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Calcolo spese legali: conta il valore deciso dal giudice

Una società fornitrice di energia ha richiesto un pagamento di quasi 50.000 euro, ma il tribunale ha concesso solo 765 euro. La Corte di Cassazione ha stabilito un principio fondamentale per il calcolo spese legali: si deve fare riferimento alla somma effettivamente riconosciuta dal giudice (il ‘decisum’) e non a quella originariamente domandata. La Corte ha rigettato il ricorso della società cliente, confermando che la liquidazione delle spese basata sul valore ridotto della condanna è corretta e che la richiesta di danni per lite temeraria non è applicabile in caso di soccombenza reciproca.

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Pubblicato il 17 settembre 2025 in Diritto Commerciale, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Calcolo Spese Legali: Decide il Giudice, non la Domanda Iniziale

Nel mondo delle controversie legali, una delle domande più frequenti riguarda il calcolo spese legali: chi paga e, soprattutto, su quale base viene determinata la cifra? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce un punto cruciale: ai fini della liquidazione delle spese, ciò che conta è la somma effettivamente riconosciuta dal giudice, non l’importo, talvolta esorbitante, richiesto all’inizio della causa. Questa decisione offre importanti spunti di riflessione per aziende e cittadini coinvolti in contenziosi per il pagamento di somme.

I Fatti di Causa: Dalla Fattura Esorbitante alla Condanna Minima

Il caso nasce da una disputa su una fornitura di energia elettrica. Una società energetica ottiene un decreto ingiuntivo per quasi 50.000 euro contro un’azienda cliente, a titolo di conguaglio. L’azienda cliente si oppone, contestando la cifra. Nel corso del giudizio di primo grado, la stessa società fornitrice ammette che, a seguito di verifiche, il debito reale è notevolmente inferiore.

Il Tribunale accoglie parzialmente l’opposizione e condanna l’azienda cliente al pagamento di una somma minima, circa 765 euro, compensando le spese legali tra le parti. La Corte d’Appello conferma la decisione nel merito ma, riconoscendo il comportamento processuale non del tutto corretto della società energetica, la condanna a rimborsare le spese di primo grado alla sua controparte. È proprio su questo punto, e in particolare sul metodo di calcolo, che la questione arriva in Cassazione.

I Motivi del Ricorso e il Calcolo Spese Legali

L’azienda cliente solleva tre principali motivi di ricorso in Cassazione. Il più rilevante riguarda proprio il calcolo spese legali liquidate dalla Corte d’Appello. Secondo la ricorrente, la Corte avrebbe errato a calcolare le spese sulla base della somma effettivamente liquidata (765 euro) anziché sul valore della domanda originaria (quasi 50.000 euro). Sosteneva, inoltre, che i giudici di merito avessero errato nel condannarla, seppur per un importo minimo, e che la società energetica dovesse essere sanzionata per aver agito in giudizio con una richiesta sproporzionata.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso in ogni sua parte, fornendo chiarimenti fondamentali.

In primo luogo, ha escluso qualsiasi vizio nella decisione dei giudici di merito. Il fatto che un giudice accolga una domanda di pagamento per un importo inferiore a quello richiesto non costituisce una modifica della domanda, né un vizio di motivazione. Il tema del contendere rimane lo stesso (il pagamento per una fornitura); semplicemente, le prove hanno dimostrato che il credito era di entità molto minore.

Il punto centrale, però, è la statuizione sul calcolo spese legali. La Cassazione ha ribadito che, secondo la normativa vigente (in particolare l’art. 5 del D.M. 55/2014), nei giudizi per il pagamento di somme, il valore della controversia ai fini della liquidazione degli onorari si determina sulla base della somma attribuita alla parte vincitrice e non di quella inizialmente domandata. Questo principio, noto come criterio del “decisum” che prevale sul “disputatum”, mira a commisurare le spese all’effettivo risultato ottenuto in giudizio. Pertanto, la Corte d’Appello ha agito correttamente utilizzando come base di calcolo i 765 euro.

Infine, la Corte ha respinto la richiesta di condanna per lite temeraria (art. 96 c.p.c.), specificando che tale sanzione è prevista solo in caso di soccombenza totale, e non in casi come questo di soccombenza reciproca. Tuttavia, ha evidenziato come il comportamento della società fornitrice sia stato comunque sanzionato attraverso la condanna al pagamento delle spese di primo grado, proprio in applicazione del principio di lealtà e probità processuale (art. 88 c.p.c.).

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Decisione

Questa ordinanza consolida un principio di equità e proporzionalità nel sistema processuale. Le implicazioni pratiche sono notevoli:

1. Certezza per le parti: Le parti sanno che le spese legali saranno commisurate all’esito effettivo della lite, e non a pretese iniziali che potrebbero rivelarsi infondate o sproporzionate.
2. Disincentivo a domande esorbitanti: Agire in giudizio con richieste eccessive non ‘paga’ in termini di spese legali, poiché la liquidazione sarà basata sul reale valore del diritto riconosciuto.
3. Tutela della parte convenuta: La parte che subisce una richiesta di pagamento ingente ma si vede poi dare ragione per la maggior parte della somma, non rischia di essere penalizzata da un calcolo delle spese basato sulla domanda iniziale infondata della controparte.

In sintesi, la decisione della Cassazione riafferma che il valore del giudizio, ai fini del rimborso delle spese legali, si cristallizza sul risultato concreto e non sulle ambizioni iniziali delle parti.

Come si calcolano le spese legali quando la somma liquidata dal giudice è molto inferiore a quella richiesta inizialmente?
Le spese legali si calcolano sulla base della somma effettivamente attribuita dal giudice alla parte vincitrice (‘decisum’), e non sul valore della domanda originariamente proposta (‘disputatum’), come stabilito dall’art. 5 del d.m. 10.3.2014 n. 55.

Un giudice può condannare una parte a pagare una somma inferiore a quella richiesta senza violare le regole processuali?
Sì, il giudice può accogliere la domanda per un importo inferiore a quello richiesto senza che ciò costituisca una modifica della domanda o un’alterazione della ‘causa petendi’. La pretesa creditoria viene semplicemente provata per una parte minore in seguito all’istruttoria.

Quando si possono chiedere i danni per lite temeraria ai sensi dell’art. 96 c.p.c.?
Secondo l’orientamento consolidato citato nell’ordinanza, la responsabilità per lite temeraria prevista dall’art. 96 c.p.c. trova applicazione solo nel caso di soccombenza totale della parte che ha agito o resistito in giudizio, e non in caso di soccombenza reciproca, dove entrambe le parti risultano parzialmente vincitrici e parzialmente soccombenti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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