuncia di danno temuto in corso di causa. Costituendosi  in  giudizio,  la  RAGIONE_SOCIALE  chiedeva  il rigetto  delle  avverse  pretese  e  la  chiamata  in  garanzia  della proprietaria locatrice del magazzino merci del primo piano, la RAGIONE_SOCIALE
Disposto il mutamento del rito si costituiva la società locatrice chiamata in causa, rilevando che il cambio di destinazione, avvenuto senza interventi edilizi, e non vietato dal regolamento condominiale, era stato regolarmente autorizzato dal Comune di Trieste in base all’art. 16 della L.R. Friuli Venezia Giulia n. 19/2009, non avendo l’ente pubblico nulla osservato sulla sua domanda di cambio di destinazione del 3.4.2012, che peraltro corrispondeva ad una destinazione di fatto a magazzino esistente già dal 1978, a servizio dell’attività commerciale di vendita di tele, in passato svolta dalla RAGIONE_SOCIALE nel negozio posto al INDIRIZZO della stessa strada, ed ormai cessata.
Veniva  altresì  evidenziato  dalle  due  società,  che  i  condomini avevano preso atto della mutata destinazione dell’unità immobiliare al primo piano, approvando all’unanimità le tabelle millesimali che prevedevano un aumento delle spese per l’uso più intenso dell’ascensore a carico della RAGIONE_SOCIALE
Entrambe le società, inoltre, sottolineavano l’assenza di pregiudizi del contestato mutamento  di  destinazione  sull’uso  delle parti comuni dello stabile e sulla proprietà dell’immobile del COGNOME.
Con  la  sentenza  n.  198/2019  il  Tribunale  di  Trieste  rigettava  le domande rilevando che, in conformità alla normativa regionale, la RAGIONE_SOCIALE aveva presentato la domanda di cambio di destinazione d’uso  al  Comune  di  Trieste,  che  nulla  aveva  opposto,  per  cui  il cambio di destinazione operato era legittimo in base alla normativa regionale; che  la classificazione catastale rilevava ai soli fini
tributari e non nei rapporti tra privati; che il Condominio non aveva un  regolamento  che  prevedesse  limitazioni  alla  destinazione  ed all’uso  degli  appartamenti;  che  nessun  elemento  probatorio  era stato  addotto  in  relazione  al  riferito  pericolo  di  incendi  che  si propagassero  dal  magazzino,  o  a  pericoli  per  la  sicurezza  delle abitazioni.
COGNOME interponeva appello, che però veniva respinto dalla Corte d’Appello di Trieste con la sentenza n. 353/2020 del 30.6/27.7.2020, e con motivazione parzialmente difforme rispetto alla sentenza di primo grado.
Riteneva infatti la Corte distrettuale, che la questione della legittimità del mutamento di destinazione d’uso dell’immobile al primo piano sotto il profilo urbanistico-edilizio, con la connessa eventuale responsabilità penale, attenesse al rapporto esterno di rilievo pubblicistico tra il proprietario e responsabile dell’abuso e l’amministrazione preposta al controllo del territorio, alla quale sola competeva l’ordine di ripristino ex art. 31 del D.P.R. n.380/2001, e che l’eventuale difetto di legittimità del mutamento di destinazione non avrebbe comunque attribuito al COGNOME, proprietario di altra unità immobiliare, alcun diritto all’eliminazione dell’abuso ed al ripristino dell’originaria destinazione catastale, risultando pertanto irrilevante la prospettata questione di legittimità costituzionale della normativa regionale;
che non poteva essere inquadrata nel paradigma dell’art. 949 cod. civ.  la  domanda  di  cessazione  dell’uso  dell’immobile  del  primo piano  della RAGIONE_SOCIALE non  conforme  alla  sua  classificazione catastale, poiché tale uso non determinava alcuna pretesa di diritto sull’appartamento di proprietà del COGNOME;
che la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Trieste n.  330/2015  passata  in  giudicato,  che  aveva  ritenuto  legittimo  il rifiuto dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di procedere alla variazione catastale  dell’unità  immobiliare  della  RAGIONE_SOCIALE  posta  al  primo
