Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 2622 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 2622 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16904/2022 R.G. proposto da :
COGNOME, elettivamente domiciliato in MILANO INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME COGNOME che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO BRESCIA n. 1692/2021 depositata il 23/12/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 08/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.- Il ricorso riguarda la sentenza con cui la Corte d’appello di Brescia ha confermato la sentenza del Tribunale di Bergamo che ha accolto la domanda subordinata proposta dall’attrice NOME COGNOME condannando Poste Italiane s.p.a. al pagamento della somma di euro 226.253,51 (e non a quella oggetto della domanda principale pari a d euro 461.408,69) a titolo di rimborso di 16 buoni postali fruttiferi (BPF) appartenenti alla «serie P» e alla «serie O/P» emessi tra il 16.11. 1984 e il 12.12.1985.
Il Tribunale ha ritenuto – a fronte della diversa prospettazione delle parti circa il saggio di interesse da applicarsi per la quantificazione del credito – che, stante la natura dei buoni fruttiferi postali quali titoli di legittimazione e non titoli di credito e la loro emissione prima dell’entrata in vigore del D.M. 13.6.1986, dovessero essere liquidati – ex art. 173 del codice postale come modificato dal d.l. n.460/74 conv. nella l.n. 588/1974 – attribuendo la prevalenza, rispetto a quanto letteralmente previsto a tergo dei titoli, alle successive determinazioni ministeriali in materia di interessi. Infatti le variazioni della misura degli interessi di cui al D.M. citato riguardavano i buoni di nuova serie («Q») ma potevano essere estese ex art 6 dello stesso decreto a una o più delle precedenti serie, dovendosi considerare – ai fini del calcolo degli interessi – i buoni della precedente serie rimborsati e convertiti in titoli di nuova serie determinandosi il calcolo degli interessi sul montante maturato.
La Corte d’appello per quel che qui interessa -nel respingere il gravame incidentale della sig. COGNOME per (i) erronea interpretazione dell’articolo 173 predetto e conseguente insussistenza del presupposto dell’operatività del meccanismo di cui
all’articolo 1339 c.c., e per (ii) assenza di adeguata motivazione del rigetto dell’istanza di disapplicazione del D.M. 13.6.86, ha ritenuto che:
a) andava applicato il principio interpretativo, ormai consolidato dopo l’intervento nomofilattico di cui alla sentenza SS.UU. 3963/2019, la quale ha ammesso l’operatività dell’art.1339 c.c. e, quindi, la sostituzione automatica dei precetti ministeriali alle divergenti indicazioni risultanti dal cartaceo e la presunzione di conoscenza dei dd. mm. in ragione della loro pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, statuendo che la disciplina contenuta nell’abrogato articolo 173 come novellato, che consentiva variazioni (anche in peius ) del tasso di interesse sulla base di decreti ministeriali, « continua a trovare applicazione ai rapporti in essere alla data di entrata in vigore del DM 19 dicembre 2000 emanato in attuazione della norma di cui all’articolo 7 comma 3 del d.lgs. n 284/99, atteso che quest’ultima, da un lato, aveva previsto la perdurante applicabilità delle norme anteriori ai rapporti in corso alla data di entrata in vigore dei decreti destinati a stabilire le nuove caratteristiche dei buoni fruttiferi postali, e, dall’altro lato, nello stabilire che detti decreti avrebbero potuto regolare l’applicabilità delle nuove norme ai rapporti già in essere con una disciplina più favorevole ai risparmiatori, aveva posto una previsione di contenuto adattativo e non vincolante per il decreto ministeriale; sicché l’art. del citato D.M. 19 dicembre 2000, nel ribadire che i buoni fruttiferi postali della serie già emesse al momento della sua entrata in vigore restano soggetti alla previgente disciplina, non si è posto in conflitto con una norma di rango superiore »; e che, la Corte Costituzionale, chiamata a giudicare sulla questione di legittimità dell’articolo 173 del DPR 156/73 e successive modifiche, questo era da ritenersi legittimo nella parte in cui consentiva di estendere con decreto del Ministro del Tesoro assunto di concerto col ministro per le poste e le
telecomunicazioni, le modifiche peggiorative dei tassi di interessi ad una o più serie di buoni postali fruttiferi emessi precedentemente, precisando come « la possibilità di variazione anche in senso sfavorevole dei tassi di interesse sui buoni fruttiferi postali riflettesse un ragionevole bilanciamento tra la tutela del risparmio e un’esigenza di contenimento della spesa pubblica, contenimento che, in caso di titoli emessi da enti a soggettività statuale, implicava, appunto, la previsione di strumenti di flessibilità anche da adeguare la redditività di tali prodotti all’andamento dell’inflazione e dei mercati»;
andava rigettata l’istanza di disapplicazione del DM del giugno 1986, in quanto la prescrizione imperativa dell’obbligo di motivazione del provvedimento amministrativo era stata introdotta soltanto con la legge sul procedimento n.241/90 onde non poteva ritenersi illegittimo un decreto anteriore; inoltre la legge aveva escluso dal dovere di motivazione provvedimenti a carattere generale, quale doveva essere inteso il DM in questione, rivolto non a un singolo risparmiatore ma indifferentemente a tutti coloro che avessero in precedenza acquistato buoni fruttiferi postali.
