Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 26165 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 26165 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 07/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 31642/2021 R.G. proposto da:
COGNOME NOME e COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrenti-
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO NAPOLI n. 2111/2021 depositata il 08/06/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/09/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1.- RAGIONE_SOCIALE ha proposto opposizione al decreto ingiuntivo con cui il Tribunale di Avellino l’aveva condannata al pagamento in favore di NOME e NOME COGNOME della somma di euro 81.741,66 oltre interessi a titolo di rimborso del buono postale fruttifero (BPF) appartenenti alla «serie Q/P» emesso il 22.1.1988 nel taglio di 5 milioni di lire, invocando l’applicazione dei saggi di rendimento previsti dal D.M. 13/06/1986.
2.La sentenza con cui il Tribunale adito ha respinto l’opposizione è stata impugnata da RAGIONE_SOCIALE, e riformata dalla Corte d’Appello di Napoli che ha, in sintesi, osservato nel merito del gravame che:
(a) l’art. 173 D.P.R. n.156/1973 prevede che le variazioni del saggio di interesse dei buoni postali fruttiferi sono disRAGIONE_SOCIALE con decreto del Ministro per il tesoro di concerto con il Ministro RAGIONE_SOCIALE le RAGIONE_SOCIALE da pubblicarsi nella Gazzetta Ufficiale, ed hanno effetto per i buoni di nuova serie emessi dalla data di entrata in vigore del decreto stesso;
(b) l’emissione del buono oggetto di causa era avvenuta in data 22.1.1988, ovvero dopo l’entrata in vigore del D.M. 13/06/1986 che aveva istituito la nuova serie di buoni «Q», stabilendo (art.5) che « Sono a tutti gli effetti, titoli della nuova serie ordinaria …i buoni della precedente serie «P» emessi dal 1 luglio 1986. Per questi verranno apposti a cura degli uffici postali due timbri: uno sulla parte anteriore, con la dicitura «serie Q/P», l’altro sulla parte RAGIONE_SOCIALEriore recante la misura dei nuovi tassi»;
(c) il buono in oggetto riportava entrambi i timbri, sicché sin dal momento dell’emissione del titolo, gli intestatari erano in grado di avvedersi che il buono postale del loro acquistato apparteneva alla serie «TARGA_VEICOLO» e che, quindi, i tassi di interesse applicabili nei primi vent’anni erano quelli previsti dal D.M. istitutivo della nuova serie e risultanti dal corrispondente timbro apposto su retro del modulo sottoscritto;
(d) i principi di nomofilachia affermati dalla sentenza delle Sezioni Unite della Suprema Corte n. 3963/19 per cui (1) i buoni postali fruttiferi sono titoli di legittimazioni il che giustifica la soggezione dei diritti spettanti ai sottoscrittori alle variazioni derivanti dalla sopravvenienza di decreti ministeriali volti a modificare il tasso degli interessi originariamente previsto, (2) la modificazione trova ingresso all’interno del contratto mediante un’integrazione del suo contenuto ab externo secondo la previsione dell’articolo 1339 c.c., erano applicabili anche al caso di specie (pur diverso da quello oggetto della citata sentenza, che riguardava l’efficacia della variazione dei tassi stabiliti da buoni emessi prima delle entrate in vigore del D.M. 13 giugno 1986) ove si assume che i tassi di interesse inerenti a una determinata serie di buoni come stabiliti dal D.M. che ne prevede l’istituzione siano riportati nel titolo in maniera inesatta e/o incompleta, poiché anche in tale fattispecie rileva la sostituzione automatica dei tassi previsti dal D.M. istitutivo in caso di loro difformità rispetto a quelli trascritti sul retro del modulo del buono;
