Ordinanza interlocutoria di Cassazione Civile Sez. L Num. 12510 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 12510 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/05/2025
Oggetto: pubblico impiego -indennità buonuscita -onorari professionisti legali enti pubblici non economici –
Dott. NOME COGNOME
Presidente
–
Dott. NOME COGNOME
Consigliere rel. –
Dott. COGNOME
Consigliere –
Dott. NOME COGNOME
Consigliere –
Dott. NOME COGNOME
Consigliere –
ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso iscritto al n. 4688/2023 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME e COGNOME, elettivamente domiciliato presso il loro studio in ROMA INDIRIZZO;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3469/2022 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 26/09/2022 R.G.N. 303/2022; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/03/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
NOME COGNOME avvocato dipendente dell’INPS nell’ambito del ruolo professionale -area legale, cessato dal servizio per collocamento a riposo il 31/10/2013, aveva chiesto ed ottenuto che fosse ingiunto all’Istituto il pagamento della complessiva somma di euro 5.670,76 a titolo di trattenute operate sul trattamento pensionistico nei mesi di ottobre e novembre 2019 a titolo di ‘recupero TFS’.
Il decreto ingiuntivo era stato opposto dall’INPS.
La vicenda, sulla base della prospettazione del ricorrente, si era così svolta: -nel corso del rapporto il COGNOME aveva percepito la componente stipendiale collegata alle competenze ed onorari professionali quale trattamento fondamentale attribuito ai sensi dell’art. 30, comma 2, del d.P.R. n. 411/1976; -l’INPS dopo aver liquidato il TFS (per un totale lordo di euro 697.306,41) con comunicazione in data 11/10/2018 gli aveva comunicato un ricalcolo dell’indennità di buonuscita corrisposta all’atto della cessazione del rapporto e chiesto in restituzione l’importo lordo di euro 374.334,69 per effetto della ritenuta non computabilità in detta indennità delle somme erogate a titolo di onorari, indennità di albo professionale avvocato cassazionista, indennità di coordinamento generale; -a far data dall’ottobre 2019 l’Istituto aveva cominciato a trattenere sul trattamento pensionistico delle trattenute operando una compensazione ex art. 1243 cod. civ.
Il Tribunale di Bari aveva accolto l’opposizione e revocato il decreto ingiuntivo.
Aveva, in sintesi, ritenuto che gli onorari costituissero una componente retributiva diversa dallo stipendio tabellare e non potessero
pertanto computati nella base di calcolo dell’indennità di anzianità e art. 13 l. n. 70/1975.
Aveva, altresì, affermato che per la ripetizione di indebito ex art. 2033 cod. civ. dovesse applicarsi la prescrizione decennale.
Decidendo sull’impugnazione del COGNOME, la Corte d’appello di Bari, in solo parziale riforma della sentenza di prime cure (che confermava nell’impianto argomentativo relativo alla legittimità della pretesa restitutoria dell’INPS), condannava l’Istituto a pagare all’appellante la somma di euro 288,79.
Richiamava Cass., Sez. Un., n. 7154/2010 secondo cui in tema di base di calcolo del trattamento di quiescenza o di fine rapporto spettante ai dipendenti degli enti pubblici del c.d. parastato, l’art. 13 della legge n. 70/1975, di riordinamento di tali enti e del rapporto di lavoro del relativo personale, aveva dettato una disciplina del trattamento di quiescenza o di fine rapporto non derogabile neanche in senso più favorevole ai dipendenti, costituita dalla previsione di un’indennità di anzianità pari a tanti dodicesimi dello stipendio annuo in godimento quanti sono gli anni di servizio prestato, esclusa la computabilità di voci retributive diverse dallo stipendio tabellare e dalla sua integrazione mediante scatti di anzianità o componenti retributive similari (nella specie, l’indennità di funzione ex art. 15, secondo comma, della legge n. 88 del 1989, il salario di professionalità o assegno di garanzia retribuzione e l’indennità particolari compiti di vigilanza per i dipendenti dell’INPS).
Rilevava che nel medesimo senso si era espressa anche Cass. n. 24454/2017.
Riteneva che il sistema non fosse mutato con la privatizzazione dell’impiego pubblico essendo demandata alla contrattazione collettiva solo la definizione delle modalità applicative della disciplina in materia di trattamento di fine rapporto.
Assumeva che il principio della inderogabilità della normativa legale previsto per i dipendenti pubblici del c.d. parastato (art. 13 l. n.
70/1975, rimasta in vigore pur dopo detta privatizzazione) si estendesse al regime della indennità di anzianità.
Escludeva che fosse rinvenibile nel d.lgs. n. 165/2001 una legittimazione dell’autonomia collettiva a derogare alle disposizioni della legge n. 70/1975.
In particolare, riteneva che per il trattamento di fine rapporto non dovesse aversi riguardo alla disciplina di cui agli artt. 22 e 45 del T.U.P.I. ma alla specifica disposizione dell’art. 69, comma 2, secondo cui era ammessa solo la possibilità di un intervento di settore organico e non settoriale o per singole voci (nei fatti avvenuto solo con l’accordo quadro 29 luglio 1999, i cui contenuti erano stati poi recepiti dal d.p.c.m. 20 dicembre 1999).
In conseguenza dovevano ritenersi abrogate o illegittime, e comunque non applicabili, le disposizioni di regolamenti come quello dell’INPS, prevedenti, ai fini del trattamento di fine rapporto o di quiescenza comunque denominato, il computo in genere delle competenze a carattere fisso e continuativo.
