Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 2500 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 2500 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso 36713-2019 proposto da:
COGNOME NOME, domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA ED ASSISTENZA A FAVORE DEI RAGIONIERI E PERITI COMMERCIALI, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO NOME COGNOME INDIRIZZO presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, che la rappresentano e difendono;
– controricorrente –
avverso la sentenza parziale n. 68/2019 depositata in data 27/05/2019 e la sentenza definitiva n. 120/2019 depositata in
Oggetto
PREVIDENZA
PROFESSIONISTI
R.G.N. 36713/2019
Ud.12/12/2024 CC
data 19/07/2019 della Corte di Appello di Trieste, in funzione di giudice del lavoro;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/12/2024 dal consigliere dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
Deriu NOME conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Udine la Cassa nazionale di previdenza e assistenza a favore di ragionieri e periti commerciali e, premesso di essere titolare di un trattamento pensionistico liquidato al 1°/05/2006, chiedeva dichiararsi illegittimo l’art. 50 , comma 2, del regolamento di esecuzione della Cassa per violazione del principio del pro rata e condannarsi la Cassa a corrispondere la differenza di pensione annua dovuta, ai sensi dell’art. 3, comma 12, della legge 335/1995, con interessi e vittoria di spese. La Cassa previdenziale si costituiva in giudizio dichiarando di volersi adeguare ai principi affermati da Cass. SS. UU. 1742/2015 e 18136/2015 riliquidando la quota A della pensione del ricorrente, ma contestando i criteri di calcolo utilizzati e proposti dal ricorrente che applicavano il criterio del pro rata integrale e non avevano nulla a che vedere con i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità.
1.1. Con la sentenza 86/2018 depositata il 24/07/2018 il Tribunale di Udine accoglieva la domanda del ricorrente liquidando in euro 74.418,13 il dovuto. La decisione richiamava le note sentenze delle Sezioni Unite della Corte, ma affermava che esse giustificassero l’applicazione del principio del pro rata integrale.
La Cassa nazionale di previdenza e assistenza a favore di ragionieri e periti commerciali proponeva appello avverso detta pronuncia assumendo che erroneamente il Giudice aveva
aderito al conteggio effettuato dal ricorrente, falsamente applicando l’ar t. 3, comma 12, legge 335/1995. Deriu NOME si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto dell’impugnazione e spiegando appello incidentale in ordine alla esclusione dalla base di calcolo per la riliquidazione della pensione degli anni 2004 e 2005 essendosi sostituito il criterio degli ultimi redditi anteriori al pensionamento con quello degli ultimi redditi anteriori al 2003.
2.1. La Corte di Appello di Trieste, con la sentenza non definitiva n. 68/ 2019, respingeva l’appello incidentale del Deriu e, in accoglimento dell’appello principale proposto dalla Cassa, stabiliva che la quota retributiva del trattamento pensionistico spettante al Deriu doveva riliquidarsi secondo il criterio di calcolo fornito dal regolamento di esecuzione del 1997 ovvero secondo il criterio dei migliori quindici redditi maturati sugli ultimi venti anni prima del 2003. La Corte disponeva la prosecuzione per la determinazione del quantum . Con la sentenza definitiva n. 120/2019 la Corte di Appello di Trieste quantificava la quota del trattamento retributivo in euro 60.654,17 e condannava la Cassa alla corresponsione del dovuto.
Avverso queste sentenze ha proposto ricorso per cassazione COGNOME NOMECOGNOME con impugnazione affidata a due motivi. Resiste con controricorso la Cassa nazionale di previdenza e assistenza a favore di ragionieri e periti commerciali.
Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 380bis cod. proc. civ..
Il ricorso è stato trattato dal Collegio nella camera di consiglio del 12/12/2024.
CONSIDERATO CHE:
La Cassa, costituita con controricorso, ha eccepito in via preliminare l’inammissibilità del ricorso ai sensi dell’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ. per difetto di autosufficienza perché, pur censurando la sentenza di secondo grado per violazione delle norme del regolamento di esecuzione della Cassa del 1997, l’impugnazione avrebbe omesso di indicare specificamente, e di riportare nel corpo dell’atto , il regolamento in questione e nemmeno avrebbe indicato in quale atto e in quale fase del giudizio di merito avrebbe prodotto l’atto .
1.1. L’eccezione di inammissibilità va disattesa. In realtà i motivi di ricorso censurano, in via primaria, norme di legge e non il regolamento della Cassa e, ad ogni modo, uno stralcio del regolamento è allegato al ricorso.
1.2. La Cassa eccepisce, ancora, l’inammissibilità del ricorso perché, in violazione dell’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., l’impugnazione rileverebbe violazione e falsa applicazione di una disposizione del regolamento della Cassa che non è disposizione di legge e non potrebbe fondare un ricorso per violazione di legge.
1.3. L’eccezione va disattesa perchè, come rilevato, i motivi di ricorso censurano in via primaria la pretesa violazione di norme di legge e non il regolamento della Cassa.
1.4. La parte controricorrente eccepisce, ancora, l’inammissibilità del ricorso per violazione dell’art. 360 -bis, primo comma, lett. a), cod. proc. civ. in quanto la sentenza impugnata sarebbe conforme alla consolidata giurisprudenza della Corte.
