Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 7534 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 7534 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 21/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1131/2023 R.G. proposto da :
COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOMENOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME COGNOME COGNOME NOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME, NOMECOGNOME COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv . COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), che li rappresenta e difende unitamente agli avv. COGNOME (CODICE_FISCALE) e COGNOME (CODICE_FISCALE);
-ricorrenti- contro
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, elettivamente
domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso l’Avvocatura generale dello Stato, che la rappresenta e difende ex lege ; -controricorrente- e MINISTERO DELLA SALUTE; MINISTERO DELL’ISTRUZIONE DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA; MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLA FINANZA; II
UNIVERSITA’ RAGIONE_SOCIALE DI NAPOLI NOME -intimati- avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 2344/2022, depositata il 27/05/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Gli odierni ricorrenti -medici che avevano frequentato le scuole di specializzazione universitaria in epoca anteriore al 2007 -convennero in giudizio la Presidenza del Consiglio del ministri, il Ministero dell’Istruzione, Università e ricerca, il Ministero dell’Economia e delle finanze, il Ministero della Salute e l’Università Federico II di Napoli, chiedendone la condanna al risarcimento del danno per tardiva attuazione della direttiva 93/16/CEE, con riconoscimento degli incrementi (annuale e triennale) di cui all’art. 6, primo comma, d.lgs. n. 257/1991.
Il Tribunale di Napoli rigettò la domanda risarcitoria e quella volta al riconoscimento dell’adeguamento annuale, mentre dichiarò inammissibile -siccome tardivamente proposta l’altra , preordinata all’ottenimento dell’ adeguamento triennale.
La Corte d’appello di Napoli respinse, a sua volta, l’impugnazione, riproponendo testualmente le argomentazioni già svolte in una
propria precedente sentenza del 16 aprile 2019 e richiamando una serie di precedenti della S.C. (Cass., n. 4449/2018; n. 6355/2018, n. 14168/2019; n. 485/2021; n. 5239/2021). Venne, in tal modo, confermata la pronuncia di primo grado, che aveva evidenziato come ‘le modifiche migliorative apportate dalla normativa in questione con il D.lgs. n. 368/1999 sono il risultato di una scelta discrezionale del legislatore non vincolata a d un obbligo proveniente dall’ordinamento comunitario’ (pag. 10 della sentenza in questa sede impugnata), opinando che l’adeguamento annuale non fosse dovuto, in ragione di quanto affermato (tra le altre) da Cass., n. 18670/2017, alla cui stregua, ‘ in tema di trattamento economico dei medici specializzandi e con riferimento alla domanda risarcitoria per non adeguata remunerazione, l’importo della borsa di studio prevista dall’art. 6 del d.lgs. 8 agosto 1991, n. 257, non è soggetto ad incremento in relazione alla variazione del costo della vita per gli anni accademici dal 1992-1993 al 2004-2005, in applicazione di quanto disposto dall’art. 7 del d.l. n. 384 del 1992 (ed analoghe normative successive), senza che il blocco di tale incremento possa dirsi irragionevole, iscrivendosi in una manovra di politica economica riguardante la generalità degli emolumenti retributivi in senso lato erogati dallo Stato ‘ .
I medici elencati in epigrafe hanno proposto ricorso per cassazione, sulla base di cinque motivi.
La Presidenza del Consiglio dei ministri ha depositato controricorso, mentre le altre amministrazioni sono rimaste intimate.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione degli artt. 7 d.l. n. 384/1992 (conv. dalla l. n. 438/1992); 3, comma 36, l. n. 537/1993; 1, comma 33, l. n. 549/1995; 1, commi 66 e 67, l. n. 662/1996; 32, comma 12, l. n. 448/1997; 22, l. n. 488/1999; 36, l. n. 289/2002, per avere la Corte
d’appello ritenuto che il blocco dell’adeguamento economico delle borse di studio, sotto il profilo della rideterminazione triennale correlata al miglioramento stipendiale minimo previsto dalla contrattazione collettiva relativa al personale dipendente del SSN, si fosse esteso oltre il biennio 1992/93. I ricorrenti richiamano i precedenti di cui a Cass., n. 16385/2008; n. 18562/2012; n. 12624/2015; n. 12595/2017, nonché le pronunce della Corte costituzionale nn. 432/1997 e 242/1999, dissentendo, per converso, dal contrario indirizzo espresso da Cass., n. 4449/2018.
