Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 14833 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 14833 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/06/2025
Oggetto
Retribuzione pubblico impiego
R.G.N. 20326/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 07/05/2025
CC
ORDINANZA
sul ricorso 20326-2021 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE BRESCIA, in persona del Rettore pro tempore , rappresentata e difesa ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 147/2020 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 19/01/2021 R.G.N. 349/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/05/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
RITENUTO CHE:
con ricorso proposto al Tribunale di Brescia NOME COGNOME esponeva: i) di prestare servizio dal 1987 presso l’Università degli Studi di Brescia in qualità di lettore di lingua straniera (e, dall’1/11/1994, quale collaboratore esperto linguistico); ii) di aver stipulato in data 17/12/2007 un contratto preliminare per l’acquisto di una casa da adibire a prima abitazione; iii) di aver inutilmente richiesto all’Università un’anticipazione del trattamento di fine rapporto nella misura del 70%; sulla base di tali premesse, e contestate le ragioni poste a fondamento del rifiuto di erogare l’anticipazione richiesta, conveniva in giudizio l’Ateneo assumendo che lavorare alle dipendenze di un ente pubblico non escludeva l’applicabilità delle disposizioni di cui agli artt. 2120 e 2121 cod. civ, in materia di TFR;
il Tribunale, con sentenza non definitiva n. 910 del 5/10/2010, accoglieva la domanda e dichiarava il diritto del ricorrente all’anticipazione del TFR da computare sulla base della retribuzione spettante ai ‘ ricercatori confermati a tempo definito ‘ e con decorrenza 10 novembre 1994; quindi, con sentenza definitiva n. 1211 del 2/12/2011, condannava l’Università a corrispondere al RAGIONE_SOCIALE l’importo complessivo di euro 39.620,32;
la Corte d’appello di Brescia, con decisione n. 365/2013, confermava la pronuncia non definitiva sull’an e, in riforma della sentenza definitiva sul quantum , dichiarava estinto il giudizio; per
quanto ancora rileva ai fini di causa, la Corte territoriale faceva applicazione dell’art. 26, comma 3, della legge n. 240/2010;
avverso tale sentenza NOME COGNOME proponeva ricorso per cassazione e, con ordinanza n. 17144 del 26/6/2019, questa Corte accoglieva il primo motivo, con assorbimento dei rimanenti, e rimetteva per nuovo esame alla Corte bresciana;
il giudizio era riassunto dallo stesso COGNOME, che evidenziava il passaggio in giudicato della sentenza del Tribunale n. 910/2010, la quale – confermata in appello e non impugnata in cassazione – aveva riconosciuto il diritto all’anticipazione e indicato (a suo avviso) anche il parametro da applicare ai fini del calcolo dell’anticipo sul TFR; sicchè, il Coates chiedeva la reiezione dell’appello dell’Università con conferma delle due sentenze rese dal Tribunale di Brescia;
con sentenza 19/1/2021 la Corte d’appello (giudice del rinvio) negava che la pronuncia n. 910/2010 avesse accertato il parametro sul quale calcolare l’anticipo del TFR, e, in parziale riforma della sentenza n. 1211/2011, accoglieva l ‘appello dell’Università, affermando la piena applicabilità dell’art. 26 co mma 3 della legge n. 240/2010, in quanto norma di interpretazione autentica della legge n. 63/2004, per cui il TFR avrebbe dovuto essere così calcolato: i) per il periodo anteriore al 1994 usando il parametro di ‘ ricercatore confermato a tempo definito ‘ ma riducendolo in proporzione al minor impegno orario del ricorrente; ii) per il periodo successivo al 1.11.1994, considerando il trattamento previsto dalla contrattazione collettiva per i CEL con l’aggiunta dell’assegno ad personam costituito dalla differenza tra l’ultima retribuzione spettante come lettore di madrelingua straniera ex d.l. n. 2/2004 e quella prevista per i CEL dalla contrattazione collettiva, escluso qualsiasi meccanismo di attribuzione di classi stipendiali o scatti di anzianità; il giudice del rinvio,
in adesione ai conteggi prodotti, rideterminava, alla data del 31.7.2010, la misura massima anticipabile del TFR in €. 18.006,28;
per la cassazione della sentenza della Corte d’appello ricorre con tre motivi, illustrati da memoria, NOME COGNOME resiste con controricorso assistito da memoria l’Università Statale degli Studi di Brescia.
