Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 6805 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 6805 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 14/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da
NOME , rappresentato e difeso da ll’ AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO , elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo , in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente-
Contro
RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa da ll’ Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrenti – avverso la sentenza n. 217/2020, della Corte di Appello di Torino, pubblicata il 18.2.2020, non notificata.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6.3.2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Oggetto:
buoni postali fruttiferi
FATTI DI CAUSA
1. -La RAGIONE_SOCIALE proponeva opposizione avverso il d.i. n. 10431/2017, dichiarato provvisoriamente esecutivo, con cui il tribunale di Torino le aveva ingiunto di pagare a NOME la somma di €. 45.588,03 a titolo di differenza di interessi maturati su due Buoni Postali Fruttiferi, sottoscritti in data 28 febbraio 1984 e 27 aprile 1984, che erano stati rimborsati da RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE con la corresponsione di interessi inferiori a quanto risultante a tergo del titolo.
Sosteneva l’opponente che, a norma dell’art. 173 dPR n. 156/1973, i rendimenti riportati a tergo possono essere modificati, anche in peius per il risparmiatore, con decreto emanato dal Ministro del RAGIONE_SOCIALE, di concerto con il Ministro delle RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, da pubblicare nella G.U., e che ciò nella fattispecie era avvenuto con il DM 13 giugno 1986. Richiamava in proposito Cass. civ, S.U., n. 13979/2007 e giurisprudenza di merito.
─ Si costituiva l’NOME il quale chiedeva la reiezione dell’opposizione, sostenendo che:
-il DM 13.06.1986 non costituisce atto normativo ma atto amministrativo di portata generale, sicchè la sua pubblicazione nella G.U. svolge una mera funzione notiziale senza determinare la presunzione di conoscenza dell’atto pubblicato;
per ovviare alla lacuna conoscitiva del risparmiatore, il legislatore ha previsto che sia messa a disposizione dei titolari dei buoni, presso gli Uffici Postali, la tabella integrativa dei tassi d’interesse (terzo comma dell’art. 173, cit.), e tale forma di pubblicità opera quale conditio sine qua non ai fini dell’opponibilità dei tassi fissati dal DM ’86 ai buoni già venduti.
-Con sentenza n. 5231/2014 il T ribunale rigettava l’opposizione .
–RAGIONE_SOCIALE proponeva gravame dinanzi alla Corte di Appello di Torino che con la sentenza qui impugnata accoglieva l’appello.
Per quanto qui di interesse la Corte di merito , nell’ osservare di essersi pronunciata sulle medesime questioni oggetto della controversia con sentenza resa nel r.g. n. 655/2018 in cui le parti era difese dai medesimi difensori presenti nel procedimento alla cui motivazione faceva riferimento ex art. 118 disp. att. c.p.c., premetteva che:
sulla questione è intervenuta la pronuncia della Corte di RAGIONE_SOCIALEzione S.U., n. 3963 dell’11 febbraio 2019.
«Nella motivazione di detta sentenza, si precisa che il riferimento alla tabella concernente la revisione dei tassi di interessi non costituisce affatto una parte della modalità di comunicazione all’interessato della intervenuta nuova prescrizione ministeriale. La conoscenza di tale circostanza è affidata dal legislatore alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. La prescrizione della messa a disposizione della tabella integrativa ha la diversa finalità di consentire al risparmiatore di verificare presso l’ufficio postale l’ammontare del proprio credito per interessi all’esito dell’intervenuta variazione, anche ai fini del controllo della regolarità della riscossione e della sua conformità alla normativa vigente al momento della riscossione. E’, quindi, erroneo ritenere che tale prescrizione costituisca un obbligo informativo dalla cui osservanza dipenda la vincolatività della variazione per il risparmiatore»;
gli altri motivi erano assorbiti;
nella medesima sentenza era stato statuito che l’eterogeneità degli strumenti finanziari offerti da RAGIONE_SOCIALE rispetto a quelli del sistema bancario, con conseguente inapplicabilità ai primi della disciplina di tutela dei consumatori prevista per i secondi; ha, inoltre, sottolineato come, a fronte della facoltà statale di incidere sul contenuto del
contratto modificando i tassi d’interesse previsti, vi sia la possibilità per il risparmiatore di riscuotere il buono, percependo gli interessi (sino a quel momento) maturati nella misura originariamente pattuita;
l’ulteriore questione di legittimità costituzionale per violazione degli artt. 41, 47, 76 e 97 Cost. dedotta sull’art. 173 del dPR in esame che delega al RAGIONE_SOCIALE il potere di variare i tassi senza stabilire i principi e criteri direttivi che l’autorità delegata deve rispettare, esponendo il risparmiatore al mero arbitrio dell’organo delegato, con conseguente violazione del principio di buona amministrazione e della tutela del risparmio, è manifestamente infondata, perché al rapporto tra legge statale e decreto ministeriale di attuazione non occorre necessariamente applicare i principi, consacrati nell’art. 76 della Costituzione, che regolano il rapporto tra legge di delega e decreti legislativi delegati; la prospettata violazione dei principi di tutela del risparmio e buona amministrazione, inoltre, è meramente ipotetica laddove la ratio normativa è all’evidenza quella di consentire alla normativa secondaria di intervenire sulla regolamentazione degli interessi per adeguare il rendimento dei buoni alle variazioni dell’andamento del mercato finanziario .
