Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 14029 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 14029 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16271/2023 R.G. proposto da : NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO NAPOLI n. 255/2023 depositata il 24/01/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
I signori NOME COGNOME NOME e NOME COGNOME propongono ricorso per cassazione, illustrato da memoria, avverso la sentenza n. 255/2023 della Corte di Appello di Napoli del 24/1/2023.
Resiste con controricorso, illustrato da memoria, la società RAGIONE_SOCIALE
Il P.G. presso questa Corte ha depositato conclusioni scritte, chiedendo il rigetto del ricorso.
I fratelli NOME, eredi sia del padre NOME che della madre NOME COGNOME unica beneficiaria della polizza di assicurazione sulla vita RAGIONE_SOCIALE Unico N.50002380189 del 26 agosto 2004 stipulata dal defunto marito NOME COGNOME con la società RAGIONE_SOCIALE, hanno proposto nei confronti di quest’ultima domanda di pagamento dell’indennizzo assicurativo , nonché di risarcimento di lamentati danni.
L’adito Tribunale di Santa Maria C.V. ha condannato la società RAGIONE_SOCIALE al ( solo ) risarcimento dei danni da violazione degli obblighi di correttezza e buona fede, non avendo la
Compagnia assicurativa comunicato né al contraente né agli eredi della beneficiaria che il termine di prescrizione del diritto alla liquidazione del valore della polizza vita è nella specie di due anni dal decesso dello stipulante, e non già di dieci anni come previsto all ‘art. 10 della Nota informativa della polizza assicurativa de qua .
In accoglimento del gravame da quest’ultima interposto , la corte di merito ha successivamente rigettato ( anche ) la domanda di risarcimento danni.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo i ricorrenti denunziano <> degli artt. 1175 e 1375 c.c., in relazione all’art.360 comma 1 n. 3 c.p.c.
Con il secondo motivo denunziano <> degli artt. 1175, 1375 e 1453 c.c., in relazione all’art. 360, 1° co. n.3, cpc.
Con il terzo motivo denunziano <> degli artt. 1175 e 1375 c.c., in relazione all’art. 360, 1° co. n.3, cpc.
Con il sesto motivo denunziano <> degli artt. 1370 c.c. e 35 d.lgs. n. 206 del 2005, in relazione all’art. 360, 1° comma n. 3, cpc. – violazione e falsa applicazione artt. 1370 c.c. e 35 d.lgs. n. 206 del 2005, in relazione all’art.360 comma 1 n.5 cpc.
Con il settimo ( erroneamente indicato come ottavo ) motivo denunziano <> degli artt. 1370 c.c. e art. 20 d.lgs. n. 206 del 2005, in relazione all’art. 360 1 comma n. 3, cpc. ed in relazione all’art. 360, 1° comma n. 5, cpc, per avere la Corte di appello omesso di motivare la esclusione della fattispecie dal governo dell’art. 20 d.lgs. n. 206 del 2005, limitandosi ad affermarla, in patente violazione dell’art.118 c.p.c.
Si dolgono della violazione dell’obbligo di chiarezza, incombente sulla controparte predisponente il contratto di assicurazione sula vita in argomento.
Lamentano che la corte di merito ha omesso di considerare l’obbligo di interpretare il contratto, unilateralmente predisposto da controparte, in senso favorevole al contraente.
Si dolgono che la corte di merito abbia ritenuto insussistente la violazione dell’obbligo di buona fede o correttezza ex artt. 1175 e 1375 c.c. , erroneamente affermando che quest’ultima esclude significati unilaterali o contrastanti con l’affidamento dell’uomo medio in quanto volta a derogare la disciplina della prescrizione, che ha il precipuo scopo di soddisfare l’esigenza di ordine pubblico di fornire certezza e stabilità ai rapporti giuridici, e che, essendo inderogabile, non può ingenerare alcun affidamento in tal senso.
Lamentano non essersi dalla corte di merito considerato che l’obbligo di buona fede o correttezza costituisce s pecificazione degli inderogabili doveri di solidarietà sociale ex art. 2 Cost., in base alle quali ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio è tenuta ad agire in modo da preservare l’interesse dell’altra ad un adempimento utile, anche a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o legali in tal senso.
