Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 16129 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 16129 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 11/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME , rappresentato e difeso dagli AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, in Roma, INDIRIZZO -ricorrente-
Contro
RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa dall’ AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliata presso il suo studio, in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente –
Avverso la sentenza della Corte di Appello di Cagliari n. 535/2019 pubblicata il 22.11.2019, non notificata.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22.5.2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Oggetto: buoni postali fruttiferi
1. ─ A seguito di notifica da parte di COGNOME NOME alla RAGIONE_SOCIALE del decreto ingiuntivo n. 352/ 16 -emesso dal Tribunale di Sassari il 24.3.16 per il pagamento della somma di € 107.458,67 oltre interessi legali in forza di quattro buoni postali fruttiferi ordinari serie P/0, del valore di un milione di lire ognuno, emessi nell’anno 1985, la società RAGIONE_SOCIALE proponeva opposizione contestando sia l’an che il quantum richiesti.
Sosteneva l’opponente che l’importo dovuto al COGNOME in, forza di tali buoni era pari a soli € 61.579,12 e non a € 107.458,67, in quanto, dopo l’anno della loro emissione (1985), era intervenuto il Decreto del Ministro del Tesoro -13 giugno 1986- che aveva modificato i rendimenti e il tasso di interesse dei buoni.
In corso di causa la società provvedeva a liquidare al COGNOME le somme non contestata pari a € 61.579,12, come ordinato dal giudice ai sensi del l’art. 186 bis c.p.c.
Con sentenza n.1495/17 del 17.11.2017 il tribunale rigettava l’opposizione e confermava il decreto ingiuntivo n.352/2016, condannando la soccombente al pagamento delle spese di lite.
Al fine di giungere a questa conclusione, il giudice riteneva, infatti, che le disposizioni dettate dal Ministro del Tesoro nell’anno 1986, in relazione ai rendimenti e al tasso d’interesse dei buoni postali, non potevano avere efficacia per i buoni già emessi in precedenza a tale anno, ma solo per quelli emessi successivamente, non potendo la volontà contrattuale delle parti essere inficiata.
─ Avverso tale sentenza ha proposto appello la società RAGIONE_SOCIALE dinanzi alla Corte di Appello di Cagliari che accoglieva il gravame.
3.Per quanto qui di interesse la Corte di merito ha statuito che:
L’interpretazione data dal tribunale in ordine all ‘ applicazione del decreto citato sui BPF di precedente emissione non era condivisibile alla luce della giurisprudenza formatasi a seguito della decisione delle Sezioni unite della Suprema Corte, con sentenza n. 3963/2019; b) Pertanto, erroneamente il tribunale non aveva applicato al caso di specie il decreto ministeriale citato che aveva modificato i rendimenti e i tassi d’interessi dei BPF. Inoltre, lo stesso art. 6 del decreto stabiliva testualmente che «Sul montante dei buoni postali fruttiferi di tutte le serie precedenti a quella contraddistinta con la lettera “Q”, si applicano, a partire dalla stessa data, i saggi di interesse fìssati col presente decreto»;
il tribunale non aveva considerato inoltre, che i buoni di cui è causa appartenevano alla serie P/0, serie precedente alla quella Q e che, quindi, dovevano ricadere nell’ambito del decreto;
il totale dovuto dalla società RAGIONE_SOCIALE ammontava solamente ad € 61.579,12, peraltro già liquidati al COGNOME in forza dell’ordinanza di cui all’art. 186 bis, e non a € 107.458,67 come ritenuto in I grado.
4 . ─ COGNOME NOME ha presentato ricorso per cassazione con quattro motivi.
RAGIONE_SOCIALE ha presentato controricorso ed anche memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
La ricorrente deduce:
5. -Con il primo motivo: Violazione e falsa applicazione dell’art. 173 d.P.R. n. 256/1973, come modificato dal d.l. n. 460/1974, conv. in l. n. 588/1974 e abrogato dal d.lgs. n. 284/1999; del d. P.R. n.1092/1985 art. 18; violazione dell’art. 140 d.P.R. n.256/1989, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.; omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia che è stata oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. La Corte territoriale ha stabilito che i buoni postali del 1985
oggetto del processo, comunque anteriori al 1986 (DM 13/06/ 1986) debbano essere rimborsati in base ai saggi di interesse fissati dal DM 13 giugno 1986, attribuendo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, in violazione dell’art. 18 DPR 1092 del 1985, l’operatività della presunzione di conoscenza dei tassi previsti nei decreti.
La Corte territoriale è incorsa nel vizio di omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia che è stato oggetto di discussione tra le parti, laddove ha omesso la valutazione della mancata dimostrazione della messa a disposizione dell’investitore delle tabelle c.d. integrative nell’ufficio postale in cui è stato stipulato il contratto.
5.1 -La censura è infondata. Questa Corte ha ribadito che: «proprio tenuto conto della natura dell’emittente all’epoca dei fatti, le Sezioni Unite di questa Corte n. 3963 del 2019 hanno ritenuto legittimamente variato il tasso per effetto della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto ministeriale di variazione, tenuto conto che l’emittente, quale ente pubblico, incarnava anche interessi pubblici legati al contemperamento dei vincoli di bilancio rispetto alle aspettative di tutela del risparmio privato; e che tanto consentiva di ritenere che la delegazione normativa contenuta nella norma primaria (art. 173 codice postale) a un decreto ministeriale rendesse quest’ultimo valido veicolo integrativo dl precetto primario». «La conoscenza di tale circostanza è affidata dal legislatore alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. La prescrizione della messa a disposizione della tabella integrativa ha la diversa finalità di consentire al risparmiatore di verificare presso l’ufficio postale l’ammontare del proprio credito per interessi all’esito dell’intervenuta variazione, anche ai fini del controllo della regolarità della riscossione e della sua conformità alla normativa vigente al momento della riscossione. E’, quindi, erroneo ritenere, come fa invece il ricorrente, che tale prescrizione costituisca un obbligo informativo dalla cui osservanza dipenda la vincolatività della variazione per il
risparmiatore». Come già ricordato tale effetto è stato considerato costituzionalmente legittimo dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 26 del 2020.