(e) quanto alla misura del rendimento bimestrale spettante nel terzo decennio (dal 21° al 30° anno), in mancanza di specifica indicazione nel timbro apposto sul retro del buono, andavano applicati i rendimenti ricavabili dai nuovi tassi e non quelli indicati nell’originaria tabella, riguardante una precedente serie, dovendosi escludere che l’incompletezza del timbro predetta potesse ingenerare negli acquirenti il legittimo affidamento nell’operatività
della diversa disciplina originariamente dettata per una diversa serie di buoni, essendo questa chiaramente superata dalle disposizioni contenute nel decreti ministeriali nel frattempo sopravvenuti; ciò in conformità alla giurisprudenza della Suprema Corte -espressasi a SS.UU. -ed alla natura imperativa delle disposizioni recate dai decreti ministeriali ex articolo 173 dPR 156 citato quali norme attuative del dettato legislativo; tanto più – ha aggiunto la Corte d’appello di Napoli – che dall’esame della tabella stampata sul retro del titolo era agevole ricavare che il rendimento bimestrale del buono nel terzo decennio corrispondeva a una cifra pari alla sesta parte degli interessi maturati nell’arco di un anno sulla base dell’ultimo tasso previsto sul capitale rimborsabile al termine del primo ventennio; perciò, essendo noto l’importo facciale del titolo e i diversi tassi applicabili nei primi vent’anni per effetto dell’emissione della nuova serie, bastava un semplice calcolo aritmetico per quantificare il rendimento bimestrale spettante dal 21° al 31° anno dopo la variazione intervenuta; il che spiegava anche perché il D.M. 1986 prevedeva solo che il timbro da porre sul retro del modulo di buoni appartenenti a una precedente serie dovesse indicare soltanto la misura dei nuovi tassi dal 1° al 20° anno, essendo implicito che ciò sarebbe bastato per consentire ai titolari di quei buoni di ricalcolare autonomamente il rendimento dell’ultimo decennio sulla falsariga dell’originaria tabella impostata su tassi diversi.
2.1- Sulla base di dette precise considerazioni la Corte d’appello ha provveduto a ricalcolare quanto dovuto ai titolari dei buoni postali oggetto di causa ed ha condannato RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE a corrispondere la somma di euro 37.288,90 oltre interessi dalla data della costituzione in mora della debitrice al soddisfo, compensando interamente le spese del doppio grado di giudizio.
3.- Avverso la sentenza hanno proposto ricorso i sig. COGNOME affidandosi a cinque motivi. Ha resistito la controricorrente RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE, che ha altresì proposto ricorso incidentale per la riforma dell’impugnata sentenza, con riferimento alla parte relativa ai conteggi eseguiti dalla Corte d’Appello circa le somme spettanti a controparte per non avere il giudice di secondo grado correttamente applicato la ritenuta fiscale.
4.- Il Pubblico Ministero ha concluso per il rigetto del ricorso principale (per prevalenza del dato normativo sul dato formale e l’eterointegrazione del contratto con le sole disposizioni regolamentari dettate per i Buoni postali fruttiferi) ed anche del controricorso incidentale atteso che la tassazione dei redditi di capitale – tra cui rientrano anche gli interessi prodotti sui buoni postali fruttiferi come sopra chiarito – avviene mediante il c.d. «principio di cassa» e, pertanto, gli interessi devono essere tassati solo con riferimento al periodo di imposta in cui sono incassati (ex art. 172 TUP «Gli interessi sui buoni si computano a periodi non inferiori al bimestre e sono esigibili soltanto all’atto del rimborso del capitale») e non quando maturano e non sono nella disponibilità fisica dei risparmiatori.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 173 D.P.R. n. 156/1973 in violazione dei principi espressi dalla Suprema Corte nelle sentenze n. 13979/2007, in relazione all’art. 360 , co. 1, n. 3, c.p.c.
