Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 29615 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 29615 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso 5533-2024 proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, ARGESE NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME in qualità di erede di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME,
Oggetto
Lavoro privato
R.G.N.5533/NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud 22/10/2025
CC
NOME COGNOME; COGNOME NOME, COGNOME NOME, NOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, in qualità di eredi di NOME, ZAVATE NOME, tutti rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME; NOME COGNOME;
– controricorrente –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE. ESERCIZI AEROPORTUALI;
– intimata –
avverso la sentenza n. 506/2023 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 25/08/2023 R.G.N. 698/2022; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/10/2025 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. La Corte di Appello di Milano, con la sentenza n. 506/2023, in sede di rinvio disposto da questa Corte con ordinanza per regolamento di competenza n. 14899 del 2022, ha respinto le domande dei ricorrenti in epigrafe volte alla condanna della datrice di lavoro RAGIONE_SOCIALE e della committente RAGIONE_SOCIALE a consegnare buoni pasto del valore unitario di euro 4,67 o, alternativamente, al pagamento del loro controvalore, per ogni giorno di effettiva prestazione lavorativa dal 1° dicembre 2015, epoca in cui la NOME, subentrata nell’appalto dell’attività
di pulizia dell’aeroporto di Linate, ne aveva interrotto l’erogazione.
In estrema sintesi, la Corte di Appello, in continuità con il proprio precedente rappresentato dalla sentenza n. 2103 del 2019, ha respinto i tre motivi di gravame dei lavoratori avverso la pronuncia del locale Tribunale n. 2745 del 2017.
2.1. Il Collegio, con riferimento alla dedotta esistenza di un uso aziendale che prevedeva la corresponsione di un buono pasto di € 4,67 al giorno, ha ritenuto che di tale uso non fosse emersa la prova, atteso peraltro che l’erogazione trovava la sua fonte in accordi aziendali.
2.2. In ordine alla dedotta impossibilità del datore di lavoro di recedere unilateralmente da tali accordi stante la loro natura di accordi di gestione, il Collegio ha richiamato il costante orientamento di legittimità secondo cui, qualora un contratto collettivo di diritto comune venga stipulato a tempo indeterminato, senza l’indicazione di un termine di scadenza, le parti sono libere di recederne unilateralmente, come accaduto nella specie, aggiungendo che non risultava neanche impugnata quella parte della decisione del Tribunale in cui, rispetto all’accordo collettivo fonte dell’erogazione, veniva affermato che ‘non vi è evidenza di termini’.
2.3. Infine, la Corte milanese ha disatteso anche il terzo motivo di appello, richiamando la giurisprudenza della S.C. in tema di natura non retributiva dei buoni pasto, con conseguente inapplicabilità agli stessi del principio di non riducibilità della retribuzione.
Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso i soccombenti con tre motivi; ha resistito con controricorso la RAGIONE_SOCIALEmentre non ha svolto attività difensiva l’intimata RAGIONE_SOCIALE.
La sola controricorrente ha comunicato memoria.
All’esito della camera di consiglio del 22 ottobre 2025, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di sessanta giorni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I motivi di ricorso possono essere esposti secondo la seguente sintesi:
1.1. con il primo motivo di ricorso si denuncia la ‘violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c.’ unitamente alla ‘nullità della sentenza per violazione dell’art. 115 c.p.c.’; si deduce che la Corte territoriale avrebbe considerato ‘prodotti documenti in esistenti in giudizio’, con conseguente ‘vizio di travisamento della prova’; si eccepisce, poi, ai sensi dell’art. 2697 c.c., che i lavoratori avrebbero ‘dato pacificamente prova’ di circostanze idonee a sostenere l’esistenza di un uso aziendale;
1.2. con il secondo motivo si denuncia la ‘nullità della sentenza per violazione degli artt. 112, 115, 342 e 434 c.p.c.’ nonché la ‘violazione e falsa applicazione degli artt. 1372, 1373 c.c.’ in ordine alla domanda subordinata formulata dagli attori ‘a propos ito dell’impossibilità da parte della NOME di recedere dal contratto nell’ipotesi in cui i Giudici avessero ritenuto di origine contrattuale l’attribuzione patrimoniale dei ticket restaurant in favore dei lavoratori’; in particolare, si argomenta che la Corte territoriale non si sarebbe pronunciata sul motivo di appello in cui si censurava l’operato del primo giudice in quanto, non essendo mai stati prodotti in causa gli accordi antecedenti al 2013 su cui era stata fondata la decisione, non poteva neanche sapersi ‘se fossero a tempo indeterminato o avessero una durata predeterminata’;
1.3. il terzo mezzo denuncia: ‘Violazione e falsa applicazione degli artt. 2103 c.c. e 36 Cost. (principio di irriducibilità della retribuzione) e dell’art. 2099 c.c.’; si contesta l’assunto della Corte distrettuale secondo cui i buoni pasto avrebbero natura ‘assistenziale’ e si ribadisce che i buoni pasto, laddove aventi fonte contrattuale, avrebbero natura retributiva incontrando il limite della irriducibilità della retribuzione.
Il Collegio reputa che il ricorso sia da respingere.
