Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 35141 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 35141 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 31/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n.
1740/2024 r.g., proposto
da
RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , elett. dom.ti presso la Cancelleria di questa Corte, rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME
ricorrenti contro
NOME
intimato avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 3383/2023 pubblicata in data 03/11/2023, n.r.g. 2333/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 13/11/2024 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1.NOME COGNOME era stato dipendente della RAGIONE_SOCIALE dall’01/07/1992 e poi, a seguito di cessione di ramo d’azienda, di RAGIONE_SOCIALE sino all’011/04/2014.
Deduceva che in data 06/02/2007 era stato licenziato, ma con sentenza n. 1714/2011 il Tribunale di Latina l’aveva reintegrato nel posto di lavoro.
OGGETTO:
licenziamento -reintegrazione -periodo del rapporto di lavoro subordinato ricostituito con sentenza di reintegrazione computo delle retribuzioni nella base di calcolo del t.f.r. – necessità
Aggiungeva che in data 26/08/2011 era stato nuovamente licenziato, ma con missiva del 25/01/2012 la RAGIONE_SOCIALE l’aveva nuovamente assunto.
Deduceva che il rapporto di lavoro era definitivamente cessato in data 11/04/2014 e che non aveva percepito il t.f.r. relativamente al periodo dal 06/02/2007 al 24/05/2011.
Pertanto otteneva nei confronti delle due società decreto ingiuntivo n. 1092/2014 del 30/10/2014, con cui il Tribunale di Latina intimava ad entrambe di pagare in solido al ricorrente la complessiva somma di euro 5.556,38 a titolo di differenze di t.f.r.
2.L’opposizione proposta da entrambe le società veniva accolta dal Tribunale di Latina, che revocava il decreto ingiuntivo e condannava il Nocella al rimborso delle spese processuali. Il giudice di primo grado affermava che la pretesa era limitata al t.f.r. maturato dalla data del licenziamento del 06/02/2007 alla data della reintegrazione avvenuta in data 24/05/2011 ma che, con la ricostituzione del rapporto di lavoro, il lavoratore non poteva pretendere il t.f.r., che tornava ad essere inesigibile fino all’estinzione del rapporto di lavoro.
3.Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello accoglieva il gravame principale interposto dal Nocella e rigettava quello incidentale proposto dalle due società.
Per quanto ancora rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
il lavoratore ha rivendicato una differenza di t.f.r. in relazione al periodo dedotto in lite sul presupposto dell’intervenuta definitiva cessazione del rapporto di lavoro in data 11/04/2014;
di tale estinzione il Tribunale ha completamente omesso la valutazione;
il ragionamento del giudice di primo grado è altresì contraddittorio, perché da un lato afferma che il t.f.r. può essere preteso solo alla cessazione del rapporto di lavoro, dall’altro nega il diritto del lavoratore esercitato proprio sul presupposto di tale cessazione avvenuta in data 11/04/2014;
in virtù della prima sentenza di reintegrazione il rapporto di lavoro deve ritenersi come proseguito senza soluzione di continuità, con conseguente salvezza di tutti gli altri diritti connessi al rapporto medesimo;
sussiste la legittimazione passiva, salva la verifica nel merito del soggetto tenuto al pagamento della quota di t.f.r. pacificamente non versata e relativa al periodo dedotto in lite;
sulla debenza di tale somma non vi è dubbio, posta la continuità del rapporto di lavoro in conseguenza della reintegrazione giudiziale, sicché le somme dovute ex art. 18 L. n. 300/1970 entrano a far parte della base di computo del t.f.r.;
circa l’individuazione del datore di lavoro obbligato, va ricordato che il COGNOME è stato licenziato nell’ambito di una procedura di licenziamento collettivo dalla RAGIONE_SOCIALE e poi reintegrato, ma nuovamente licenziato con lettera del 09/08/2011 a decorrere dal 26/08/2011;
il lavoratore è stato poi assunto dalla RAGIONE_SOCIALE con decorrenza 30/01/2012 ed infine licenziato per giusta causa in data 09/04/2014;
nelle more in data 22/12/2009 fra le due società era intervenuto un affitto/comodato d’azienda, come documentato dal Nocella con visura camerale;
tale cessione radica la responsabilità solidale in capo ad entrambe le società.