2. Il secondo motivo di ricorso (articolato anche sub specie di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360, n. 5, c.p.c.) deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 6, comma 1, l.gs. n. 257/1991 e degli artt. 37, 39 e 46 d.lgs. n. 368/1999, nonché della direttiva 93/16/CE, dell’art. 11, d.lgs. n. 370/1999; dell’art. 183, comma 3, Trattato CEE. Dall’angolo visuale della responsabilità civile dello Stato, si sostiene, da parte dei ricorrenti, che il mancato adeguamento triennale delle borse di studio dei medici specializzandi (attraverso i decreti ministeriali richiamati dall’art. 6 d.lgs. n. 257/1991) avrebbe determinato la violazione del criterio dell’adeguata remunerazione di matrice comunitaria. A tale profilo viene poi giustapposto, all’interno del medesimo motivo, quello più generale dell’adeguatezza dell’entità del compenso, che andrebbe parametrata alla quantificazione fattane dallo stesso Legislatore negli artt. 37-39 del d. lgs. 368/1999, conseguendone, pertanto, il diritto degli specializzandi di ricevere la differenza (per gli anni dal 1992 fino all’a.a. 2006/2007, allorquando detta quantificazione entrò a regime), a titolo di risarcimento del danno per tardiva trasposizione della normativa comunitaria.
3. Il terzo motivo di ricorso deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 6, comma 1, d.lgs. n. 257/1991; 7, comma 5, d.l. n. 384/1992 (conv. dalla l. n. 438/1992); 3, comma 36, l. n. 537/1993; 1, comma 33, l. n. 549/1995; 32, comma 12, l. n. 448/1997; 22, l.
n. 488/1999; 3, comma 36, l. n. 289/2002 , nonché l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ‘in merito al mancato riconoscimento dell’adeguamento della borsa di studio per indicizzazione annuale in funzione di adeguamento al costo della vita ex art. 6 d.lgs. 257/91 ‘ (pag. 30 del ricorso). Sostengono i ricorrenti l’illegittimità del blocco della rivalutazione annuale dopo l’anno 1993, avendone la Corte costituzionale (con la sentenza n. 432/1997) sancito la legittimità per il solo triennio 1992/95, con la conseguenza che ‘i ‘blocchi’ dal 1995 al 2007 (12 anni) del meccanismo di indicizzazione annuale non possono considerarsi di natura eccezionale né limitati ad un ‘ristretto arco temporale’, ponendosi così in contrasto con il principio comunitario di adeguata remunerazione e di effettività del diritto comunitario’ (pag. 35 del ricorso).
Con specifico riguardo al terzo motivo di ricorso, occorre puntualizzare che il Tribunale di Napoli aveva ritenuto tardivamente proposta la domanda risarcitoria afferente all’importo corrispondente all’adeguamento triennale (v. pag. 14 della sentenza d’appello, ove è testualmente riportata la pronuncia di primo grado). La Corte d’appello affermò, peraltro, che tale statuizione non era stata censurata in sede di impugnazione (pag. 25 della sentenza in questa sede impugnata), ciononostante svolgendo anche argomentazioni volte al rigetto nel merito della domanda. Sotto questo profilo, viene, quindi, in rilievo il principio di diritto costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte a partire da Cass., Sez. un., n. 3840/2007 (e ribadito, da ultimo, tra le pronunce massimate, da Cass., n. 32092/2024), secondo cui ‘ qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità (o declinatoria di giurisdizione o di competenza), con la quale si è spogliato della potestas iudicandi in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l’onere né l’interesse ad impugnare; conseguentemente è
ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta ad abundantiam nella sentenza gravata ‘. Per questa ragione, il motivo in discorso è inammissibile, fermo restando che, ove fosse stato scrutinabile, sarebbe stato parimenti inammissibile ai sensi dell’art. 360 -bis, n. 1, c.p.c., per le ragioni che si vanno di seguito ad esplicitare con riferimento anche ai primi due motivi di ricorso.
5. Con numerose pronunce (anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c., si può far riferimento, da ultimo, alle motivazioni di Cass., n. 29499/2024 e Cass., n. 29920/2024, precedute da Cass., n. 6355/2018; Cass., n. 17051/2018; Cass., n. 5698/2019; Cass., n. 26074/2019; Cass., n. 5455/2020; Cass., n. 8503/2020; Cass., n. 25463/2020; Cass., n. 1114 /2021; Cass., n. 34882/2021; Cass., n. 27287/2022; Cass., n.35623/2022; Cass., n. 10023 /2024), questa Corte ha affermato che la pretesa dei medici che avevano frequentato corsi di specializzazione prima del 2007 di percepire una borsa di studio di importo pari a quello entrato a regime a partire da ll’anno accademico 2006/07 non trova fondamento né nella diretta applicazione dell’art. 6 del d.lgs. n. 257/1991, né nel diritto risarcitorio correlato alla mancata attuazione, da parte dello Stato italiano, delle direttiva comunitarie che avevano stabilito il diritto ad una ‘adeguata remunerazione’ in favore degli specializzandi medesimi. Ciò in quanto ‘ lo Stato italiano aveva adempiuto al proprio obbligo di fissazione di una adeguata rimunerazione già con l’art. 6 del d.lgs. n. 257 del 1991; la normativa dell’Unione europea, infatti, non contiene, né potrebbe essere diversamente, alcuna definizione di quale sia la rimunerazione adeguata, la cui soglia deve essere fissata dagli Stati membri nell’esercizio della propria discrezionalità, la quale trova un inevitabile limite anche nelle esigenze di contenimento della spesa pubblica’ (Cass., n.