–NOME COGNOME ha presentato ricorso per cassazione con sette motivi.
RAGIONE_SOCIALE ha presentato controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Va preliminarmente ricordato che il giudizio ripropone questioni già proposte in altri giudizi. Questa Corte nel leading case Varuolo c/ RAGIONE_SOCIALE, deciso con la sentenza n. 22619/2023 del 26 luglio 2023, ha enunciato i seguenti principi di diritto:
« Poiché l’interpretazione del testo contrattuale deve raccordare il ‘senso letterale delle parole’ alla dichiarazione negoziale nel suo
complesso, non potendola limitare a una parte soltanto di essa, l’indicazione, per i buoni postali della serie ‘Q/P’, di rendimenti relativi alla serie ‘P’ per l’ultimo periodo di fruttuosità del titolo non è in sé decisivo sul piano interpretativo, in presenza della stampigliatura, sul buono, di una tabella sostitutiva di quella della serie ‘P’, in cui erano inseriti i detti rendimenti: tanto più ove si consideri che la tabella in questione adotta una modalità di rappresentazione degli interessi promessi che risulta eccentrica rispetto a quella di cui alla precedente tabella, così da rendere evidente l’assenza di continuità tra le diverse previsioni.
«In presenza di una incompleta o ambigua espressione della volontà delle parti quanto ai rendimenti del buono postale di nuova emissione rientrante nella previsione dell’art. 173 d.P.R. n. 156/1973, opera una integrazione suppletiva che consente di associare al titolo i tassi contemplati, per la serie che interessa, dal decreto ministeriale richiamato dal primo comma del detto articolo ». L’attuale giudizio propone i medesimi motivi di ricorso, dedotti dalla medesima difesa, già proposti in altro giudizio deciso con ordinanza n. 25614/2023 ed è pertanto opportuno riproporre le medesime valutazioni già esposte da questa Corte che sono condivise anche da questo Collegio.
Il ricorrente deduce:
6. -Con il primo motivo: violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c. per avere la Corte territoriale ritenuto ammissibile l’atto d’appello benché recante censure non specifiche e privo di parte argomentativa.
6.1 -«Va premesso che le Sezioni Unite di questa Corte (Ordinanza n. 36481 /2022), sul tema dei requisiti di ammissibilità dell’atto di appello, in relazione alle prescrizioni di cui all’art. 342 cod. proc. civ., hanno affermato che gli artt. 342 e 434 cod. proc. civ., nel testo introdotto dal d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla l. n. 134 del
2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata.
Ove sia denunciato -come nella specie -un error in procedendo, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare (a pena, appunto, di inammissibilità) il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, e tale specificazione deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione, per il principio di autosufficienza di esso. Pertanto, ove il ricorrente censuri la statuizione di inammissibilità, per difetto di specificità,
E’ stato , altresì, chiarito che l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato -come nella specie -un error in procedendo, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare (a pena, appunto, di inammissibilità) il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, e tale specificazione deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione, per il principio di autosufficienza di esso. Pertanto, ove il ricorrente censuri la statuizione di inammissibilità, per difetto di specificità, dell’atto di appello, ha l’onere di specificare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione del giudice di appello e di trascrivere, o
allegare specificamente al ricorso, il contenuto delle censure proposte dall’appellante, per poi argomentarne la genericità e il difetto di specificità in relazione al contenuto della decisione di primo grado e non può limitarsi a citare solo alcuni passi dell’atto di appello, per poi argomentare una personale convinzione di genericità, richiamando astrattamente la normativa applicabile (Cass. 20405/2006 e successive conformi).
Insomma, la ricorrente, al fine di dimostrare la dedotta genericità dell’appello, negata espressamente e motivatamente dalla Corte territoriale, avrebbe dovuto spiegare come e perché, al contrario, l’appello fosse generico.
