Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 12799 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 12799 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da
RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa da ll’ AVV_NOTAIO, ed elettivamente domiciliati presso il suo RAGIONE_SOCIALE in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente-
Contro
RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa dagli AVV_NOTAIOti NOME COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso quest’ultimo dell’Area RAGIONE_SOCIALE Territoriale Centro di RAGIONE_SOCIALE, in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente-
avverso la sentenza del Tribunale di Trieste n.375/2021 pubblicata il 17.6.2021.
Oggetto: Bonifico domiciliato Pagamento a soggetto non legittimato
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25.1.2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
–RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE avrebbe commesso la medesima inadempienza in relazione a un gruppo di bonifici domiciliati e le relative cause sono state decise dal Giudice territoriale con decisioni pressoché sovrapponibili. Alcuni relativi giudizi sono stati decisi da questa Corte con sentenze nn. 2113, 2112, 2110, 2002, 1962, 209 del 2024, nn. 36587, 36584, 36576, 36518, 36490, 36485, 36441, 36425, 31555, 31542, 31536, 31489, 30932, 30737, 30729, 30525, 30518, 30513, 29239, 29233, 29224, 292°5, 29118, 27573, 27572 del 2023. Tutti i giudizi so no stati decisi in modo conforme nell’udienza pubblica del 13.9.2023.
-Nel presente giudizio c on atto di citazione notificato l’1.6.2018, RAGIONE_SOCIALE conveniva innanzi al Giudice di Pace di Trieste RAGIONE_SOCIALE, esponendo di aver ottenuto nel 1998 dalla convenuta l’apertura di un conto corrente, presso il quale nel 2010 aveva attivato il servizio di collegamento telematico Banco Posta Impresa Online (BPIOL) e mandati elettronici di pagamento. In virtù del suddetto servizio, in data 6 ottobre 2014 RAGIONE_SOCIALE, tramite RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, aveva inviato al domicilio eletto presso lo RAGIONE_SOCIALE, in Casoria (INDIRIZZO) un bonifico domiciliato di importo pari ad € 1.850,00, parola chiave 14007196 a titolo di risarcimento del danno in favore del sig. NOME COGNOME, nato a Napoli il DATA_NASCITA e ivi residente.
In seguito, il sig. COGNOME, non avendo ricevuto il pagamento, aveva appreso da RAGIONE_SOCIALE che il bonifico domiciliato a lei destinato era stato già incassato – a suo nome in data ’12 marzo 2015′ presso RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE; alla luce di tale circostanza, in data 20.3.2015, il sig. COGNOME aveva presentato querela, mentre RAGIONE_SOCIALE,
ottenuta copia della negoziazione del bonifico domiciliato, aveva scoperto che il bonifico era stato incassato da un soggetto falsamente identificatosi come l’avente diritto dietro presentazione di NUMERO_DOCUMENTO apparentemente rilasciata dal Comune di Castel Volturno in data 4.4.2014 su firma del tutto indecifrabile, documento che il Comune stesso, interpellato in merito, aveva negato di avere mai rilasciato.
– La RAGIONE_SOCIALE attrice precisava di aver quindi dovuto ef fettuare un nuovo pagamento del medesimo importo di € 1.850 questa volta con bonifico bancario, regolarmente pervenuto al legittimo beneficiario e di avere attivato la procedura di negoziazione assistita, cui RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE peraltro non aveva aderito.
-Altre otto cause, iscritte al ruolo generale ai numeri 1043, 1121, 1125, 1129, 1133, 1174, 1178 e 1182 dell’anno 2018, erano promosse da RAGIONE_SOCIALE nei confronti di RAGIONE_SOCIALE in relazione ad altrettanti incassi – allegati come fraudolenti, in quanto eseguiti da soggetti rimasti ignoti servendosi di documenti d’identità contraffatti – di bonifici domiciliati, scoperti a seguito delle querele presentate dai beneficiari; a loro fondamento, erano dedotti i medesimi profili, sopra esposti, di responsabilità contrattuale della convenuta.
