Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 23374 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 23374 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n° 18602 del ruolo generale dell’anno 2019 , proposto da
RAGIONE_SOCIALE , (C.F./P.IVA P_IVA), con sede in Parma, INDIRIZZO in persona dell’Amministratore Delegato e legale rappresentante pro tempore, dottor NOME COGNOME (C.F. CLZ CODICE_FISCALE, rappresentata e difesa congiuntamente e disgiuntamente, giusta delega in calce al ricorso, dall’avv. prof. NOME COGNOMEC.F. SCI CODICE_FISCALE, numero di fax P_IVA ed indirizzo di posta elettronica certificata EMAIL) e dall’avv. prof. NOME COGNOME (C.F. PRT CODICE_FISCALE. numero di fax 02176024409 ed indirizzo di posta elettronica certificata EMAIL) ed elettivamente domiciliata presso e nello studio del secondo in Roma, INDIRIZZO
Ricorrente e Controricorrente
contro
Consorzio RAGIONE_SOCIALE, con sede in INDIRIZZO San Donato Milanese (MI), P. IVA P_IVA iscritto al R.E.A. di Milano al numero 1371046, in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro-tempore
ing. NOME COGNOME (c.f.: CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso nel presente giudizio dagli avv.ti prof. NOME COGNOME (c.f.: CODICE_FISCALE; pec: EMAIL; fax NUMERO_TELEFONO) e NOME COGNOME (c.f.: CODICE_FISCALE; pec: EMAILordineavvocatifirenze.it; fax NUMERO_TELEFONO) ed elettivamente domiciliato presso lo studio del primo in Roma, INDIRIZZO come da mandato in calce al controricorso.
Controricorrente e Ricorrente incidentale contro
Ministero dell’Interno (C.F. 97149560589), in persona del Ministro pro tempore, Prefettura di Parma (C.F. NUMERO_DOCUMENTO) in persona dcl legale rapp.te pro-tempore, rappresentati e difesi dall’avvocatura Generale dello Stato (C.F. 8022-1-030587) per il ricevimento degli atti, FAX NUMERO_TELEFONO e P.E.C. EMAIL presso i cui uffici sono per legge domiciliati in Roma, INDIRIZZO
Controricorrenti
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE – RAGIONE_SOCIALE società con socio unico soggetta all’attività di direzione e coordinamento di RAGIONE_SOCIALE, C.F. P_IVA e P.IVA P_IVA, in persona dell’institore avv. NOME COGNOME domiciliato per la carica presso la sede sociale in Roma, INDIRIZZO, di seguito anche RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME e presso di lui domiciliata in Roma, INDIRIZZO (CLB LRT CODICE_FISCALE; per le comunicazioni si indicano pec EMAIL e fax NUMERO_TELEFONO, giusta procura speciale in calce al controricorso.
Controricorrente
avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna n° 3024 depositata il 6 dicembre 2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 giugno 2025 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1 .- La RAGIONE_SOCIALE proponeva opposizione alla determinazione dell’indennità di esproprio dei suoi suoli siti in Parma, disposta per la realizzazione delle opere relative alla ‘ Linea AV/AC Milano -Napoli -Tratta Ferroviaria AV/AC Milano -Bologna, Interconnessione di Parma -Raddoppio delle Linee Parma Suzzara e Parma Brescia ‘, liquidata provvisoriamente con decreto del Prefetto di Parma del 22 giugno 2010 in euro 72.872,63 ed in via definitiva dalla Commissione espropri in euro 580.245,00.
La Corte d’appello di Bologna, nel contraddittorio con RAGIONE_SOCIALE, incorporata in corso di causa da RAGIONE_SOCIALE, che interveniva in giudizio, e con RAGIONE_SOCIALE, nonché con la Prefettura di Parma ed il Ministero dell’Interno, decideva la causa con la sentenza indicata in epigrafe, liquidando l’indennità in euro 2,540 milioni e disponendo il deposito della differenza tra detta somma e quella già liquidata a titolo provvisorio.
2 .- Per quello che qui ancora rileva, la Corte -premesso che il soggetto passivamente legittimato al pagamento dell’indennizzo era la sola RFI -dichiarava inammissibile la domanda di indennizzo per l’occupazione temporanea avanzata da Barilla, in quanto tardivamente formulata per la prima volta, nella comparsa conclusionale.
Quanto alla liquidazione del pregiudizio per la perdita della proprietà, osservava che ratione temporis non era applicabile alla fattispecie il d.P.R. n° 327/2001, ma la legge n° 2359/1865 (art. 39).
Nel merito, rilevava che la prima c.t.u., a firma ingegner NOME COGNOME non era utilizzabile ai fini decisori, facendo riferimento alle risultanze del Piano Regolatore Generale del Comune di Parma e, segnatamente, alla variante adottata nel 1989 e approvata nel 1992, nonché alla variante adottata nel 1995 e approvata il 16 luglio 1997, e contenendo inattendibili conclusioni, frutto, all’evidenza, di una indagine caratterizzata da superficialità.
Era invece condivisibile la seconda c.t.u., a firma dell’ingegner NOME COGNOME il quale aveva rilevato che, al momento della apposizione del vincolo preordinato all’esproprio, una parte dell’area ablata era destinata a zona di espansione produttiva ed un’altra parte costituiva zona di rispetto ferroviario e stradale.
La porzione dell’area edificabile era, peraltro, compresa in un piano particolareggiato (PP), già approvato e oggetto di convenzione urbanistica.
In particolare, la consistenza complessiva del suolo era pari a mq 24.495, di cui mq 7.224 edificabili e mq 17.271 non edificabili, situati in fascia di rispetto ferroviario e stradale.
La situazione urbanistica vigente alla data rilevante per la stima (22 giugno 2010: data del decreto di esproprio) era desumibile dal Piano Operativo Comunale (POC) e dal Regolamento Urbanistico Edilizio (RUE) approvati con Delibera del Consiglio Comunale n° 125 del 9 aprile 2002.
Vigevano, altresì, in regime di salvaguardia, il nuovo RUE e il nuovo POC, adottati con Atto di Consiglio Comunale n° 11 del 27 gennaio 2009 e approvati con Atto di Consiglio Comunale n° 71 del 20 luglio 2010.
L’area con Piano Particolareggiato (PP) approvato e convenzionato era stata trasposta nella scheda Permesso di Costruire Convenzionato (PCC) 09 (Superficie Lorda Utile, determinata con indice di utilizzazione territoriale 0,45 mq/mq), mentre le particelle
espropriate 339 e 340 del foglio 36, non comprese nel precedente PP, erano state inserite nella scheda PCC 56.
