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Calcolo retribuzione lorda: la Cassazione decide

Un’azienda ha contestato una condanna al pagamento di differenze retributive a un dipendente, sostenendo che l’importo dovesse essere calcolato al netto delle ritenute. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, confermando il principio consolidato secondo cui il calcolo della retribuzione lorda è corretto in sede giudiziale. L’obbligazione tributaria sorge solo al momento dell’effettiva percezione della somma da parte del lavoratore, mentre il datore di lavoro perde il diritto di trattenere i contributi previdenziali in caso di pagamento tardivo.

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Calcolo Retribuzione Lorda: Perché il Giudice Liquida Sempre l’Importo Pieno

Una delle domande più frequenti quando un lavoratore ottiene una sentenza di condanna per differenze retributive è se l’importo indicato dal giudice sia da intendersi lordo o netto. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8017/2019, ha ribadito un principio fondamentale: il calcolo della retribuzione lorda è l’unico corretto in sede giudiziale. Questo significa che l’importo liquidato a favore del lavoratore è sempre al lordo delle ritenute fiscali e previdenziali, e il datore di lavoro non può autonomamente ridurlo.

La Vicenda: Il Contenzioso tra Azienda e Dipendente

Il caso ha origine da un decreto ingiuntivo ottenuto da un ingegnere dipendente nei confronti della sua azienda, una grande società di infrastrutture. L’ingiunzione riguardava il pagamento di differenze retributive a titolo di incentivi professionali. L’azienda si opponeva, pagando una parte della somma ma contestando il resto.

Il Tribunale, in primo grado, condannava l’azienda al pagamento di una somma residua. L’azienda decideva di appellare la sentenza, sostenendo un punto cruciale: la somma liquidata dal giudice doveva essere considerata al netto, poiché su di essa gravavano ritenute fiscali e previdenziali che l’azienda, in qualità di sostituto d’imposta, era tenuta a versare.

La questione del calcolo retribuzione lorda in Appello

La tesi della società datrice di lavoro si basava sull’idea che condannarla a pagare l’intera somma lorda al dipendente sarebbe stato ingiusto, in quanto essa avrebbe poi dovuto versare le imposte e i contributi per conto del lavoratore. Secondo l’azienda, questo avrebbe significato un pagamento superiore al dovuto. La Corte d’Appello, tuttavia, respingeva questa argomentazione, confermando la decisione di primo grado. Insoddisfatta, l’azienda portava la questione dinanzi alla Corte di Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso dell’azienda, confermando l’orientamento consolidato della giurisprudenza. La sentenza ha chiarito, ancora una volta, che l’accertamento e la liquidazione dei crediti di lavoro devono essere effettuati al lordo delle ritenute, sia fiscali che previdenziali. Vediamo nel dettaglio le motivazioni alla base di questa importante decisione.

Le Motivazioni: Ritenute Fiscali e Principio di Cassa

La Corte ha spiegato che le ritenute fiscali operano su un piano diverso da quello del rapporto di lavoro. Esse riguardano il rapporto tributario tra il lavoratore (contribuente) e l’erario (lo Stato). Il datore di lavoro agisce solo come “sostituto d’imposta”, un intermediario che trattiene e versa le tasse per conto del dipendente.

L’obbligo di pagare le tasse, per il lavoratore, sorge solo quando la somma viene effettivamente percepita, secondo il cosiddetto “criterio di cassa”. Di conseguenza, il giudice del lavoro, che si occupa del rapporto civilistico tra le parti, non ha il potere di interferire in questo distinto rapporto tributario. La determinazione dell’importo dovuto dal datore di lavoro deve quindi avvenire al lordo, e solo in un momento successivo, quando il lavoratore incasserà la somma, scatterà l’obbligo fiscale.

Le Motivazioni: Ritenute Previdenziali e Pagamento Tardivo

Discorso analogo, ma con una specificità normativa, vale per le ritenute previdenziali. La Corte ha richiamato l’art. 19 della Legge n. 218/1952, il quale stabilisce che il datore di lavoro può trattenere la quota dei contributi a carico del lavoratore solo se procede al pagamento della retribuzione (e dei relativi contributi) in modo tempestivo.

Nel caso di specie, trattandosi di un pagamento di differenze retributive avvenuto con anni di ritardo e solo a seguito di un’azione legale, il datore di lavoro ha perso questo diritto di rivalsa. Pertanto, non solo deve versare l’intera somma lorda al lavoratore, ma è anche tenuto a farsi carico dell’intera quota contributiva (sia la sua parte che quella teoricamente a carico del dipendente), senza poterla detrarre dalla somma liquidata in giudizio.

Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche per Datori di Lavoro e Lavoratori

La sentenza consolida un principio di fondamentale importanza pratica: ogni condanna giudiziale al pagamento di crediti di lavoro deve essere intesa come una condanna al pagamento dell’importo lordo. Il lavoratore che vince una causa ha diritto a ricevere l’intera cifra stabilita dal giudice. Sarà poi sua responsabilità gestire gli aspetti fiscali una volta che la somma sarà stata effettivamente incassata. Per il datore di lavoro, la lezione è chiara: ritardare il pagamento delle retribuzioni dovute non solo porta a una condanna giudiziale, ma comporta anche la perdita del diritto di rivalsa per i contributi previdenziali, rendendo il costo finale del contenzioso ancora più oneroso.

Quando un giudice condanna il datore di lavoro a pagare differenze retributive, l’importo è al lordo o al netto di tasse e contributi?
L’importo stabilito dal giudice deve essere sempre calcolato al lordo, ovvero prima della detrazione di qualsiasi ritenuta fiscale o previdenziale.

Perché il giudice non detrae le ritenute fiscali dall’importo liquidato?
Perché le ritenute fiscali appartengono al rapporto tributario tra il lavoratore e lo Stato, che è distinto dal rapporto di lavoro. L’obbligo fiscale sorge solo quando il lavoratore percepisce effettivamente la somma (criterio di cassa), e il giudice del lavoro non può interferire in tale rapporto.

Il datore di lavoro può trattenere la quota di contributi previdenziali del lavoratore da una somma pagata in ritardo a seguito di una sentenza?
No. Secondo la sentenza, basata sull’art. 19 della L. n. 218/1952, il datore di lavoro perde il diritto di trattenere la quota contributiva a carico del dipendente se il pagamento della retribuzione non è tempestivo. In caso di pagamento tardivo a seguito di una condanna, l’onere contributivo ricade interamente sul datore di lavoro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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