Secondo i ricorrenti il riferimento testuale dell’art. 173 DPR 156/73 alla tabella sul retro dei buoni doveva essere interpretato secondo le intenzioni del legislatore, che erano quelle che i buoni fossero conformi all’anteriore DM che li aveva istituiti e con la stampata delle condizioni sul retro dei titoli onde fornire massima trasparenza e facilità di consultazione dei rendimenti ai risparmiatori (come avrebbero, a loro dire, precisato le SS.UU. con la sentenza n. 13979/2007 citata); sicché in caso di buono «non conforme, per un errore o una negligenza dell’ufficio postale, la
responsabilità deve essere riconosciuta in capo al soggetto professionale»; inoltre la Corte di merito non avrebbe considerato che nessuno di due timbri modificava il terzo decennio di rendimenti fissi, circostanza, a dire dei ricorrenti, idonea ad ingenerare nel sottoscrittore il ragionevole e legittimo affidamento che tali rendimenti del terzo decennio fossero dovuti.
2.- Il secondo motivo denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 360 c.1 n. 3 c.p.c. in relazione all’art. 5 DM 13.6.1896, avendo il giudice di secondo grado attribuito a tale norma una valenza imperativa che non aveva. Secondo i ricorrenti la Corte di merito avrebbe compiuto una inammissibile confusione tra l’art. 6 del DM 13.6.1986 -che discendeva dall’art. 173 DPR 156/73 laddove dava attuazione allo ius variandi in capo all’emittente nel corso del rapporto -e l’art. 5 stesso DM, che consentiva agli uffici postali di modificare materialmente i moduli dei buoni della «serie P» per adeguarli alla disciplina di quelli della nuova «serie Q», se questi ultimi non fossero stati ancora disponibili.
3.- Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 360 , co. 1, n.3, c.p.c. in relazione all’art. 1326 c.c. e ai rendimenti pattuiti con la sottoscrizione dei buoni in oggetto perché il giudice di secondo grado non avrebbe dato alcun peso al vincolo contrattuale intervenuto tra le parti, sottovalutando completamente la circostanza che il modulo sottoscritto rappresentava la proposta negoziale accettata dai risparmiatori – e violazione della regola interpretativa dell’art.1370 c.c. perché, nel dubbio, dell’interpretazione di un contratto formatosi a fronte di moduli predisposti da una parte, l’interpretazione avrebbe dovuto essere compiuta contro tale parte.
4.- Il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 360 , co. 1, n. 3, c.p.c. in relazione all’automatica eterointegrazione ex art.1339 c.c. del contratto in relazione ai rendimenti del terzo decennio del DM 13.6.1986, errore sorto -a
dire della ricorrente – dal presupposto (errato) secondo cui il D.M. 13.6.1986 sarebbe stato imperativo tout court , e ciò senza considerare quanto stabilito dalla Cassazione a Sezioni Unite nel 2007.
5.- il quinto motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 360 , co. 1, n. 3, c.p.c. laddove il giudice di secondo grado ha dato erroneamente per presunta la conoscenza da parte dei risparmiatori qui ricorrenti: (a) dell’appartenenza dei buoni sottoscritti alla ‘serie TARGA_VEICOLO‘, pur in presenza di un contenuto formale equivoco dei due buoni (laddove il timbro «TARGA_VEICOLO» e «TARGA_VEICOLO» poteva tranquillamente essere interpretato come indicativo di condizioni regolatorie in parte di una serie e in parte dell’altra; (b) dell’anteriore D.M. 13.6.1986 solo perché questo era stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 48/86, presunzione non supportata da alcuna norma nonché inverosimile e irrazionale per risparmiatori modesti e inesperti dai quali non era esigibile una consultazione periodica della Gazzetta Ufficiale, e, in specie, di quella n. 48 del 1986.
6.- Tutti i detti motivi di cassazione illustrati possono essere trattati congiuntamente perché connessi, attenendo all’interpretazione e applicazione RAGIONE_SOCIALE ius variandi previsto dell’art. 173 del d.P.R. citato.
Si tratta di motivi che veicolano ciascuno una censura della sentenza gravata inammissibile ex art. 360 bis, n. 1, c.p.c. nella misura in cui i ricorrenti intendono rimettere in discussione – senza offrire elementi idonei a mutare l’orientamento di questa Corte – i principi interpretativi ed applicativi delle norme citate ormai consolidati dopo l’intervento nomofilattico di cui alla sentenza SS.UU. 3963/2019, sollecitata proprio per dirimere un ipotizzato contrasto con la pronuncia precedente resa da SS.UU. 13979/2007.