29920/2024, in motivazione). Pertanto, ‘il legislatore, «nel disporre il differimento dell’applicazione delle disposizioni contenute negli artt. da 37 a 42 (del d.lgs. n. 368 del 1999) e la sostanziale conferma del contenuto del d.lgs. n. 257 del 1991, ha esercitato legittimamente la sua potestà legislativa (Cass. 15362/2014), non essendo vincolato a disciplinare il rapporto dei medici specializzandi secondo un particolare schema giuridico né ad attribuire una remunerazione di ammontare preindicato (cfr. punti nn. 23 e 24 di questa sentenza). Né vale argomentare che lo stesso legislatore italiano, intervenendo in materia, ha modificato la legislazione del 1991 con l’introduzione di una nuova normativa nel 1999 incentrata sullo schema della formazione-lavoro; anche ammettendo che il nuovo sistema sia più congeniale a disciplinare la specifica condizione dei medici specializzandi, non può desumersi dalla sola successione di leggi diverse che la precedente disciplina non fosse idonea in ordine al recepimento delle direttive ed a dare effettiva tutela al diritto ivi affermato dell’adeguata retribuzione». In altri termini, in conformità all’ordinanza n. 6355 del 2018, va affermato che il «nuovo ordinamento delle scuole universitarie di specializzazione in medicina e chirurgia introdotto con il decreto legislativo n. 368 del 1999 (a decorrere dall’anno accademico 2006/2007, in base alla legge n. 266 del 2005), e il relativo meccanismo di retribuzione, non possono pertanto ritenersi il primo atto di effettivo recepime nto ed adeguamento dell’ordinamento italiano agli obblighi derivanti dalle direttive comunitarie, in particolare per quanto riguarda la misura della remunerazione spettante ai medici specializzandi, ma costituiscono il frutto di una successiva scelta discrezionale del legislatore nazionale, non vincolata o condizionata dai suddetti obblighi» ‘ (Cass., n. 29920/2024, che a sua volta cita Cass., n. 4449/2018). In definitiva, ‘il differimento dell’entrata in vigore della normativa di cui al d.lgs. n. 368 del 1999 -che è una normativa più favorevole -rientrava
nella discrezionalità del legislatore, sicché il farla scattare dal 2007 non solo non ha potuto determinare alcuna situazione di tardivo recepimento del diritto comunitario, ma nemmeno ha violato l’art. 3 Cost. sul versante della ragionevolezza, in quanto una normativa di favore e migliorativa rispetto ad una vigente può essere fatta entrare in vigore dal legislatore nazionale nel momento in cui, secondo la discrezionalità che gli appartiene, egli lo reputi opportuno. Non si pone, perciò, alcuna questione di rinvio pregiudiziale e nemmeno alcuna questione di costituzionalità di diritto interno ‘ (Cass., n. 29920/2024, in motivazione).
Anche per quel che più specificamente riguarda l’invocato diritto alla indicizzazione annuale e alla rideterminazione triennale della borsa di studio, non possono che ribadirsi le argomentazioni fatte proprie dall’orientamento progressivamente consolidatosi nella giurisprudenza di legittimità, recentemente sugellato dalla pronuncia a Sezioni unite n. 20006/202 4, a tenore della quale ‘ l’importo delle borse di studio dei medici specializzandi iscritti ai corsi di specializzazione negli anni accademici compresi tra il 1992/1993 e il 2005/2006 non è soggetto né all’incremento annuale in relazione alla variazione del costo della vita né all’adeguamento triennale, previsti dall’art. 6, comma 1, del d.lgs. n. 257 del 1991, in virtù del blocco di tali aggiornamenti previsto, con effetti convergenti e senza soluzione di continuità, dall’art. 7, comma 5, d.l. n. 384 del 1992, conv. dalla l. n. 438 del 1992, come interpretato dall’art. 1, comma 33, della l. n. 549 del 1995; dall’art. 3, comma 36, della l. n. 537 del 1993; dall’art. 1, comma 66, della l. n. 662 del 1996; dall’art. 32, comma 12, della l. n. 449 del 1997; dall’art. 22 della l. n. 488 del 1999; dall’art. 36 della l. n. 289 del 2002 ‘ ( per la ricostruzione di tale orientamento si rimanda all’esaustiva motivazione di Cass., n. 29512/2024, corredata da ampi richiami giurisprudenziali).