In particolare, RAGIONE_SOCIALE chiedeva la restituzione delle seguenti somme:
nella causa n. 1043/2018, € 1.300 in relazione al bonifico domiciliato in favore di NOME COGNOME, inviato nel novembre 2014 presso lo RAGIONE_SOCIALE in Casoria INDIRIZZO, e incassato il ’12 marzo 2015′ (pag. 2; in realtà, come risulta documentalmente, si tratta del 13.11.2014; v. doc. 3 convenuta in primo grado) a suo nome da terzi;
nella causa n. 1121/2018, € 1.800 in relazione al bonifico domiciliato in favore di NOME COGNOME, inviato il 2.3.2015 presso lo
RAGIONE_SOCIALE in Casoria (INDIRIZZO), e incassato il ‘12.3.2015’ (pag. 2; in realtà, come risulta documentalmente, si tratta del 16.3.2015; v. doc. 1 convenuta in primo grado) a suo nome da terzi; – nella causa n. 1125/2018, € 2.300,00, in relazione al bonifico domiciliato in favore di NOME COGNOME, inviato ‘nel febbraio 2014’ e incassato il 26.2.2015 a suo nome da terzi ;
nella causa n. 1129/2018, € 1.500 in relazione al bonifico domiciliato in favore di NOME, inviato il 2.3.2015 al domicilio eletto presso l’RAGIONE_SOCIALE Tomo a Napoli, e incassato il 14.3.2015 a suo nome da terzi;
nella causa n. 1133/2018, € 1.900 in relazione al bonifico domiciliato in favore di NOME, inviato il 20.3.2015 al domicilio eletto presso lo RAGIONE_SOCIALE a Saviano (Na), e incassato il ‘12.3.2015’ (pag. 2; in realtà, come risulta documentalmente, si tratta del 31.3.2015; v. doc. 1 convenuta in primo grado) a suo nome da terzi;
nella causa n. 1174/2018, € 2.000 in relazione al bonifico domiciliato in favore di NOME COGNOME, inviato il 25.2.2015 al domicilio eletto presso l’RAGIONE_SOCIALE a Napoli, e incassato il 5.3.2015 a suo nome da terzi;
nella causa n. 1178/2018, € 1.700,00, in relazione al bonifico domiciliato in favore di NOME COGNOME, inviato il 1.4.2014, e incassato il 18.4.2014 a suo nome da terzi;
nella causa n. 1182/2018, € 1.000 in relazione al bonifico domiciliato in favore di NOME COGNOME, inviato l’8.4.2015 al domicilio eletto presso l’RAGIONE_SOCIALE a Casoria, e incassato il 16.4.2015 a suo nome da terzi.
Dopo avere respinto le istanze istruttorie della convenuta, con ordinanze del 21.9.2018 e 19.10.2018, sull’opposizione dell’attrice, il Giudice di Pace disponeva la riunione, chiesta da RAGIONE_SOCIALE, alla causa n. 1039/2018 R.G. delle ulteriori successive otto
cause. RAGIONE_SOCIALE evidenziava un abuso del processo, traendo la pretesa – come numerose altre, in numero di circa 80, proposte innanzi al medesimo Ufficio – fondamento da un unico rapporto obbligatorio, e avendo tutte medesimo oggetto, stesse parti, e involgendo la risoluzione della stessa questione giuridica.
5. -Con sentenza n. 670/2018 depositata il 28.12.2018, il Giudice di Pace, respinta l’eccezione di incompetenza, considerava che l’attrice RAGIONE_SOCIALE avesse adempiuto l’onere probatorio di dimostrare l’esistenza del contratto inter partes, il pagamento del bonifico domiciliato a soggetto diverso da quello legittimato, che aveva esibito un documento falso ‘così come anche chiaramente risultante dalla querela sporta dal beneficiario’ ; nella fattispecie trovava applicazione ‘ la normativa relativa all’assegno n on trasferibile, con conseguente operatività dell’articolo 43 L. Assegni’ ;
6. –RAGIONE_SOCIALE proponeva gravame, dinanzi al Tribunale di Trieste che, con la sentenza qui impugnata, accoglieva l’appello e riformava la sentenza di I grado rigettando le domande di accertamento di inadempimento e condanna proposte da RAGIONE_SOCIALE
Per quanto qui di interesse il Tribunale statuiva che:
a) la riunione di procedimenti non fa venir meno l’autonomia delle cause riunite nello stesso processo, con la conseguenza che la sentenza, formalmente unica, consta in realtà di tante pronunce quante sono le cause riunite, non ripercuotendosi le statuizioni e gli atti riferiti ad un processo sull’altro processo sol perché questo è stato riunito al primo (v., tra le molte, Cass. 13.7.2018, n. 18649; Cass. 6.11.2020, n. 24928; Cass. 26.2.2021, n. 5434). RAGIONE_SOCIALE ha proposto, separatamente, nove domande di risarcimento del danno che traggono origine da altrettanti fatti ben distinti tra loro, relativi, ciascuno, al pagamento di uno specifico bonifico domiciliato destinato a un ben specifico destinatario. Il Giudice di Pace, pur