6.1Si tratta dei principi ermeneutici che sorreggono l’applicazione dell’art. 173 DPR n.156/1973, per i quali la modifica
dei tassi di interesse relativi alle diverse serie dei BPF è efficace ed immediatamente applicabile a seguito degli adempimenti previsti dal primo comma dell’art. 173 stesso (« 1. Le variazioni del saggio d’interesse dei buoni postali fruttiferi sono disRAGIONE_SOCIALE con decreto del Ministro per il tesoro, di concerto con il Ministro per le RAGIONE_SOCIALE e le RAGIONE_SOCIALE, da pubblicarsi nella Gazzetta Ufficiale; esse hanno effetto per i buoni di nuova serie, emessi dalla data di entrata in vigore del decreto stesso, e possono essere estese ad una o più delle precedenti serie»), ovvero dopo la pubblicazione del D.M. sulla Gazzetta Ufficiale, quale modalità necessaria e, nel contempo, sufficiente a rendere opponibile la variazione istitutiva di nuova serie dei prodotti di investimento in discorso ai terzi.
6.2- Questa Corte ha affermato:
(a) che « la disciplina contenuta nell’abrogato art. 173 del d.P.R. n. 156 del 1973, come novellato dall’art. 1 del d.l. n. 460 del 1974, convertito in l. n. 588 del 1974, che consentiva variazioni, anche in peius, del tasso di interesse sulla base di decreti ministeriali, in quanto dettata da una fonte di rango legislativo, ha natura cogente (assicurando il contemperamento tra l’interesse generale di programmazione economica e tutela del risparmio del sottoscrittore)»;
(b) che detta disciplina è «come tale idonea a sostituire ex art. 1339 c.c. la statuizioni negoziali della parti» ;
(c) «che il contrasto tra le condizioni, in riferimento al saggio degli interessi, apRAGIONE_SOCIALE sul titolo e quelle stabilite dal decreto ministeriale che ne disponeva l’emissione deve essere risolto dando la prevalenza alle seconde, anche relativamente alla serie, istituita con effetto dal 1 luglio 1986 con D.M. 13 giugno 1986, di buoni postali fruttiferi distinta con la lettera «Q», fissando per tutte le serie precedenti e con decorrenza 1 gennaio 1987, un regime di calcolo degli interessi meno favorevole di quello risultante dalla tabella posta a tergo dei buoni ».
6.3Detti principi ermeneutici di cui, la Corte d’appello di Napoli ha fatto corretta applicazione, in nessun modo contraddicono la precedente sentenza a SS.UU. del 2007 invocata dai ricorrenti, che attiene al diverso caso in cui nessun timbro era stato apposto sul modulo della serie precedente del buono postale sottoscritto: « le Sezioni Unite (nella richiamata sentenza n. 13979/2007) non hanno affatto affermato, come pretenderebbe il ricorrente, la prevalenza in ogni caso del dato testuale portato dai titoli rispetto alle prescrizioni ministeriali intervenute successivamente alla emissione (…) ed, anzi, hanno esplicitamente negato, a fronte dell’inequivoco dato testuale dell’art. 173 del codice postale, che prevedeva un meccanismo di integrazione contrattuale riferibile alla disposizione dell’art. 1339 del codice civile e destinato ad operare, nei termini sopra descritti, per effetto della modifica, da parte della pubblica amministrazione, del tasso di interesse vigente al momento della sottoscrizione del titolo ‘ (Cass. Civ. SS.UU. n. 3963/2019, pagg. 12-13, punto n.17).