Per le particelle inserite nella scheda PCC 09 risultavano già monetizzate le aree e le opere di urbanizzazione, mentre per le aree comprese nella scheda PCC 56 non era stato, invece, ancora previsto l’onere di cessione delle aree di urbanizzazione, né il costo per la realizzazione delle stesse.
Il metodo adottato dal c.t.u. era quello comparativo, che la Corte riteneva condivisibile.
Tenendo conto di due atti di compravendita del 2008, aventi ad oggetto aree edificabili a destinazione produttiva, dai quali risultava un valore unitario della superficie lorda utile di euro 480,00/mq ed applicando un indice di utilizzazione territoriale (UT) di 0,45, il valore dell’area in PCC 56 era di euro 1,520 milioni, calcolato moltiplicando il valore unitario della superficie fondiaria, ottenuta in base all’indice di utilizzazione del territorio pari a 0,45 mq/mq (euro 216,00/mq) e della estensione del fondo (216,00 x mq 7.224 = 1,560 milioni), previa detrazione della monetizzazione degli oneri di urbanizzazione per euro 40 mila.
Il valore della striscia di terreno non edificabile era invece pari ad euro 370 mila, ricavato applicando il coefficiente di ragguaglio del 10% al valore dell’area edificabile ricadente nella scheda PCC 09.
Andava liquidato anche il danno per la perdita di valore del suolo residuo rimasto in proprietà della RAGIONE_SOCIALE, liquidabile in euro 650 mila, calcolato dapprima mediante individuazione del valore dell’area ante esproprio e quindi applicando ‘ il procedimento di stima sintetico per punti di merito ‘.
Complessivamente spettavano, dunque, alla RAGIONE_SOCIALE euro 2,540 milioni (1,890 milioni + 650 mila), ai quali andavano aggiunti gli interessi sino al pagamento o al deposito.
Era, invece, infondata la domanda dell’attrice concernente il maggior danno, dato che la Barilla si era limitata a domandare la rivalutazione monetaria, senza specificare altro.
3 .- Ricorre per cassazione la RAGIONE_SOCIALE, affidando il gravame a sette mezzi illustrati da memoria.
Resiste COGNOME, che conclude per la reiezione del ricorso principale, formulando sei motivi di ricorso incidentale illustrati da memoria, cui la Barilla ha replicato con controricorso, concludendo per la loro inammissibilità e, comunque, per il loro rigetto.
Ha resistito anche RFI con controricorso illustrato da memoria, concludendo per l’inammissibilità del ricorso principale e, comunque, per la sua reiezione.
Infine, hanno anche resistito la Prefettura di Parma ed il Ministero dell’Interno, che hanno preliminarmente fatto osservare che il capo di decisione, che ha considerato le Amministrazioni statali non destinatarie di domande attoree (contenendo l’atto introduttivo una mera litis denuntiatio ), non sarebbe stato impugnato e sarebbe pertanto divenuto definitivo.
Nel merito hanno chiesto il rigetto dell’impugnazione, con ogni conseguente statuizione, anche in punto di spese.
Il ricorso è stato assegnato per la trattazione in Adunanza Camerale ai sensi dell’art. 380bis cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4 .- Col primo motivo -intitolato ‘ nullità della sentenza per totale difetto di motivazione. Violazione del principio judex peritus peritorum ‘ -la COGNOME lamenta che il primo c.t.u., ingegner NOME COGNOME dopo aver depositato l’elaborato peritale, sarebbe stato chiamato a chiarimenti e li avrebbe resi.
Nondimeno la Corte avrebbe disposto la rinnovazione della consulenza, affidata all’ingegner NOME COGNOME e la seconda peri-
zia avrebbe ridotto l’indennità del primo Ausiliare di circa due milioni di euro.
La Corte, poi, avrebbe seguito pedissequamente la seconda consulenza omettendo qualsiasi comparazione, approfondimento e motivazione in ordine alle diverse conclusioni raggiunte dalle due Relazioni, ed appiattendosi letteralmente sulle conclusioni della seconda, nonostante il sensibile divario delle stesse, tale da rendere del tutto inattendibile la prima o, alternativamente, la seconda.
5 .- Il motivo è inammissibile, non indicando le norme di legge violate (art. 366 n° 4 cod. proc. civ.) e, comunque, essendo privo di autosufficienza.
È sicuramente vero che qualora nel corso del giudizio di merito vengano espletate più consulenze tecniche in tempi diversi con risultati difformi, il giudice può seguire il parere che ritiene più congruo, dando adeguata e specifica giustificazione del suo convincimento; in particolare, quando intenda uniformarsi alla seconda consulenza, non può limitarsi ad una adesione acritica ma deve giustificare la propria preferenza indicando le ragioni per cui ritiene di disattendere le conclusioni del primo consulente, salvo che queste risultino criticamente esaminate dalla nuova relazione ( ex multis : Cass., sez. lav., 26 agosto 2013, n° 19572).
Ma è anche vero che la Corte ha spiegato che la prima consulenza non poteva essere seguita, non potendo ritenersi ‘ esaustiva ‘ e contenendo ‘ inattendibili conclusioni ‘ cui il primo ausiliare era pervenuto ‘ frutto, all’evidenza, di una indagine caratterizzata da superficialità ‘.
La ricorrente, pur denunciando la mancanza di motivazione, non si fa carico di trascrivere le due consulenze o, almeno, di illustrarne i contenuti (art. 366 n° 6 cod. proc. civ.), onde dimostrare che la motivazione fornita dalla Corte per giustificare l’attendibilità della sola seconda relazione peritale sia solo apparente e che i richiami alla mancanza di esaustività, alla inattendibilità delle conclusioni ed
alla superficialità del primo NOME fossero delle mere frasi di stile, prive di sostanziale contenuto (conclusione che pare smentita dalle allegazioni difensive del controricorso di Cepav uno, pagina 10, nel testo ed in nota 5).
Ne deriva che il motivo si traduce nella semplice contrapposizione di un giudizio di prevalenza della prima consulenza rispetto al giudizio reso dalla Corte territoriale, di preminenza del secondo elaborato peritale.
