Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 6 Num. 13572 Anno 2019
Civile Ord. Sez. 6 Num. 13572 Anno 2019
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/05/2019
ORDINANZA
sul ricorso 28853-2017 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE CAGLIARI, in persona del Rettore pro tempore, MINISTERO DELLA SALUTE 96047640584, in persona del Ministro pro tempore, MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA 80185250588, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope legis;
– ricorrenti –
contro
NOMECOGNOME medico specialista in radioterapia, NOMECOGNOME medico specialista in medicina interna, NOMECOGNOME medico specialista in pediatria, COGNOME NOME, medico
specialista in chirurgia, N1ANUNZA NOMECOGNOME medico specialista in pediatria, NOME medico specialista in pediatria, COGNOME medico specialista in chirurgia toracica, NOMECOGNOME medico specialista in ginecologia e ostetricia, NOMECOGNOME medico specialista in pediatria, N1EREU NOMECOGNOME medico specialista in chirurgia toracica, NOME medico specialista in pediatria, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 209/2017 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI, depositata il 06/09/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 10/01/2019 dal Consigliere Relatore Dott. COGNOME
RILEVATO CHE:
Il GLYPH Ministero dell’Istruzione, GLYPH dell’Università e della Ricerca, nonché il Ministero della Salute e l’Università degli Studi di Cagliari con un unico atto hanno proposto ricorso avverso la sentenza n. 209/2017 della Corte di Appello di Cagliari che, rigettando la loro impugnazione, ha confermato la sentenza 12 maggio 2016 con la quale il Tribunale di Cagliari – dopo aver dichiarato il difetto di legittimazione passiva dell’Università degli Studi di Cagliari sulla domanda di risarcimento danni da inadempimento statuale di direttive comunitarie; e dopo aver dichiarato il difetto di legittimazione passiva della Presidenza del Consiglio dei Ministri sulla domanda di rideterminazione triennale delle borse di studio percepite da ciascuno dei ricorrenti e di indicizzazione annuale di queste – aveva così disposto:
aveva dichiarato il diritto dei medici specializzandi ricorrenti alla rideterminazione triennale delle borse di studio da ciascuno percepite con decorrenza dal 1 settembre 2004 e negli anni accademici indicati nell’atto introduttivo del giudizio di merito, nella misura percentuale del miglioramento stipendiale minimo previsto dai rinnovi dei contratti collettivi per i medici dipendenti del Servizio sanitario nazionale; e, per l’effetto, nel rigettare ogni ulteriore domanda,
-aveva condannato l’Università degli Studi di Cagliari ed i Ministeri convenuti, in solido tra loro, al pagamento, in favore dei ricorrenti, delle somme corrispondenti alla differenza tra quanto spettante in ragione della rideterminazione triennale delle borse di studio e quanto effettivamente percepito, oltre agli interessi legali dalla maturazione delle singole mensilità al saldo.
Al ricorso hanno resistito con controricorso gli specializzandi che avevano introdotto il giudizio di merito davanti al Tribunale di Cagliari, in funzione di giudice del lavoro.
Essendosi ritenute sussistenti dal relatore designato le condizioni per definire il ricorso con il procedimento ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., è stata redatta proposta ai sensi di tale norma e ne è stata fatta notificazione ai difensori delle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.
In vista dell’odierna adunanza entrambe le parti hanno depositato memoria a sostegno dei rispettivi assunti.
CONSIDERATO CHE:
1.11 ricorso è affidato a due motivi
1.1. Con il primo motivo, articolato in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., gli enti ricorrenti denunciano: violazione o falsa applicazione degli artt. 6 d. Igs. n. 257/1991, 7 comma 5 e comma 6 del d.l. n. 348/1992, convertito nella legge n. 438/1992; 3 comma 36 della legge n. 537/1993; 1 comma 33 della legge n. 549/1995; 1 comma 66 della legge n. 662/1996; 22 della legge n. 488/1999; e 36 comma 1 della legge n. 289/2002; nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto erroneamente che la legislazione di blocco si applicasse soltanto alla indicizzazione annuale (e non anche alla rideterminazione triennale), così riconoscendo alle controparti il diritto alla rideterminazione triennale della borsa di studio.
1.2.Con il secondo motivo, articolato sempre in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., gli enti ricorrenti denunciano altresì violazione e falsa applicazione degli artt. 11 e 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115/2002, nella parte in cui la Corte
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territoriale ha disposto la loro condanna al pagamento “dell’ulteriore importo, … a titolo di contributo unificato pari a quello già versato”.
2. Il ricorso è fondato.
Si premette che entrambi i giudici di merito hanno ritenuto fondata la domanda dei medici specializzandi volta ad ottenere la condanna dei ministeri convenuti, ai sensi dell’art. 6 d. Igs. n. 257/1991, al pagamento dell’incremento delle borse di studio in relazione alla rideterminazione triennale, in ragione del miglioramento stipendiale minimo previsto dal CCNL del Servizio Sanitario Nazionale per il personale medico.