accogliendo tutte le nove diverse domande, non le ha esaminate separatamente, valutando in modo distinto e a autonomo, sulla base delle risultanze probatorie disponibili, i fatti posti a loro fondamento, ma ha ritenuto integrata la responsabilità di RAGIONE_SOCIALE ritenendo, peraltro pure in modo indistinto e quindi senza specificare a quale delle nove fattispecie dedotte in giudizio facesse riferimento, che ‘il bonifico’ (laddove, si ribadisce, i bonifici in questione erano ben nove) ‘risulta essere stato incassato da un soggetto diverso da chi legittimato’ (pagg. 3 -4), sulla base della presentazione di ‘un documento falso’ . La fondatezza, riconosciuta pure dall’appellata, della censura di RAGIONE_SOCIALE non può però comportare, di per sé sola, la riforma della sentenza impugnata, determinando invece la necessità, per il giudice di secondo grado, di procedere all’esame separato, omesso in primo grado, delle singole domande, onde accertarne, tenuto conto del limite segnato dai motivi di gravame, la fondatezza o no. Comuni a tutte le cause riunite sono invece sia il rapporto contrattuale tra le parti, sulla cui base sono stati disposti i singoli bonifici domiciliati, sia i profili di inadempimento di RAGIONE_SOCIALE posti a fondamento delle domande risarcitorie, costituiti dalla violazione delle clausole contrattuali, di seguito illustrate, che pongono a carico dell’appellante di assicurare la sicurezza della disposizione telematica di pagamento, di identificare correttamente il soggetto pres entatosi all’incasso e di negoziare correttamente il titolo.
b) Il c.d. bonifico domiciliato è un servizio, disciplinato dalle condizioni contrattuali del conto corrente Bancoposta Impresa, che ‘consente di impartire a RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, attraverso BPIOL, disposizioni di pagamento, riscuotibili in contanti presso gli Uffici Postali, a favore dei beneficiari indicati dal Correntista ordinante’ ; c) La sentenza impugnata ha accolto la domanda, ritenendo da un lato che RAGIONE_SOCIALE avesse assolto all’onere di provare che il mandato
elettronico fu pagato a soggetto diverso dal beneficiario, e dall’altro che RAGIONE_SOCIALE non avesse invece provato di avere operato con la diligenza necessaria, omettendo l’adozione delle cautele del caso, limitandosi ad allegare la regolarità del pagamento del mandato elettronico;
d) il bonifico è assimilato a una delegazione di pagamento che si inserisce nel rapporto di mandato sotteso a quello di conto corrente, e consiste nell’incarico del terzo (ordinante) dato all’istituto depositario di accreditare al beneficiario (non necessariamente cliente, nel caso del bonifico domiciliato di RAGIONE_SOCIALE) la somma oggetto della provvista: si tratta di una delegatio solvendi. La sola differenza rispetto a quanto accade nelle delegazioni ordinarie, è che nel caso in esame il perfezionamento del negozio, e di conseguenza il sorgere dell’obbligo del delegato verso il delegante, prescinde da una formale accettazione, da parte del delegato, dell’ordine impartito dal correntista- delegante, in quanto questa efficacia vincolante dell’ordine di pagamento discende a sua volta dalla precedente convenzione tra le parti ed in forza della quale il depositario si è già obbligato ad eseguire gli incarichi che il cliente in futuro gli conferirà, e con i quali viene ulteriormente specificato il mandato conferito inizialmente;
la comunanza (parziale) di effetti tra tale operazione e l’assegno bancario non è idonea ad assimilare due fattispecie ontologicamente così diverse, quali una delegazione titolata ed un titolo di credito: ne deriva che alla fattispecie non possono essere estesi in via automatica – come ritenuto dal Giudice di prime cure – i principi contenuti nella disposizione dell’art. 43, secondo comma, del r.d. 21 dicembre 1933, n. 1736, dettati per l’assegno circolare in forza del richiamo contenuto nel successivo art. 86.
