Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 10355 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 10355 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 11643-2022 proposto da:
NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME
Oggetto
MEDICI SPECIALIZZANDI
–
ADEGUAMENTO BORSA
DI
STUDIO
R.G.N. 11643/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 05/12/2024
CC
COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOMENOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOMENOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME DE NOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME, DI COGNOME NOME, DI NOMECOGNOME DI NOME COGNOME COGNOME NOME, DI NOMECOGNOME DI NOME COGNOME DISTRATIS COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME
COGNOME NOMECOGNOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME RUM ADRIANACOGNOME SALERNO NOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME
NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME, NOME, COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME, nella qualità di eredi di NOME, tutti elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che li rappresenta e difende;
– ricorrenti principali –
contro
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente del Consiglio pro tempore, MINISTERO DELL ‘ ISTRUZIONE, UNIVERSITA’ E RICERCA, MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona dei rispettivi Ministri pro tempore, rappresentati e difesi ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domiciliano in ROMA, alla INDIRIZZO
– controricorrenti -ricorrenti incidentali –
E SUL RICORSO SUCCESSIVO N.1 SENZA N.R.G. proposto da: COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente principale successivo N.1 contro
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente del Consiglio pro tempore, MINISTERO DELL’ ISTRUZIONE, UNIVERSITA’ E RICERCA, MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, MINISTERO DELLA SALUTE, in persona dei rispettivi Ministri pro tempore, rappresentati e difesi ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO
presso i cui Uffici domiciliano in ROMA, alla INDIRIZZO
– controricorrenti -ricorrenti incidentali al ricorso successivo N.1-
E SUL RICORSO SUCCESSIVO N.2 SENZA N.R.G. proposto da: NOMECOGNOME NOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOME, tutti elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che li rappresenta e difende;
– ricorrenti principali successivi N.2 contro
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente del Consiglio pro tempore, MINISTERO DELLA SALUTE, MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, UNIVERSITA’ E RICERCA, in persona dei rispettivi Ministri pro tempore, UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI ANCONA, BARI, BOLOGNA, BRESCIA, CAGLIARI, CATANIA, CATANZARO MAGNA GRECIA, CHIETI-PESCARA, FERRARA, FIRENZE, FOGGIA, GENOVA, VARESE, L’AQUILA, MARCHE POLITECNICA, MESSINA, MILANO, MILANO-BICOCCA, NAPOLI NOME, NAPOLI SUN, COGNOME ORIENTALE L. COGNOME, PADOVA, PALERMO, PARMA, PAVIA, PERUGIA, PISA, ROMA LA SAPIENZA, ROMA TOR VERGATA, SASSARI, SIENA, TORINO, TRIESTE, UDINE, VERONA, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, tutti rappresentati e difesi ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domiciliano in ROMA, alla INDIRIZZO
– controricorrenti -ricorrenti incidentali al ricorso successivo N.2 –
avverso la sentenza n. 1165/2020 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 27/10/2021 R.G.N. 1601/2017; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/12/2024 dal Consigliere Dott. COGNOME
FATTI DI CAUSA
I ricorrenti meglio indicati in epigrafe, medici che avevano frequentato, tra il 1991 ed il 2007, corsi post lauream presso una delle Università indicate in epigrafe, svolgendo attività nelle strutture sanitarie, hanno agito davanti al Tribunale nei confron ti delle parti pubbliche, anch’esse meglio indicate in epigrafe, per sentir riconoscere il diritto al pagamento delle differenze retributive dovute a titolo di retribuzione adeguata alla misura di cui alla Direttiva 93/16 mediante applicazione retroattiva della disciplina entrata in vigore solo a decorrere dal 2007, all’adeguamento, mai corrisposto, della borsa di studio loro erogata ai sensi dell’art. 6 del d.lgs. n. 257 del 1991 e ciò con riferimento sia all’incremento annuale secondo il tasso di inflazione, sia alla rideterminazione triennale dell’ammontare sulla base dell’evolversi della contrattazione collettiva del settore e al risarcimento del danno da mancato tempestivo recepimento delle direttive e sentenze comunitarie; le domande sono state respinte in primo grado, e la pronuncia è stata poi confermata dalla Corte d’Appello di Roma, sulla base del richiamo ad alcuni precedenti di questa S.C., con rigetto integrale delle pretese azionate;
Un gruppo di medici ha proposto ricorso per cassazione, cui sono seguiti un secondo ed un terzo ricorso per cassazione di altri medici, riuniti al primo in forza della disciplina del codice di rito, riguardando essi la medesima sentenza; al ricorso principale le parti pubbliche hanno opposto difese con controricorso e ricorso incidentale condizionato; i medici hanno depositato memorie illustrative?