6 .- Col secondo motivo -rubricato ‘ violazione e falsa applicazione dell’art. 183 c.p.c. violazione e falsa applicazione della l. 22 ottobre 1971, n. 865, art. 19, nonché violazione dell’art. 6 della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali in relazione all’art 1 del primo protocollo addizionale alla medesima convenzione ‘ -la ricorrente lamenta che la Corte abbia ritenuto inammissibile la domanda di condanna al pagamento dell’indennità di occupazione in ragione della sua tardività, essendo stata formulata nella comparsa conclusionale.
La declaratoria di inammissibilità sarebbe stata fatta su eccezione della controparte, ma tale eccezione sarebbe stata, a sua volta, tardivamente sollevata, tanto che le controparti avevano sempre accettato il contraddittorio sulla domanda, replicando nel merito, anche in ragione della determinazione dell’indennità di occupazione avvenuta ad opera del precedente c.t.u.
Inoltre, anche nel decreto di esproprio l’indennizzo sarebbe stato liquidato complessivamente, senza distinguere tra indennità di esproprio e di occupazione, con la conseguenza che non sarebbe stato un onere specifico di contestazione in sede di opposizione.
7 .- Il mezzo è inammissibile e comunque infondato.
La ricorrente, infatti, non precisa quando e dove avrebbe proposto in primo grado la richiesta di corresponsione dell’indennità di occupazione, limitandosi a sostenere che la stessa sarebbe implicitamente contenuta nella domanda introduttiva.
Tale carenza rende il mezzo inammissibile.
Ma esso è, in ogni caso, infondato anche nel merito.
Infatti, il processo davanti alla Corte d’appello venne introdotto con citazione notificata nel 2010, essendo in vigore l’art. 54 del d.P.R. 8 giugno 2001, n° 327, nel testo successivo alle modifiche introdotte con d.lgs. n° 27 dicembre 2002, n° 302 ed anteriore a quelle introdotte con d.lgs. 1° settembre 2011, n° 150.
Il giudizio in unico grado davanti alla Corte di Bologna era, dunque, retto dalle disposizioni di cui agli artt. 163 e seguenti del cod. proc. civ.
Ora, la domanda intesa ad ottenere il riconoscimento dell’indennità di occupazione legittima è del tutto autonoma rispetto alle altre richieste proponibili a seguito dell’espropriazione, quali, ad es. l’indennità di espropriazione, essendo munita di diversa causa petendi e petitum (per tutte: Cass., sez. I, 27 settembre 2006, n° 21018).
Essa, dunque, non può ritenersi compresa nell’originaria richiesta di liquidazione dell’indennizzo per la perdita del fondo ablato, né, per la medesima ragione, ha rilievo il fatto che il decreto prefettizio abbia liquidato un unico importo, senza distinguere tra indennizzo per l’espropriazione e per l’occupazione.
Ne deriva che la formulazione della domanda nel corso del giudizio ordinario in unico grado davanti alla Corte d’appello era disciplinata dagli artt. 163 e 183 cod. proc. civ., ragion per cui la parte attrice avrebbe potuto, al più, precisare o modificare la domanda introduttiva (art. 183, sesto comma, n° 1), ma non certo introdurne una nuova, come invece ha fatto la Barilla, formulando la domanda di pagamento dell’indennità di occupazione nella comparsa conclusionale (come riferisce la sentenza a pagina 6, paragrafo n° 3, sul punto non contrastata).
Da ultimo, è del tutto irrilevante che l’eccezione di inammissibilità della domanda sia stata sollevata tardivamente, come pure pri-
va di peso è l’accettazione del contraddittorio sul punto da parte delle controparti, sol che si consideri che l’art. 183 cod. proc. civ. è inderogabile e che l’inammissibilità di ogni nuova domanda è rilevabile ex officio dallo stesso giudice.
8 .- Col terzo motivo la RAGIONE_SOCIALE lamenta ‘ violazione e falsa applicazione della l. n. 2359 del 1865, art. 39 e dei principi in tema di determinazione della giusta indennità ‘.
Secondo un primo profilo, mentre la seconda c.t.u. avrebbe attribuito all’area edificabile di mq 7.224 il valore di euro 216,00/mq, per complessivi euro 1,560 milioni, la prima consulenza avrebbe attribuito a tale suolo il valore di euro 266,00/mq, per complessivi euro 1,921 milioni.
Il primo c.t.u. avrebbe ricavato tali valori analizzando cinque rogiti; al contrario, il secondo NOME avrebbe erroneamente considerato solo due atti di compravendita, stipulati nel 2008, ed escludendo gli altri tre, intervenuti nel 2004 e nel 2005.
La Corte avrebbe condiviso tale conclusione, ritenendo i rogiti del 2004 e del 2005 ‘ troppo distanti, da un punto di vista temporale, dal decreto di esproprio e risalenti, comunque, ad un periodo in cui la congiuntura economica e quella del mercato immobiliare erano molto diverse ‘, con una motivazione assolutamente apodittica.
Stando ad un secondo profilo, la Corte avrebbe pedissequamente recepito la seconda c.t.u. laddove essa ha calcolato in euro 40 mila la monetizzazione degli standards per l’area di mq 1.170 ricadente nella scheda PCC 56, senza considerare che la RAGIONE_SOCIALE aveva realizzato opere a favore dei dipendenti, dei visitatori e, più in generale, della collettività ed aveva, inoltre, costruito una pista ciclopedonale lungo INDIRIZZO/INDIRIZZO e in INDIRIZZO sopportando un costo di oltre 500 mila euro, tanto che il Comune, in sede di approvazione del piano regolatore aveva previsto, accogliendo l’osservazione n° 631 formulata dalla COGNOME sul punto, la compensazione di tale somma con quella dovuta per gli standard urbanisti-
ci e la circostanza era stata registrata anche dal c.t.u. a pagina 31 della sua relazione.
Infine, in base ad un terzo profilo, il conteggio dell’importo dovuto per gli standards sarebbe errato, in quanto la seconda relazione peritale non avrebbe considerato che gli importi per mq del verde attrezzato dovevano essere considerati nella misura del 10%, quelli per i parcheggi nella misura del 5%, mentre solo il contributo di depurazione doveva essere calcolato sull’intera superficie.
9 .- Il mezzo è inammissibile, mancando di autosufficienza.
È, infatti, ben noto (Cass., sez. III, 11 dicembre 2023, n° 34395) che il vizio, denunciabile in sede di legittimità, della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, è ravvisabile solo in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza applicata al caso concreto o nell’omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non può prescindersi per la formulazione di una corretta risposta ai quesiti posti dal giudice, mentre al di fuori di tale ambito la censura costituisce mero dissenso alla c.t.u. ed alla sentenza, che si traduce in un’inammissibile critica del convincimento del giudice.