piano del fabbricato di Trieste, INDIRIZZO,  da abitazione-studio a magazzino, aveva valenza solo fiscale, per cui da essa non poteva essere desunta l’illegittimità della modifica di destinazione operata;
che il D. Lgs. n. 222/2016 sull’obbligo della SCIA per l’esecuzione di  interventi  di  ristrutturazione  del  tipo  in  questione,  entrato  in vigore  l’11.12.2016,  non  era  applicabile  retroattivamente  ad  una modifica di destinazione d’uso anteriormente avvenuta;
che era infondata la riproposta denuncia di danno temuto per il mancato controllo dei RAGIONE_SOCIALE sulla struttura adibita a magazzino merci ai sensi del D.P.R. n. 151/2011, perché la sua superficie era inferiore ai 1000 mq, e non era quindi soggetta a quel controllo, e d’altra parte non erano stati forniti elementi di prova a sostegno del lamentato pericolo, non desumibile dalla sola mancanza di agibilità, tanto più che pur essendo utilizzata la struttura con le caratteristiche oggetto di contestazione già dal 2013, non si era mai registrato un effettivo episodio di pericolo;
che le prove testimoniali non ammesse in primo grado e riproposte dal COGNOME, inammissibili per genericità e perché valutative, risultavano comunque inidonee a dimostrare che fossero state poste in essere attività incidenti negativamente ed in modo sostanziale sulle destinazioni d’uso delle parti comuni, come richiesto dall’art. 1117 quater cod. civ. ai fini della tutela della destinazione d’uso da parte del singolo condomino, trattandosi di capitoli volti a dimostrare il passaggio continuo di addetti al negozio della RAGIONE_SOCIALE attraverso il portone d’ingresso, le scale e l’ascensore, per raggiungere il magazzino al primo piano, che comunque non compromettevano le destinazioni d’uso dei beni comuni (tra i quali anzitutto il passaggio dei condomini), e che se dimostrati, avrebbero al più potuto provarne un uso più intenso da parte di quella società, che doveva ritenersi legittimo in base all’art. 1102 cod. civ.;
che inoltre, di tale più intenso uso, il Condominio aveva preso atto, avendo attribuito un maggiore onere a carico della proprietaria del magazzino nei criteri di ripartizione delle spese per l’uso delle scale e dell’ascensore, ed essendo stato adottato dalla RAGIONE_SOCIALE un disciplinare valevole per i suoi dipendenti, allo scopo di contenere al minimo i disagi dei condomini, in relazione alle operazioni di carico e scarico delle merci nella struttura del primo piano adibita a magazzino merci.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso a questa Corte, sulla scorta di tre censure.
La RAGIONE_SOCIALE (poi fusa per incorporazione dalla RAGIONE_SOCIALE, che col medesimo atto ha mutato la propria denominazione  in  RAGIONE_SOCIALE)  e  la  RAGIONE_SOCIALE  resistono  con distinti controricorsi.
Nell’imminenza dell’adunanza camerale il ricorrente e la RAGIONE_SOCIALE hanno depositato memorie ex art. 380 bis.1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente  va  respinta  l’eccezione  d’inammissibilità  del ricorso per difetto di autosufficienza sollevata dalla controricorrente, in quanto l’esposizione dei fatti di causa compiuta dal  COGNOME,  ha  consentito  comunque di ricostruire sufficientemente la vicenda, le posizioni assunte dalle parti e le differenti motivazioni addotte dalle sentenze di primo e di secondo grado.
Passando  all’esame  dei  motivi  di  ricorso,  co l  primo  di  essi  il ricorrente  denunzia in  relazione  all’art.  360  comma  primo  n.  5) c.p.c. l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione per avere il Giudice del gravame omesso di compiere il richiesto accertamento dei gravi motivi d’illegittimità, anche penale, inerenti all’avvenuto cambio di destinazione d’uso dell’appartamento trasformato in magazzino, ovvero in un deposito merci, senza alcuna autorizzazione.