Si dolgono essersi dalla corte di merito erroneamente ritenuto essere stato dalla controparte non violato l’obbligo di correttezza o buona fede sotto il profilo dell’impossibilità di rispettare le condizioni contrattuali dalla medesima unilateralmente predisposte, creando nell’aderente l’affidamento in ordine alla relativa liceità per poi successivamente invocane giudizialmente la nullità.
Lamentano essersi dalla corte di merito erroneamente esclusa la violazione da parte della controparte società RAGIONE_SOCIALE dell’obbligo a suo carico ex art. 13 del contratto di
informare nella specie il contraente della intervenuta modifica normativa incidente sulle condizioni di contratto.
Si dolgono non essersi dalla corte di merito fatta applicazione, in ordine ai profili di informazione e comunicazione, della legge sui c.d. depositi dormienti, avendo erroneamente ritenuto la clausola <>, e affermato che <>.
Si dolgono non essersi al riguardo considerato che in base all’art. 3 D.p.r. n. 116 del 2007 ( recante Regolamento di attuazione dell ‘ art. 1, comma 345, L. 23 dicembre 2005, n. 266, in materia di depositi dormienti ) al verificarsi della condizione della mancata movimentazione del rapporto per un decennio l’intermediario deve inviare al
Fondo “rapporti dormienti” (istituito presso il Ministero dell’economia e delle finanze ai sensi dell’art. 1, comma 343, L. n. 266 del 2005).
Lamentano non essersi dalla corte di merito considerato che controparte non ha nel caso mai inviato la raccomandata de qua , con conseguente inopponibilità nella specie dell’operatività del Fondo “rapporti dormienti”.
I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono p.q.r. fondati e vanno accolti nei termini di seguito indicati.
Come questa Corte ha già avuto più volte modo di affermare, l’ obbligo di buona fede oggettiva o correttezza costituisce un autonomo dovere giuridico, espressione di un generale principio di solidarietà sociale, applicabile sia in ambito contrattuale che extracontrattuale, il quale impone di mantenere, nei rapporti della vita di relazione, un comportamento leale (specificantesi in obblighi di informazione e di avviso) nonché volto alla salvaguardia dell’utilità altrui, nei limiti dell’apprezzabile sacrificio ( v. Cass., 15/2/2007, n. 3462 ).
Nell’adempimento del contratto, in particolare, il debitore è sempre e comunque tenuto, a prescindere dal tenore delle clausole contrattuali, ad improntare la propria condotta al rispetto di tale obbligo.
Si è al riguardo precisato che la buona fede o correttezza oggettiva costituisce:
regola di comportamento (artt.1337, 1358, 1375 e 1460 c.c.) [ quale dovere di solidarietà fondato sull’art. 2 Cost. (v. Cass., 10/11/2010, n.22819; Cass., 22/1/2009, n. 1618; Cass., Sez. Un., 25/11/2008, n. 28056), che trova applicazione anche a prescindere alla sussistenza di specifici obblighi contrattuali, in base al quale il soggetto è tenuto a mantenere nei rapporti della vita di relazione un comportamento leale, specificantesi in obblighi di informazione e di avviso, nonché volto alla salvaguardia dell’utilità altrui nei limiti dell’apprezzabile sacrificio, dalla cui violazione conseguono profili di responsabilità: v. Cass., 6/5/2020, n. 8494; Cass., 27/4/2011, n. 9404; Cass., Sez. Un., 25/11/2008, n. 28056; Cass., 24/7/2007, n. 16315; Cass., 13/4/2007, n. 8826; Cass., 15/2/2007, n. 3462; Cass., 27/10/2006, n. 23273; Cass.,
20/2/2006, n. 3651. V. altresì Cass., 24/9/1999, n. 10511; Cass., 20/4/1994, n. 3775 ];
regola di interpretazione del contratto (art. 1366 c.c.) (v. Cass., 23/5/2011, n. 11295);
criterio di determinazione della prestazione contrattuale , costituendo invero fonte -altra e diversa sia da quella eteronoma suppletiva ex art. 1374 c.c. (in ordine alla quale v. la citata Cass., 27/11/2012, n. 20991) che da quella cogente ex art. 1339 c.c. ( in relazione alla quale cfr. Cass., 10/7/2008, n. 18868; Cass., 26/1/2006, n. 1689; Cass., 22/5/2001, n. 6956. V. altresì Cass., 9/11/1998, n. 11264 ) – di integrazione del comportamento dovuto (v. Cass., 30/10/2007, n. 22860), là dove impone di compiere quanto necessario o utile a salvaguardare gli interessi della controparte, nei limiti dell’apprezzabile sacrificio .
