Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 9202 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 9202 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n.r.g. 24764/2023, proposto da
COGNOME, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende, unitamente all’Avvocato NOME COGNOME giusta procura speciale apposta a margine del ricorso.
–
ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE con sede in Roma, al INDIRIZZO in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta a margine del controricorso, dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME con cui elettivamente domicilia in Roma, al INDIRIZZO
– controricorrente –
avverso la sentenza, n. 1046/2023, del TRIBUNALE di VERCELLI, pubblicata in data 09/05/2023; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio giorno
03/04/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con sentenza del 9 maggio 2023, n. 1046, il Tribunale di Vercelli riformò la sentenza con cui il Giudice di Pace di Varallo aveva accolto la domanda di NOME COGNOME volta ad ottenere la liquidazione del buono postale fruttifero serie ‘ Q/P ‘ n. 000.241 del 26/11/1986 in base alle condizioni impresse sul titolo e, con riguardo agli ultimi dieci anni di durata contrattuale, non modificate dall’ufficio postale al momento del collocamento.
1.1. In particolare, quel tribunale, descritta la disciplina normativa utilizzabile e condivisi i principi tutti desumibili dalla richiamata giurisprudenza di legittimità (Cass. nn. 4384 e 4748 del 2022; Cass. n. 87 del 2023), ritenne applicabili i tassi d ‘interesse previsti dal d.m. Tesoro 13 giugno 1986 anche all’ultimo decennio di durata del buono postale, così rigettando la domanda dell’attrice/appellata.
Per la cassazione di questa sentenza ha promosso ricorso NOME COGNOME affidandosi a tre motivi. Ha resistito, con controricorso, Poste Italiane s.p.a.
3.1. È stata formulata, da parte del Consigliere delegato allo spoglio, una proposta di definizione del giudizio a norma dell’art. 380 -bis cod. proc. civ. come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022. A fronte di essa, parte ricorrente ha domandato la decisione della causa. In prossimità della odierna adunanza camerale, entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I formulati motivi di ricorso denunciano, rispettivamente, in sintesi:
« Violazione e falsa applicazione delle norme degli artt. 173, comma 1, cod. postale (nella versione di cui all’art. 1 della legge n. 588/1974) e 1339
cod. civ. nonché d.m. 13 giugno 1986 », per avere il tribunale erroneamente ritenuto la disposizione del codice postale come intesa ad applicare il meccanismo di integrazione contrattuale di cui all’art. 1339 cod. civ., ovvero come comunque intesa a stabilire la sufficienza della pubblicazione del d.m. 13 giugno 1986 nella Gazzetta Ufficiale per operare, nell’ambito del rapporto contrattuale di cui ai buoni, la variazione in pejus dei rendimenti dell’ultimo decennio di durata contrattuale;
II) « Violazione e falsa applicazione delle norme degli artt. 5 del d.m. 13/6/1986; 1339, 1342, 1362, 1363, 1370, 1374 cod. civ., nonché 47, comma 1, Cost. e art. 1 Prot. 1 Cedu, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.; violazione degli artt. 1342, comma 1 c.c. e 132, comma, 1, n. 4, c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. », per avere il tribunale erroneamente ritenuto la disposizione del codice postale come intesa ad applicare il meccanismo di integrazione contrattuale di cui all’a rt. 1339 cod. civ. nonché, per tale ragione, erroneamente ritenuto la clausola cartolare regolativa dei rendimenti dell’ultimo decennio incompatibile in re ipsa con quelle, aggiunte a timbro, regolative dei rendimenti dei primi vent’anni di durata contrattuale, per l’effetto omettendo di interpretarla;
III) « Violazione degli artt. 5 del d.m. 13/6/1986, 1175, 1176, 1337, 1342, comma 1, 1375, cod. civ., nonché degli artt. 47, comma 1, Cost e 1 Prot. 1 Cedu », per avere il tribunale erroneamente ritenuto insussistente, a carico dell’intermediario postale che intendesse applicare le condizioni di rendimenti fissate dal d.m. 1986 anche all’ultimo decennio di durata contrattuale del buono postale, l’onere di mod ificare la clausola cartolare regolativa dei rendimenti riconosciuti per tale periodo.
Va rilevato, innanzitutto, che la menzionata proposta ex art. 380bis cod. proc. civ. ha il seguente tenore:
« Queste doglianze, scrutinabili congiuntamente perché chiaramente connesse, si rivelano inammissibili ex art. 360bis .1 cod. proc. civ., posto che il provvedimento impugnato ha deciso la questione di diritto sottopostagli con motivazione chiara ed esaustiva (così rivelandosi insussistente il vizio di sua
nullità lamentato dal secondo dei descritti motivi), oltre che conforme alla ormai consolidatasi giurisprudenza di questa Corte, né le odierne argomentazioni della difesa ricorrente offrono concreti e nuovi (rispetto a quelli già valutati dall’appena menzi onata giurisprudenza) elementi per mutare quest’ultima.