CONSIDERATO CHE :
non si ravvisano i presupposti per la rimessione della causa in pubblica udienza come richiesto nelle memorie illustrative del ricorrente;
al l’esito della riformulazione dell’art. 375 cod. proc. civ., operata dal d.lgs. n. 149/2022, la Corte di cassazione pronuncia in pubblica udienza unicamente nei casi di ricorso per revocazione ex art. 391 quater cod. proc. civ. e di particolare rilevanza della questione di diritto, mentre delibera con ordinanza resa all’esito della camera di consiglio ex art. 380 bis 1 cod. proc. civ., «in ogni altro caso in cui non pronuncia in pubblica udienza» (art. 375, comma 2, n. 4 quater); nessuna delle due condizioni ostative al procedimento camerale ricorre nella fattispecie, atteso che sulla questione controversa questa Corte (come di seguito si dirà più compiutamente) si è già pronunciata, con formazione del giudicato, ed il ricorso non prospetta argomenti nuovi, idonei a superare un tale sbarramento e/o a sollecitare un ripensamento di principi già espressi, ai quali va data continuità per le ragioni di seguito illustrate;
con il primo motivo si deduce «violazione del giudicato formatosi fra le parti con gli effetti di cui all’art. 2909 c.c.; violazione degli artt. 343, comma 2, 345 e 346 c.p.c., anche con riferimento all’art. 416, in specie del comma 3, c.p.c., e de ll’art. 371 c.p.c.;
violazione dell’art. 2697 c.c. e nullità della sentenza (art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c.)»;
l’Università, nell’impugnare la sentenza n. 1211/2011 del Tribunale, aveva chiesto per la prima volta in appello l’applicazione di un parametro del tutto diverso da quello stabilito con la sentenza non definitiva del Tribunale n. 910/2010, non specificamente impugnata sul punto;
2.1 il motivo è inammissibile;
osta, infatti, all’ammissibilità del motivo, la violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6), cod. proc. civ.; il ricorso riproduce (pag. 3-11) solo un singolo passaggio della sentenza di primo grado e un inciso dell’atto d’appello dell’Università (p. 12 -13); sotto questo profilo, ovvero dell’incompletezza della trascrizione della sentenza di prime cure e degli atti processuali successivi, deve darsi seguito al principio, affermato dalle Sezioni Unite con sentenza n. 5669/2022, secondo cui in caso di denunciat a violazione dell’art. 2909 cod. civ. «il ricorrente ha l’onere, a pena di inammissibilità del ricorso, sia di specifica indicazione ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 4 cod. proc. civ. del precetto sostanziale violato, nei cui limiti deve svolgersi il sindacato di legittimità, sia di specifica indicazione ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 6 cod. proc. civ. della sede nel giudicato del precetto di cui si denuncia l’errata interpretazione e dell’eventuale elemento extratestuale, ritualmente acquisito nel giudizio di merito, che sia rilevante per l’interpretazione del giudicato»;
nella specie, si deduce nella censura la violazione di un giudicato interno sull’an e sul parametro da utilizzare (‘retribuzione spettante ai ricercatori confermati a tempo definito con decorrenza dal 1° novembre 1994’) senza assolvere agli oneri di specificazione che avrebbero richiesto di riportare, almeno nei passaggi salienti, la motivazione della sentenza
n. 910/2010, l’atto di gravame dell’Università e la sentenza d’appello n. 365/2013 e di darne soprattutto puntuale localizzazione negli atti processuali;
il perimetro del giudicato nei termini ampi indicati dal Coates è stato peraltro negato nella sentenza impugnata, la quale a p. 9 chiarisce che esso, come si evince dalla sentenza di appello n. 365/2013, era piuttosto circoscritto al (solo) riconoscimento del diritto all’anticipazione del TFR ex art. 2120 c.c. e all’affermazione della non applicabilità dell’art. 7 l. n. 53/2000;
lo stesso ricorrente, a p. 12 del ricorso per cassazione, pur avaro di riferimenti testuali, si duole del fatto che «per la prima volta con il ricorso in appello del 20.12.2013» l’Università ha dedotto «che si sarebbe dovuto applicare un parametro diverso (e inferiore) rispetto a quello di ‘ ricercatore confermato a tempo definito ‘ , proprio a partire dal 1° gennaio 1994, e in particolare quello stabilito dalla contrattazione collettiva per i CEL», in tal guisa avallando l’affermazione del giudice del rinvio in ordine all’esplicita contestazione, in appello, di detto ‘parametro’ con sicura deducibilità di tali profili, ancorché non formulati nella originaria memoria difensiva ex art. 416 c.p.c., integrando essi delle eccezioni in senso lato;