in difetto di espressa previsione di legge o di contratto, o dell’emergere di specifiche circostanze tali da richiedere maggiori
cautele ai fini dell’assolvimento dell’obbligo di identificazione secondo gli standard propri del banchiere, la convenuta non era tenuta ad effettuare alcun accertamento ulteriore, una volta verificata la legittimazione del soggetto presentatosi per l’inca sso del bonifico;
RAGIONE_SOCIALE non ha allegato, né tantomeno provato, di avere dato tali ulteriori istruzioni (quali, ad esempio, informazioni di carattere anagrafico) a RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, che avrebbero consentito una più completa identificazione del beneficiario. Va inoltre considerato che solamente il destinatario della comunicazione contenente la password del bonifico poteva ottenere il pagamento, dopo essersi presentato ed essere stato identificato come il beneficiario del pagamento;
l’obbligo di RAGIONE_SOCIALE di verificare l’identità del soggetto che si presenta per l’incasso esaminando più documenti di riconoscimento risulterebbe contrattualmente previsto, e ha invocato al riguardo l’art. 3.2 – Sezione C – parte II delle condizioni di contratto, laddove prevede che: ‘RAGIONE_SOCIALE è tenuta a identificare il beneficiario, riscontrando la concordanza dei dati anagrafici contenuti nella disposizione telematica con quelli riportati sui documenti di riconoscimento presentati dal beneficiario per la riscossione’ non sussiste, poichè l’utilizzo, nella disposizione convenzionale, del plurale (‘documenti’), non assume il significato, in difetto di specifica previsione in tal senso, di obbligo di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di richiedere l’esibizione di almeno due documenti di identità onde identificare il beneficiario, ma solo quello di non subordinare il pagamento del mandato all’esibizione di uno specifico ‘documento’ d’identità, consentendo al beneficiario di scegliere tra la pluralità di ‘documenti’ previsti dalla legge (v. art. 35, comma 2, D.P.R.. 445/2000) idonei ad accertare l’identità personale.
Il Tribunale esaminava, poi, ogni diversa situazione fattuale presente nei singoli giudizi riuniti per concludere con la statuizione di rigetto e di condanna alle spese per ciascun giudizio riunito.
–RAGIONE_SOCIALE ha presentato ricorso per cassazione con due motivi ed anche memoria.
RAGIONE_SOCIALE, ha presentato controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorrente deduce:
8. -Con il primo motivo: Violazione e falsa applicazione dell’art. 43, comma 2, r.d. 21 dicembre 1933, n. 1736 (Legge Assegni) e dell’art. 12 Disp. sulla legge in generale, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 1. c.p.c. Il Tribunale ha escluso che al caso in esame si possa applicare, in via analogica, la disciplina prevista dall’art. 43 della Legge Assegni in materia di pagamento di assegno non trasferibile. Il servizio di bonifico domiciliato – che quanto alla sua struttura consiste in una delegazione di pagamento in favore di una persona specifica, effettuata dal correntista all’Istituto bancario a valere sul sottostante e collegato rapporto di conto corrente da cui va tratta la provvista necessaria -presenta evidenti tratti di somiglianza con la struttura dell’assegno bancario non trasferibile.
8.1. -Questa Corte si è già espressa negli altri giudizi tra le medesime parti con le medesime doglianze rispetto alle sentenze del Tribunale di Trieste.
La censura è inammissibile in considerazione della reale ratio decidendi della sentenza impugnata, con la quale esso non sembra adeguatamente confrontarsi (v., già, in tal senso, con riguardo ad una fattispecie sovrapponibile alla presente, (Cass., n. 26866/2022). Il giudice d’appello, infatti, pur affermando che alla fattispecie in esame non può estendersi la disciplina contenuta nel R.D. n. 1736 del 1933, art. 43, comma 2, ha ritenuto soggetta la fattispecie
medesima al regime della responsabilità contrattuale, correttamente sancendo, sul piano della ripartizione dell’onere probatorio, che gravava su RAGIONE_SOCIALE l’onere di dimostrare, alternativamente, o di avere esattamente adempiuto (pagando al reale beneficiario) o (nell’ipotesi in cui avesse pagato a persona diversa) di avere comunque eseguito la prestazione con la dovuta diligenza (che è quella nascente, ai sensi dell’art. 1176, comma 2, c.c.dalla sua qualità di operatore professionale, tenuto a rispondere del danno anche in ipotesi di colpa lieve), con conseguente non imputabilità dell’inadempimento.
Tale regime di responsabilità (con la connessa regola di riparto dell’onere probatorio), a seguito dell’interpretazione evolutiva dell’art. 43, comma 2, l.a., offerta dalla giurisprudenza di legittimità, non si differenzia dal regime che connota la responsabilità della banca negoziatrice verso il traente per l’ipotesi di pagamento dell’assegno bancario non trasferibile a persona diversa dal prenditore.