3.- Avverso la sentenza ha proposto ricorso la sig.ra NOME COGNOME affidandolo a due motivi di cassazione. Ha resistito la controricorrente Poste Italiane. Le parti hanno depositato memorie.
E’ stata formulata una proposta di definizione del giudizio a norma dell’art. 380 -bis c.p.c.
La difesa di parte ricorrente ha chiesto la decisione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 173 D.P.R. n. 156/1973 anche in relazione ai principi espressi dalla Suprema Corte nella sentenza n. 3963/2019, in relazione all’art. 360 co. I n. 3 c.p.c.
La ricorrente, dopo aver ripercorso la giurisprudenza in materia, in sintesi reputa che, secondo i principi del sistema vigente, lo ius variandi avrebbe dovuto far parte del contenuto negoziale
dell’operazione, perciò comparire nel testo documentale del buono; in mancanza, l’emittente avrebbe dovuto fornire apposita comunicazione al risparmiatore dell’esistenza della clausola in sede di sottoscrizione, a pena di rispondere dei danni causati dalla variazione ; inoltre all’esito dell’esercizio effettivo della decisione di variare in peius i tassi, l’emittente avrebbe dovuto far conoscere la variazione a mezzo di tabelle esposte al pubblico nei locali degli uffici postali per poter pretendere l ‘ efficacia del rapporto negoziale o per non esporsi a responsabilità a risarcitoria.
Aggiunge che mentre fino alla pronuncia delle Sezioni Unite dell’11.2.2019 le argomentazioni predette nell’interesse dei risparmiatori erano fondate sulla denunciata violazione di un dovere di informazione riconducibile al comma terzo dell’art. 173 DPR 156/73, a seguito della decisione delle Sezioni Unite « si rende necessario spostare il punto focale della questione sulla compatibilità dei principi enunciati dalla decisione summenzionata rispetto ai principi del diritto dell’Unione Europea », profili di diritto che finora non sarebbero stati presi in esame della giurisprudenza nazionale; in particolare sarebbe stato necessario prendere in considerazione: la direttiva n. 93/22/CEE del 10.6.93 recepita nell’ordinamento italiano col d.lgs n. 415/ 96 poi abrogato dal TUF; la direttiva 2004/39/CEE del 21.4.2004 relativa ai mercati degli strumenti finanziari (I direttiva MIFID), a sua volta abrogata dalla direttiva 2014/65/UE del 15.5.2014 la quale è attualmente in vigore come nuova direttiva MIFID IIM. Osserva la ricorrente che dette direttive impongono a carico delle imprese di investimento, quale che sia la loro qualificazione giuridica, stringenti obblighi informativi nei confronti degli investitori in prodotti finanziari (quali sono i buoni fruttiferi postali), circa la natura dell’investimento, la tipologia dei titoli, il loro grado di rischio, mentre altri obblighi informativi sussistono dopo che il titolo è stato collocato, quando vi sono significative variazioni di rendimento.