Con il quarto motivo è denunziata la violazione degli artt. 112 c.p.c., 39 d.lgs. n. 368/1999, 6, commi 1, 2 e 3 d.lgs. n. 257/1991,
nella parte in cui i giudici di secondo grado avrebbero omesso di pronunciarsi (o si sarebbero pronunciati negativamente) sulla sussistenza della legittimazione passiva dei ministeri convenuti, da ritenersi corresponsabili in solido vuoi rispetto alla domanda risarcitoria, vuoi rispetto a quella di adeguamento della borsa di studio.
Il motivo è inammissibile.
Nella sentenza d’appello non si rinviene, invero, alcuna statuizione in ordine al difetto di legittimazione passiva dei Ministeri e dell’Università. A pag. 35 del ricorso per cassazione, i ricorrenti si limitano ad enunciare -del tutto genericamente di avere ‘insistito in sede d’appello sulla sussistenza della legittimazione passiva e responsabilità solidale dei soggetti convenuti, sia rispetto alla domanda risarcitoria sia alla domanda di adeguamento della borsa di studio’ , senza precisare né ‘ localizzare ‘ detta censura (che peraltro non si evince dalle conclusioni riportate nella sentenza impugnata, nelle quali semplicemente la condanna viene invocata nei confronti di tutte le parti appellate in solido). Non appare rispettato, pertanto, il requisito di ammissibilità delineato da ll’art. 366, n. 6, c.p.c., non senza rimarcare che, in ogni caso, il vizio dedotto sarebbe stato privo di decisività, avendo la corte territoriale comunque rigettato la domanda per altre ragioni (con statuizione, quindi, assorbente la questione di legittimazione in ossequio al principio della ragione più liquida). Ad escludere l’ammissibilità del motivo milita, infine, anche il principio di diritto espresso da Cass., n. 22341/2017 (alla quale è conforme Cass., n. 26087/2019), secondo cui ‘l a censura concernente la violazione dei “principi regolatori del giusto processo” e cioè delle regole processuali ex art. 360 n. 4 c.p.c., deve avere carattere decisivo, cioè incidente sul contenuto della decisione e, dunque, arrecante un effettivo pregiudizio a chi la denuncia ‘, mentre nel caso di specie nulla è stato dedotto dai ricorrenti circa il pregiudizio concretamente conseguito
dal mancato riconoscimento della legittimazione passiva dei Ministeri e dell’Università evocati in giudizio.
Le medesime considerazioni appena svolte con riferimento al quarto motivo inducono alla declaratoria di inammissibilità anche del quinto, con il quale viene censurata ( ex art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.) l a ‘ omessa pronuncia e violazione e falsa applicazione dell’art. 2948 c.c. in merito al mancato riconoscimento della prescrizione decennale ai diritti azionati ed in merito all’erroneo computo del termine a quo prescrizionale’ (pag. 40 del ricorso per cassazione). Anche in questo caso, infatti, assorbente è la considerazione che la ratio decidendi della sentenza impugnata non afferisce in alcun modo alla questione della prescrizione dell’ipotetico diritto fatto valere, avendone piuttosto negato (sotto i vari profili dedotti) l’ esistenza. Ne segue che non si vede in che modo la censura possa concretamente giovare all’interesse dei ricorrenti .
Conclusivamente , il ricorso dev’essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali in favore della Presidenza del Consiglio dei ministri, in applicazione dell’art. 4, comma 2, d.m. n. 55/2014 (a mente del quale ‘ quando in una causa l’avvocato assiste più soggetti aventi la stessa posizione processuale, il compenso unico può essere aumentato per ogni soggetto oltre il primo nella misura del 30 per cento, fino a un massimo di dieci soggetti, e del 10 per cento per ogni soggetto oltre i primi dieci, fino a un massimo di trenta ‘). Pertanto, prendendo come riferimento lo scaglione di valore da € 26.001,00 ad € 52.000,00, e individuando quale parametro di riferimento l’importo m inimo di € 2.152,00 (tenuto conto che l’Avvocatura dello Stato non ha depositato memoria), si dovr anno applicare dieci incrementi del 30% e nove ulteriori incrementi del 10% (essendo i ricorrenti complessivamente venti), così giungendo a un totale di € 10. 544,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso;
condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in € 10.544,00, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 7 gennaio 2025.