4.- Avverso tale sentenza RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
5.- NOME NOME è rimasto intimato.
6.- Il collegio si è riservata la motivazione nei termini di legge.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. le ricorrenti lamentano la violazione o la falsa applicazione di norme di diritto in relazione alla carenza di legittimazione passiva di RAGIONE_SOCIALE
Il motivo è inammissibile perché non indica alcuna norma di diritto che si
assume essere stata violata.
Inoltre, lamentando che il periodo in relazione al quale è rivendicata la differenza di t.f.r. il COGNOME non era alle dipendenze della s.r.l., le ricorrenti non si confrontano con la specifica motivazione articolata dalla Corte territoriale, secondo cui la responsabilità anche della s.r.l. derivava dal fatto che, nell’anno 2009, si era resa cessionaria dell’azienda alla quale era addetto il COGNOME, con conseguente solidarietà con la cedente ex art. 2112 c.c. per tutti i crediti retributivi del lavoratore, fra cui quello relativo alle quote maturate di t.f.r.
2.Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3), c.p.c. le ricorrenti lamentano violazione o falsa applicazione di norme di diritto e del principio del ne bis in idem , nonché dell’immodificabilità del giudicato, per avere la Corte territoriale omesso ogni motivazione sull’eccezione di giudicato di cui alla sentenza n. 1714/2011 del Tribunale di Latina, che conteneva la condanna soltanto della s.n.c. e non pure della s.r.l.
Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.
E’ inammissibile laddove non specifica le norme di diritto asseritamente violate o falsamente applicate.
E’ inammissibile laddove si lamenta un’omessa motivazione, non prospettando alcun ‘fatto storico decisivo’ di cui sarebbe stato omesso l’esame (in tal senso potendo essere riqualificato il motivo come volto a prospettare il vizio di cui all’art. 360, co. 1, n. 5) c.p.c.).
E’ infondato laddove invoca l’efficacia del giudicato, non violata dalla Corte d’Appello, che si è limitata ad applicare la disciplina del trasferimento d’azienda ex art. 2112 c.c. ad un credito derivante proprio da quel giudicato formatosi contro il datore di lavoro cedente.
D’altronde, la sentenza del Tribunale di Latina, passata in giudicato, conteneva condanna al pagamento del risarcimento del danno parametrato a tutte le retribuzioni. Ed è noto che il t.f.r. fa parte della retribuzione, che matura ogni anno, sia pure ad esigibilità differita al momento dell’estinzione del rapporto di lavoro, come riconoscono le stesse ricorrenti (v. ricorso per cassazione, p. 9). La decisione d’appello è conforme a questo principio di diritto. Anche a voler considerare la natura risarcitoria del credito nascente
da quel giudicato, nondimeno -come ha affermato la Corte territoriale -quelle somme dipendevano pur sempre dalla ricostituita funzionalità del rapporto di lavoro senza soluzione di continuità, sicché inevitabilmente in relazione a quel periodo intercorso fra il licenziamento e la sentenza di reintegrazione è maturato anche la corrispondente quota di t.f.r.
3.Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5), c.p.c. le ricorrenti lamenta no l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti, ossia l’inesigibilità del t.f.r. in caso di reintegrazione nel posto di lavoro.
Il motivo è inammissibile sia per difetto dei requisiti di cui al n. 5) dell’art. 360, co. 1, c.p.c., dal momento che quello dedotto non è un ‘fatto storico’, bensì un’argomentazione giuridica relativa al credito del t.f.r.; sia per la promiscuità delle censure, laddove le ricorrenti lamentano ‘l’errata applicazione delle norme in ordine alla valutazione dei fatti di causa’ (v. ricorso per cassazione , p. 10), che integrerebbe il vizio dell’art. 360, co. 1, n. 3) c.p.c., di cui però manca l’indicazione delle norme asseritamente violate.
4.- Nulla va disposto sulle spese, poiché il Nocella è rimasto intimato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione lavoro, in