Trattandosi di rapporto di fonte contrattuale, l’ impegno imposto dall’obbligo di buona fede oggettiva o correttezza va quindi correlato alle condizioni del caso concreto, alla natura del rapporto, alla qualità dei soggetti coinvolti (v. Cass., 30/10/2007, n. 22860), dovendo valutarsi alla stregua della causa concreta del contratto ( cfr. Cass., 6/5/2020, n. 8494; Cass., 29/1/2013, n. 2071 ).
La diligenza designa invece la misura dello sforzo diligente dovuto nell’adempimento dell’obbligazione ( v. Cass., 20/8/2015, n. 16990, e, da ultimo, Cass., 6/5/2020, n. 8496).
Atteso che la diligenza (a quale, come sottolineato anche in dottrina, si specifica nei profili della cura, della cautela, della perizia e della legalità, la perizia in particolare sostanziandosi nell’impiego delle abilità e delle appropriate nozioni tecniche
peculiari dell’attività esercitata, con l’uso degli strumenti normalmente adeguati, ossia con l’uso degli strumenti comunemente impiegati, in relazione all’assunta obbligazione, nel tipo di attività professionale o imprenditoriale in cui rientra la prestazione dovuta: v. Cass., 31/5/2006, n. 12995, nonché, da ultimo, Cass., 15/6/2018, n. 15732; Cass., 29/8/2019, n. 21775 e Cass., 6/5/2020, n. 8496) deve valutarsi avuto riguardo alla natura dell’attività esercitata (art. 1176, 2° co., c.c.), si è al riguardo precisato che la detta adeguatezza deve valutarsi in ragione della diligenza media richiesta ai sensi dell’art. 1176, 2° co., c.c. dalla specifica natura e dalle peculiarità dell’attività esercitata ( cfr., da ultimo, Cass., 15/6/2018, n. 15732 e Cass., 29/8/2019, n. 21775 ).
A tale stregua, se l’impegno dal debitore dovuto si profila superiore a quello del comune debitore, esso deve considerarsi come diligenza normale avuto riguardo alla specifica attività professionale dal medesimo esercitata, giacché il professionista deve impiegare la perizia ed i mezzi tecnici adeguati allo standard professionale della sua categoria, il medesimo valendo a determinare, in conformità alla regola generale, il contenuto della perizia dovuta, e la corrispondente misura dello sforzo diligente adeguato per conseguirlo, nonché del relativo grado di responsabilità.
Va allora ribadito che in ragione della specifica natura e della peculiarità dell’attività esercitata (cfr. Cass., 20/7/2005, n. 15255; Cass., 8/2/2005, n. 2538; Cass., 22/10/2003, n. 15789; Cass., 28/11/2001, n. 15124; Cass., 21/6/1983, n. 4245) il debitore è tenuto a mantenere il comportamento diligente dovuto per la realizzazione dell’opera affidatagli, dovendo adottare (anche) tutte le misure e le cautele necessarie ed idonee per l’esecuzione della prestazione, secondo il modello di precisione e di abilità tecnica nel caso concreto richiesto.
Va per altro verso osservato che giusta principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità l’interpretazione del contratto è riservata al giudice del merito, le cui valutazioni sono censurabili in sede di legittimità solo per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale o per vizio di motivazione ( v. Cass., 22/10/2014, n. 22343; Cass., 21/4/2005, n. 8296 ).
Il sindacato di legittimità può avere cioè ad oggetto non già la ricostruzione della volontà delle parti bensì solamente la corretta individuazione dei criteri ermeneutici del processo logico del quale il giudice di merito si sia avvalso per assolvere i compiti a lui riservati, al fine di verificare se sia incorso in vizi del ragionamento o in errore di diritto ( v. Cass., 22/10/2014, n. 22343; Cass., 29/7/2004, n. 14495).
Deve quindi porsi in rilievo come in tema di interpretazione del contratto risponde ad orientamento consolidato che ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti il primo e principale strumento è rappresentato dal senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate.