Senonché, la Sezione Lavoro di questa Corte già con ordinanza n. 18670 del 27/07/2017 (Rv. 645008 – 01) dopo aver premesso che «L’attività svolta dai medici iscritti alle scuole di specializzazione universitarie non è inquadrabile nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato, né del lavoro autonomo, ma costituisce una particolare ipotesi di contratto di formazione-lavoro, oggetto di specifica disciplina, rispetto alla quale non può essere ravvisata una relazione sinallagmatica di scambio tra la suddetta attività e la remunerazione prevista dalla legge a favore degli specializzandi, in quanto tali emolumenti sono destinati a sopperire alle esigenze materiali per l’impegno a tempo pieno degli interessati nell’attività rivolta alla loro formazione e non costituiscono, quindi, il corrispettivo delle prestazioni svolte, le quali non sono rivolte ad un vantaggio per l’università, ma alla formazione teorica e pratica degli stessi specializzandi e al conseguimento, a fine corso, di un titolo abilitante» – ha precisato che (Rv. 645008 – 02), in tema di trattamento economico dei medici specializzandi e con riferimento alla domanda risarcitoria per non adeguata remunerazione, l’importo della borsa di studio prevista
dall’art. 6 del d.lgs. 8 agosto 1991, n. 257, non è soggetto ad incremento in relazione alla variazione del costo della vita per gli anni accademici dal 1992-1993 al 2004-2005, in applicazione di quanto disposto dall’art. 7 del d.l. n. 384 del 1992 (ed analoghe normative successive), senza che il blocco di tale incremento possa dirsi irragionevole, iscrivendosi in una manovra di politica economica riguardante la generalità degli emolumenti retributivi in senso lato erogati dallo Stato.
E, come ha efficacemente spiegato la sentenza n. 4449 del 2018 della stessa Sezione Lavoro, l’importo delle borse di studio dei medici specializzandi iscritti ai corsi di specializzazione negli anni accademici dal 1998 al 2005 non è soggetto all’adeguamento triennale previsto dall’art. 6, comma 1, del d. Igs. n. 257 del 1991, in quanto l’art. 32, comma 12, della I. n. 449 del 1997, con disposizione confermata dall’art. 36, comma 1, della I. n. 289 del 2002, ha consolidato la quota del Fondo sanitario nazionale destinata al finanziamento delle borse di studio ed escluso integralmente l’applicazione del citato art. 6. (Sez. L -, Sentenza n. 4449 del 23/02/2018, Rv. 647457 – 01).
Pertanto, la Corte territoriale, incorrendo nel vizio denunciato, ha erroneamente ritenuto che la legislazione di blocco si applichi soltanto all’indicizzazione annuale e quindi ha erroneamente riconosciuto il diritto alla rideterminazione triennale della borsa di studio a decorrere dal 1 settembre 2004.
I medici specializzandi controricorrenti deducono in memoria che, secondo consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, il blocco degli incrementi contrattuali riguarda soltanto il biennio 1992-1993; e che la sentenza n. 4449 del 23/2/2018, oltre ad essere l’unica a disporre diversamente, sarebbe incorsa in un evidente
errore interpretativo. Aggiungono che l’unica previsione normativa ambigua è quella del 1997 e che, anche nella denegata ipotesi in cui dovesse riconoscersi a detta normativa il valore di blocco generale, esteso alla rideterminazione triennale, il ragionamento avrebbe una portata temporale limitata, in quanto nelle previsioni finanziarie successive (e, in particolare, nell’art. 36 della legge n. 289/2002), come in tutte quelle precedenti, indubbio sarebbe il riferimento esclusivo alla sola indicizzazione.
Senonché, contrariamente a quanto affermato dai controricorrenti – dato atto che la citata sentenza n. 4449/2018 della Sezione Lavoro si colloca nel solco tracciato dalla precedente sentenza n. 18710/2016 della stessa Sezione ed è stata successivamente richiamata da numerose ordinanze successive (si cfr. quelle nn. 13519, 13524, 13525, 15963, 16805, 17051, 17052, 31922 e 31923 del 2018) – va qui ribadito che il diritto alla rivalutazione triennale non è stato congelato soltanto fino al dicembre 1992. Ciò in quanto nel corso di ciascuno dei trienni successivi (quello 1994-1996, quello 1996-1998, quello 1999-2001 e quello 2001-2004) è stato disposto il blocco della rideterminazione triennale. Le numerose disposizioni legislative succedutesi nel tempo (d.l. n. 384 del 1992, convertito nella legge n. 438 del 1992; la legge n. 537 del 1993; la legge n. 549 del 1995; la legge n. 662 del 1996, la legge n. 449 del 1997; la legge n. 488 del 1999 e la legge n. 289 del 2002) danno contezza dell’intento del nostro legislatore di congelare al livello del 1992 l’importo delle singole borse di studio e correlativamente di disporre analoghi blocchi sugli aggregati economici destinati al loro finanziamento. Ciò al fine di evitare – nell’attuale contesto storico, caratterizzato da una ormai cronica carenza di
risorse finanziarie – la riduzione progressiva del numero dei soggetti ammessi alla frequenza dei corsi, con correlato danno sociale.
Può essere utile aggiungere che questa Corte ha già avuto modo di porsi il problema della compatibilità delle normative richiamate, come sopra interpretate, con il dettato costituzionale e con il diritto dell’Unione europea, pervenendo ad escludere qualsiasi dubbio di incostituzionalità e ad affermare l’inutilità di una remissione degli atti alla Corte di giustizia (cfr. le già citate ordinanze nn. 31922 e 17051/2018 di questa Sezione e quella n. 15520/2018 della Sezione Lavoro).
In definitiva, il primo motivo va accolto con assorbimento del primo, venendo meno, a seguito della cassazione della sentenza di appello, la statuizione sul doppio contributo, ex art. 336, primo comma, cod. proc. civ.
La sentenza impugnata va quindi cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito con il rigetto della domanda originariamente proposta.
In considerazione della novità e della obiettiva complessità delle questioni affrontate e dell’esito dei due giudizi di merito, la Corte ritiene equo compensare fra le parti le spese dell’intero giudizio.
P.Q.M.
La Corte:
accoglie il primo motivo di ricorso con assorbimento del secondo;
cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda proposta da NOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME
NOMECOGNOME NOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME
-compensa tra le parti le spese dell’intero giudizio. Così deciso in Roma, il 10 gennaio 2019 I Presidente