Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 15363 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 15363 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da
NOME , rappresentata e difesa dagli AVV_NOTAIOti NOME COGNOME pec: EMAIL e NOME COGNOME pec:EMAIL
-ricorrente-
Contro
RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa dall’ AVV_NOTAIO, ed elettivamente domiciliata presso il suo studio, in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente-
Avverso la sentenza della Corte di Appello di Milano n.42/2021 pubblicata il 8.1.2021, non notificata.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24.4.2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Oggetto: buoni Postali fruttiferi
FATTI DI CAUSA
1. ─ Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. NOME COGNOME agiva in giudizio davanti al Tribunale di Busto Arsizio nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, deducendo di essere stata intestataria di buoni postali fruttiferi aventi serie “O” e “P”, emessi tra il 23.7.1982 e il 27.5.1986 e di avere proceduto alla riscossione degli stessi tra il 2011 e il 2016, percependo la somma di € 129.335,33, assai inferiore a quella di € 262.831,81, che avrebbe dovuto esserle liquidata sulla base dei tassi di rendimento riportati sul retro dei buoni e originariamente previsti. Deduceva che l’Emittente aveva proceduto a modificare, in suo sfavore, i rendimenti riconosciuti sui predetti buoni, applicando i tassi stabiliti dall’apposito decreto del Ministro del Tesoro (D.M. 13.6.1986, n. 148) che, in forza del disposto di cui all’art. 173, d.p.r. n. 156/1973, come modificato dal d.l. n. 460/1974, conv.con modifiche nella l. n. 588/1974, aveva dato facoltà al Ministro del Tesoro di modificare anche in peius i tassi con effetto retroattivo, ovvero con riguardo ad emissioni precedenti la pubblicazione del decreto di variazione dei tassi e aveva provveduto ad estendere alle precedenti emissioni (tra cui quelle del buoni intestati all’odierna ricorrente) nuove condizioni di tasso più sfavorevoli ai sottoscrittori. Deduceva, infine, l’inoperatività della presunzione di conoscenza legale del potere di modifica e del concreto esercizio dello stesso a seguito della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del D.M. n. 148/1986 e prospettava l’incostituzionalità dell’art. 173 per violazione del canone di ragionevolezza e per violazione dell’art. 47 Cost., nonché dell’art. 7 d.lg. n. 284/1999 (norma che aveva abrogato l’art. 173, disponendone tuttavia l’applicazione ai buoni già emessi) per violazione dell’art. 3 Cost.
2. ─ Il Tribunale adito respingeva la domanda.
─ Gli attuali ricorrenti proponevano gravame dinanzi alla Corte di Milano che, con la sentenza qui impugnata, respingeva l’appello .
Per quanto qui di interesse la Corte di merito ha statuito che:
l’art. 173 D.p.r. n. 156/1973 ha stabilito che il rendimento dei buoni fruttiferi è suscettibile di modificazioni attraverso disposizioni ministeriali che integrano il contenuto del contratto di sottoscrizione dei buoni ex art. 1339 c.c.;
la norma ha superato il vaglio di costituzionalità con la sentenza della Corte Cost. n.26/2020;
l’ostensione della tabella prevista dall’art. 173 non costituisce il contenuto di uno specifico obbligo informativo;
la COGNOME non ha allegato, e non ha in alcun modo provato, di aver subito danni causati dalla dedotta omessa informazione sulla intervenuta variazione dei tassi di interessi che le avrebbe impedito di recedere e di investire i suoi risparmi in altro modo;
non ricorrono le condizioni per la liquidazione equitativa del danno, non essendo provata la sua sussistenza.
─ COGNOME NOME ha presentato ricorso per cassazione con cinque motivi ed anche memoria.
─ RAGIONE_SOCIALE ha presentato controricorso ed anche memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
La ricorrente deduce:
─ Con il primo motivo: Vizio ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. per omesso esame di fatti decisivi della controversia. La Corte non ha tenuto in considerazione le prove volte a dimostrare che le informazioni fornite dal collocatore dei BPF erano incomplete erronee e fuorvianti.
7 . ─ Con il secondo motivo: Vizio ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1175,1337 e 1375 c.c. La Corte non ha considerato la rilevanza del comportamento del
collocatore dei BPF sia al momento della sottoscrizione che nel momento della modifica delle condizioni contrattuali.
7.1 ─ Il primo e il secondo motivo sono connessi e possono essere trattati unitariamente.