Per far ciò, avrebbe dovuto evidenziare con la necessaria chiarezza e completezza le censure articolate con l’appello e le corrispondenti statuizioni del Tribunale con esse censurate, ciò che come detto non è nella specie avvenuto, essendovi nel motivo in esame solo alcuni stralci dell’atto di appello e mancando completamente la dimostrazione logica della asserita erroneità della valutazione di sufficiente specificità adottata dalla Corte territoriale, specie in relazione a questioni che, nella loro sostanza, ponevano un problema di diritto (sostanzialmente riprodotto nei motivi successivi dell’odierno ricorso), in relazione al quale l’onere di specificità può ritenersi assolto nella mera deduzione dell’erroneità della sentenza di primo grado sul punto e sulla prospettazione della soluzione giuridica ritenuta corretta, ciò che fa scattare l’applicazione del principio iura novit curia».
-Con il secondo motivo: violazione e falsa applicazione del combinato disposto art. 113 c.p.c. e all’art. 1 preleggi c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 e n.4 c.p.c., per avere la Corte d’Appello valorizzato ai fini decisori il DM 1986 prodotto in atti senza gli allegati indicanti i tassi di rendimento, ossia privo dell’elemento costitutivo
dell’eccezione modificativa con efficacia estintiva della pretesa vantata.
7.1 -La censura è inammissibile poiché la dedotta carenza probatoria è stata denunziata soltanto con la memoria ex art. 186, n. 3, c.p.c. ed in sede di discussione finale veniva eccepita la mancata produzione delle Tabelle annesse al d.m. citato. La quantificazione del nuovo tasso di interesse non è stata mai contestata poiché la censura riguardava l’applicabilità del d.m. ai buoni fruttiferi del ricorrente o che le Tabelle potessero essere opponibili al ricorrente soltanto se comunicate ad personam o pubblicate presso gli Uffici postali. Ed, inoltre, tali Tabelle sono state utilizzate dal ricorrente per l’elaborazione del tasso di interessi applicato per il rimborso dei buoni e la conseguente determinazione della richiesta del quantum preteso.
8 . -Con il terzo motivo: Violazione e falsa applicazione degli artt. 15 e 18 d.p.r. n.1092/85 e del regolamento di attuazione d.p.r. n.217/1986 con riguardo agli effetti determinati dalla pubblicazione in gazzetta ufficiale di atti amministrativi generali.
8.1 -« l’affermazione di esaustività della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto ministeriale modificativo del tasso di interesse dei buoni postali, al fine di farne variare l’ammontare, è corretta e del tutto in linea con la giurisprudenza di questa Corte che si è pronunciata sul punto.
Il dato di partenza da cui muovere, al fine di una corretta soluzione della questione, è che all’epoca dell’emanazione del decreto ministeriale 13 giugno 1986, introduttivo della variazione del tasso di rendimento dei buoni postali per cui è causa, RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, che materialmente aveva emesso i titoli per conto di RAGIONE_SOCIALE depositi e prestiti, era un’azienda autonoma dello Stato e non già una società
per azioni privata. Ciò comporta, come già detto nelle superiori considerazioni di carattere generale, che nell’ipotesi in cui uno degli stipulanti sia un soggetto pubblico, a esso possono essere delegate dalle fonti di legge di rango primario anche compiti integrativi e attuativi della volontà pubblica, con particolare riferimento alle previsioni di carattere secondario e regolamentare attuative del precetto normativo primario.
A tal fine, proprio tenuto conto della natura dell’emittente all’epoca dei fatti, le Sezioni Unite di questa Corte n. 3963 del 2019 hanno ritenuto legittimamente variato il tasso per effetto della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto ministeriale di variazione, tenuto conto che l’emittente, quale ente pubblico, incarnava anche interessi pubblici legati al contemperamento dei vincoli di bilancio rispetto alle aspettative di tutela del risparmio privato; e che tanto consentiva di ritenere che la delegazione normativa contenuta nella norma primaria (art. 173 codice postale) a un decreto ministeriale rendesse quest’ultimo valido veicolo integrativo dl precetto primario.
Un effetto che è stato considerato costituzionalmente legittimo dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 26 del 2020».
9 . -Con il quarto motivo: Violazione e falsa applicazione dell’art. 12 preleggi c.c. nell’interpretazione dell’art. 173 d.p.r. n. 156/73 in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c. per avere la corte territoriale attribuito alla norma un significato diverso da quello fatto palese del significato proprio delle parole secondo la connessione tra esse.
10 . -Con il quinto motivo: Violazione e falsa applicazione. dell’art. 1339 c.c. in relazione al combinato disposto degli artt. 173 d.p.r. n. 156/736 e 6 d.m. 13/6/1983, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.
per avere la corte territoriale applicato il meccanismo della sostituzione automatica a norme dispositive.