Si è al riguardo peraltro precisato che il rilievo da assegnare alla formulazione letterale va invero verificato alla luce dell’intero contesto contrattuale, le singole clausole dovendo essere considerate in correlazione tra loro procedendosi al relativo coordinamento ai sensi dell’art. 1363 c.c., giacché per senso letterale delle parole va intesa tutta la formulazione letterale della dichiarazione negoziale, in ogni sua parte ed in ogni parola che la compone, e non già in una parte soltanto, quale una singola clausola di un contratto composto di più clausole, dovendo il giudice collegare e raffrontare tra loro frasi e parole al fine di chiarirne il significato (v. Cass., 28/8/2007, n. 828; Cass., 22/12/2005, n. 28479; 16/6/2003, n. 9626).
Pur assumendo l’elemento letterale funzione fondamentale nella ricerca della reale o effettiva volontà delle parti, si è al
riguardo da questa Corte -anche a Sezioni Unite- precisato che il giudice deve invero a tal fine necessariamente riguardarlo alla stregua degli ulteriori criteri di interpretazione, e in particolare di quelli ( quali primari criteri d’interpretazione soggettiva, e non già oggettiva, del contratto: v. Cass., 6/7/2018, n. 17718; Cass., 22/11/2016, n. 23701; Cass., 23/10/2014, n. 22513; Cass., 27/6/2011, n. 14079; Cass., 23/5/2011, n. 11295; Cass., 19/5/2011, n. 10998; con riferimento agli atti unilaterali v. Cass., 6/5/2015, n. 9006 ) dell’interpretazione funzionale ex art. 1369 c.c. e dell’interpretazione secondo buona fede o correttezza ex art. 1366 c.c., avendo riguardo allo scopo pratico perseguito dalle parti con la stipulazione del contratto e quindi alla relativa causa concreta (cfr. Cass., 23/5/2011, n. 11295; e, da ultimo, Cass., Sez. Un., 8/3/2019, n. 6882).
Il primo di tali criteri (art. 1369 c.c.) consente di accertare il significato dell’accordo in coerenza appunto con la relativa ragione pratica o causa concreta.
L’obbligo di buona fede oggettiva o correttezza si specifica quale criterio d’interpretazione del contratto ex art. 1366 c.c. (fondato sull’esigenza definita in dottrina di “solidarietà contrattuale”) in particolare nel significato di lealtà , sostanziantesi nel non suscitare falsi affidamenti e non speculare su di essi, come pure nel non contestare ragionevoli affidamenti comunque ingenerati nella controparte (v. Cass., 6/5/2015, n. 9006; Cass., 23/10/2014, n. 22513; Cass., 25/5/2007, n. 12235; Cass., 20/5/2004, n. 9628), a tale stregua non consentendo di dare ingresso ad interpretazioni cavillose delle espressioni letterali contenute nelle clausole contrattuali, non rispondenti alle intese raggiunte (v. Cass., 23/5/2011, n. 11295) e deponenti per un significato in contrasto con la ragione pratica o causa concreta dell’accordo negoziale (cfr., con
riferimento alla causa concreta del contratto autonomo di garanzia, Cass., Sez. Un., 18/2/2010, n. 3947).
Giusta principio suggellato anche dalle Sezioni Unite di questa Corte, nel superare il c.d. principio del gradualismo ( v. Cass., Sez. Un., 8/3/2019, n. 6882, sul punto peraltro non massimata ), il contratto deve essere dunque imprescindibilmente interpretato avuto riguardo alla sua ratio , alla sua ragione pratica, in coerenza con gli interessi che le parti hanno specificamente inteso tutelare mediante la stipulazione contrattuale (v. Cass., 6/7/2018, n. 17718; Cass., 19/3/2018, n. 6675; Cass., 22/11/2016, n. 23701), con convenzionale determinazione della regola volta a disciplinare il rapporto contrattuale ( art. 1372 c.c. ).
Orbene, i suindicati principi sono stati dalla corte di merito invero disattesi nell’impugnata sentenza.