Conclude la ricorrente che nella fattispecie in esame l’informativa fornita ai consumatori e investitori non è stata adeguata perché non diretta, tempestiva ed efficace, così privando i predetti della possibilità di esprimere una scelta consapevole in merito ai propri investimenti, in contrasto con i principi generali del diritto unionale, quali il principio del legittimo affidamento e il principio della certezza del diritto, poiché i consumatori/investitori confidavano legittimamente in un rischio contenuto e nell’essere il loro investimento garantito dallo Stato.
Chiede, quindi, che la Corte interpreti le norme richiamate in conformità al diritto unionale escludendone, se del caso, l’applicazione e che, ove ritenesse di non conformarvisi, richieda l’intervento della Corte di giustizia nel quadro dello strumento del rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE.
2.- Il secondo motivo denuncia violazione falsa applicazione degli articoli 1175, 1375 c.c. ovvero dei doveri informativi gravanti in capo a Poste Italiane all’atto del collocamento dei buoni postali fruttiferi e a seguito della pubblicazione del DM 13 giugno 1986, con diritto della ricorrente al risarcimento del danno, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.
La ricorrente – per la denegata ipotesi di mancato accoglimento del primo motivo -chiede che la società RAGIONE_SOCIALE venga condannata a risarcire il danno subito dalla stessa per effetto del palese inadempimento ai propri doveri informativi, doveri evidenti alla luce del generale dovere di buona fede gravante in capo alle parti contraenti che RAGIONE_SOCIALE avrebbe violato non fornendo alcuna informativa in relazione a un elemento da ritenersi fondamentale nella descrizione dei caratteri essenziali del buono fruttifero postale, non essendo ella mai stata resa edotta – né all’atto della sottoscrizione dei buoni, né successivamente ovvero all’atto dell’adozione del DM ’86 – della circostanza in forza della quale i tassi di interesse indicati sul retro dei buoni avrebbero
potuto essere modificati unilateralmente mediante decreto ministeriale successivamente all’emissione dei buoni stessi ed anche in senso peggiorativo rispetto a quanto previsto nella tabella stampata sul retro dei buoni: mancando l’informazione a monte dell’astratta possibilità che detti saggi di interesse potessero subire oscillazione nel corso del rapporto, nei risparmiatori sarebbe insorto il legittimo affidamento sulla loro immutabilità; la sentenza delle SS.UU. citata non avrebbe preso in considerazione le conseguenze per la falsa informazione di Poste Italiane in sedi di sottoscrizione del titolo.
Il danno è dedotto con riguardo al differenziale tra il rendimento promesso all’atto di sottoscrizione dei buoni per cui è causa e la minor somma dovuta ai sensi del DM 13.6.86.
3.- La proposta ha il tenore che segue
« La Corte d’appello di Brescia, confermando la sentenza di primo grado, ha ritenuto che il rendimento dei buoni postali fruttiferi per cui è causa, per quanto attiene agli anni dal 21° al 30°, non sia quello indicato sugli stessi, ma da determinare secondo i successivi decreti ministeriali ex art. 173 d.P.R. n. 156/1973, onde ha confermato la condanna al pagamento del minor importo;
-il primo motivo -che deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 173 d.P.R. n. 156/1973 e di disposizioni unionali è inammissibile, ai sensi dell’art. 360 -bis, n. 1, c.p.c. laddove intende contrastare il principio di diritto enunciato in modo ormai consolidato dalla S.C. (cfr. la sentenza, resa previa apposita fissazione della pubblica udienza, di cui a Cass., Sez. 1, 26.7.2023, n. 22619; ma già, in tal senso, Cass., Sez. I, 25.1.2023, n. 2350; Sez. VI-1, 11.1.2023, n. 603; Sez. 1, 11.2.2023, n. 567; Sez. VI1, 4.1.2023, n.122; Sez. VI-1, 3.1.2023, n. 87; Sez. I,29.12.2022, n. 38111; Sez. I, 14.2.2022, n. 4763; Sez. I, 14.2.2022, n. 4751; Sez. I, 14.2.2022, n. 4748; Sez. I, 10.2.2022, n. 4384);
il secondo motivo -che lamenta la violazione delle norme in tema di buona fede e dei doveri informativi di Poste -è inammissibile, essendosi chiarito ormai come sia priva di fondamento la censura di omessa informazione della possibilità di variazione, posto che il legislatore ha affidato la conoscenza della modifica dei tassi di interesse alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, ed il fatto che le modifiche del tasso d’interesse siano espressamente consentite le rende prevedibili, di modo che è escluso che possa consolidarsi, e prospettarsi di conseguenza leso, un ‘affidamento’ del risparmiatore sulla invariabilità del saggio vigente al momento della sottoscrizione del titolo (Cass. n. 603/2023; Corte cost., n. 26/2020) ».