Inoltre, per infirmare, sotto il profilo della insufficienza argomentativa, la motivazione della decisione che recepisca le conclusioni di una c.t.u. di cui il giudice dichiari di condividere il merito, è necessario che la parte alleghi di avere rivolto critiche alla consulenza stessa già dinanzi al giudice a quo , e ne trascriva poi, per autosufficienza, almeno i punti salienti, onde consentirne la valutazione in termini di decisività e di rilevanza, atteso che, diversamente, una mera disamina dei vari passaggi dell’elaborato peritale, corredata da notazioni critiche, si risolverebbe nella prospettazione di un sindacato di merito inammissibile in sede di legittimità (Cass., sez. III, 18 luglio 2022, n° 22532).
Ora, leggendo il mezzo in esame è agevole constatare come esso sia privo della trascrizione (eccezion fatta per poche righe) dei passi essenziali della relazione peritale e delle osservazioni del c.t.p. che sarebbero state pretermesse dall’ausiliario del giudice in sede di indagini peritali.
Da ultimo, il Collegio rileva anche come il mezzo introduca nella presente sede di legittimità una questione che non risulta trattata nella sentenza impugnata (la costruzione della pista ciclopedonale e la compensazione disposta dal Comune dei costi per la sua costruzione con gli oneri per gli standards ), onde esso si appalesa anche per tale ragione privo di autosufficienza, essendo altresì noto ( ex multis : Cass., sez. VI-T, 13 dicembre 2019, n° 32804) che qualora una determinata questione giuridica, che implichi un accertamento di fatto, non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa.
A medesima conclusione deve giungersi in ordine alla contestazione del conteggio per gli standards , che la ricorrente introduce col terzo profilo del motivo in esame, ma senza specificare quando e dove essa venne trattata davanti al giudice del merito.
10 .- Col quarto motivo -intitolato ‘ violazione e falsa applicazione della l. n. 2359 del 1865, art. 39 e dei principi in tema di determinazione della giusta indennità. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Violazione dell’art. 1 del primo protocollo addizionale alla convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fon-
damentali ‘ -la ricorrente lamenta che anche per ciò che concerne le fasce di rispetto stradale e ferroviario la Corte avrebbe illegittimamente seguito le indicazioni della seconda c.t.u., liquidando per mq 17.271 un indennizzo di euro 373.053,60, pari al dieci percento del suolo edificabile (euro 216,00/mq x 0,10 x mq 17.271 = euro 373.053,60), senza considerare che la stessa Corte aveva demandato al c.t.u. di considerare la possibilità di utilizzazioni intermedie di tali suoli, i quali, stando alla ‘ disciplina urbanistica ‘, avrebbero un valore pari al cinquanta percento di quelli edificabili, come pure dimostrato dalla ‘ relazione tecnica del geom. COGNOME ‘ e ‘ nella controdeduzioni alla bozza di nuova CTU ‘.
L’indennizzo del cinquanta percento, poi, coprendo la sola perdita per l’ impossibilità di costruire edifici, ‘ ma non la mancata mobilità interna, impianti sotterranei e parcheggi al compendio RAGIONE_SOCIALE ‘, andrebbe ulteriormente incrementata di un dieci percento.
E, sebbene il c.t.u. avesse ritenuto che la perdita della possibilità edificatoria delle aree di rispetto non fosse indennizzabile con tale criterio, in quanto tutta la potenzialità edificatoria era stata concentrata nelle aree limitrofe, non era affatto dimostrato che l’edificabilità delle aree di rispetto non potesse ‘ essere altrimenti sfruttata, ad es. su altre aree ‘.
Come dimostrato dal c.t.p. di Barilla, il valore al mq attribuito dal c.t.u. era prossimo a quello agricolo e il metodo utilizzato per la valorizzazione di tali suoli era scorretto (poiché i valori OMI adottati dal c.t.u. erano valori minimi e non precludevano una valorizzazione maggiore) e, comunque, applicato in modo erroneo (il criterio del dieci percento avrebbe dovuto essere applicato in ragione della superficie commerciale dei capannoni e non di quella edificabile).
Ne deriverebbe, secondo la ricorrente, che i fabbricati del compendio RAGIONE_SOCIALE avrebbero dovuto essere stimati in euro 1.500,00/1.600,00 al mq e che, di conseguenza, il valore dei suoli
di rispetto sarebbe pari ad euro 155,00/mq, con un indennizzo di euro 2.677.005,00 (euro 155,00 x 17.271 mq).
11 .- Il motivo demanda a questa Corte una nuova valutazione dei risultati della c.t.u. disposta dalla Corte d’appello di Bologna ed è, pertanto, inammissibile, in quanto la critica alla relazione dell’Ausiliare è ammessa in sede di legittimità, come già sopra rammentato, ove si denunci una palese devianza dalle nozioni correnti della scienza applicata al caso concreto, la cui fonte va indicata, o nell’omissione degli accertamenti strumentali dai quali non può prescindersi per la formulazione di una corretta conclusione, mentre al di fuori di tale ambito la censura costituisce mero dissenso diagnostico che si traduce in un’inammissibile critica del convincimento del giudice ( ex multis , sebbene in tema di c.t.u. medica, Cass., sez. III, 11 dicembre 2023, n° 34395).
Quanto alla contestazione del valore del solo dieci percento alle aree inedificabili, è la stessa ricorrente (pagina 15, ultime sei righe) a far presente che il c.t.u. aveva esaminato il problema e lo aveva risolto escludendo che a tali suoli potesse essere assegnato il valore richiesto dalla Barilla (cinquanta percento del valore delle aree fabbricabili), dato che tutta la potenzialità edilizia era stata inglobata nelle altre aree soggette a PCC, le cui schede definivano già la potenzialità massima, mentre la restante parte, ricadente in fascia di rispetto, era priva di possibilità edilizia.
La scorretta applicazione dei criteri OMI è, del pari, priva di autosufficienza: non trattandosi di norme, ma solo di principi redatti dall’Agenzia delle entrate, la ricorrente avrebbe dovuto trascrivere o, almeno, illustrare il contenuto dei criteri predetti nei quali sarebbe enunciata la regola che, a suo dire, sarebbe stata violata (art. 366 n° 6 cod. proc. civ.).
Del tutto apodittica, inoltre, è l’affermazione secondo la quale i fabbricati Barilla avrebbero dovuto essere stimati mediamente euro 155,00/mq.
Premesso quanto sopra, è evidente che cada anche la deduzione della violazione dell’art. 1 del Primo protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.
12 .- Col quinto motivo -intitolato ‘ violazione e falsa applicazione della l. n. 2359 del 1865, art. 39, e dei principi in tema di determinazione della giusta indennità ‘ -la Barilla si duole della erroneità della decisione nella parte in cui ha determinato l’indennizzo per la perdita di valore dell’area residua a forma di triangolo (non espropriata), avente la consistenza di mq 18.320, ubicata nell’angolo tra le INDIRIZZO, per la quale il c.t.u. avrebbe assegnato alla ablata un indennizzo di euro 650 mila.
Il c.t.u. aveva quantificato tale indennizzo partendo dal valore del suolo ante esproprio (euro 2,2 milioni), previa deduzione di euro 170 mila per il valore delle fasce di rispetto e di euro 220 mila per la monetizzazione delle urbanizzazioni, così giungendo ad euro 2,150 milioni.
Poi avrebbe diminuito tale importo applicando dei coefficienti riduttivi riferiti ad alcune caratteristiche del cespite (accessibilità, servizi, inquinamento, disponibilità di verde, qualità al contorno, fruibilità aree PCC, oneri manutentivi, suscettibilità di vendita e di locazione, fruibilità spazi interni, finiture, impianti, stato di degrado), così giungendo alla conclusione che il bene residuato valeva il trenta percento in meno, ossia euro 1,505 milioni (2,150 milioni x 0,7).
Sennonché, il calcolo del valore delle aree in zone di rispetto scontava lo stesso vizio indicato al precedente motivo (in quanto il dieci percento andava calcolato sulle aree edificate e non su quelle edificabili) e la riduzione del punteggio per la minore possibilità di vendita o di locazione era stata contraddittoriamente predicata dalla Corte d’appello.
Infatti, trattandosi di un suolo ‘ di risulta ‘ ed intercluso, era evidente che non potesse essere né locato, né ceduto, come peraltro riconosciuto dalla stessa Corte d’appello a pagina 14 della sentenza.
Conseguentemente il coefficiente relativo alle possibilità di vendita e locazione avrebbe dovuto essere pari a zero, donde un decremento corretto per l’area in questione pari al trentanove percento.
13 .- Il mezzo è ancora una volta inammissibile, consistendo in una critica di carattere meritale alla c.t.u. senza indicazione del tempo e del luogo processuale nel quale le questioni prospettate col motivo in esame sono state sottoposte all’attenzione del consulente d’ufficio e, quindi, della Corte territoriale.
In sostanza, come già detto per i precedenti mezzi, esso demanda a questa Corte di rivalutare il materiale istruttorio e, in particolare, la consulenza d’ufficio.
14 .- Col sesto motivo (‘ violazione e falsa applicazione dell’art. 16 della legge 22.10.1971 n. 865 ‘) la Barilla presupponendo la cassazione della sentenza nella parte in cui ha predicato l’inammissibilità della domanda di indennizzo per l’occupazione -impugna in prevenzione (‘ al fine di evitare un ulteriore ricorso a codesta Ill.ma Corte in merito al criterio determinativo di tale indennità ‘) il passaggio motivazionale della sentenza col quale la Corte ha escluso l’applicabilità del d.P.R. n° 327/2001, ove tale affermazione escluda la indennizzabilità dell’occupazione nella misura di un dodicesimo di quanto sarebbe dovuto nel caso di esproprio dell’area.
15 .- Il mezzo è assorbito dalla reiezione del secondo motivo di ricorso.
16 .-col settimo motivo (‘ violazione e falsa applicazione dell’art. 1224 c.c. ‘) la ricorrente impugna il capo decisionale col quale è stata esclusa la rivalutazione monetaria.
La Corte avrebbe escluso tale voce sul rilievo che la Barilla aveva l’onere di domandare e provare il maggior danno ex art. 1224 cod. civ., mentre si era semplicemente limitata a chiedere la rivalutazione.
Per contro, la RAGIONE_SOCIALE sarebbe ‘un ‘ azienda leader nel settore’ e ‘ nel caso di tempestivo pagamento, l’investimento delle somme avrebbero garantito un rendimento superiore al saggio legale di interesse ‘.
Nel caso di specie, considerando il periodo dal 2010 (anno di emissione del decreto di esproprio) al 2018, il tasso di rendimento dei titoli di Stato sarebbe stato superiore al saggio legale degli interessi, comportando comunque un maggior danno di euro 23.816,45.
17 .- L’assoluta genericità delle allegazioni difensive contenute nel motivo lo rendono del tutto inammissibile.
18 .- Si passa ora all’esame del ricorso incidentale.
Va premesso che la sentenza della Corte d’appello bolognese non è stata notificata e risulta depositata il 6 dicembre 2018.
Ne deriva che, trattandosi di giudizio iniziato dopo il 4 luglio 2009, il termine cosiddetto lungo per l’impugnazione scadeva dopo sei mesi (art. 327, primo comma, nel testo modificato dall’art. 46, settimo comma, della legge 18 giugno 2009, n° 69, ossia il 7 giugno 2019).
Il ricorso principale è stato notificato il 6 giugno 2019 ed il controricorso, contenente il ricorso incidentale, è stato notificato il 16 luglio 2019, ossia entro venti giorni dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso principale (come richiesto dall’art. 370 nel testo anteriore al d.lgs. 10 ottobre 2022 n° 149) e deve, pertanto, essere considerato tardivo ai sensi dell’art. 334, primo comma, cod. proc. civ.
Nondimeno, dato che non tutti i motivi di ricorso principale sono stati dichiarati inammissibili, non può essere pronunciata l’ineffica-
cia del ricorso incidentale tardivo, ai sensi dell’art. 334, secondo comma, cod. proc. civ., con la conseguenza che esso deve essere esaminato nel merito.
Dunque, col primo motivo di ricorso incidentale -intitolato ‘ Violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., dell’art. 5-bis, d.l. 11 luglio1992, n. 333 (conv. in L. 8 agosto 1992, n. 359), nonché dei principi giurisprudenziali e costituzionali in materia di vincoli espropriativi e conformativi ‘ -Cepav uno deduce che la Corte aveva correttamente accertato che mq 17.271 di terreno erano inedificabili, mentre avrebbe erroneamente concluso per l’edificabilità degli altri mq 7.224, aderendo alla tesi del c.t.u. nonostante le contestazioni sollevate nel corso del giudizio, con le quali era stato fatto osservare che tali suoli ricadevano nella nuova zona ferroviaria pervista dalla variante al PRG del 1997, approvato dal Consiglio comunale di Parma con Delibera n° 173/44 del 30 luglio 1997, che escludeva qualunque edificabilità ad iniziativa privata ed aveva carattere conformativo, ai sensi del d.P.R. n° 753/1980.
19 .- Il mezzo è inammissibile, perché, analogamente a quanto già detto in sede di esame del ricorso principale, la questione della inedificabilità dei mq 7.224, derivante dalla variante del 1997 al PRG, non risulta in sentenza e il ricorrente, pur avendo genericamente affermato di averla sollevata nel corso del giudizio di merito, non precisa il tempo ed il luogo dove tale contestazione sia avvenuta.
20 .- Col secondo motivo di ricorso incidentale -formulato in subordine al primo e rubricato ‘ Violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., dell’art. 39, legge 2359/1865 nonché dei principi in materia di stima dell’indennità di esproprio mediante il metodo sintetico-comparativo. Violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4) c.p.c., dell’art. 132 c.p.c.: carenza assoluta della motivazione in ordine al
criterio di stima del valore venale delle aree applicato in concreto ‘ -Cepav uno deduce che il terreno di 7.224 mq rappresenterebbe un unicum nel mercato immobiliare della Provincia di Parma (per conformazione fisica e per le caratteristiche concrete) e, come tale, non sarebbe comparabile con altri fondi, nemmeno con quelli delle due compravendite considerate dal secondo c.t.u., date le diverse caratteristiche dei luoghi in cui tali cespiti si trovavano (l’area Ikea era già pronta per l’utilizzo, con un progetto già avviato, mentre il complesso di INDIRIZZO non era adiacente a quello Barilla).
Da qui l’erroneità del metodo comparativo, adottato da entrambi i c.t.u., e la correttezza di quello analitico.
In ogni caso, anche il metodo comparativo sarebbe stato erroneamente applicato, ossia senza considerare che solo la RAGIONE_SOCIALE avrebbe potuto realizzare un intervento edilizio e che le prescrizioni urbanistiche rendevano l’area di mq 7.224 inalienabile senza alienare al contempo l’intero stabilimento della RAGIONE_SOCIALE.
Inoltre, il c.t.u. avrebbe sottostimato l’incidenza dei costi finanziari e per l’osservanza delle prescrizioni urbanistiche e non avrebbe tenuto conto della Delibera della giunta comunale di Parma n° 384/41, che ai fini Imu 2013 aveva attribuito ai fondi in zona produttiva di espansione ZP4, un valore venale compreso tra euro 68,79 ed euro 88,28.
21 .- Ancora una volta il mezzo appare inammissibile per le ragioni già esposte.
Dalla sua stessa lettura si apprende, infatti, che le critiche in esso formulate sono state considerate dal secondo c.t.u., il quale le ha motivatamente disattese: col che appare corretta anche l’adesione della Corte di merito alle conclusioni del consulente.
In conclusione, le doglianze sono ripetitive di questioni già poste ed esaminate nel corso delle indagini peritali.
22 .- Con la terza doglianza incidentale -rubricata ‘ Violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3
c.p.c., dell’art. 5-bis, d.l. 11 luglio 1992, n. 333 (conv. in I. 8 agosto 1992, n. 359) e dell’art. 43, legge 2359/1865, nonché dei principi giurisprudenziali e costituzionali in materia di stima dell’indennità di esproprio ‘ -Cepav uno fa osservare che la Corte, dopo aver premesso che al 22 giugno 2010 (data del decreto di esproprio) la situazione urbanistica era desumibile dal Piano operativo comunale (POC) e dal Regolamento urbanistico edilizio (RUE) approvati con Delibera del consiglio comunale n° 125 del 9 aprile 2002, aveva ritenuto che la valorizzazione dei suoli andasse fatta anche in base al nuovo RUE ed al nuovo POC, adottati con Delibera di consiglio comunale n° 11 del 27 gennaio 2009 e approvati con atto n° 71 del 20 luglio 2010.
Tale conclusione sarebbe errata, in quanto, secondo l’art. 5bis , terzo comma, del d.l. n° 333/1992, applicabile ratione temporis , era agli strumenti urbanistici vigenti alla data di apposizione del vincolo espropriativo che doveva farsi riferimento per stabilire il valore delle aree ablate.
In ogni caso, il nuovo RUE ed il nuovo POC erano successivi anche alla data di adozione del decreto di esproprio ed il RUE era stato approvato recependo le osservazioni presentate dalla stessa COGNOME.
Ne deriverebbe che la classificazione nel PRG delle aree limitrofe allo stabilimento RAGIONE_SOCIALE era stata prevista nell’ottica di un ampliamento di quest’ultimo e che le prescrizioni e i vincoli imposti al comparto non potevano che essere realizzati dalla stessa ditta, mai da terzi, incidendo tale circostanza sulla commerciabilità delle aree espropriate: donde la correttezza della seconda ipotesi di stima del c.t.u., che aveva determinato l’indennizzo in complessivi euro 1,490 milioni.
23 .- Questo motivo è fondato.
La Corte, dopo aver correttamente constatato che, ai fini della determinazione dell’indennità di esproprio, dovesse trovare appli-
cazione il criterio del valore venale pieno dell’area espropriata, tratto dalla legge 25 giugno 1865 n° 2359, art. 39, ha osservato (sentenza paragrafo 6) che il c.t.u. aveva fatto riferimento alle risultanze del Piano Regolatore Generale del Comune di Parma e, segnatamente, alla variante adottata nel 1989 e approvata nel 1992, nonché alla variante adottata nel 1995 e approvata il 16 luglio 1997.
La Corte aveva quindi rilevato che, al momento della apposizione del vincolo preordinato all’esproprio, una parte dell’area espropriata era destinata a zona di espansione produttiva, mentre un’altra parte costituiva zona di rispetto ferroviario e stradale.
Ha, quindi, aggiunto che la situazione urbanistica vigente alla data di riferimento della stima (data del decreto di esproprio, emesso il 22 giugno 2010) era desumibile dal Piano Operativo Comunale (POC) e dal Regolamento Urbanistico Edilizio (RUE), che costituivano la traduzione del PRG 1998 negli strumenti della pianificazione urbanistica comunale, ai sensi dell’art. 43, quinto comma, della legge reg. Emilia-Romagna n° 20/2000, approvati con Delibera del consiglio comunale n° 125 del 9 aprile 2002.