Infatti questa Corte, nel suo massimo consesso (con la sentenza n. 12477/2018 delle Sezioni Unite, richiamata anche dalla ricorrente) ha affermato – e il principio è stato successivamente più volte ribadito a sezione semplice (Cass., n. 12861/2023; Cass., n. 3649/2021) – che la responsabilità della banca negoziatrice ha carattere contrattuale da ‘contatto sociale’ e, pertanto, non ha natura di responsabilità oggettiva, la quale è ravvisabile solo laddove difetti un rapporto in senso lato “contrattuale” tra danneggiante e danneggiato, ed il primo sia chiamato a rispondere del fatto dannoso nei confronti del secondo, non per essere con questi entrato in contatto, ma in ragione della particolare posizione rivestita o della relazione che lo lega alla res causativa del danno.
Da tale principio è stata tratta l’implicazione che la norma del R.D. n. 1736 del 1933, art. 43, comma 2, non comporta alcuna deroga ai
principi generali in tema di identificazione del presentatore del titolo, talché la responsabilità della banca non si configura “in ogni caso”, anche a prescindere dall’elemento della colpa nell’errore sulla identificazione del prenditore, essendo la debitrice ammessa, nell’ipotesi di tale errore, alla prova liberatoria di avere comunque usato la dovuta diligenza nel procedere all’identificazione medesima. Anche alla luce della ratio decidendi della sentenza impugnata, pertanto, l’applicazione o meno del citato art. 43, comma 2, l.a., non avrebbe mutato, nella sostanza, il regime di responsabilità concretamente applicabile nella fattispecie, desumibile, pur sempre, dalle regole generali contenute negli artt. 1176, comma 2, e 1218 c.c.
8.2. -In ogni caso, ove pure fosse stato possibile delibarlo nel merito, il primo motivo di ricorso sarebbe stato infondato.
Correttamente il giudice di appello ha inquadrato il bonifico domiciliato nello schema della delegazione di pagamento, la quale, con riguardo al regime di responsabilità del delegato nei confronti del delegante per l’erronea individuazione del delegatario, è soggetta alla disciplina del mandato, che, a sua volta, ripete quella generale di cui all’art. 1218 c.c.
La fattispecie del bonifico domiciliato, pertanto, risulta debitamente disciplinata dalla legge, non ponendosi alcuna necessità di ricorrere, attraverso il procedimento analogico, a “disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe” (arg. ex art. 12 preleggi) e quindi, nella specie, alla regola che disciplina la responsabilità della banca negoziatrice verso il traente di un assegno non trasferibile, a prescindere dalla asserita “somiglianza” tra i due istituti».
9 . -Con il secondo motivo: Violazione o falsa applicazione di norme di diritto (artt. 1362, 1366, 1370, 1218, 1175, 1176, comma 2, e 2697 c.c.; 35, comma 2, D.P.R. n. 445/ 2000), ai sensi del l’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., in tema di individuazione del contenuto del
contratto concluso tra le parti e in tema di regime della prova liberatoria dell’inadempimento gravante sul debitore relativamente al grado di diligenza richiesto ed alla non imputabilità dell’impossibilità della prestazione. Tema della falsità materiale i ctu oculi riconoscibile del documento di identità.
Il motivo articola tre diversi profili di censura.
Con una prima doglianza espone che il Tribunale ha escluso la responsabilità della RAGIONE_SOCIALE (anche) in base all’assunto che essa non disponeva di ‘ulteriori istruzioni che pure potevano esserle date’ violando l’art. 1176 c.c.
Sotto un secondo profilo si censura la dichiarata corretta condotta di RAGIONE_SOCIALE diretta ad identificare il presunto beneficiario del bonifico attraverso la verifica – oltre che del codice fiscale e della password posseduti – dell’unico documento di identità da lui esibito allo sportello, omettendo l’esame di due documenti di riconoscimento.
c)Sotto un terzo profilo, infine, la sentenza impugnata è censurata per avere ritenuto che RAGIONE_SOCIALE avesse provato, in alternativa all’esatto adempimento, il carattere non imputabile del proprio inadempimento, ai sensi dell’art. 1218 c.c., dimostrando di aver tenuto una condotta conforme al modello di diligenza qualificata (ex art. 1176, comma 2, c.c.) nell’identificazione del beneficiario del pagamento.
La società ricorrente evidenzia che non è stata prodotta in giudizio una copia dei documenti che la banca esecutrice avrebbe asseritamente esaminato ai fini dell’identificazione del percettore, sicché della concreta effettuazione di tale esame essa non avrebbe dato alcuna prova, pur essendovi onerata.