6.4 -Alla luce di detti interventi nomofilattici – che rispondono al primo, secondo, terzo e quarto mezzo di censura – numerose pronunce (cfr. Cass. n. 24639/2021; Cass. n. 38114/2021; Cass. n. 22577/2023; Cass. n. 19235/2023; Cass. n. 1278/2023; Cass. n. 19092/2023; Cass. n. 3321/2023; 25583/2023, 25587/2023, 25620/2023, 25624/2023, 25718/2023 e 26740/2023) hanno, poi, affermato, a proposito del quinto mezzo di censura, il principio che il sottoscrittore di un titolo che reca chiaramente (come pacificamente è nella specie) i timbri indicati dal D.M. 1° Luglio 1986, non può pretendere, per l’ultimo decennio, gli interessi (più favorevoli) previsti per la vecchia serie; e ciò per una convergenza di ragioni che risultano non solo da entrambi gli interventi nomofilattici citati, ma anche dalla Sentenza della Corte Cost. n. 26 del 2020, sollecitata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell’impianto regolativo in questione; dette ragioni possono così
sintetizzarsi: (a) l’ assenza del carattere letterale del titolo – che, invero, costituisce un mero documento di legittimazione – onde la mancata specifica deroga degli interessi dell’ultimo periodo non assume rilievo dirimente, ovvero tale da escludere i tassi di rendimento previsti dal D.M. del 1986: infatti la chiara riconducibilità del buono alla serie nuova ed ai rendimenti previsti dal decreto esclude che fosse ragionevole ipotizzare che il nuovo regime riguardasse solo il primo ventennio e non l’intero periodo di validità del buono postale che, per espressa disposizione del decreto, rientrava, «a tutti gli effetti», nella nuova serie ordinaria; (b) il tasso previsto dal ventunesimo al trentesimo anno ben poteva essere sostituito ex lege (art. 1339 c.c.) in forza di quanto risultante dalla tabella dei tassi allegata al D.M. del 13.06.1986, in ragione, peraltro, di una semplice operazione aritmetica, dipendendo i rendimenti fissi bimestrali dell’ultimo decennio dal tasso previsto per il 20° anno); (c) l’incompletezza del timbro non ha valore di manifestazione di volontà negoziale rilevante e non determina un errore sulla dichiarazione, essendo chiaro e pacifico che l’accordo negoziale ha avuto ad oggetto i buoni di nuova serie: infatti – come chiaramente osservato – « la pretesa di far discendere la misura degli interessi da una combinazione della disciplina prevista per i buoni della «serie Q», provvisoriamente emessi per mancanza dei relativi supporti cartacei, in forma di buoni della «serie Q/P», con la disciplina prevista per i buoni della «serie P», non ha alcun fondamento sul piano di una elementare logica nell’applicazione dei principi basilari dell’interpretazione contrattuale, sia dal versante della lettera che dell’intenzione delle parti, ai sensi dell’art. 1362 c.c., giacché, se i buoni sono sottoposti alla disciplina della «serie Q», e l’autorità preposta dalla legge chiarisce che la disciplina della «serie Q» si applica anche alla «serie Q/P», di modo che sul documento viene apposta la sigla «QTARGA_VEICOLO», ciò sta a testimoniare che
l’applicazione della disciplina dei defunti buoni della «serie P» è palesemente esclusa » (Cass. 10 febbraio 2022, n. 4384, Cass. 14 febbraio 2022, n. 4748, Cass. 14 febbraio 2022, n. 4751, Cass. 14 febbraio 2022, n. 4763); (d) in detto contesto non sussistono i presupposti per la tutela dell’affidamento del possessore dei buoni che li ha sottoscritti successivamente al decreto che li istituiva pacificamente come serie diversa, poiché il D.M. chiariva che il vecchio supporto cartaceo in concreto utilizzato era diverso per il solo fatto che il RAGIONE_SOCIALE non ne aveva ancora stampato di nuovi, e prescrivendo – per chiarezza l’apposizione sia sul fronte che sul retro del modulo i timbri indicativi della serie effettiva (nella specie «Q/P») e dei diversi e minori tassi applicabili; pertanto, nessuna tutela di un legittimo affidamento è invocabile in siffatte fattispecie.