Riteneva non applicabile alla fattispecie in esame, ai fini di una eventuale decadenza, l’art. 30 d.P.R. n. 1032/1973, norma che riguarda esclusivamente il personale dipendente dello Stato collocato a riposo e non è applicabile estensivamente.
Escludeva che potesse il dipendente aver posto un legittimo affidamento sulla continuità di una certa prestazione essendo il TFS importo versato una tantum (o in alcune tranche ) e come tale non ancorato ad una ripetitività del comportamento dell’amministrazione.
Evidenziava la doverosità del comportamento dell’Istituto di cui alla richiesta di restituzione stante l’insussistenza del potere erogare a titolo di TFS somme maggiori di quelle legislativamente previste.
Riteneva possibile la compensazione giudiziale ex art. 1243, comma 2, cod. civ.
Considerava eccedente rispetto al quinto del trattamento pensionistico del COGNOME (costituente limite insuperabile per le trattenute) solo la somma di euro 288,78 e condannava l’INPS a pagare la stessa all’appellante.
L’avvocato ha proposto ricorso in Cassazione affidato a sette motivi.
L’INPS ha resistito con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1243, comma 2, e 2697, comma 2, cod. civ., nonché degli artt. 35, 36 e 112 cod. proc. civ. (art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.).
Censura la sentenza impugnata per aver ritenuto sussistere una compensazione senza che sia stata dimostrata l’esistenza di un controcredito, in mancanza di un’avversa domanda di accertamento dello stesso e, in ogni caso, in mancanza del requisito della ‘certezza’ di tale controcredito.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.) violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 1, lett . g ), della legge 9 marzo 1989, n. 88, anche con riferimento all’art. 4, punto 10, d.P.R. 30.4.1970 n. 639 e falsa applicazione dell’articolo 13 della legge 20 marzo 1975, n. 70.
Censura la sentenza impugnata per aver violato l’art. 5, comma 1, lett. g ), della legge n. 88/1989, ai sensi del quale, in continuità con l’art. 4, punto 10, d.P.R. 30.4.1970 n. 639, la disciplina del trattamento di fine servizio del personale dipendente dell’INPS era di competenza del Consiglio di amministrazione dell’ente attraverso l’adozione di apposito regolamento.
Con il terzo motivo il ricorrente denuncia (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.) violazione dell’art. 2, comma 7, della legge 8
agosto 1995, n. 335 e degli artt. 2, 45 e 69 del d.lgs. n. 165/2001, nonché falsa applicazione dell’art. 13 della legge 20 marzo 1975, n. 70.
Critica la sentenza impugnata per aver escluso che la contrattazione collettiva potesse derogare alla disciplina legale del trattamento di fine servizio dei dipendenti degli enti pubblici non economici.
Con il quarto motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 13 della legge 20 marzo 1975, n. 70 e degli artt. 3 e 36 della Costituzione.
Censura la sentenza impugnata, per non avere accolto il motivo di appello con cui si chiedeva la riforma della sentenza di primo grado, nella parte in cui aveva ritenuto che -in base alla corretta interpretazione dell’art. 13 della legge n. 70/1975 – gli onorari non fossero da calcolare ai fini della liquidazione della prestazione (indennità di anzianità).
Con il quinto motivo il ricorrente denuncia (art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.) la falsa applicazione dell’art. 2033 cod. civ. e la violazione dell’art. 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.
Sostiene l’erroneità della sentenza impugnata per aver ritenuto fondata l’azione di ripetizione di indebito dell’INPS ed escluso la violazione del principio del legittimo affidamento del ricorrente.
Con il sesto motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 1243 cod. civ., degli artt. 35 e 112 cod. proc. civ. e dell’art. 150 del D.L. del 19.05.2020, n. 34 convertito nella legge 17 luglio 2020, n. 77 (art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.).
Censura la sentenza impugnata per non aver deciso sul motivo di appello concernente la ripetizione delle somme nette effettivamente percepite dall’avv. COGNOME
Con il settimo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 112 e dell’art. 1, comma 208, della legge 23.12.2005 n. 266 (art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.).
Critica la sentenza impugnata per non aver deciso, se non con motivazione apparente, che nel caso di ricalcolo del TFS con esclusione delle competenze professionali non siano dovute in restituzione le somme trattenute dall’INPS a titolo di ‘accantonamento buonuscita’.
Ciò posto, rileva il Collegio che gli avv.ti NOME COGNOME NOME COGNOME COGNOME e NOME COGNOME quali difensori de ricorrente, hanno formulato nelle memorie ex art. 380 bis .1. cod. proc. civ. istanza di rinvio per la discussione alla pubblica udienza per la trattazione unitaria dei diversi giudizi vertenti sulle medesime questioni e «per garantire la possibilità di poter fornire al Collegio i chiarimenti ritenuti necessari od opportuni al fine del decidere».
L’udienza pubblica, nell’attuale assetto del giudizio di legittimità, costituisce invero il ‘luogo’ privilegiato nel quale devono essere assunte, in forma di sentenza e mediante più ampia e diretta interlocuzione tra le parti e tra queste e il P.M., le decisioni con peculiare rilievo di diritto (v. Cass. n. 6274/2023; Cass. n. 19115/2017).
La presente causa riveste indubbia valenza nomofilattica, dovendo valutarsi i riflessi delle sentenze della Corte cost. n. 8/2023 e n. 73/2024, intervenute successivamente alla proposizione del ricorso per cassazione, sulle questioni di diritto che vengono agitate dalle parti.
P.Q.M.
La Corte rinvia la causa a nuovo ruolo perché ne sia fissata la trattazione in pubblica udienza.
Si comunichi.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quarta Sezione