La censura non coglie l’aspetto essenziale della motivazione della Corte che sul punto evoca il dispositivo della sentenza della Corte Costituzionale che ribadendo la non retroattività della norma dell’art. 173 ha precisato che la «delineata irretroattività per il fatto stesso di consentire espressamente – e rendere quindi prevedibili -successive modifiche, anche riduttive, del saggio di interessi, escludeva con ciò che potesse consolidarsi, e prospettarsi di conseguenza leso, un ‘affidamento’ del risparmi atore sulla invariabilità del saggio vigente al momento della sottoscrizione del titolo». L a Consulta ha chiaramente affermato che l’estensione delle modificazioni anche in peius dei tassi di interesse non ha irragionevolmente leso l’affidamento dei risparmiatori sul tasso di interesse esistente al momento della sottoscrizione dell’investimento, poiché la variazione sfavorevole del tasso di interesse – che bilancia l’esigenza di tutela del risparmio con quella di contenimento della spesa pubblica in rapporto all’andamento dell’inflazione e dei mercati in caso di titoli emessi da enti a soggettività statale – non risale al momento della sottoscrizione del titolo, ma opera solo per il futuro.
La Corte di merito sulla falsariga della sentenza esclude che «al momento della sottoscrizione dei buoni postali, l’appellante potesse ragionevolmente confidare sulla invariabilità del tasso di interesse, sicché debbono essere respinte le doglianze dell’appellante inerenti la violazione dei principi di buona fede contrattuale». Ne consegue che l’accertamento dell’eventuale comportamento del collocatore è ritenuto del tutto superfluo. E’ indubitabile che oggi si p retenda in sede di legittimità una diversa valutazione degli esiti istruttori e non il mero controllo della veridicità e della coerenza delle
argomentazioni poste a sostegno della decisione impugnata. La denuncia di violazione di legge ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., ivi formalmente proposta, non può essere mediata dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie (cfr., anche Cass., n. 15235/2022; Cass., n. 9352/2022; Cass., n. 6000/2022; Cass., n. 25915/2021), «non potendosi surrettiziamente trasformare il giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative» (letteralmente Cass., n. 15235/2022; cfr. Cass., S.U., n. 34476/2019; Cass., n. 8758/ 2017; Cass., n. 32026/2021; Cass., n. 9352/2022). Cass. n. 9021/2023; Cass. n. 6073/2023; Cass. n. 2415/ 2023; ancora recentemente cfr., pure nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 9014/2023; Cass. n. 7993/2023; Cass. n. 4784/2023; Cass. n. 1015/2023).
Il motivo omette di considerare, così, che il predetto apprezzamento è attività riservata al giudice del merito, cui compete non solo la valutazione delle prove, ma anche la scelta, insindacabile in sede di legittimità, di quelle ritenute più idonee a fondare la sua decisione (Cass., n. 16467/2017; Cass., n. 11511/2014; Cass., n. 13485/2014; Cass., n. 16499/2009).
8. ─ Con il terzo motivo: Vizio ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. Violazione e/o falsa applicazione degli artt.2697, comma 2, c.c. con riferimento all’implicita presunzione di conoscenza assoluta dell’art. 6 d.m. 13.6.1986 senza considerazione della prova contraria che risultava dalle circostanze. La censura sostiene che l’art. 6 d.m. 13.6.1986, nel prevedere la pubblicazione della variazione delle condizioni relative agli interessi sulla G.U., non delinea una presunzione assoluta di conoscenza e la Corte avrebbe dovuto ammettere la prova contraria.
8.1 -La censura è infondata.
Questa Corte ha ribadito che: «A tal fine, proprio tenuto conto della natura dell’emittente all’epoca dei fatti, le Sezioni Unite di questa Corte n. 3963 del 2019 hanno ritenuto legittimamente variato il tasso per effetto della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto ministerial e di variazione, tenuto conto che l’emittente, quale ente pubblico, incarnava anche interessi pubblici legati al contemperamento dei vincoli di bilancio rispetto alle aspettative di tutela del risparmio privato; e che tanto consentiva di ritenere che la delegazione normativa contenuta nella norma primaria (art. 173 codice postale) a un decreto ministeriale rendesse quest’ultimo valido veicolo integrativo dl precetto primario». Con sentenza n. 3963/2019 ha definitivamente chiarito che: «La conoscenza di tale circostanza è affidata dal legislatore alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. La prescrizione della messa a disposizione della tabella integrativa ha la diversa finalità di consentire al risparmiatore di verificare presso l’ufficio postale l’ammontare del proprio credito per interessi all’esito dell’intervenuta variazione, anche ai fini del controllo della regolarità della riscossione e della sua conformità alla normativa vigente al momento della riscossione. E’, quindi, erroneo ritenere, come fa invece la ricorrente, che tale prescrizione costituisca un obbligo informativo dalla cui osservanza dipenda la vincolatività della variazione per il risparmiatore». Come già ricordato tale effetto è stato considerato costituzionalmente legittimo dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 26 del 2020. In linea generale, è opportuno ricordare che le pubblicità legali sono delineate sempre come presunzioni assolute, a meno che la norma stessa che le prevede non contenga la previsione esplicita della prova contraria.