6. -Con il secondo motivo: Violazione e falsa applicazione dell’art. 1339 e art. 173, comma 3, d.P.R. n. 256/1973, come modificato dal d.l. n. 460/1974 sotto il profilo della ritenuta eterointegrazione del contratto, violazione del d.m. 13.6.1986; violazione art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. La Corte d’appello ha ritenuto fondato l’inequivoco dato testuale dell ‘ art. 173 del codice postale che prevedeva un meccanismo di integrazione contrattuale, riferibile alla disposizione dell’art. 1339 c.c. e destinato ad operare per effetto della modifica da parte della P.A. del tasso di interesse vigente al momento della sottoscrizione del titolo.
La Corte Territoriale avrebbe dovuto escludere l’etero regolamentazione -integrazione dei buoni postali e quindi l’inserimento dei tassi di interesse diversi da quelli contrattualmente previsti nel documento.
6.1 -La censura è infondata. Questa Corte ha ripetutamente statuito che la disciplina contenuta nell’abrogato art. 173 del d.P.R. n. 156 del 1973, come novellato dall’art. 1 d.l. n. 460/1974, convertito in l. n. 588/1974, che consentiva variazioni, anche in peius, del tasso di interesse sulla base di decreti ministeriali, in quanto dettata da una fonte di rango legislativo, ha natura cogente (assicurando il contemperamento tra l’interesse generale di programmazione economica e tutela del risparmio del sottoscrittore) e come tale idonea a sostituire ex art. 1339 c.c. le statuizioni negoziali delle parti (ex multis, Cass., n.567/2023).
7. -Con il terzo motivo: Omesso esame di un fatto storico principale ai sensi dell’art. 360, comma 1, n.5, c.p.c.; violazione e falsa
applicazione dell’art. 173, comma 3, d.P.R. n. 156/1973, e dell’art.1337 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. condizioni, in riferimento al saggio degli interessi, apposte sul titolo e quelle stabilite dal decreto ministeriale che ne disponeva l’emissione deve essere risolto dando la prevalenza alle seconde. La difesa del ricorrente sia nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo che in comparsa di costituzione e risposta in appello rilevando la violazione delle regole di correttezza e buona fede, del principio dell’affidamento incolpevole e degli obblighi di informazione, ha dispiegato la richiesta di risarcimento del danno sulla ragionevole convinzione che la rendita dei titoli sarebbe stata unicamente quella garantita dalle condizioni economiche apposte sul retro dei titoli stessi. La Corte d’appello pur dando atto della richiesta di risarcimento del danno da parte del ricorrente, tuttavia, ne ha omesso l’esame.
7.1 ─ La Corte Costituzionale (n. 26/2020) ha definitivamente chiarito che l’estensione delle modificazioni anche in peius dei tassi di interesse non ha irragionevolmente leso l’affidamento dei risparmiatori sul tasso di interesse esistente al momento della sottoscrizione dell’investimento, poiché la variazione sfavorevole del tasso di interesse – che bilancia l’esigenza di tutela del risparmio con quella di contenimento della spesa pubblica in rapporto all’andamento dell’inflazione e dei mercati in caso di titoli emessi da enti a soggettività statale -non risale al momento della sottoscrizione del titolo, ma opera solo per il futuro (cfr., Cass., n. 22619/2023; Cass., n.25614/2023; Cass., n. 19244/2023; Cass., n. 19235/2023 ). La Corte di merito statuendo l’infondatezza delle censure formulate sulle pretese di non applicazione del tasso in peius ha implicitamente escluso la risarcibilità di un danno per il quale aveva escluso l’esistenza del fatto lesivo.
─ Con il quarto motivo: Nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. La Corte territoriale nella motivazione della sentenza trascrive letteralmente, a suo dire, una parte della sentenza impugnata del Tribunale per giustificare la decisione, ma in realtà riporta delle frasi non esistenti ed avulse dalla sentenza del Tribunale.
Si tratta, invero, di motivazione apparente, perplessa e incomprensibile che non rende percepibili le ragioni della decisione anche in ordine alla decisione del Tribunale, non consentendo un compiuto ed effettivo controllo sulla esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice ed integrando un error in procedendo.
8.1 ─ La censura è generica: per la parte attribuita al Tribunale non sussiste alcun elemento che possa consentire il riscontro sull’affermazione di non coincidenza del testo ed è anche irrilevante poiché la Corte ha fatta propria la motivazione della sentenza delle SS. UU. di questa Corte che, limpidamente, chiarisce la motivazione sulla quale è stato accolto il motivo di appello senza che siano necessarie «varie, ipotetiche congetture», così come pretende di affermare il ricorrente.
─ Per quanto esposto, il ricorso va rigettato con condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in € 6.000 per compensi e € 200 per esborsi oltre spese generali, nella misura del 15% dei compensi, ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30.5.2002, n.115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, l. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Prima Sezione