1.5. Non si ravvisa, ad avviso del Collegio, questa ragione di inammissibilità perché, come di seguito illustrato, il ricorso è parzialmente fondato.
Con il primo motivo di ricorso la difesa di NOME COGNOME deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 2, comma 2, della legge 30/12/1991, n. 414 e dell’art. 3, comma 12, della legge 08/08/1995, n. 335 ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ.. Secondo la parte ricorrente il principio del pro rata -per essere applicato correttamente -prevederebbe la soluzione dell’intero periodo contributivo in più tronconi, eseguendo separati conteggi per ciascun periodo secondo i criteri di calcolo di tempo in tempo vigenti per poi sommare i risultati. Sarebbe viceversa erroneo il procedimento in applicazione della normativa vigente al momento del pensionamento a tutte le anzianità pregresse; si tratterebbe, nella sostanza, di una disapplicazione del principio per come introdotto dall’art. 3, comma 12, legge 335 /1995. Sarebbe illegittima l’applicazione , da parte della Corte di Appello di Trieste, del solo regolamento del 1997 che ha elevato la media reddituale ai 15 migliori redditi degli ultimi 20 anni e ciò in quanto avrebbe dovuto applicare anche l’art. 2, comma 2, della legge 414/1991 che stabiliva di calcolare gli ultimi migliori 10 redditi tra gli ultimi 15 anni, con conseguente svuotamento del pro rata .
2.1. Il primo motivo di ricorso è infondato. Come esattamente osservato dalla sentenza impugnata, trattandosi di pensione decorrente dal 01/05/2006 si applica il principio pro rata come stabilito da Cass. SS. UU. 08/09/2015, n. 17742: in materia di prestazioni pensionistiche erogate dagli enti previdenziali privatizzati ai sensi del d.lgs. n. 509 del 1994 (quale la Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore dei ragionieri e periti commerciali), per i trattamenti maturati prima del 1° gennaio 2007 il parametro di riferimento è costituito dal regime originario dell’art. 3, comma 12, della l. n.
335 del 1995, sicché non trovano applicazione le modifiche in peius per gli assicurati introdotte da atti e provvedimenti adottati dagli enti prima dell’attenuazione del principio del pro rata per effetto della riformulazione disposta dall’art. 1, comma 763, della l. n. 296 del 2006, come interpretata dall’art. 1, comma 488, della l. n. 147 del 2013. Tuttavia, in base al principio del pro rata, si applica la regola vigente al momento della liquidazione e non tutte quelle di tempo in tempo vigenti per gli anni precedenti.
2.2. In tal senso assumono rilievo i principi affermati da costante giurisprudenza di questa Corte, da ultimo con l’ ordinanza 18/09/2023, n. 26711, secondo la quale: il calcolo della quota retributiva della pensione (quota A), assoggettato ai più favorevoli criteri di calcolo antecedenti alle richiamate innovazioni del 2002 e del 2003, deve uniformarsi alle previsioni dell’art. 49 del Regolamento di Esecuzione del 1997 (delibera 28 giugno 1997), in quanto vigenti alla data di maturazione del diritto, riguardante, nella specie, una pensione decorrente dal dicembre 2005. Non si deve, dunque, fare applicazione di «ogni singolo criterio di calcolo via via modificato nel tempo». Tale principio trova puntuale affermazione anche in Cass. 06/11/2018 n. 28253, punto 13 dei motivi della decisione; nello stesso senso, fra le molte, anche Cass. 18/02/2019, n. 4676, punto 4 dei motivi della decisione.
Con il secondo motivo la difesa del ricorrente deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 2 della legge 414/1991 e dell’art. 2, comma 2, del previgente art. 49 del regolamento della Cassa, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ.. La sentenza impugnata sarebbe erronea perché avrebbe escluso dalla base di calcolo il reddito degli anni 2004
e 2005, vale a dire i redditi maturati dopo l’introduzione del sistema contributivo, sostituendo al criterio degli ultimi redditi anteriori al pensionamento il criterio degli ultimi redditi anteriori al 2003.
3.1. Il secondo motivo di ricorso è fondato. La sentenza impugnata, richiamando i principi espressi da Cass. 19/09/2016, n. 19303, ha affermato che il calcolo della quota retributiva doveva essere effettuato considerando, secondo i criteri previsti dal regolamento di esecuzione della Cassa del 1997, i migliori quindici redditi sugli ultimi venti maturati anteriormente al 31.12.2003.
3.2. La decisione impugnata non si è adeguata, per tale via, ai principi espressi in senso contrario, e in modo costante, da Cass. 3660/2019, Cass. 2223/2019; Cass. 28253/2018, Cass. 33929/2018. Secondo dette decisioni, alle quali il Collegio intende dare continuità, trova applicazione l’ art. 49 del Regolamento di esecuzione del 1997 (applicabile alle pensioni di anzianità in quanto richiamato dall’art. 50), e, pertanto, ai fini del calcolo rilevano gli ultimi venti anni solari di contribuzione anteriori a quello dì maturazione del diritto a pensione.
La sentenza va, allora, cassata in accoglimento del secondo motivo di ricorso, con rinvio alla Corte di Appello designata i dispositivo che, in diversa composizione, liquiderà anche le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigettato il primo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di Appello di Trieste, in funzione di giudice del lavoro, in diversa composizione, cui è demandata anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.