Entrambi i motivi attengono alla violazione del diritto all’informazione cui il sottoscrittore dei BPF avrebbe diritto circa lo ius variandi relativamente al saggio degli interessi ad essi collegato, pur sotto i profili della violazione dei principi di diritto unionale e della violazione della buona fede nell’adempimento dei contratti.
4.1- L a Corte d’Appello di Brescia era stata adita per (i) erronea interpretazione dell’articolo 173 D.P.R. n. 156/73 – e successive modificazioni -e conseguente insussistenza del presupposto dell’operatività del meccanismo integrativo di cui all’articolo 1339 c.c., e per (ii) assenza di adeguata motivazione del rigetto dell’istanza di disapplicazione del D.M. 13.6.86, per le ragioni denunciate nel motivo d’appello relativo.
Il responso della Corte di Brescia merita condivisione.
4.2.- Quanto al primo mezzo, Cass. Sez. Un. n. 3963/2019 ha già affermato che a fronte della cogenza della norma di cui all’art. 173 cit. che opera per effetto di provvedimenti ministeriali (i decreti) che ripetono, evidentemente, la loro autorità dalla primaria fonte normativa – la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale di detti decreti ministeriali per mezzo di cui si attua lo ius variandi ,
costituisce per i possessori dei buoni, la fonte della conoscenza legale del contenuto del titolo e della variazione del tasso di interesse ad esso relativo (effetto considerato costituzionalmente legittimo dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 26 del 2020); e che la prescrizione della messa a disposizione della tabella integrativa (indicativa dei nuovi tassi) da parte degli Uffici Postali ha la finalità di consentire al risparmiatore di verificare presso l’Ufficio, appunto, l’ammontare del proprio credito per interessi all’esito dell’intervenuta variazione, anche ai fini del controllo della regolarità della riscossione e della sua conformità alla normativa vigente al momento della riscossione, mentre è « erroneo ritenere che tale prescrizione costituisca un obbligo informativo dalla cui osservanza dipenda la vincolatività della variazione per il risparmiatore ».
Né vi è ragione di dubitare della compatibilità di tale regolamentazione coi principi del diritto unionale.
La dir. 93/22/CEE, come le altre evocate dalla ricorrente, risulta successiva all’entrata in vigore dell’art. 1 del d.l. n. 460 del 1974, convertito in l. n. 588 del 1974, il quale ha novellato l’art. 173 d.P.R. n. 156/1973 consentendo variazioni, anche in peius , del tasso di interesse sulla base di decreti ministeriali; la detta direttiva, inoltre, non si applica « alle banche centrali degli Stati membri, altri enti nazionali che svolgono funzioni analoghe ed altri enti pubblici incaricati della gestione del debito pubblico o che intervengono nella medesima », giusta l’art. 2.2, lett. f).
Il principio di affidamento, in chiave unionale, è del resto corollario di quello di certezza del diritto, il quale richiede che le norme di diritto siano chiare e precise, con la precisazione che occorre, « per poter invocare il principio, che l’applicazione di quelle norme sia prevedibile per i soggetti dell’ordinamento, specie quando possono produrre conseguenze sfavorevoli » (Cass. n. 603/2023; il principio in questione trovasi enunciato in Corte giust.