Pertanto, è sufficiente il rinvio, ex art. 118, comma 1, disp. att. cod. proc. civ., alle considerazioni ed affermazioni tutte rinvenibili nelle pronunce (indicandosi qui, per intuibili ragioni di sintesi, solo quelle più recenti, che, a loro volta, rinviano anche ad altre precedenti decisioni ad esse conformi) rese da Cass. nn. 16213, 16182, 16146, 16143, 16129 e 15514 del 2024, da cui si evince, tra l’altro, che: i) questa Corte ha stabilito che la disciplina contenuta nell’abrogato art. 173 del d.P.R. n. 156/73, nel testo novellato dall’art. 1 del d.l. n. 460/74, come convertito, che consentiva variazioni, anche in peius , del tasso d’interesse sulla base di decreti ministeriali, continua a trovare applicazione ai rapporti in essere alla data di entrata in vigore del d.m. del Tesoro 19 dicembre 2000, emanato in attuazione della norma abrogatrice dell’art. 7, comma 3, del d.lgs. n. 284/1999; ii) è privo di fondamento l’assunto riguardante l’omessa informazione della possibilità di variazione, posto che il legislatore ha affidato la conoscenza della modifica dei tassi di interesse alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (in termini, in relazione a fattispecie analoga, cfr. Cass. n. 24527/21); iii) il fatto stesso che le modifiche del tasso d’interesse sono espressamente consentite, le rende prevedibili, di modo che è escluso che possa consolidarsi, e prospettarsi di conseg uenza leso, un ‘affidamento’ del risparmiatore sulla invariabilità del saggio vigente al momento della sottoscrizione del titolo (in termini, Corte cost., n. 26/20). Improprio è, d’altronde, lo stesso ricorso alla categoria dell’affidamento riposto dai ris parmiatori sul tasso di interesse esistente al momento della sottoscrizione dell’investimento, atteso che la variazione sfavorevole del tasso d’interesse non risale a quel momento, ma opera per il futuro, a decorrere dall’entrata in vigore del decreto che la dispone; iv) tale quadro normativo non è suscettibile di essere superato con il richiamo (cfr.
l’odierno terzo motivo di ricorso) concernente il provvedimento AGCM dell’ottobre 2022 (che, per espressa affermazione dello stesso, non verte su tale vicende); v) in tema di buoni postali fruttiferi, poiché l’interpretazione del testo contrattuale deve raccordare il senso letterale delle parole alla dichiarazione negoziale nel suo complesso, non potendola limitare a una parte soltanto di essa, l’indicazione, per i buoni postali della serie ‘Q/P’, di rendimenti relativi alla serie ‘P’ per l’ultimo periodo d i fruttuosità del titolo non è in sé decisivo sul piano interpretativo, in presenza della stampigliatura, sul buono, di una tabella sostitutiva di quella della serie ‘P’, in cui erano inseriti i detti rendimenti, tanto più ove si consideri che la tabella in questione adotta una modalità di rappresentazione degli interessi promessi che risulta eccentrica rispetto a quella di cui alla precedente tabella, così da rendere evidente l’assenza di continuità tra le diverse previsioni, di talché, in presenza di una incompleta o ambigua espressione della volontà delle parti quanto ai rendimenti del buono postale di nuova emissione rientrante nella previsione dell’art. 173 d.P.R. n. 156 del 1973, opera una integrazione suppletiva che consente di associare al titolo i tassi contemplati, per la serie che interessa, dal decreto ministeriale richiamato dal primo comma del detto articolo (cfr. Cass. nn. 22619, 36565 e 36581 del 2023). Si è precisato, al riguardo, che la richiamata opzione ricostruttiva non collide con l’inte rpretazione secondo buona fede: ‘Per certo, l’elemento letterale deve sempre essere riguardato alla stregua degli ulteriori criteri ermeneutici, tra cui quello dell’interpretazione secondo buona fede ex art. 1366 c.c. (Cass. 17 novembre 2021, n. 34795; Cas s. 14 settembre 2021, n. 24699). La regola di cui all’art. 1366 c.c., secondo cui il contratto deve essere interpretato secondo buona fede, impone tuttavia di analizzare le espressioni usate dalle parti contraenti stabilendo quale sia il significato obbiettivo sul quale le stesse, in relazione alle circostanze concrete, potevano e dovevano fare ragionevole affidamento (Cass. 20 luglio 2000, n. 9532), con la conseguenza che non possono perorarsi interpretazioni che pretendano di ricavare il detto affidamento da
elementi letterali non significativi avendo riguardo al più ampio contesto del negozio’ (Cass. n. 22619 del 2023, in motivazione) ».