11 . -Con il settimo motivo: Violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 2967 c.c. in materia di onere della prova in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c.; omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c. per avere la Corte d’appello omesso di valorizzare ai fini decisori la circostanza relativa all’omessa disponibilità delle tabelle integrative previste dal comma 3, art. 173, d.p.r. n. 156/73 ritenuta provata in primo grado e non oggetto di impugnazione.
11.1 -Il quarto e quinto motivo e il settimo sono infondati in applicazione dei principi di diritto espressi da Cass., n. 22619/2023 sopra riportati.
12 . -Con il sesto motivo: Violazione e falsa applicazione degli artt. 99, 112 e 346 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. Violazione e falsa applicazione dell’art. 173 d.p.r. n.156/73 in relazione agli artt. 1173, 1175, 1337 e 1375 c.c. e all’art. 360, n. 3, c.p.c. per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto abbandonata la domanda di risarcimento svolta in primo grado con riguardo alla violazione della buona fede oggettiva nell’esecuzione del contratto.
12.1 -La censura è inammissibile per i principi stessi enunciati da Cass., S.U. n. 3963/2019. Nella motivazione della sentenza, le Sezioni unite di questa Corte hanno precisato ulteriormente:
« che, in base alla menzionata disposizione normativa, è consentito alla Pubblica Amministrazione di variare il tasso di interesse relativo ai buoni già emessi e che ciò può avvenire con decreto ministeriale da pubblicarsi in Gazzetta Ufficiale. Dopo tale
adempimento, i buoni postali soggetti alla variazione del tasso di interesse devono considerarsi rimborsati con gli interessi al tasso originariamente fissato e convertiti nei titoli della nuova serie con il relativo tasso di interesse dalla data del 1° gennaio 1987, potendo l’investitore decidere se recedere, chiedendo la liquidazione del tasso pattuito, o continuare e adattarsi per il futuro al nuovo tasso;
-che, sul tema della variazione dei tassi successiva alla sottoscrizione del titolo, non è previsto alcun onere informativo da parte dell’emittente in ordine alla variazione dei tassi che possa rendere inopponibile quest’ultima al sottoscrittore, poiché la conoscenza della variazione è affidata dal legislatore alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale e la prescrizione della messa a disposizione della tabella integrativa ha una finalità diversa e, segnatamente, quella di consentire al risparmiatore di verificare presso l’ufficio postale l’ammontare del proprio credito per interessi all’esito dell’intervenuta variazione, anche ai fini del controllo della regolarità della riscossione.
In applicazione di detti principi la domanda di risarcimento del danno svolta in primo grado con riguardo alla violazione della buona fede oggettiva nell’esecuzione del contratto non ha alcun fondamento».
13. -Il ricorrente richiedeva inoltre che:
«Nel denegato caso in cui la Suprema Corte ritenesse di non aderire ai rilievi proposti idonei ad individuare una interpretazione dell’art. 173 DPR 156/73 conforme a Costituzione, sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 173 DPR 156/73, nella parte in cui non esclude l’applicabilità di tassi peggiorativi sopravvenuti ai buoni appartenenti a serie precedenti, e dell’art. 7, comma 3, d.lgs. n.224/99 nella parte in cui esclude l’effetto abrogativo dell’art. 173 predetto con riguardo ai rapporti ancora pendenti, per violazione degli artt. 3, 41, 43, 47, 73 e 97 Cost. sollecitando una riflessione
sui profili qui esaminati che risultano non essere mai prospettati né indagati neppure dalla stessa Corte Costituzionale».
13.1 -La Corte Costituzionale ha chiaramente affermato che l’estensione delle modificazioni anche in peius dei tassi di interesse non ha irragionevolmente leso l’affidamento dei risparmiatori sul tasso di interesse esistente al momento della sottoscrizione dell’investimento, poiché la variazione sfavorevole del tasso di interesse – che bilancia l’esigenza di tutela del risparmio con quella di contenimento della spesa pubblica in rapporto all’andamento dell’inflazione e dei mercati in caso di titoli emessi da enti a soggettività statale – non risale al momento della sottoscrizione del titolo, ma opera solo per il futuro, a decorrere dall’entrata in vigore del decreto che la dispone, in base a una facoltà consentita dalla legge che non lede pertanto alcuno dei parametri costituzionali invocati come lesi.
Le attuali censure sono nettamente confliggenti con i principi già enunciati dalla Consulta.
-Per quanto esposto, il ricorso va rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in € 4.000 per compensi e € 200 per esborsi oltre spese generali, nell a misura del 15% dei compensi, ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30.5.2002, n.115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, l. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Prima Sezione