RAGIONI DELLA DECISIONE
Si deve preliminarmente dare atto che i ricorsi successivi avverso la medesima sentenza sono da intendersi come ricorsi incidentali; vale infatti il principio consolidato per cui «nei procedimenti con pluralità di parti, una volta avvenuta ad istanza di una di esse la notificazione del ricorso per cassazione, le altre parti, alle quali il ricorso sia stato notificato, debbono proporre, a pena di decadenza, i loro eventuali ricorsi avverso la medesima sentenza nello stesso procedimento e, perciò, nella forma del ricorso incidentale, ai sensi dell’art. 371 c.p.c., in relazione all’art. 333 dello stesso codice, salva la possibilità della conversione del ricorso comunque presentato in ricorso incidentale – e conseguente riunione ai sensi dell’art. 335 c.p.c. – qualora risulti proposto entro i quaranta giorni (come certamente è nel caso di specie, n.d.r.) dalla notificazione del primo ricorso principale, posto che in tale ipotesi, in assenza di una espressa indicazione di essenzialità dell’osservanza delle forme del ricorso incidentale, si ravvisa l’idoneità del secondo
ricorso a raggiungere lo scopo» (Cass. 19 dicembre 2019, n. 33809; Cass. 7 novembre 2013, n. 25054);
Ciò posto, il primo motivo del ricorso principale adduce, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi in materia di risarcimento del danno derivante da omesso e/o tardivo recepimento di direttive comunitarie, nonché degli artt, 5 e 189 del Trattato CEE, delle Direttive 75/362 CEE, 75/363 CEE, 82/76 CEE, 93/16 CEE e 05/36 CEE, dell’art. 10 Cost, degli artt, 1, 10, 11 e 12 delle preleggi c.c., dell’art. 6 del Decreto legislativo 8 agosto 1991 n. 257, dell’art. 11 della Legge n. 370/99, del Decreto legislativo del 17 agosto 1999 n. 368, dell’art 8, Decreto legislativo 21 dicembre 1999 n.517 e dell’art. 1 legge 23 dicembre 2005 numero 266;
il secondo motivo sostiene invece, ai sensi dell’art. 360 nn. 3 e 4 c.p.c., la violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi in materia di risarcimento del danno derivante da omesso e/o tardivo recepimento di direttive comunitarie, nonché degli artt, 5 e 189 del Trattato CEE, delle Direttive 75/362 CEE, 75/363 CEE, 82/76 CEE, 93/16 CEE e 05/36 CEE, dell’art. 6 del Decreto legislativo 8 agosto 1991 n. 257, dell’art. 11 della Legge n, 370/99 del Decreto legislativo del 17 agosto 1999 n. 368 e dell’art 112 e 132 c.p.c..;
il primo motivo del ricorso successivo/incidentale deduce la violazione del principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato e quello del tantum devolutum quantum appellatum in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., relativamente alla domanda avente ad oggetto gli incrementi annuali e triennali.
Il secondo motivo lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 2697 e 2948 c.c.; delle direttive 75/362 CEE, 75/ 363 CEE, 82/76 CEE, 93/16 CEE e 05/36 CEE, degli artt. 2, 3, 10,35, 36 e 38 Cost, dell’art. 6 del DLGS. n. 257/1991, dell’art 11 della legge 370/1999, del DLGS. N. 368/1999, dell’art 8 del DLGS. n.517/1999, dell’art, 1 della legge n 266/2005, della legge n. 549/1995, della legge n. 449/1997 e della legge n. 289/ 2002, sempre in relazione al mancato riconoscimento degli incrementi annuali e triennali.