Il Collegio reputa affatto esaustive e condivisibili tali argomentazioni, che, pertanto, ribadisce interamente, facendole proprie, altresì rimarcando, che:
i ) il tribunale a quo ha accertato che « Il buono postale fruttifero oggetto di causa è stato emesso il 26.11.1986 su supporto cartaceo della precedente serie ‘P’ per durata di 30 anni. Sul fronte del buono è stata apposta la stampigliatura ‘Q/P’ e sul retro è stato apposto un timbro in cui sono indicati i tassi d’interesse per la serie Q/P per un periodo di 20 anni ». Lo stesso giudice, poi, ha applicato, affatto correttamente, i principi già sanciti da Cass. nn. 4384/2022 e 4748/2022, riguardanti fattispecie sostanzialmente analoghe a quella odierna, in particolare rilevando che Poste Italiane s.p.a. ha operato conformemente a quanto disposto dall’art. 5 del d.m. 13 giugno 1986 e che, per gli anni dal ventunesimo al trentesimo, nessun timbro ulteriore doveva essere apposto in quanto: « se i buoni sono sottoposti alla disciplina della serie ‘Q’, e l’autorità preposta dalla legge chiarisce che la disciplina della serie ‘Q’ si applica alla serie ‘Q/P’, tanto che sul documento viene apposta la sigla ‘Q/P’, ciò conferma che l’applicazione della disciplina dei buoni della serie ‘P’ è palesemente esclusa »;
ii ) nessuna delle argomentazioni oggi svolte dalla ricorrente si rileva idonea a giustificare una modifica del richiamato orientamento di legittimità (peraltro ancora sostanzialmente ribadito, di recente, da Cass. n. 2622 del 2025), né le stesse tantomeno trovano riscontro nella decisione di Cass. n. 22619 del 2023, la quale, invece, ha sancito che, « Poiché l’interpretazione del testo contrattuale deve raccordare il senso letterale delle parole alla dichiarazione negoziale nel suo complesso, non potendola limitare a una parte soltanto di essa, l’indicazione, per i buoni postali della serie ‘Q/P’, di rendimenti relativi alla serie ‘P’ per l’ultimo periodo di fruttuosità del titolo non è in sé decisivo sul piano interpretativo, in presenza della stampigliatura, sul buono, di una tabella sostitutiva di quella della serie ‘P’, in cui erano
inseriti i detti rendimenti: tanto più ove si consideri che la tabella in questione adotta una modalità di rappresentazione degli interessi promessi che risulta eccentrica rispetto a quella di cui alla precedente tabella, così da rendere evidente l’assenza di continuità tra le diverse previsioni »;
iii ) quanto alla pretesa nullità della sentenza impugnata, ex art. 132, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., invocata nel secondo motivo, basta ricordare che, come ancora ribadito, in motivazione, da Cass. nn. 7597 e 1497 del 2025; Cass. nn. 27328, 18079, 16448, 15033, 13621, 9807 e 6127 del 2024, la nuova formulazione d ell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., come introdotta dal d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012 (qui applicabile ratione temporis , risultando impugnata una sentenza resa il 9 maggio 2023), ha ormai ridotto al ‘ minimo costituzionale ‘ il sindacato di legittimità sulla motivazione, sicché si è chiarito ( cfr . tra le più recenti, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 956 del 2023; Cass. n. 33961 del 2022; Cass. n. 27501 del 2022; Cass. n. 26199 del 2021; Cass. n. 395 del 2021; Cass. n. 9017 del 2018) che è oggi denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; questa anomalia si esaurisce nella ” mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico “, nella ” motivazione apparente “, nel ” contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili ” e nella ” motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile “, -tutte fattispecie qui assolutamente insussistenti -esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di ” sufficienza ” della motivazione ( cfr . Cass., SU, n. 8053 del 2014; Cass. n. 7472 del 2017. Nello stesso senso anche le più recenti; Cass. nn. 20042 e 23620 del 2020; Cass. nn. 395, 1522 e 26199 del 2021; Cass. nn. 27501 e 33961 del 2022) o di sua ‘ contraddittorietà ‘ ( cfr . Cass. nn. 7090 e 33961 del 2022). Cass., SU, n. 32000 del 2022, ha puntualizzato, altresì, che, a seguito della riforma dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., l’unica contraddittorietà della
motivazione che può rendere nulla una sentenza è quella ‘ insanabile ‘ e l’unica insufficienza scrittoria che può condurre allo stesso esito è quella ‘ insuperabile ‘;
iv ) non persuade appieno la tesi della ricorrente circa l’asserita violazione delle regole di ermeneutica contrattuale e la ‘ natura contrattuale ibrida ‘ della serie (‘ Q/P ‘) dei buoni postali fruttiferi di cui di discute. Circa il primo di tali profili, è sufficiente ribadire che, se i buoni sono sottoposti alla disciplina della serie « Q » e l’autorità preposta dalla legge chiarisce che la disciplina della serie « Q » si applica anche alla serie « Q/P », di modo che sul documento viene apposta la sigla « Q/P », ciò esclude che possa continuare ad applicarsi la disciplina a suo tempo prevista per i buoni della serie « P »; quanto, invece, al secondo, esso mostra di non considerare minimamente che l’importo stampato originariamente sul buono deve essere considerato come non apposto, stante l’emissione del nuovo decreto ministeriale che ha rideterminato i nuovi tassi di interesse. Del resto, la COGNOME era edotta della nuova serie e dei rendimenti applicabili per l’intero periodo di vigenza del buono, sicché anche il r ichiamo all’art. 47 Cost. ed all’art. 1, prot. 1, CEDU si rivela priva di fondamento;