Vigevano, inoltre, in regime di salvaguardia, il nuovo RUE e il nuovo POC, adottati con Atto di Consiglio comunale n° 11 del 27 gennaio 2009 e approvati con atto di Consiglio comunale n° 71 del 20 luglio 2010.
Dopo queste premesse, sicuramente condivisibili, la Corte ha però ritenuto corretta, ‘ a differenza di quanto sostenuto dal CTP di CEPAV ‘, la scelta del c.t.u. di tenere conto della strumentazione urbanistica adottata nel mese di gennaio 2009, pur se definitivamente approvata nel luglio 2010, vale a dire un mese dopo l’emissione del decreto di espropriazione per il quale è causa, avvenuta il 22 giugno 2010 (sentenza paragrafo 9).
Secondo il giudice del merito, l’adozione di tale strumentazione più di un anno prima del decreto suddetto e la circostanza che, con
delibera del Consiglio comunale n° 134 del 3 novembre 2009, fossero state accolte due osservazioni, formulate proprio dalla società odierna attrice, non potevano, infatti, non incidere sul valore di mercato dell’area in precedenza meglio descritta.
Ora, la questione posta col mezzo in esame consiste nello stabilire se l’indennizzo per l’espropriazione debba essere liquidato tenendo conto dei vantaggi derivanti dalle osservazioni formulate dall’espropriando (o, correlativamente, degli svantaggi derivanti da osservazioni di terzi) in sede di elaborazione di nuovi strumenti urbanistici da parte del Comune, che siano stati adottati, ma non ancora approvati al momento dell’emanazione del decreto di esproprio.
Ebbene, il d.l. n° 333/1992 stabiliva che la valutazione delle aree dovesse essere fatta tenendo conto delle ‘ possibilità legali ed effettive di edificazione esistenti al momento dell’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio ‘.
Alla Corte costituzionale è stata sottoposta la questione della incoerenza del momento temporale di valutazione del fondo previsto dalla norma citata, sul rilievo che la valutazione delle possibilità legali e di fatto di edificazione esistenti al momento dell’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio, e non già al momento del decreto di esproprio, potesse comportare l’inadeguatezza dell’indennizzo ( ex art. 42, terzo comma, Cost.), dato che nell’intervallo di tempo tra tali due momenti un’area a destinazione agricola poteva acquisire una destinazione edificatoria.
Il Giudice delle leggi (Corte cost. n° 442/1993) ha tuttavia ritenuto la norma conforme a Costituzione, precisando che con essa il legislatore ha meramente voluto consacrare il principio secondo cui nella stima dell’area espropriata non si deve tener conto del vincolo espropriativo, cioè si deve totalmente prescindere da esso, e che la valutazione del bene va fatta con riferimento al momento del trapasso della proprietà.
Tale interpretazione è stata poi recepita dal d.P.R. n° 327/2001, il quale, com’è noto, all’art. 32 prevede che l’indennità sia determinata sulla base delle caratteristiche del bene alla data di emanazione del decreto di esproprio, ma senza considerare gli effetti del vincolo ad esso preordinato (e considerando, invece, i vincoli conformativi).
Ora, tornando alla motivazione della sentenza, anche a tacere del fatto che lo snodo logico della decisione della Corte bolognese, censurato col mezzo in esame, non appare coerente con le premesse dalle quali essa stessa è partita (ossia dalla necessità di determinare l’indennizzo in base agli strumenti urbanistici vigenti al 22 giugno 2010), esso si pone in contrasto con la regola enunciata dall’art. 32 del d.P.R. n° 327/2001, che, sebbene non applicabile ratione temporis , costituisce, per quanto sopra detto, un corollario del principio da sempre affermato in giurisprudenza (sin da Cass., sez. un., 26 gennaio 1942, n° 218), per cui il valore venale del bene ablato va accertato al momento dell’emanazione del decreto di esproprio.
A tale principio questa Corte ha aggiunto in tempi più recenti l’ulteriore corollario secondo il quale la stima dell’indennizzo deve essere condotta senza valutazione e computo dei futuri vantaggi e svantaggi derivanti dalla successione degli strumenti urbanistici (sul che si veda Cass., sez. I, 2 dicembre 2016, 24650 e, più recentemente, Cass., sez. I, 26 giugno 2019, n° 17115 e Cass., sez. I, 17 febbraio 2021, n° 4228).
La violazione di legge denunciata col mezzo in esame appare, dunque, sussistente, anche perché, stando a quanto riferisce Cepav (senza che tale allegazione trovi smentita nel controricorso di COGNOME al ricorso incidentale: pagine 10-11), il c.t.u. aveva predisposto una seconda ipotesi di stima (pari ad euro 1,490 milioni) considerando gli strumenti urbanistici previgenti, ossia epurati dalle osservazioni della Barilla.
La stima del bene andrà, dunque, rivista e la Corte dovrà in particolare accertare se, per effetto della pregressa strumentazione urbanistica, sia in ipotesi condivisibile la stima alternativa che lo stesso c.t.u. aveva predisposto considerando la sola strumentazione urbanistica pregressa al 2010.
24 .- Col quarto mezzo di ricorso incidentale -così intitolato: ‘ Violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., dell’art. 39, legge 2359/1865 nonché dei principi in materia di stima dell’indennità di esproprio per le aree non edificabili. Violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4) c.p.c., dell’art. 132 c.p.c.: carenza assoluta della motivazione sulla sussistenza di possibili utilizzazioni delle aree ricadenti in fascia di rispetto ulteriori rispetto a quella agricola ‘ -Cepav uno lamenta che la Corte abbia stimato i terreni in fascia di rispetto euro 21,60/mq, pari al dieci percento del valore dei suoli edificabili, osservando che ‘ tali aree potevano, infatti, essere destinate a parcheggi e a strade interne al lotto, per agevolare la manovra dei mezzi pesanti, ovvero a spazi verdi permeabili ‘.
Tale motivazione riprenderebbe quella del secondo c.t.u. alle pagine 25 e 74 della relazione, mentre alle pagine 59-60 veniva fatto riferimento soltanto al punto 5 dell’art. 3.3.2 delle NTA del RUE 2010 che, tuttavia, era errato in quanto, come indicato nel motivo precedente, successivo all’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio e comunque solo adottato ma non ancora approvato alla data del decreto di esproprio.
In mancanza di tale motivazione, i suoli andavano stimati in euro 15,00/mq.
Con un profilo subordinato, Cepav deduce anche che non sarebbe comunque corretta la stima dei terreni in questione utilizzando come base il valore delle aree ricadenti nella scheda PCC 09 dello strumento urbanistico (coincidenti con il Piano particolareggiato
approvato dal Comune nel 1988) anziché di quelle inserite nella scheda PCC 56 (esterne al perimetro del predetto Piano).
Ne deriverebbe che i terreni in questione potevano, al più, essere assimilati a quelli ricadenti nella scheda PCC 56, con la conseguenza che dal loro valore andava sottratto il costo corrispondente agli oneri di urbanizzazione ed ai costi finanziari.
25 .- Il motivo è infondato.
La Corte nell’ultima parte del paragrafo 9 ha infatti ben chiarito le ragioni per le quali aderiva alle conclusioni del c.t.u., il quale, per la valutazione delle aree non edificabili, aveva applicato il coefficiente di ragguaglio del dieci percento.
La Corte ha, infatti, precisato che non esisteva un mercato immobiliare delle fasce di rispetto e che, pertanto, gli unici dati reperibili erano quelli del Manuale della Banca Dati dell’Osservatorio del Mercato Immobiliare.
Non sussiste, dunque, alcuna carenza di motivazione e, d’altra parte, anche la censura relativa all’applicazione di strumenti urbanistici pregressi appare priva di autosufficienza, poiché (a differenza del terzo mezzo, col quale è stata denunciata una incoerenza risultante dallo stesso tenore della sentenza), la doglianza in esame richiama la relazione del consulente, che tuttavia non trascrive nei passi necessari (art. 366 n° 6 cod. proc. civ.).
Quanto, poi, al profilo subordinato, il mezzo tende surrettiziamente ad ottenere da questa Corte la censura di un accertamento prettamente meritale, rimesso al giudice di merito.
26 .- Col quinto motivo di ricorso incidentale -intitolato ‘ Violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., dell’art. 40, legge 2359/1865 nonché dei principi in materia di stima del deprezzamento della proprietà residua non espropriata ‘ -Cepav deduce che il deprezzamento del fondo residuo di forma triangolare, valutato dal primo c.t.u. in euro 877,8 mila e dal secondo c.t.u. in euro 580 mila, sarebbe errato, in quanto l’area
conserverebbe un collegamento con la restante proprietà RAGIONE_SOCIALE mediante un sottopasso e da accessi diretti a raso dalla INDIRIZZO (INDIRIZZO.
27 .- Il mezzo è inammissibile, in quanto le circostanze indicate sono state esaminate dal consulente e dalla Corte con apprezzamento di merito che non è censurabile nella presente sede di legittimità.
Parimenti incensurabile è la percentuale di riduzione del deprezzamento, fissata dalla Corte (sulla scorta della c.t.u.) nel trenta percento del valore del bene residuo.
28 .- Col sesto motivo di ricorso incidentale (‘ Violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., dell’art. 41, comma 1, legge 2359/1865. Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c. ‘) Cepav lamenta che la Corte, nel liquidare l’indennizzo, non abbia tenuto conto del vantaggio speciale e immediato ricevuto dalla proprietà residua per effetto dell’esecuzione dell’opera pubblica.
In particolare, secondo il ricorrente incidentale, lo stabilimento RAGIONE_SOCIALE poteva essere collegato alla nuova linea ferroviaria mediante un tronco ferrato di sua proprietà e tale soluzione costituirebbe un vantaggio speciale e immediato, ai sensi dell’art. 41 della legge 2359/1865.
La Corte avrebbe escluso tale vantaggio sul rilievo che la possibilità di allaccio alla linea Parma Suzzara (cosiddetta ‘ linea storica ‘) era già prevista da una convenzione urbanistica del 1988 e che i vantaggi esposti dal c.t.p. di Cepav sarebbero inerenti all’attività aziendale della RAGIONE_SOCIALE e non all’area non espropriata.
Per contro, l’allaccio alla linea storica non era tecnicamente possibile, in quanto essa era priva di elettrificazione ed a binario unico.
Il raccordo -che, non per nulla, sarebbe stato realizzato dalla RAGIONE_SOCIALE nel 2015 dopo i lavori sui suoli espropriati -costituiva un innegabile surplus non tanto all’attività industriale, quanto alla proprietà in sé, non potendosi negare che di esso si sarebbe avvantaggiato qualunque acquirente del fondo.
29 .- Il mezzo è inammissibile per più ragioni.
Anzitutto, il ricorrente incidentale deduce che il c.t.u. e la Corte non avrebbero tenuto presenti le osservazioni del proprio c.t.p. concernenti l’impossibilità tecnica del raccordo, ma senza trascrivere le parti delle osservazioni e della relazione del c.t.u. indispensabili a far comprendere alla Corte di legittimità in che termini sia stato posto il problema tecnico e quali repliche abbia dato il c.t.u.: donde l’inammissibilità del mezzo per mancanza di autosufficienza (art. 366 n° 6
Secondariamente, esso, nella parte in cui enuncia un surplus a favore della residua proprietà RAGIONE_SOCIALE, consiste ancora una volta in una critica meritale al giudizio della Corte territoriale, con la quale è stato escluso il vantaggio al fondo sul rilievo che il raccordo ferroviario agevolasse (e fosse, dunque, un vantaggio) per la sola attività industriale delle RAGIONE_SOCIALE.
– Il ricorso incidentale va pertanto rigettato, così come il primo, il secondo, il quarto, il quinto e il sesto motivo del ricorso incidentale, mentre va accolto il terzo motivo del ricorso di quest’ultimo, con la cassazione della sentenza impugnata ed il conseguente rinvio alla Corte d’appello di Bologna, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese processuali.
p.q.m.
la Corte respinge il ricorso principale. Respinge i motivi primo, secondo, quarto, quinto e sesto del ricorso incidentale del RAGIONE_SOCIALE. Accoglie il terzo motivo di ricorso incidentale del RAGIONE_SOCIALE. Cassa la sentenza impugnata, in relazione al mo-
tivo accolto, e rinvia alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -q uater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello stesso art. 1, se dovuto.
Così deciso in Roma il 12 giugno 2025, nella camera di consiglio