9.Con il quarto motivo: Le ragioni che fondano la richiesta di rimessione alla Corte Costituzionale dell’art. 173 D.p.r. n. 156/1973 per violazione dell’art. 2, 3, 24, 47 e 97 Cost. La censura ritiene che
la Corte Costituzionale non si sarebbe espressa sulla sospetta incostituzionalità dell’art. 173 per i profili indicati , ma su altre presunte ipotesi di contrasto con altre norme costituzionali.
9.1 -La censura è generica, poiché nell’articolata e non sempre lineare esposizione si rinvengono questioni già valutate dalla Consulta nella citata sentenza n.26/2020, delineando un contrasto con norme diverse da quelle indicate nella sentenza, ma non si chiariscono, efficacemente, le ragioni del rinnovato contrasto con le norme ora evocate.
La Corte Costituzionale, del resto, – come già si è osservato in altra analoga occasione (Cass., n. 6805/2024) -ha chiaramente affermato, a tacitazione delle riserve di costituzionalità ora riproposte, che l’estensione delle modificazioni anche in peius dei tassi di interesse non ha irragionevolmente leso l’affidamento dei risparmiatori sul tasso di interesse esistente al momento della sottoscrizione dell’investimento, poiché la variazione sfavorevole del tasso di interesse – che bilancia l’esigenza di tutela del risparmio con quella di contenimento della spesa pubblica in rapporto all’andamento dell’inflazione e dei mercati in caso di titoli emessi da enti a soggettività statale -non risale al momento della sottoscrizione del titolo, ma opera solo per il futuro, a decorrere dall’entrata in vigore del decreto che la dispone, in base a una facoltà consentita dalla legge che non lede pertanto alcuno dei parametri costituzionali invocati come lesi.
10.Con il quinto motivo: richiesta di rinvio pregiudiziale degli atti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea per l’interpretazione della norma transitoria contenuta nell’art. 7 d.lgs. 30 luglio 1999, n. 284 conformemente al diritto vivente dell’Unione e principi CEDU -Obbligo di rimessione nel giudizio di ultima istanza.
10.1 -Anche tale richiesta è fondata su una interpretazione della normativa che è in contrasto con quella che è stata delineata dalle ordinanze e sentenze di questa Corte che hanno più volte chiarito le
rationes legis poste a fondamento delle disposizioni che la richiesta sembra voler ignorare (Cfr., Cass., n. 22619/2023, ma anche Cass., n. 4384/2022; Cass., n. 4748/2022; Cass., n. 4751/2022; Cass., n. 4763/2023; Cass., n. 87/2023; Cass., n. 122/2023; Cass., n. 567/2023; Cass., n. 26718/2023; Cass., n. 6805/2024; Cass., n. 6762/2024). In tema di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia incombente sui giudici di ultima istanza, in base al criterio del cd. “acte clair”, non esiste alcun diritto della parte che formula la relativa istanza all’automatico rinvio ogniqualvolta la Corte di cassazione non ne condivida le tesi difensive, essendo sufficiente che le ragioni del diniego siano espresse ovvero implicite se la questione pregiudiziale è manifestamente inammissibile o manifestamente infondata (Cass., n. 19880/2021; Cass., n. 36776/2022).
N on v’è ragione d’interpellare la Corte di giustizia, in quanto i dubbi sollevati in ricorso trovano piena e convincente risposta nel sistema, anche alla luce del diritto unionale, come interpretato da quella Corte. La Corte di Giustizia, difatti, anche da ultimo (con sentenza resa alla grande sezione in causa C-561/19, RAGIONE_SOCIALE), nel chiarire -nuovamente la portata dell’obbligo di rinvio dei giudici nazionali di ultima istanza, ex art. 267, comma 3, del TFUE, ha posto l’accento sulla necessità della motivazione in ordine alla sussistenza di una situazione di esonero dall’obbligo di rinvio pregiudiziale, all’esito dell’esercizio del potere-dovere di valutazione sul punto, che spetta ai giudici nazionali, sotto la propria responsabilità, in maniera indipendente e con la dovuta attenzione, nell’ambito del sistema di cooperazione diretta tra la Corte e i giudici medesimi, cui è estranea ogni iniziativa delle parti, le quali non possono privare questi ultimi di tale indipendenza (punti 50-57); significativamente, inoltre, ha sottolineato che «ciò posto, la mera possibilità di effettuare una o diverse altre letture di una disposizione del diritto dell’Unione, nei limiti in cui nessuna di queste altre letture appaia sufficientemente plausibile al giudice nazionale interessato,
segnatamente alla luce del contesto e della finalità di detta disposizione, nonché del sistema normativo in cui essa si inserisce, non può essere sufficiente per considerare che sussista un dubbio ragionevole quanto all’interpretazione corretta di tale disposizione» (punto 48) (cfr. Cass., n. 603/2023).
11.Per quanto esposto, il ricorso va rigettato con condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M .
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in € 7.000 per compensi e € 200 per esborsi , oltre spese generali, nella misura del 15% dei compensi, ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30.5.2002, n.115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, l. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Prima Sezione