3. con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., in via subordinata rispetto al mancato accoglimento del primo motivo, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 394 c.p.c. , per essersi la Corte d’appello discostata dai principi di diritto e comunque dal principio espresso da Cass. 26/6/2019, n. 17144 circa l’inapplicabilità al caso di specie dell’art. 26, comma 3, legge 240/2010;
il terzo motivo il ricorso, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., è così rubricato: «v iolazione dell’art. 45 TFUE (già art. 48 TCE), come interpretato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, nonché degli artt. 3, 36, 11, e 117 comma 1 Cost., anche alla stregua dell’art. 11 legge 167/2017, e dell’art. 6 CEDU, come interpretato dall a giurisprudenza della Corte di Lussemburgo rispetto alla legittimità di norme interpretative con effetto retroattivo, qual è quella di cui all’art. 26, comma 3, le gge 240/2010 applicata dalla Corte d’appello di Brescia, con conseguente:
-violazione dell’obbligo di disapplicazione diretta dell’intero comma 3 dell’art. 26 legge 240/2010 per contrasto con i predetti principi di diritto europeo;
-in subordine: violazione dell’art. 267 Trattato Funzionamento Unione Europea per omesso rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea sulla questione interpretativa relativa alla portata del diritto dell’Unione, per rispondere al quesi to se esso osti o meno a una disciplina nazionale come quella di cui all’art. 26 comma 3 L. 240/2010, la cui richiesta si reitera in questa sede»;
secondo il Coates l’art. 26, comma 3, Legge n. 240/2010 non garantirebbe agli ex lettori un ‘ integrale ricostruzione della carriera secondo parametri non discriminatori, come indirettamente evidenziato dallo stesso legislatore che ha varato successivamente l’art. 11, legge n. 167/2017 con previsione dello schema tipo di contratto di ateneo di cui al D.M. 16 agosto 2019, il quale riconosce agli ex lettori, divenuti CEL, una retribuzione identica a quella di un ricercatore confermato a tempo definito, sebbene solo per il futuro;
il ricorrente, quindi, deduce che la Corte di merito avrebbe dovuto disapplicare l’art. 26, comma 3, Legge n. 240/2010 per contrasto con i
principi eurounitari o, comunque, avrebbe dovuto procedere a rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea;
in subordine, sollecita a questa Corte a procedere in tal senso o a sollevare questione di legittimità costituzionale della medesima previsione per contrasto con gli artt. 3, 36, 11 e 117 Cost.;
il secondo e il terzo motivo, che per la stretta connessione meritano trattazione congiunta, sono inammissibili;
va premesso che la sentenza rescindente (Cass. n. 17144 del 26/6/2019) ha escluso unicamente che potesse operare nella fattispecie l’estinzione del giudizio ex art. 26, comma 3, legge n. 240/2010 ma non ha pronunciato sulle modalità di calcolo dichiarando, anzi, assorbite tutte le restanti censure che riguardavano il merito della pretesa;
sulle quali ultime si è pronunciato il giudice del rinvio affermando la piena applicabilità dell’art. 26 comma 3 della legge n. 240/2010, in quanto norma di interpretazione autentica della legge n. 63/2004, per cui il TFR avrebbe dovuto essere così calcolato: i) per il periodo anteriore al 1994 usando il parametr o di ‘ricercatore confermato a tempo definito’ ma riducendolo in proporzione al minor impegno orario del ricorrente e ii) per il periodo successivo al 1.11.1994, considerando il trattamento previsto dalla contrattazione collettiva per i CEL con l’aggiunta dell’assegno ad personam costituito dalla differenza tra l’ultima retribuzione spettante come lettore di madrelingua straniera ex d.l. n. 2/2004 e quella prevista per i CEL dalla contrattazione collettiva, escluso qualsiasi meccanismo di attribuzione di classi stipendiali o scatti di anzianità;
ciò posto, possono senz’altro richiamarsi a riguardo, anche ex art. 118 att. c.p.c., le diffuse argomentazioni di Cass., Sez. L, Ordinanza
11/4/2024, n. 9871, pronunciata fra le stesse parti, nel giudizio avente ad oggetto proprio la ricostruzione della carriera lavorativa del Coates;