UE, C -798/18 e C -799/18, punto 41): ciò detto, l ‘art. 173 cit., comma 3, « per il fatto stesso di consentire espressamente – e rendere, quindi, prevedibili -successive modifiche, anche riduttive, del saggio di interessi, escludeva con ciò che potesse consolidarsi, e prospettarsi di conseguenza leso, un ‘affidamento’ del risparmiatore sulla invariabilità del saggio vigente al momento della sottoscrizione del titolo» : ciò nel quadro di « un ragionevole bilanciamento tra la tutela del risparmio e un’esigenza di contenimento della spesa pubblica; contenimento che, in caso di titoli emessi da enti a soggettività statuale, implicava appunto la previsione di strumenti di flessibilità atti ad adeguare la redditività di tali prodotti all’andamento dell’inflazione e dei mercati » (Corte cost. n. 26 del 2020).
Quanto esposto porta ad escludere che vi sia motivo di interpellare sul punto la Corte di giustizia, come del resto già osservato dalla cit. Cass. 603/23.
Con riguardo al primo motivo ricorre dunque la condizione di cui all’ art. 360, n. 1 c.p.c.
4.3.- Quanto al secondo mezzo, ove si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1335 e 1375 c.c. ed il diritto della ricorrente al risarcimento del danno per inadempimento, il motivo è inammissibile: poiché la variazione dei tassi, per come attuata, deve considerarsi legittima e non lesiva dell’affidamento dell’investitore, non residua alcuno spazio per ravvisare nella fattispecie in esame un inadempimento di Poste Italiane e un correlato obbligo risarcitorio da parte della stessa.
5.- Il ricorso principale va dunque dichiarato inammissibile.
6.- Le spese seguono la soccombenza.
6.1- Considerato che la trattazione del procedimento è stata chiesta ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. ultimo comma a seguito di proposta di inammissibilità a firma del Consigliere delegato dal Presidente della sezione, la Corte, avendo definito il giudizio in
conformità della proposta, deve applicare il terzo e il quarto comma dell’articolo 96 c.p.c. , come testualmente previsto dall’art. 380 bis ultimo comma (« Se entro il termine indicato al secondo comma la parte chiede la decisione, la Corte procede ai sensi dell’articolo 380-bis.1 e quando definisce il giudizio in conformità alla proposta applica il terzo e il quarto comma dell’articolo 96 »). L’art. 96 terzo comma, a sua volta, così dispone: « In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata» . Il quarto comma aggiunge: « Nei casi previsti dal primo, secondo e terzo comma, il giudice condanna altresì la parte al pagamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma di denaro non inferiore ad euro 500 e non superiore ad euro 5.000 ».
Come chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte, si tratta di una disposizione (introdotta dall’art. 3, comma 28, lett. g), D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, a decorrere dal 18 ottobre 2022, ai sensi di quanto disposto dall’art. 52, comma 1, del medesimo D.Lgs. n. 149/2022) che contiene, nei casi di conformità tra proposta e decisione finale, una valutazione legale tipica, ad opera del legislatore delegato, della sussistenza dei presupposti per la condanna al pagamento di una somma equitativamente determinata a favore della controparte (art. 96 terzo comma) e di una ulteriore somma di denaro non inferiore ad euro 500,00 e non superiore ad euro 5.000,00 (art. 96 quarto comma, ove, appunto il legislatore usa la locuzione «altresì»). In tal modo, risulta codificata una ipotesi di abuso del processo, peraltro già immanente nel sistema processuale (da iscrivere nel generale istituto del divieto di lite temeraria nel sistema processuale) » (Cass. Sez. Un. n.27433/2023, in motivazione).
In tal senso, la ricorrente va condannato, nei confronti della controricorrente, al pagamento di una somma equitativamente
determinata ai sensi dell’art. 96 terzo comma c.p.c. avuto riguardo alla liquidazione dei compensi dovuti alla parte resistente, oltre che al pagamento dell’ulteriore somma di euro 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende, ex art, 96 quarto comma c.p.c.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto; condanna la ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 7.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge; condanna parte ricorrente al pagamento della somma di euro 7.500,00 in favore della parte controricorrente e dell’ulteriore somma di euro 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª