Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 14253 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 14253 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21268/2019 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), che la rappresenta e difende unitamente e disgiuntamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) per procura in calce al ricorso,
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona dell’amministratore delegato e legale rappresentante NOME COGNOME, elett.te domiciliata in INDIRIZZO, presso lo dell’avvocato NOME COGNOME
(CODICE_FISCALE), che la rappresenta e difende per procura in calce al controricorso,
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di TORINO n.72/2019 depositata l’ 11.1.2019. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 7.5.2024 dal
Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La sentenza impugnata, infatti, atteso che: a ) già le prestazioni da eseguire da parte della ricorrente sull’impianto industriale erano state individuate dalla RAGIONE_SOCIALE, che aveva chiesto alla RAGIONE_SOCIALE di formularle per esse la sua migliore offerta; b ) quest’ultima
11) Col quinto motivo la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli articoli 2697, 1374 e 1375 cod. civ.
Si duole la ricorrente che l’impugnata sentenza abbia considerato le prestazioni eseguite a regola d’arte ed in modo completo sulla base della deposizione di NOME COGNOME, ritenendo che la copertura dei macchinari smontati e lavati non rientrasse nelle previsioni contrattuali e non fosse qualificabile come prestazione accessoria dovuta, così trascurando le risultanze della CTU espletata in sede di accertamento tecnico preventivo, che aveva evidenziato che le componenti dell’impianto industriale erano state depositate dalla RAGIONE_SOCIALE all’aperto senza alcuna protezione ed in tale condizione erano rimaste rendendo non conveniente, o addirittura impossibile il loro riutilizzo, evidenziando anche alcune manchevolezze delle prestazioni eseguite ancorché non oggetto di specifico quesito. Lamenta, quindi, la ricorrente che la Corte d’Appello, considerando l’obbligazione di copertura delle parti smontate dell’impianto come non compresa nel contratto, non abbia fatto corretta applicazione del principio di buona fede nell’esecuzione del contratto di cui agli articoli 1374 e 1375 cod. civ.
Anche tale motivo è inammissibile, perché la ricorrente, pur richiamando asserite violazioni di legge (artt. 2697, 1374 e 1375 cod. civ.), in realtà mira ad ottenere inammissibilmente dalla Suprema Corte una diversa ricostruzione di fatto, che determini l’inclusione nel contratto concluso dalle parti della prestazione di copertura dei macchinari smontati dell’impianto, che la sentenza impugnata alle pagine 9 e 10 ha invece negato, con motivazione plausibile e corretta, sia in quanto non inserita nell’elenco
contrattuale dettagliato delle prestazioni richieste e non ricompresa secondo gli usi tra le prestazioni accessorie, sia in quanto i macchinari smontati dopo la pulizia e lo smontaggio erano stati lasciati su un piazzale della COGNOME, in attesa di essere caricati su un container che li avrebbe dovuti proteggere in attesa della vendita dell’impianto da parte della RAGIONE_SOCIALE al promittente acquirente, container che però non era mai stato messo a disposizione, come dovuto, dalla RAGIONE_SOCIALE, che essendo a conoscenza dei tempi e delle problematiche di tale vendita, avrebbe dovuto personalmente provvedere secondo buona fede alla copertura dell’impianto smontato.
12) Col sesto motivo la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli articoli 2697 e 2225 cod. civ.
Si duole la ricorrente che la Corte d’Appello non abbia ridotto il corrispettivo tenendo conto del disaccordo esistente tra le parti sul prezzo pattuito, della valutazione di gran lunga inferiore del valore delle prestazioni rese compiuta dal CTU nominato in sede di accertamento tecnico preventivo, e della CTP del geom. COGNOME che era stata prodotta dalla COGNOME, dalla quale risultava un danno per la mancata protezione degli impianti smontati di € 50.000,00, così violando l’art. 2225 cod. civ., secondo il quale il corrispettivo, se non è convenuto dalle parti e non può essere determinato secondo le tariffe professionali o gli usi, è stabilito dal giudice in relazione al risultato ottenuto e al lavoro normalmente necessario per ottenerlo.
Anche tale ultimo motivo è palesemente inammissibile, in quanto la COGNOME, pur invocando asserite ed inesistenti violazioni di legge (artt. 2697 e 2225 cod. civ.), certamente non ravvisabili perché l’impugnata sentenza ha motivatamente ritenuto pattuito dalle parti il corrispettivo di € 80.000,00 oltre IVA, escludendo quindi la possibilità di provare diversamente tale corrispettivo
attraverso il ricorso agli usi, alla CTU, o alla determinazione del giudice, e ponendo a carico della COGNOME l’onere di provare il saldo del corrispettivo per il quale ha pagato prima del giudizio solo un acconto, punta in realtà inammissibilmente ad una diversa ricostruzione del fatto in sede di legittimità, che le riconosca il danno subito per la mancata copertura dei macchinari smontati da parte della RAGIONE_SOCIALE, che però la Corte d’Appello ha motivatamente escluso, sia in quanto non si trattava di prestazione contrattualmente posta a carico della RAGIONE_SOCIALE, né di una prestazione accessoria da essa esigibile secondo buona fede, sia in quanto era piuttosto obbligo della stessa COGNOME mettere a disposizione della controparte un container per collocarvi al riparo dalle intemperie l’impianto smontato, o almeno provvedere alla sua copertura nell’attesa che se ne perfezionasse la vendita al terzo promissario acquirente. Ancora una volta la ricorrente invoca una propria diversa ricostruzione dei fatti, in contrasto con quanto accertato dai giudici di merito, senza lamentare vizi attinenti alla motivazione, e peraltro avendo concluso in questa sede per la cassazione dell’impugnata sentenza e per la condanna della RAGIONE_SOCIALE alla restituzione in suo favore di tutto quanto da essa incassato in esecuzione della sentenza di primo grado, e non alla mera restituzione di quanto percepito in eccesso rispetto ad un corrispettivo dovuto, ridotto rispetto agli 80.000,00 euro oltre IVA previsti nell’offerta accettata.
In forza del principio della soccombenza, la ricorrente va condannata al pagamento in favore della RAGIONE_SOCIALE delle spese processuali del giudizio di legittimità liquidate in dispositivo.
In base all’art. 13, comma 1 -quater del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato se dovuto.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna la RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità, liquidate a favore della RAGIONE_SOCIALE nella somma di € 200,00 per spese e di € 7.500,00 per compensi, oltre IVA, CA e rimborso spese generali del 15%. Visto l’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. 30.5.2002 n. 115 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato se dovuto.
sì deciso nella camera di consiglio del 7.5.2024.
Il Presidente NOME COGNOME