I particolare là dove, nel rigettare la domanda di risarcimento del danno, la corte di merito ha affermato che <>, pervenendo a concludere che ‘interrompere la prescrizione è un atto rientrante nell’ordinaria diligenza, sicché chi diligente non fu, non può pretendere di esonerarsi dalle conseguenze delle proprie omissioni ravvisandone gli effetti sulla controparte contrattuale. ‘ La sentenza impugnata assume che ‘ In conclusione, contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice, RAGIONE_SOCIALE non aveva alcun obbligo di informare la beneficiaria, COGNOME
NOME o addirittura i suoi eredi, odierni appellati, in ordine al termine di prescrizione biennale del suo diritto, ai sensi dell’art. 2952 c.c. (nella formulazione introdotta dalla legge 166/2008), e ciò tanto più che Poste Vita ignorava il decesso del contraente NOME per non essere stato ad essa comunicato dagli eredi o dalla beneficiaria ‘.
Tale giudice ha invero fatto richiamo al precedente di questa Corte costituito da Cass. Civ., 26.9.2018, n. 23069, là dove risulta affermato che non sussiste alcun dovere di avvisare dell’approssimarsi del termine di prescrizione, ritenendo conseguentemente che, a mente della nullità della richiamata clausola all’art. 10 della nota informativa del contratto non fosse nella specie dovuta comunicazione alcuna da parte di Poste Vita SpaRAGIONE_SOCIALE
E’ pertanto giunta ad affermare che, da un lato, il dovere di comportarsi secondo buona fede non possa far sorgere a carico del debitore obblighi del tutto nuovi e diversi rispetto a quelli contrattualmente assunti; e, per altro verso, che l’obbligo in esame non possa estendersi fino al punto di ricomprendere quello di attivarsi per sopperire alle manchevolezze od alle negligenze della controparte contrattuale.
Atteso che la questione decisa dalla richiamata Cass. n. 23069 del 2018 afferisce invero a richiesta di avviso del contraente del rischio di perdere l’indennizzo per mancato incasso nel biennio di prescrizione ( termine corrispondente a quello ex lege ), sicché esso si appalesa nella specie inconferente, va osservato che la corte di merito non ha considerato che la violazione delle norme in tema di correttezza e buona fede contrattuale ex artt. 1175 e 1375 c.c. nella specie afferisce non già alla richiesta di comunicazione del termine di prescrizione quanto bensì a ll’impossibilità di rispettare , in conseguenza del variare della normativa in tema di prescrizione,
le condizioni al riguardo contrattualmente da essa stessa unilateralmente predisposte, sostanziantesi nel suo impegno a non a non eccepire comunque la prescrizione. Eccezione poi viceversa opposta agli eredi del contraente odierni ricorrenti, facendo valere la nullità della clausola da essa stessa ideata e unilateralmente predisposta.
Orbene, siffatti assunti e conclusione sono erronei.
Atteso che nella specie trattasi di contratto concluso su modulo unilateralmente predisposto dalla odierna controricorrente, sicché trovano applicazione le norme in tema di interpretatio contra stipulatorem ex artt. 1370 c.c. e 35 cod. cons. ( <> ), va ulteriormente posto in rilievo come la corte di merto abbia invero omesso di considerare la portata della clausola contrattuale di cui a ll’art. 13 lett. b) ( ‘informazioni relative al contratto’ ), prevedente a carico della Poste Vita Spa ( anche ) specifici obblighi di informazione da rendersi in favore della controparte in ordine ad eventuali variazioni normative incidenti sulle condizioni contrattuali .
Orbene, emerge evidente come anche l’ insussistenza nella specie della violazione dell’art. 20 codice consumo ( ‘ Infine, non vale a fondare l’obbligo di Poste Vita di comunicazione al contraente del termine biennale di prescrizione, previsto dall’art. 2952 c.c. il richiamo all’art. 20 del Codice del Consumo, non integrando le suindicate omesse comunicazioni una pratica commerciale scorretta, ingannevole o aggressiva, nel senso previsto dal citato art. 20 del Codice del Consumo ‘ ), risulta
invero essere stata dalla corte di merito nella specie erroneamente affermata.
L’ art. 20 cod. consumo ( rubricato ‘Divieto delle pratiche commerciali scorrette’ ) prevede che una pratica commerciale è scorretta se contraria alla diligenza professionale, falsa o idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che essa raggiunge o al quale è diretta o del membro medio di un gruppo, qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori; ovvero, pur raggiungendo gruppi più ampi di consumatori, idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico solo di un gruppo di consumatori chiaramente individuabile, particolarmente vulnerabili alla pratica o al prodotto a cagione della relativa infermità mentale o fisica, età o ingenuità, in un modo ragionevolmente prevedibile dal professionista, avuto riguardo al componente medio di tale gruppo.
