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Buono pasto turno notturno: la Cassazione decide

Un’infermiera ha richiesto i buoni pasto per i suoi turni notturni svolti tra il 2002 e il 2008. La Corte d’Appello le ha dato ragione, interpretando gli accordi collettivi e aziendali. L’azienda sanitaria ha fatto ricorso in Cassazione, ma la Corte Suprema ha dichiarato il ricorso inammissibile per vizi di forma. La decisione conferma il diritto al buono pasto per il turno notturno in base alla specifica articolazione oraria, consolidando la sentenza di secondo grado.

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Pubblicato il 5 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Buono Pasto Turno Notturno: La Cassazione Conferma il Diritto per gli Infermieri

Il diritto al buono pasto per il turno notturno è un tema di grande interesse per molti lavoratori, specialmente nel settore sanitario. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha affrontato il caso di un’azienda sanitaria, fornendo chiarimenti cruciali non tanto sul merito della questione, quanto sui requisiti procedurali per presentare un ricorso valido. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante decisione.

Il Contesto del Caso Giudiziario

La vicenda ha origine dalla domanda di un’infermiera, dipendente di un’Azienda Sanitaria Locale. La lavoratrice, impiegata come turnista, aveva richiesto il riconoscimento del suo diritto al servizio mensa, o in alternativa al buono pasto, anche per i turni di lavoro svolti nella fascia oraria notturna, dalle 20:00 alle 8:00, per il periodo compreso tra il 2002 e il 2008.

Il Tribunale di primo grado aveva inizialmente respinto la sua domanda. Tuttavia, la Corte d’Appello ha ribaltato la decisione, accogliendo il reclamo dell’infermiera e riconoscendole il diritto al buono pasto.

La Decisione della Corte d’Appello sul buono pasto turno notturno

La Corte territoriale ha motivato la sua decisione basandosi sull’evoluzione della disciplina legale e contrattuale. In particolare, ha evidenziato come l’espressione “particolare articolazione dell’orario di lavoro”, contenuta nell’art. 29 del CCNL Sanità del 2001, non si riferisse solo alla durata della prestazione, ma anche a modalità orarie che giustificassero l’esigenza del pasto. Secondo i giudici d’appello, un accordo sindacale aziendale del 2008, che estendeva il diritto anche al personale del turno notturno, era la chiave interpretativa per riconoscere tale diritto anche per il passato, data la sussistenza della medesima esigenza.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

L’Azienda Sanitaria, non soddisfatta della sentenza d’appello, ha presentato ricorso in Cassazione basandolo su tre motivi principali:

1. Prescrizione del diritto: L’azienda ha reiterato l’eccezione di prescrizione quinquennale del diritto reclamato dalla lavoratrice.
2. Errata interpretazione contrattuale: Ha sostenuto che la Corte d’Appello avesse interpretato erroneamente le norme contrattuali e gli accordi sindacali, i quali, secondo l’azienda, limitavano il diritto al buono pasto alla sola fascia oraria 12:30/14:30 fino al 2008.
3. Omesso esame di un fatto decisivo: Ha lamentato che i giudici non avessero considerato il carattere non retroattivo dell’accordo del 2008, che a suo dire costituiva una modifica e non un’interpretazione dei patti precedenti.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibili tutti e tre i motivi del ricorso, senza entrare nel merito della questione del diritto al buono pasto. La decisione si è concentrata esclusivamente sui vizi procedurali e sulla scorretta formulazione del ricorso.

Per quanto riguarda il primo motivo sulla prescrizione, la Corte ha rilevato che l’azienda si era limitata a “reiterare” l’eccezione senza rispettare i requisiti minimi di specificità richiesti dall’art. 366 c.p.c. e senza chiarire se l’avesse correttamente riproposta in appello.

Anche il secondo e il terzo motivo sono stati giudicati inammissibili per difetto di specificità. L’Azienda Sanitaria non aveva riprodotto nel ricorso i passaggi essenziali degli accordi sindacali del 1996 e del 2008, impedendo alla Corte di valutarne la corretta interpretazione. Inoltre, la censura era formulata in modo contraddittorio, lamentando sia l’omesso esame che l’erronea interpretazione degli stessi documenti. Infine, la Corte ha sottolineato che un disaccordo sull’interpretazione data dal giudice di merito non può essere fatto valere come “omesso esame di un fatto decisivo”, che è un vizio specifico e diverso.

Le Conclusioni

In conclusione, l’ordinanza della Cassazione, pur non pronunciandosi direttamente sul diritto al buono pasto per il turno notturno, lo conferma di fatto, rendendo definitiva la sentenza della Corte d’Appello favorevole alla lavoratrice. La lezione più importante che emerge da questa pronuncia è di natura processuale: un ricorso per cassazione deve essere redatto con estremo rigore tecnico e formale. Non è sufficiente contestare genericamente una decisione, ma è necessario formulare censure specifiche, autosufficienti e conformi ai dettami del codice di procedura civile. In assenza di tali requisiti, il ricorso verrà dichiarato inammissibile, precludendo ogni esame sul merito della controversia.

Un lavoratore turnista del settore sanitario ha diritto al buono pasto per il turno notturno?
Sì, la sentenza di merito, resa definitiva dalla Cassazione, ha riconosciuto questo diritto. La decisione si basa sull’interpretazione della “particolare articolazione dell’orario di lavoro” prevista dal CCNL e dagli accordi sindacali aziendali, che può includere anche il turno notturno (es. 20:00-8:00).

Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso dell’Azienda Sanitaria?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile per gravi vizi procedurali. L’Azienda non ha rispettato i requisiti di specificità richiesti dalla legge, limitandosi a “reiterare” eccezioni senza argomentarle adeguatamente e senza riprodurre i testi contrattuali contestati, come invece è necessario per un ricorso in Cassazione.

Cosa insegna questa ordinanza sulla presentazione di un ricorso in Cassazione?
L’ordinanza sottolinea l’importanza fondamentale del rigore formale. Un ricorso in Cassazione non può essere una semplice riproposizione delle proprie tesi, ma deve essere un atto tecnicamente preciso, che identifichi chiaramente gli errori di diritto della sentenza impugnata e rispetti i principi di specificità e autosufficienza, pena l’inammissibilità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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