9.1 -Le tre censure in cui si articola il secondo motivo di ricorso sono in parte inammissibili e in parte infondate. Sub a) in particolare:
E’, anzitutto, inammissibile la prima censura con cui si critica la sentenza impugnata per avere ritenuto – evidentemente sulla base di un accertamento di fatto – che il flusso della disposizione telematica effettuata da RAGIONE_SOCIALE conteneva l’indicazione del nominativo, dell’indirizzo e del codice fiscale del beneficiario, ma non anche gli elementi ulteriori della data di nascita e degli estremi del documento di riconoscimento, non indicati negli appositi “campi” informatici, che avrebbero potuto consentire all’operatore postale di riscontrare l’eventuale diversa identità del soggetto richiedente il pagamento.
Questa censura, oltre che tendente a suscitare dalla Corte di legittimità un apprezzamento dei fatti alternativo a quello svolto dal giudice del merito (in ordine alla asserita non corrispondenza al vero della circostanza relativa alla possibilità per l’ordinante, di inserire dati ulteriori nella piattaforma telematica), non si confronta con la reale ratio decidendi della statuizione impugnata.
Il giudice di appello, infatti, non ha diminuito o escluso la responsabilità contrattuale della debitrice RAGIONE_SOCIALE in ragione del rilievo di un fatto colposo esclusivo o concorrente della creditrice RAGIONE_SOCIALE, ma ha escluso la responsabilità della debitrice per avere questa dimostrato di aver tenuto una condotta diligente nella identificazione del preteso beneficiario del bonifico domiciliato, pagando – dopo avere compiuto le verifiche previste dalle condizioni generali di contratto – alla persona che aveva esibito un documento di identità con le generalità del reale creditore, e che inoltre era in possesso del codice fiscale e della password per l’incasso.
Rispetto a questa ratio decidendi resta evidentemente estraneo il rilievo relativo alla mancata comunicazione telematica di dati ulteriori relativi alla persona del beneficiario che ne avrebbero consentito una più completa individuazione; rilievo che deve
reputarsi svolto ad abundantiam da parte del giudice del merito, con conseguente inammissibilità della censura ad esso rivolta».
Sub b) E’ inammissibile nella parte in cui critica l’interpretazione compiuta dal giudice di appello del contratto concluso tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, sull’assunto che, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, il detto regolamento contrattuale (art. 3) avrebbe obbligato espressamente RAGIONE_SOCIALE, in qualità di delegata al pagamento, a riscontrare la concordanza dei dati anagrafici contenuti nella disposizione telematica con quelli riportati sui “documenti di riconoscimento”, così imponendo testualmente la presentazione (e la conseguente verifica), non già di un solo documento, bensì di più documenti di identità corrispondenti ai tipi individuati nel D.P.R. n. 445 del 2000, art. 35, comma 2.
Secondo il pacifico e consolidato orientamento di questa Corte, l’interpretazione del contratto, traducendosi in un’operazione di ricerca ed individuazione della comune volontà dei contraenti, costituisce un accertamento di fatto, riservato al giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità se non per violazione delle regole ermeneutiche (ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c.), oppure per inadeguatezza di motivazione (ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c. nella formulazione antecedente alla novella di cui al D.L. n. 83 del 2012, ove applicabile), oppure, ancora, nel vigore del novellato testo di detta norma, per omesso esame di un fatto decisivo e oggetto di discussione tra le parti (Cass., n. 14355/2016; v. anche, tra le altre, Cass., n. 13399/2005).
La censura, in concreto formulata, non può risolversi in una critica del risultato esegetico raggiunto dal giudice del merito, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione, atteso che, per sottrarsi al sindacato di legittimità, l’interpretazione data al contratto dal giudice del merito non deve essere l’unica possibile, né la migliore in astratto, ma una delle
possibili, e plausibili, interpretazioni (ex multis, Cass., n. 10131/2006; Cass., n. 24539/2009; Cass., n. 27136/2017; Cass., n. 28319/2017).
Nel caso di specie, il giudice d’appello ha espressamente considerato il testo delle condizioni generali di contratto che imponevano a RAGIONE_SOCIALE di riscontrare «la concordanza dei dati anagrafici contenuti nella disposizione telematica con quelli riportati sui documenti di riconoscimento presentati dal beneficiario della riscossione» ed ha, all’evidenza, plausibilmente interpretato l’espressione “documenti di riconoscimento presentati” come riferita al documento di identità di volta in volta esibito allo sportello dal richiedente il pagamento. D’altra parte, la plausibilità di tale interpretazione trova conferma nella circostanza che la clausola contrattuale non prevedeva che il beneficiario dovesse presentare due documenti ma si limitava, genericamente, a fare riferimento ai “documenti di riconoscimento presentati dal beneficiario”, così rendendo evidente che, ai fini dell’esatto adempimento dell’obbligazione contrattualmente assunta, era sufficiente che la verifica dei dati anagrafici contenuti nella disposizione telematica fosse condotta controllandone la corrispondenza con quelli presenti nel documento di identità di volta in volta esibito dai richiedenti.
La circostanza che il giudice del merito abbia fornito una interpretazione del contratto sicuramente plausibile (se non decisamente corretta) esclude la possibilità di dolersene in sede di legittimità sol perché la parte che propone la censura aveva interesse a che fosse privilegiata una diversa interpretazione rimasta disattesa.
La seconda censura veicolata appare, dunque, sotto questo aspetto, inammissibile, in quanto si risolve nella mera critica del risultato interpretativo raggiunto dal Tribunale e nella non consentita
contrapposizione, a quella fornita dal giudice di merito, di una diversa e più favorevole interpretazione del contratto.
La seconda censura è, invece, infondata nella parte in cui sull’assunto che il giudizio di osservanza o di violazione della regola di diligenza di cui all’art. 1176 c.c., formulato dal giudice del merito, sarebbe censurabile in Cassazione quando si ponga in contrasto con gli “standard valutativi esistenti nella realtà sociale” nell’ipotesi in cui «il caso concreto sia idoneo a fungere da modello generale di comportamento in una serie indeterminata di casi analoghi» sostiene che il necessario esame di due documenti di identità, ai fini dell’esatto adempimento dell’obbligo di identificazione del beneficiario del bonifico, sarebbe stato comunque imposto, a prescindere dalle previsioni contrattuali, dall’esigenza di conformarsi al modello di diligenza professionale di cui all’art. 1176, comma 2, c.c. in conformità alla raccomandazione contenuta nella circolare ABI del 7 maggio 2001.
Al riguardo va osservato che – sebbene sia condivisibile, in linea generale, l’assunto secondo il quale il giudizio di inadempimento (o di adempimento) e il conseguente giudizio di responsabilità (o irresponsabilità) contrattuale, pur essendo riservati al giudice del merito, restano sindacabili in Cassazione quando si pongano in contrasto con i principi dell’ordinamento, come espressi dalla giurisprudenza di legittimità e con quegli standard valutativi esistenti nella realtà sociale che concorrono, con i menzionati principi, a comporre il diritto vivente (entrambi idonei a riempire di contenuto la nozione “elastica” di diligenza professionale richiesta dall’art. 1176 c.c., comma 2: in tal senso, ad es., Cass., n. 8047/2019 e Cass., n. 34107/2019) – nella fattispecie non solo deve recisamente escludersi tale contrasto, ma deve riconoscersi che, al contrario, tanto i principi ordinamentali espressi dal diritto vivente quanto gli standard sociali
integrativi dello stesso sarebbero stati violati proprio se fosse stata affermata la necessità della esibizione di due documenti di identità. In tal modo, infatti, per un verso, sarebbero stati disattesi i principi affermati da questa Corte circa il carattere non precettivo della raccomandazione contenuta nella circolare ABI del 7 maggio 2001 (Cass., n. 34107/2019 e Cass., n. 26866/2022); per altro verso, sarebbe stata disapplicata la regola, desumibile dalle disposizioni di legge sull’efficacia certificativa dei singoli documenti d’identità – e comunque socialmente riconosciuta -secondo cui l’attività di identificazione delle persone fisiche avviene normalmente tramite il riscontro di un solo documento di identità personale.
Sub c) La terza censura, infine, è infondata, sia nella parte in cui deduce la violazione delle regole di riparto dell’onere probatorio, sia nella parte in cui deduce la violazione dell’art. 1176, comma 2, c.c.. Il giudice d’appello ha ritenuto che RAGIONE_SOCIALE avesse fornito la prova di avere adoperato la dovuta diligenza professionale nell’identificazione della persona presentatasi all’incasso, da un lato procedendo, nel rispetto delle condizioni generali di contratto, a riscontrare la concordanza dei dati anagrafici contenuti nella disposizione telematica effettuata da RAGIONE_SOCIALE con quelli riportati sul documento di riconoscimento presentato allo sportello dal preteso beneficiario per la riscossione; e, dall’altro lato, ricevendo, da parte di quest’ultimo, la comunicazione del proprio codice fiscale e della parola chiave fornitagli dall’ordinante, onde controllarne la coincidenza con quelli presenti nel flusso del mandato elettronico.