Con il terzo motivo di ricorso incidentale si lamenta la violazione e/o falsa applicazione delle norme e dei principi in materia di risarcimento del danno derivante da omesso o tardivo recepimento delle direttive comunitarie, nonché degli artt. 5 e 189 del Trattato CEE, delle Direttive 75/362 CEE, 75/363 CEE, 82/76 CEE, 93/16 CEE e 05/36 CEE, degli artt. 2,3,10,35,36 e 38 Cost, degli artt. 1, 10, 11 e 12 delle preleggi c.c., dell’art. 6 del Decreto legislativo 8 agosto 1991 n. 257, dell’art. 11 della Legge n. 370/99, degli artt. 37, 38, 39, 40, 41, 45 e 46 del Decreto legislativo del 17 agosto 1999 n. 368, dell’art 8, Decreto legislativo 21 dicembre 1999 n.517 e dell’art. 1 legge 23 dicembre 2005 numero 266.
Con il secondo ricorso incidentale proposto da nove specializzandi sono stati formulati cinque motivi.
Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 36 Cost. la cui applicabilità è espressamente esclusa dalla Corte d’Appello.
Con il secondo motivo si lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 6 DLGS. n. 257/1991 , nonché violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697 e 2935
c.c. nonché art. 115 c.p.c.. in relazione al mancato riconoscimento dell’adeguamento annuale e triennale. Con il terzo motivo si deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 13, 16 della Direttiva 82/76 , nonché dell’art. 3 Cost. e degli artt. 37, 38 e 39 del DLGS. n. 368/1999 in relazione al mancato riconoscimento del c.d. danno comunitario.
Con il quarto motivo di deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 92 comma secondo c.p.c. in ordine alla condanna alle spese attesa la novità della questione trattata non riferibile ad un orientamento costante e consolidato.
Con il quinto ed ultimo motivo si denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112 e 132 c.p.c. in relazione alla limitazione operata dalla Corte distrettuale della pronuncia con riferimento alla c.d. ragione più liquida con assorbimento di altri profili di censura compresa la domanda di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE.
L’Avvocatura Generale dello Stato per le amministrazioni costituite ha proposto ricorso incidentale condizionato all’ipotesi di accoglimento del ricorso principale relativamente alla non spettanza degli adeguamenti triennali.
Preliminarmente, la censura avente ad oggetto il mancato rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE da parte della Corte distrettuale è infondata. Come è noto, il rinvio pregiudiziale ha la funzione di verificare la legittimità di una legge nazionale rispetto al diritto dell’Unione Europea e se la normativa interna sia pienamente rispettosa dei diritti fondamentali della persona, quali risultanti
dall’evoluzione giurisprudenziale della Corte di Strasburgo e recepiti dal Trattato sull’Unione Europea. Ciò posto, la censura formulata nell’ambito del quinto motivo del secondo ricorso incidentale con la quale si sottopone a critica il rifiuto della Corte di merito in ordine alla richiesta di rinvio alla Corte di Giustizia su una questione pregiudiziale di interpretazione del diritto europeo non può essere prospettata come censura di impugnazione della sentenza impugnata, atteso che è nel potere spettante al giudice del merito ovvero a quello di legittimità decidere se inviare o meno gli atti alla Corte di giustizia dell’Unione europea. Al riguardo è stato affermato che la richiesta di rinvio pregiudiziale non si configura come autonoma domanda rispetto alla quale possa farsi questione di rispetto del principio enunciato in via generale nell’art 112 cod. proc. Civ., ma rappresenta un punto di diritto preliminare alla decisione sulla domanda di merito proposta dalla parte. L’omessa pronuncia del tribunale implicante l’inesistenza di dubbi interpretativi o la decisione di risolverli senza rinvio alla Corte di giustizia non può avere conseguenze diverse dalla necessità della parte di riproporre la questione davanti al giudice del gravame. A sua volta la sentenza pronunciata in appello è eventualmente censurabile non già per aver giudicato inammissibile la doglianza dell’omesso esame della questione da parte del primo giudice e neppure per avere omesso essa stessa tale rinvio, ma solo per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, qualora si assuma che la corretta interpretazione della norma comunitaria avrebbe comportato la disapplicazione della
norma interna ponendo così i presupposti per l’eventuale rinvio alla Corte di giustizia da parte della Cassazione.
Sempre nel quinto motivo di ricorso incidentale ci si duole dell’applicazione del criterio della ragione più liquida utilizzato dalla corte territoriale. Anche tale profilo di censura è parimenti infondato. La corte distrettuale ha fatto corretta applicazione del predetto principio esaminando esclusivamente le censure, anche se logicamente subordinate, il cui scrutinio comporti la soluzione della controversia senza necessità di analizzare previamente le altre censure.
Tale soluzione operativa trova la sua legittimazione nell’orientamento che si condivide secondo cui l’applicabilità del principio della “ragione più liquida” postula che essa, pur essendo logicamente subordinata ad altre questioni sollevate, si presenti comunque equiordinata rispetto a queste ultime nella capacità di condurre alla definizione del giudizio; tale principio non opera nell’ipotesi in cui le diverse ragioni si caratterizzino per il fatto di condurre potenzialmente ad esiti definitori reciprocamente non sovrapponibili, con la conseguenza che l’illegittimo assorbimento in tal modo disposto comporta il vizio di omessa pronuncia (Cass. 693/2024).
Conseguentemente, la decisione impugnata ha analizzato le questioni della natura subordinata dal rapporto, dell’adeguamento annuale e triennale, del danno c.d. comunitario e del regime delle spese con assorbimento degli altri motivi.
Quanto ai profili di censura (i 2 motivi del ricorso principale; terzo motivo del primo ricorso incidentale; terzo motivo del secondo ricorso incidentale) per
inadeguatezza eurounitaria del sistema, essi sono stati esclusi già da Cass. 23 febbraio 2018, n. 4449; con tale pronuncia si è ritenuta l’infondatezza dell’assunto secondo cui «lo Stato italiano avesse dato attuazione alla Direttiva solo nell’anno 2007 … perché … con il D. Lgs. 17 agosto 1999 n. 368 il legislatore italiano ha dato attuazione alla direttiva 93/16/CEE in materia di libera circolazione dei medici e di reciproco riconoscimento dei loro diplomi, certificati ed altri titoli e delle direttive 97/50/CE, 98/21/CE, 98/63/CE e 99/46/CE che modificano la direttiva 93/16/CEE. 77»; d’altra parte si afferma sempre in quella pronuncia «il legislatore … nel disporre il differimento dell’applicazione delle disposizioni contenute negli artt. da 37 a 42 e la sostanziale conferma del contenuto del D. Lgs. n. 257 del 1991 ha esercitato legittimamente la sua potestà legislativa, non essendo vincolato a disciplinare il rapporto dei medici specializzandi secondo un particolare schema giuridico né ad attribuire una remunerazione di ammontare preindicato»; a quella statuizione ne sono seguite altre conformi ed anche di recente vi stata ulteriore analisi della tematica, con conferma dell’orientamento; Cass. 20 novembre 2024, n. 29920 ha infatti precisato che «lo Stato italiano aveva adempiuto al proprio obbligo di fissazione di una adeguata rimunerazione già con l’art. 6 del d.lgs. n. 257 del 1991; la normativa dell’Unione europea, infatti, non contiene, né potrebbe essere diversamente, alcuna definizione di quale sia la rimunerazione adeguata, la cui soglia deve essere fissata dagli Stati membri nell’esercizio della propria discrezionalità, la quale trova un inevitabile limite anche
nelle esigenze di contenimento della spesa pubblica. Come ha efficacemente spiegato la sentenza n. 4449 del 2018 della Sezione Lavoro, il legislatore, «nel disporre il differimento dell’applicazione delle disposizioni contenute negli artt. da 37 a 42 (del d.lgs. n. 368 del 1999) e la sostanziale conferma del contenuto del d.lgs. n. 257 del 1991, ha esercitato legittimamente la sua potestà legislativa (Cass. 15362/2014), non essendo vincolato a disciplinare il rapporto dei medici specializzandi secondo un particolare schema giuridico né ad attribuire una remunerazione di ammontare preindicato (cfr. punti nn. 23 e 24 di questa sentenza). Né vale argomentare che lo stesso legislatore italiano, intervenendo in materia, ha modificato la legislazione del 1991 con l’introduzione di una nuova normativa nel 1999 incentrata sullo schema della formazione-lavoro; anche ammettendo che il nuovo sistema sia più congeniale a disciplinare la specifica condizione dei medici