2.1. Il primo motivo è inammissibile.
Si denuncia impropriamente la violazione dell’art. 2697 c.c. che, per inequivoca giurisprudenza di questa Corte, è censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c., soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne fosse onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. n. 15107 del 2013; Cass. n. 13395 del 2018; Cass. n. 26769 del 2018; più di recente, tra innumerevoli, v. Cass. n. 26739 del 2024), mentre nella specie chi ricorre critica l’apprezzamento operato dai giudici del me rito circa l’insussistenza di un uso aziendale, opponendo una diversa valutazione.
Inoltre, si evoca un ‘travisamento della prova’ al di fuori dei limiti posti dalle Sezioni unite di questa Corte con la pronuncia n. 5792 del 2024, secondo la quale: ‘Il travisamento del contenuto oggettivo della prova, il quale ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé, e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio, trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, in concorso dei presupposti
richiesti dall’articolo 395, n. 4, c.p.c., mentre, ove il fatto probatorio abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare, e cioè se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti, il vizio va fatto valere, in concorso dei presupposti di legge, ai sensi dell’articolo 360, nn. 4 e 5, c.p.c., a seconda si tratti di fatto processuale o sostanziale’.
La sentenza chiarisce che ‘se si ammettesse la ricorribilità per cassazione in caso di travisamento della prova, , rendendo pervio l’articolo 115 c.p.c. ben oltre il significato che ad esso è riconosciuto (cfr. Cass. SS.UU. n. 20867 del 2020), il giudizio di cassazione obbiettivamente scivolerebbe verso un terzo grado destinato a svolgersi non sulla decisione impugnata, ma sull’intero compendio delle «carte» processuali, sicché la latitudine del giudizio di legittimità neppure ripristinerebbe l’assetto ante riforma del 2012, ma lo espanderebbe assai di più’, assegnando ‘alla Corte di cassazione il potere di rifare daccapo il giudizio di merito’.
2.2. Il secondo motivo non può trovare accoglimento.
In sostanza, si lamenta che la Corte territoriale avrebbe ‘completamente omesso di pronunciarsi in ordine ai fatti costitutivi del secondo motivo di appello, incorrendo così in una violazione di legge (art. 112 c.p.c.)’, avuto riguardo alla domanda subordinatamente avanzata dai lavoratori secondo la quale la RAGIONE_SOCIALE non avrebbe potuto recedere unilateralmente dal contratto attributivo del buono pasto.
Vale ribadire che, per costante insegnamento, sono configurabili gli estremi del vizio di omessa pronuncia, censurabile ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. per violazione dell’art. 112 c.p.c. che impone il canone della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, nella sola ipotesi di mancato esame di domande o
eccezioni di merito (per tutte v. Cass. n. 22592 del 2015 con la giurisprudenza ivi richiamata; ex aliis , cfr. Cass. n. 321 del 2016; Cass. n. 25154 del 2018); non è sufficiente, dunque, il mancato esame di argomentazioni difensive ovvero di fatti storici, salvo il limite posto dal novellato n. 5 dell’art. 360 c.p.c. In ogni caso, poi, non basta la mancanza di una espressa statuizione del giudice, essendo necessaria la totale pretermissione del provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto; tale vizio, pertanto, non ricorre quando la decisione, adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, ne comporti il rigetto o la non esaminabilità pur in assenza di una specifica argomentazione (tra le altre v. Cass. n. 10636 del 2007; tra le molteplici conformi, di recente: Cass. n. 27551 del 2024). Deve ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata con la domanda (ovvero, analogamente, con il mezzo di gravame), benché non espressamente esaminata, risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia ( ex plurimis , Cass. n. 20718 del 2018; Cass. n. 29191 del 2017; Cass. n. 24155 del 2017).
Nella specie, la Corte di Appello ha considerato il secondo motivo di gravame e lo ha esplicitamente ritenuto ‘infondato’ (pag. 10 sentenza impugnata), di modo che di omessa pronuncia sul motivo di appello non è dato parlare.
Non è configurabile, infatti, la violazione dell’art. 112 c.p.c. laddove si ritenga la motivazione del rigetto insufficiente o inappagante, salvo che non si censuri adeguatamente ed utilmente che l’argomentazione contestata violi il cd. minimum costituzionale.
2.3. Il terzo motivo è infondato.
La sentenza impugnata sul punto risulta conforme alla giurisprudenza di questa Corte che -anche nell’ambito dei rapporti di lavoro privato -ha negato la natura retributiva dei buoni pasto, così come delle indennità collegate al servizio mensa (cfr. Cass. n. 13841 del 2015; Cass. n. 23303 del 2019; Cass. n. 5547 del 2021; Cass. n. 7181 del 2024; Cass. n. 8090 del 2024; alle quali tutte si rinvia ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c.).
Una volta accertato dalla Corte del merito che l’erogazione in contesa non costituiva un elemento della retribuzione, concretandosi in una agevolazione di carattere assistenziale collegata al rapporto di lavoro da un nesso meramente occasionale, ne è conseguentemente derivato che non potesse essere invocato il principio della irriducibilità della retribuzione medesima.
In conclusione, il ricorso deve essere respinto e le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo in favore della controricorrente, mentre non occorre provvedere sulle spese per RAGIONE_SOCIALE che non ha svolto attività difensiva.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre altresì dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese liquidate in euro 2.550,00, oltre euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e rimborso spese generali al 15%.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 -quater , d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 22 ottobre 2025.
Il Presidente AVV_NOTAIO NOME COGNOME