Muovendo da tale accertamento di fatto, il giudice di appello ha dunque inferito che del documento, i cui estremi erano stati annotati sulla quietanza di pagamento insieme al codice fiscale, non fosse “dato conoscere (e cioè, in sostanza, non fosse apprezzabile) l’eventuale falsità”; ha evidenziato che nella predetta quietanza era
stata riportata anche la data di nascita corrispondente a quella, mai comunicata, del beneficiario, come successivamente indicato negli atti di causa; ha rilevato che ‘in base agli standard valutativi di matrice sociale ovvero ricavabili all’interno del l’ ordinamento positivo è poi noto che l’attività di identificazione delle persone fisiche avviene normalmente tramite il riscontro di un solo documento d’identità personale’ e ha concluso che la condotta, dettagliatamente indicata, tenuta nella specie dall’a ttuale controricorrente fosse ‘sufficientemente diligente’.
Viene, dunque, in considerazione un motivato accertamento di merito (come tale, incensurabile in sede di legittimità), all’esito del quale il giudice d’appello, lungi dall’attribuire l’onere probatorio ad una parte diversa da quella cui sarebbe spettato secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla distinzione tra fatti costitutivi ed eccezioni (nel che soltanto sarebbe ravvisabile la violazione dell’art. 2697 c.c.: cfr., ex multis, Cass., n. 13395/2018 e Cass., n. 26769/2018), ha invece ritenuto che RAGIONE_SOCIALE avesse debitamente assolto quello impostole dalla norma generale di cui all’art. 1218 c.c., pur traendo questa dimostrazione, anziché dal mezzo di prova precostituita rappresentato dalla copia del documento (che non è stata prodotta agli atti), dal ragionamento inferenziale fondato su una presunzione che, movendo dal fatto accertato dell’espletamento della procedura stabilita e dell’annotazione degli estremi del documento nella quietanza, ha consentito di risalire al fatto ignoto della verifica della sua – almeno prima facie – apparente autenticità.
Da un lato, dunque, la mancata produzione in giudizio della copia del documento rileva, non come fatto sostanziale indice della “ontologica non prefigurabilità in astratto della dimostrazione dell’adempimento dell’obbligo di identificazione”, bensì come mera omissione processuale e probatoria, ovverosia come mancata allegazione di un
mezzo probatorio precostituito del fatto oggetto della prova liberatoria della debitrice, che il giudice del merito, nel pieno esercizio delle proprie prerogative, ha tuttavia reputato irrilevante, ritenendo di poter desumere la predetta prova liberatoria da un diverso mezzo istruttorio, costituito dal ragionamento presuntivo; al riguardo, va ricordato il consolidato principio secondo il quale tanto l’accertamento dei fatti, quanto l’apprezzamento – ad esso funzionale – delle risultanze istruttorie è attività riservata al giudice del merito, cui compete non solo la valutazione delle prove ma anche la scelta, insindacabile in sede di legittimità, di quelle ritenute più idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi (Cass., n. 16499/2009; Cass., n. 13485; Cass., n. 16467; Cass., n. 11511). Dall’altro lato, l’accertata posizione in essere, da parte di RAGIONE_SOCIALE, di una attività di identificazione della persona presentatasi allo sportello, fondata sulla previa verifica -oltre che della corrispondenza della password e del codice fiscale a quelli indicati nel flusso telematico -anche dell’apparente autenticità del documento di identità da essa esibito, non può essere considerata in contrasto né con i principi ordinamentali né con gli standard valutativi sociali della diligenza professionale, dal momento che essa attività, al contrario, appare perfettamente conforme alla regola, socialmente riconosciuta, secondo cui l’identificazione delle persone fisiche avviene normalmente tramite il riscontro del documento di identità di volta in volta esibito (Cass., n. 34107/2019); né, in mancanza di specifica prescrizione normativa, può reputarsi esistente una best practice che impone al delegato di pagamento l’estrazione di copia e la conseguente conservazione del documento esaminato in funzione dell’identificazione del delegatario, anche in ragione della necessità di bilanciare le esigenze dell’attività di identificazione con quelle di tutela della riservatezza della persona identificata, che consentono la conservazione della copia riprodotta
solo in casi stabiliti selettivamente dalla legge e non oltre il tempo necessario in rapporto alle finalità perseguite (cfr. la Delib. del Garante per la Protezione dei Dati Personali 27 ottobre 2005)».
10. -Per quanto esposto, il ricorso va rigettato con compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità in ragione del rilievo sistematico della questione sottoposta all’esame della Corte.
P.Q.M .
La Corte rigetta il ricorso con compensazione delle spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30.5.2002, n.115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, l. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Prima Sezione