specializzandi, non può desumersi dalla sola successione di leggi diverse che la precedente disciplina non fosse idonea in ordine al recepimento delle direttive ed a dare effettiva tutela al diritto ivi affermato dell’adeguata retribuzione». In altri termini, in conformità all’ordinanza n. 6355 del 2018, va affermato che il «nuovo ordinamento delle scuole universitarie di specializzazione in medicina e chirurgia introdotto con il decreto legislativo n. 368 del 1999 (a decorrere dall’anno accademico 2006/2007, in base alla legge n. 266 del 2005), e il relativo meccanismo di retribuzione, non possono pertanto ritenersi il primo atto di effettivo recepimento ed adeguamento dell’ordinamento italiano agli obblighi derivanti dalle direttive comunitarie, in particolare per
quanto riguarda la misura della remunerazione spettante ai medici specializzandi, ma costituiscono il frutto di una successiva scelta discrezionale del legislatore nazionale, non vincolata o condizionata dai suddetti obblighi». Ragione per cui l’inadempimento dell’Italia agli obblighi comunitari, sotto il profilo in esame, è cessato con l’emanazione del decreto legislativo n. 257 del 1991, come del resto la Corte di giustizia dell’Unione europea ha già da tempo affermato (v. le sentenze 25 febbraio 1999 in causa C-131/97, COGNOME, e 3 ottobre 2000 in causa C-371/97, Gozza); e il d.lgs. n. 368 del 1999 è intervenuto in un ambito di piena discrezionalità per il legislatore nazionale. 9.4. Alla luce di quanto detto fin qui, pare evidente che non c’è alcuno sp azio per invocare ipotetiche violazioni del diritto dell’Unione europea e che la causa promossa dai ricorrenti è finalizzata, in realtà, ad ottenere l’applicazione retroattiva del d.lgs. n. 368 del 1999. Ne consegue che ogni questione non può che riguardar e «esclusivamente l’ordinamento interno» (ordinanza n. 6355 del 2018). Ma, a prescindere dal fatto che nessuna doglianza risulta essere stata avanzata sotto tale profilo in sede di merito, osserva il Collegio che il differimento dell’entrata in vigore dell a normativa di cui al d.lgs. n. 368 del 1999 -che è una normativa più favorevole -rientrava nella discrezionalità del legislatore, sicché il farla scattare dal 2007 non solo non ha potuto determinare alcuna situazione di tardivo recepimento del diritto comunitario, ma nemmeno ha violato l’art. 3 Cost. sul versante della ragionevolezza, in quanto una normativa di favore e migliorativa rispetto ad una vigente può essere fatta entrare in vigore dal
legislatore nazionale nel momento in cui, secondo la discrezionalità che gli appartiene, egli lo reputi opportuno. Non si pone, perciò, alcuna questione di rinvio pregiudiziale e nemmeno alcuna questione di costituzionalità di diritto interno»; non resta quindi che richiamarsi a tale orientamento costante, che esclude dubbi sul piano del diritto eurounitario, anche quindi sotto il profilo risarcitorio: anzi, il risalire della regolazione al diritto interno – complessivamente inteso – assorbe poi, in ultima analisi, anche ogni profilo riguardante il blocco di aggiornamenti ed adeguamenti disposto sempre dalla normativa nazionale, secondo quanto argomentato dalle S.U. e dal costante orientamento cui esse hanno dato conferma;
nel merito degli adeguamenti (secondo motivo del ricorso principale; secondo motivo del primo ricorso incidentale; secondo motivo del secondo ricorso incidentale), non si può che fare rinvio, anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c., alla recente pronuncia delle S.U. con la quale è stato confermato l’orientamento già del tutto consolidato presso questa S.C., secondo cui «l’importo delle borse di studio dei medici specializzandi iscritti ai corsi di specializzazione negli anni accademici compresi tra il 1992/1993 e il 2005/2006 non è soggetto né all’incremento annuale in relazione alla variazione del costo della vita né all’adeguamento triennale, previsti dall’art. 6, comma 1, del d.lgs. n. 257 del 1991, in virtù del blocco di tali aggiornamenti previsto, con effetti convergenti e senza soluzione di continuità, dall’art. 7, comma 5, d.l. n. 384 del 1992, conv. dalla l. n. 438 del 1992, come interpretato dall’art. 1, comma 33, della l. n.
549 del 1995; dall’art. 3, comma 36, della l. n. 537 del 1993; dall’art. 1, comma 66, della l. n. 662 del 1996; dall’art. 32, comma 12, della l. n. 449 del 1997; dall’art. 22 della l. n. 488 del 1999; dall’art. 36 della l. n. 289 del 2002» (Cass., S.U., 19 luglio 2024, n. 20006) e ciò anche sul presupposto, ribadito dalle S.U., per cui «l’attività svolta dai medici iscritti alle scuole di specializzazione universitarie non è inquadrabile nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato né del lavoro parasubordinato, non essendo ravvisabile una relazione sinallagmatica di scambio tra la suddetta attività e la remunerazione prevista dalla legge. Trattasi piuttosto di un rapporto di diritto privato come tale sottratto ai limiti ed ai vincoli di disciplina che sono invece propri del rapporto di lavoro subordinato o parasubordinato, in ragione della rilevanza costituzionale e sovranazionale dei diritti coinvolti», trattandosi quindi di rapporti muniti di una propria autonoma regolazione legale, cui non possono sovrapporsi regole e principi propri del lavoro subordinato o autonomo; è del resto mal posto il richiamo a precedenti (Cass. 26 febbraio 2019, n. 5509; Cass. S.U. 31 luglio 2018, n. 20348, con rinvio anche a Corte di Giustizia 24 gennaio 2018 in cause riunite C-616/16 e C-617/16) che riguardano specializzandi di altre e anteriori annate per i quali era mancata del tutto l’attuazione interna del diritto europeo.
Vanno, infine, esaminati il primo motivo ed il quarto motivo del secondo ricorso incidentale. Le censure sono entrambe infondate.
La eccepita violazione dell’art. 36 Cost. trova la sua ragion d’essere nella asserita sussistenza della natura subordinata del rapporto instaurato con gli specializzandi. Va al riguardo premesso che non è inquadrabile nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato ne’ rientra tra le ipotesi della cosiddetta parasubordinazione (art. 409 n. 3 cod. proc. civ.) l’attività svolta dai medici iscritti alle scuole di specializzazione universitarie, non potendo essere ravvisata una relazione sinallagmatica di scambio tra la suddetta attività e gli emolumenti previsti dalla legge a favore degli specializzandi, essendo destinati tali emolumenti a sopperire alle esigenze materiali per l’impegno a tempo pieno posto dagli interessati nell’attività rivolta alla loro formazione, considerati dalla legge come borse di studio (art. 6 D.Lgs. 8 agosto 1991 n. 257 che ha dato attuazione alla direttiva del Consiglio CEE n. 76 del 26 gennaio 1982), e non costituiscono quindi il corrispettivo delle prestazioni svolte. Dette prestazioni non sono infatti rivolte ad un vantaggio per l’università, ma alla formazione teorica e pratica degli stessi specializzandi ai quali alla fine del corso viene rilasciato un attestato ed un titolo abilitante. (Cass. 6089/1998).
Orbene, la corte distrettuale ha correttamente escluso che l’attività prestata dagli appellanti quali medici iscritti alla scuola di di specializzazione possa essere inquadrata nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato o autonomo sulla scorta della giurisprudenza di legittimità soprarichiamata, secondo cui l’attività in questione costituisce espressione di una particolare ipotesi di contratto di formazione lavoro oggetto di specifica
disciplina rispetto alla quale non può essere ravvisata una relazione sinallagmatica di scambi tra l’attività prestata dagli specializzandi e la remunerazione prevista dalla legge a favore degli stessi.
In ordine alla censura relativa alla mancata compensazione delle spese è sufficiente rilevarne l’infondatezza non avendo la corte distrettuale violato la norma di cui all’art. 92 c.p.c. che ricollega la condanna alle spese alla soccombenza.
In conclusione, quanto sopra comporta il rigetto dei ricorsi; il rigetto determina l’assorbimento del ricorso incidentale condizionato.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo;
P.Q.M.
rigetta il ricorso principale e i due ricorsi incidentali; compensa le spese di lite del presente giudizio di cassazione.
Ai sensi dell’art.13, comma 1 quater del DPR 115/2002, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti principale e incidentali risultati soccombenti dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione, il 5.12.2024.
La Presidente dott. NOME COGNOME