L’eccezione di inammissibilità per ‘doppia conforme’, sollevata dalla controricorrente in memoria, è infondata perché il ricorrente ha evidenziato nel ricorso, e ribadito nella memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c., che mentre la sentenza di primo grado aveva respinto le sue domande sulla base della ritenuta legittimità del mutamento di destinazione dell’unità immobiliare sulla base dell’art. 16 lettera g della L.R. del Friuli Venezia Giulia n.19/2009, la sentenza impugnata ha invece ritenuto che la legittimità, o meno del mutamento di destinazione suddetto, con le sue implicazioni di carattere penale e con la prospettata questione di legittimità costituzionale della citata normativa regionale, non potendosi attribuire efficacia di giudicato alla sentenza del giudice tributario, avente valenza solo fiscale, avesse rilevanza solo nel rapporto esterno di rilievo pubblicistico tra il proprietario e responsabile dell’abuso e l’amministrazione preposta al controllo del territorio, alla quale sola competeva l’ordine di ripristino ex art. 31 del D.P.R. n.380/2001, e non nel rapporto tra privati. La sentenza di secondo grado ha ulteriormente rilevato che non sono state fatte oggetto di articolazione probatoria condotte lesive che potessero rientrare nell’ambito applicativo dell’art. 949 cod. civ., o che se dimostrate, potessero comportare la violazione dell’art. 1117 quater cod. civ., rientrando comunque nel consentito uso più intenso della cosa comune ex art. 1102 cod. civ., in assenza di un regolamento condominiale che vietasse nelle unità immobiliari il cambio di destinazione. Ne deriva che le pronunce di primo e di secondo grado non possono ritenersi conformi, dato che le motivazioni addotte dalla Corte distrettuale sono state sostitutive, e non meramente aggiuntive, rispetto a quelle della sentenza di primo grado.
Ciononostante, il motivo é comunque inammissibile perché non si ravvisa  il  vizio  di  omesso  esame  in  relazione  ai  gravi  motivi
d’illegittimità  del  mutamento  di  destinazione  che  il  COGNOME  aveva inteso riproporre con l’atto di appello.
Come è noto, il vizio di cui all’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c. può essere fatto valere per l’omessa considerazione di fatti storici principali, o secondari, intesi in senso naturalistico, decisivi, che siano stati oggetto di discussione tra le parti, e non di argomentazioni giuridiche che siano state fatte valere, per le quali semmai si sarebbero potuti invocare vizi di motivazione ex art. 360 comma primo n. 4) c.p.c. (vedi sull’esclusione delle argomentazioni giuridiche dal novero dei fatti storici decisivi, dei quali benché discussi, sia stata omessa la considerazione, indicati dall’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c. Cass. 6.9.2019 n. 22397; Cass. 29.10.2018 n. 27415; Cass. 14.6.2017 n. 14802: Cass. 8.10.2014 n. 21152).
Ove invece il motivo in esame, venga inteso come diretto a censurare l’impugnata sentenza, per l’omessa considerazione, quale fatto storico decisivo oggetto di discussione tra le parti, del mutamento asseritamente illegittimo di destinazione dell’unità immobiliare da abitativa o ufficio, a magazzino, deve ritenersi infondato. La sentenza impugnata, infatti, non ha omesso di considerare quel fatto storico, ma come già esposto, ha ritenuto che non fosse decisivo ai fini dell’accoglimento, o del rigetto delle pretese del COGNOME di ottenere l’inibizione dell’uso dell’unità immobiliare in questione a magazzino ed il risarcimento dei danni da lui asseritamente subiti per via di quella mutata destinazione.
Attraverso la seconda doglianza si denuncia la violazione o falsa applicazione  della  norma  di  cui  all’art.  949  cod.  civ..  La  Corte territoriale  avrebbe  erroneamente  ritenuto  inapplicabile  al  caso  di specie  l’art.  949  cod.  civ.,  giacché  l’azione  spiegata  dall’odierno ricorrente era tesa a evitare il protrarsi di un abuso edilizio idoneo a incidere non soltanto sull’uso delle parti comuni dello stabile, ma altresì  sul  godimento  ai  fini  abitativi  dell’appartamento  di  sua
proprietà,  giungendo  financo  a  comprometterne  la  sicurezza  e  a ridurne il valore commerciale.
Il  motivo  é  inammissibile  ex  art.  360 bis n.  1)  c.p.c.,  avendo l’ impugnata sentenza deciso la questione dell’esperibilità dell’ actio negatoria servitutis in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte,  e  non  avendo  il  AVV_NOTAIO  offerto  elementi  per  giustificarne  il superamento.