E’ fatta salva la pratica pubblicitaria comune e legittima consistente in dichiarazioni esagerate o in dichiarazioni che non sono destinate ad essere prese alla lettera.
In particolare, sono scorrette le pratiche commerciali: a) ingannevoli di cui agli articoli 21 , 22 e 23 o b) aggressive di cui agli articoli 24 , 25 e 26 . 5. Gli articoli 23 e 26 riportano l’elenco delle pratiche commerciali, rispettivamente ingannevoli e aggressive, considerate in ogni caso scorrette.
Ai sensi dell’a rt. 21 codice consumo ( rubricato ‘Azioni ingannevoli’ ) è ingannevole una pratica commerciale che contiene informazioni non rispondenti al vero o, seppure di fatto corretta, in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, induce o è idonea ad indurre in errore il consumatore medio riguardo ad uno o più dei seguenti elementi e, in ogni caso, lo induce o è idonea a indurlo ad assumere una
decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso: a) l’esistenza o la natura del prodotto; b) le caratteristiche principali del prodotto, quali la sua disponibilità, i vantaggi, i rischi, l’esecuzione, la composizione, gli accessori, l’assistenza post-vendita al consumatore e il trattamento dei reclami, il metodo e la data di fabbricazione o della prestazione, la consegna, l’idoneità allo scopo, gli usi, la quantità, la descrizione, l’origine geografica o commerciale o i risultati che si possono attendere dal suo uso, o i risultati e le caratteristiche fondamentali di prove e controlli effettuati sul prodotto.
Orbene, sotto questo profilo, è indubbio che il Codice del consumo, applicabile al caso di specie, è volto a salvaguardare la libertà di autodeterminazione del consumatore imponendo all’operatore commerciale un preciso onere di completezza e chiarezza nella comunicazione.
I consumatori lesi da pratiche commerciali sleali possono rivolgersi al giudice ordinario, oltre che all’Autorità amministrativa proposta alla protezione dei consumatori, al fine di ottenere il risarcimento del danno subito e la riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto, tenuto conto della gravità e della natura della pratica commerciale sleale, del danno subito e di altre circostanze pertinenti (art. 27, comma 15bis ).
Posto che l’elenco dei comportamenti scorretti contenuti nella normativa di settore non rappresenta un numerus clausus , è altrettanto indubbio, che la pratica commerciale di apporre una clausola nulla, non avente alcun effetto per la parte disponente, possa costituire una pratica ingannevole sussumibile nella disposizione di cui all’art. 21, in grado di dar luogo a un inadempimento contrattuale e al relativo risarcimento del danno, da cui far conseguire un obbligo informativo correlato alla invalidità della clausola in questione, posto che detta clausola ha un contenuto tale da orientare in maniera
ingannevole il consumatore verso quel prodotto anziché un altro.
Valutando la clausola in esame sotto questo particolare profilo posto a tutela dei consumatori, la pratica commerciale seguita da odierna controricorrente non si appalesa invero conforme alla diligenza professionale dovuta da parte de ll’operatore economico che immette un simile prodotto (assicurativo) nel mercato, nonché idonea ad ingenerare il ragionevole affidamento dell’aderente in ordine al differimento della presentazione della richiesta di liquidazione oltre il termine di prescrizione normativamente prescritto.
L’ attuazione di una pratica commerciale scorretta in sede contrattuale, ‘non rimediata’ neanche in sede di esecuzione del contratto dalla parte contrattuale che se ne giova, pertanto, costituisce ulteriore elemento da valutarsi avuto riguardo ai suindicati obblighi di diligenza e buona fede o correttezza, anche a fini risarcitori.
Alla fondatezza nei suindicati termini dei motivi, assorbiti ogni altra questione e diverso profilo nonché il 4° e il 5° motivo , consegue l’accoglimento del ricorso e la cassazione in relazione dell’impugnata sentenza, con rinvio alla Corte d’Appello di Napoli, che in diversa composizione procederà a nuovo esame, facendo dei suindicati disattesi principi applicazione.
Il giudice del rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso nei termini e limiti di cui in motivazione. Cassa in relazione l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’Appello di Napoli, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 24/1/2025