la pronuncia in questione ha ritenuto: a) che l’inapplicabilità della previsione processuale di cui all’art. 26, comma 3, ultimo periodo, legge n. 240/2010 non valga a escludere automaticamente l’applicazione, non tanto, e non solo, dello stesso art. 26, comma 3, ultimo periodo, legge n. 240/2010, quanto, e soprattutto, di quell’art. 1, comma 1, D.L. n. 2/2004, di cui la precedente previsione costituisce norma di interpretazione autentica, e la cui applicazione viene invocata anche nella presente sede dal ricorrente; b) che la questione esegetica prospettata -relativa ai rapporti tra la normativa nazionale riguardante il trattamento dei lettori e il diritto UE, sia pure per uno specifico aspetto -avesse già formato oggetto di interpretazione da parte della CGUE (vedi sentenze 26 giugno 2001, C-212/99; 18 luglio 2006, C119/04 – Grande Sezione; 15 maggio 2008, C-276/07), i cui riflessi sulla disciplina nazionale erano già stati valutati da questa Corte, la quale in numerose pronunce aveva escluso ogni contrasto (tra i quali Cass. Sez. U – Sentenza n. 21972 del 21/09/2017; Cass. Sez. L – Sentenza n. 20765 del 17/08/2018 e, più recentemente Cass. Sez. L, Ordinanza n. 13886 del 2023); c) che già Cass. 13886/2023 aveva rilevato come «garantendo la ricostruzione della carriera nei termini che risultano dal combinato disposto del d.l. n. 2/2004 e della legge n. 240/2010 non è stato in alcun modo violato il principio di non discriminazione in ragione della nazionalità ed anzi, al contrario, il rispetto del divieto di reformatio in peius è stato garantito con le stesse modalità attraverso le quali è assicurato, tanto nell’impiego pubblico quanto in quello privato, in ogni ipotesi in cui si discuta di modificazioni oggettive e soggettive del rapporto che implichino la conservazione del trattamento economico acquisito»; d) che tali considerazioni valevano
altresì a escludere la sussistenza dei presupposti per sollevare la questione di legittimità costituzionale, come sollecitata; d) che dovesse dichiararsi inammissibile il terzo e quarto motivo di ricorso, con complessiva reiezione dello stesso ricorso e integrale conferma della decisione impugnata, la quale, sulla scorta della previsione di cui all’art. 1, D.L. n. 2/2004 e della previsione di interpretazione autentica di cui all’art. 26, Legge n. 240/2010 , aveva (conclusivamente) stabilito, quanto al Coates, da un lato, che doveva essere riconosciuta, per il periodo successivo al 10 novembre 1994, la retribuzione stabilita per i collaboratori ed esperti linguistici dalla contrattazione collettiva nazionale ed integrativa di ateneo, oltre all’assegno ad personam pari alla differenza -computata secondo i criteri di cui al D.L. 2/2004 -tra tale retribuzione e l’ultima retribuz ione spettante al 31 ottobre 1994 (quest’ultima da corrispondente a quella del ricercatore confermato a tempo definito parametrata all’effettivo impegno orario assolto); e dall’altro lato, che non potevano riconoscersi per il periodo successivo al 1° novembre 1994 gli automatismi retributivi correlati alla progressione economica;
ebbene, Cass., Sez. L, n. 9871/2024 cit., ha ormai reso intangibile fra le parti la determinazione del trattamento retributivo in termini assolutamente coincidenti con quelli affermati nella sentenza qui impugnata e pertanto il giudicato esterno, come intervenuto tra le parti, rende conseguentemente inammissibile sia la seconda che la terza censura perché alla formazione del giudicato esterno avrebbe potuto al più resistere solo il primo motivo di ricorso che prospetta una questione di giudicato interno (asseritamente) formatosi prima di quello esterno: motivo, però, come detto dianzi, ritenuto inammissibile;
anche per effetto del giudicato esterno si rendono, or dunque, non apprezzabili le ulteriori deduzioni contenute nella memoria difensiva del Coates con cui si chiedono in sequenza l’udienza pubblica, la rimessione del ricorso alle sezioni unite di questa Corte, e, ancora, l’incidente di costituzionalità e comunque il rinvio della decisione in attesa della nuova pronuncia della Corte di giustizia;
conclusivamente, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come nel dispositivo che segue.
P. Q. M.
La Corte: dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di Cassazione che liquida in € 4.000,00 oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1- quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale in data 7 maggio 2025.