Per costante orientamento di questa Corte, infatti, l’azione negatoria di cui all’art. 949 cod. civ. ha come essenziale, indispensabile, presupposto la sussistenza di altrui pretese di diritto sul bene dell’attore e non può essere utilizzata allorchè, anche in presenza di turbative o molestie, esse non si sostanzino in una pretesa di diritto sulla cosa (Cass. ord. 5.12.2018 n. 31382; Cass. 22.6.2011 n. 13710; Cass. 15.12.1975 n. 4124), e la sentenza impugnata ha accertato in punto di fatto, alla fine di pagina 7, che l’utilizzo da parte della RAGIONE_SOCIALE dell’immobile al primo piano come magazzino non ha comportato alcuna pretesa di diritto sulla proprietà dell’immobile del COGNOME (posto all’ultimo piano).
3) Col terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione della norma di cui all’art. 1117 quater cod. civ. per avere il Giudice di secondo grado erroneamente rigettato la doglianza volta all’ottenimento della cessazione dell’attività commerciale di utilizzo del magazzino al primo piano del Condominio in forza dell’art. 1117 quater c.p.c., atteso che tale norma non richiederebbe mutamenti della destinazione d’uso del bene comune, né impedimenti permanenti di sorta, ma soltanto rilevanti, sostanziali difficoltà nell’esercizio della tradizionale destinazione d’uso dello stesso.
Il motivo è infondato.
Stabilisce infatti l’art. 1117 quater cod. civ. al primo comma, che in caso di attività che incidono negativamente e in modo sostanziale
sulle  destinazioni  d’uso  delle  parti  comuni,  l’amministratore,  o  i condomini,  anche  singolarmente,  possono  diffidare  l’esecutore  e possono chiedere la convocazione dell’assemblea per far cessare la violazione, anche mediante azioni giudiziarie.
La sentenza impugnata ha escluso che le prove testimoniali articolate dal COGNOME, che in questa sede non le ha neppure riprodotte per chiederne l’ammissione, fossero in grado di dimostrare l’intervenuta modificazione della destinazione d’uso delle parti comuni del Condominio richiesta dall’art. 1117 quater cod. civ.. Con esse, infatti, si voleva dimostrare il passaggio continuo degli addetti al negozio della RAGIONE_SOCIALE attraverso il portone d’ingresso, le scale e l’ascensore, per raggiungere l’immobile di proprietà della RAGIONE_SOCIALE al primo piano, adibito a magazzino merci, che non aveva compromesso la destinazione di quelle parti comuni, non avendo mai impedito il passaggio degli altri condomini, integrando piuttosto un uso più intenso delle parti comuni, consentito dall’art. 1102 cod. civ., per la mancata compromissione della facoltà di pari uso degli altri condomini. La sentenza impugnata non ha, quindi, assunto un’errata nozione di attività che incidono negativamente e in modo sostanziale sulla destinazione d’uso delle parti comuni, che per rendere applicabile l’art. 1117 quater cod. civ. devono produrre un effetto permanente modificativo sulla destinazione del bene comune, rientrando altrimenti nella nozione di uso più intenso del bene comune dell’art. 1102 cod. civ..
Per  il  resto  il  ricorrente  richiede,  inammissibilmente,  un  nuovo accertamento  di  fatto  sugli  effetti  della  modificata  destinazione d’uso  dell’immobile  al  primo  piano,  peraltro  avvenuta  già  prima dell’acquisto del AVV_NOTAIO,  sulla destinazione  delle parti  comuni, evidentemente non consentito in sede di legittimità.
In conclusione, il ricorso va respinto e il ricorrente va condannato alle spese processuali liquidate in dispositivo in favore delle controricorrenti, in base al principio della soccombenza.
Occorre  dare  atto  che  sussistono  i  presupposti  processuali  di  cui all’art.  13  comma 1-quater D.P.R.  n.  115/2002  per  imporre  un ulteriore contributo unificato a carico del ricorrente, se dovuto.
P.Q.M.
La  Corte  rigetta  il  ricorso  e  condanna  il  ricorrente  al  pagamento delle  spese  processuali  del  giudizio  di  legittimità,  che  liquida,  per ciascun controricorrente, in € 200,00 per esborsi ed € 4.000,00 per compensi, oltre IVA, CPA e rimborso spese generali del 15%.
Dà atto  che  sussistono  i  presupposti  processuali  di  cui  all’art.  13 comma 1-quater D.P.R.  n.  115/2002  per  imporre  un  ulteriore contributo unificato a carico del ricorrente, se dovuto.
Così deciso in Roma il 14.10.2025
Il Presidente
NOME COGNOME