6.5- Ciò in conformità, come detto, ha quanto osservato anche dalla Corte costituzionale nella sent. n. 26/2020, per cui la norma dell’art. 173 in argomento « per il fatto stesso di consentire espressamente -e rendere, quindi, prevedibili -successive modifiche, anche riduttive, del saggio di interessi, escludeva con ciò che potesse consolidarsi, e prospettarsi di conseguenza leso, un “affidamento” del risparmiatore sulla invariabilità del saggio vigente al momento della sottoscrizione del titolo ». Corte Costituzionale che ha, altresì, sottolineato che « la possibilità di variazione, anche in senso sfavorevole, dei tassi di interesse sui buoni fruttiferi postali, consentita dalla disposizione in esame, riflette un ragionevole bilanciamento tra la tutela del risparmio e un’esigenza di contenimento della spesa pubblica; contenimento che, in caso di titoli emessi da enti a soggettività statuale, implicava appunto la previsione di strumenti di flessibilità atti ad adeguare la redditività di tali prodotti all’andamento dell’inflazione e dei mercati ».
7.- Con il controricorso – depositato il 1.2.2022, entro 40 giorni dalla notificazione del ricorso principale, ma tuttavia tardivo – RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE ha proposto anche ricorso incidentale contro la sentenza in disamina, chiedendo che la stessa sia parzialmente cassata nella parte in cui la Corte ha eseguito il calcolo della somma di rimborso del buono posseduto dai sig.ri COGNOME, sommando per ciascun anno di durata del buono, al montante, gli interessi maturati nell’anno precedente al lordo e non al netto della ritenuta fiscale, con ciò, a suo dire, violando il D.M. 23.6.1997 art. 7 e pervenendo a determinare erroneamente in € 37.288,90 il rimborso dovuto al cui pagamento ha condannato RAGIONE_SOCIALE.
7.1- Premesso che « l’impugnazione incidentale tardiva – da proporsi con il controricorso – può essere sollevata anche quando sia scaduto il termine per l’impugnazione principale, indipendentemente dal fatto che investa un capo autonomo della sentenza stessa e che, quindi, l’interesse ad impugnare fosse preesistente, dato che nessuna distinzione in proposito è contenuta negli artt. 334, 343 e 371 c.p.c. e che occorre consentire alla parte, che avrebbe di per sé accettato la decisione, di contrastare l’iniziativa della controparte, volta a rimettere, comunque, in discussione l’assetto di interessi derivante dalla pronuncia impugnata » (Cass. n.15100/2024, Cass. n. 26139/2022 e Cass. n. 25285/2020), in questo caso esso va, tuttavia, dichiarato inefficace ex art. 334, co. 2, c.p.c. stante l’inammissibilità del ricorso principale (Cass. 19795/2024; conforme a Cass. n.33733/2023; Cass. 17707/2021).
8.- Il ricorso principale va dunque dichiarato inammissibile ed il ricorso incidentale tardivo va dichiarato inefficace.
Quanto alle spese si osserva che, come statuito da questa Corte – con pronuncia che il Collegio condivide – in caso di declaratoria di inammissibilità del ricorso principale e di inefficacia del ricorso incidentale tardivo ex art. 334, comma 2, c.p.c., « la soccombenza va riferita alla sola parte ricorrente in via principale, restando irrilevante se sul ricorso incidentale vi sarebbe stata soccombenza
del controricorrente, atteso che la decisione della Corte di cassazione non procede all’esame dell’impugnazione incidentale, e dunque l’applicazione del principio di causalità con riferimento al decisum evidenzia che l’instaurazione del giudizio è da addebitare soltanto alla parte ricorrente principale» .
Le spese si liquidano come nel dispositivo, ai sensi del D.M. 12 luglio 2012, n. 140.
Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale; dichiara inefficace il ricorso incidentale; condanna la parte ricorrente principale al pagamento delle spese in favore di RAGIONE_SOCIALE liquidate nell’importo di euro 7200,00 cui euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% sul compenso ed agli accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dalla I. 24 dicembre 2012, n. 228, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti principali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma RAGIONE_SOCIALE stesso art. 13, comma 1- bis.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio dell’11.9.2024