v ) la giurisprudenza di legittimità ha ripetutamente puntualizzato che i buoni postali fruttiferi sono documenti di legittimazione ai sensi dell’art. 2002 cod. civ. ( cfr., ex aliis , Cass., SU, n. 3963 del 2019), sicché la loro disciplina è contenuta non solo in un contratto tra Poste Italiane s.p.a. (che è mero collettore delle risorse finanziarie) ed il sottoscrittore, ma anche nelle norme di cui al d.P.R. n. 156/1973, al d.P.R. n. 256/89 e nei relativi decreti ministeriali che di volta in volta vengono emessi e che ne disciplinano la materia, istituendo le varie serie di buoni. I diritti spettanti ai titolari dei buoni sono disciplinati dai decreti ministeriali in materia, che sono idonei, per giurisprudenza costante, ad integrare ab externo il contenuto degli stessi titoli, ai sensi dell’art. 1339 cod. civ., così come stabilito anche nella già menzionata Cass. SU, n. 3963/2019, la quale ha pure escluso l’applicazione ai buoni medesimi della disciplina in materia di tutela dei consumatori ed in
particolare delle norme relative all’imposizione di obblighi informativi personalizzati cui riconnettere facoltà e diritti volti a garantire la libera autodeterminazione ed ha espressamente sancito che l’effetto conoscitivo delle prescrizioni ministeriali relative ai BPF si realizza con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dei decreti emessi in materia. Conseguentemente, come condivisibilmente affermato dalla difesa della odierna controricorrente, deve escludersi la sussistenza di obblighi informativi ulteriori che non vengano puntualmente assolti attraverso la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto ministeriale istitutivo dei titoli stessi o che Poste Italiane s.p.a. sia onerata di attività ulteriori non regolamentate dai dd.mm. di volta in volta emessi.
In conclusione, quindi, l’odierno ricorso di NOME COGNOME deve essere dichiarato inammissibile, restando a suo carico le spese di questo giudizio di legittimità sostenute dalla costituitasi controricorrente.
4.1. Poiché il giudizio è definito in conformità della proposta ex art. 380bis , comma 1, cod. proc. civ. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), va disposta la condanna della parte istante a norma dell’art. 96, commi 3 e 4, cod. proc. civ.
Vale rammentare, in proposito, che: in tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, l’art. 380bis , comma 3, cod. proc. civ. (pure novellato dal menzionato d.lgs. n. 149 del 2022) -che, nei casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta, contiene una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna ai sensi del terzo e del quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ. -codifica un’ipotesi normativa di abuso del processo, poiché il non attenersi ad una valutazione del proponente, poi confermata nella decisione definitiva, lascia presumere una responsabilità aggravata del ricorrente ( cfr . Cass., SU, n. 28540 del 2023; Cass. nn. 11346 e 16191 del 2024).
Pertanto, non ravvisando il Collegio (stante la complessiva ‘tenuta’, pur nella sua sinteticità, del provvedimento della PDA rispetto alla motivazione
necessaria per confermare l’inammissibilità del ricorso) ragioni per discostarsi dalla suddetta previsione legale ( cfr ., in motivazione, Cass., SU, n. 36069 del 2023), la parte ricorrente va condannata, nei confronti di quella controricorrente, al pagamento della somma equitativamente determinata di € 1.000 ,00, oltre che al pagamento dell’ulteriore somma di € 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
4.2. Deve darsi atto, infine, -in assenza di ogni discrezionalità al riguardo ( cfr . Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 -che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte della Perincioli, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre « spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento ».
PER QUESTI MOTIVI
La Corte dichiara inammissibile il ricorso di NOME COGNOME e la condanna al pagamento, in favore della costituitasi controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, che liquida in € 1.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi, liquidati in € 200,00, ed agli accessori di legge.
Condanna la medesima ricorrente al pagamento della somma di € 1.000,00 in favore della costituitasi controricorrente, e di una ulteriore somma di € 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera di NOME COGNOME dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, giusta il comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile