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Bonifico domiciliato: quando la banca non è colpevole

Una società assicuratrice disponeva un bonifico domiciliato a favore di una sua creditrice. Un impostore, presentatosi allo sportello con un documento d’identità (presumibilmente falso ma apparentemente valido), il codice fiscale e la password corretta, incassava la somma. La società disponente, costretta a pagare una seconda volta la vera creditrice, citava in giudizio l’istituto di pagamento per inadempimento. La Corte di Cassazione ha stabilito che, a differenza dell’assegno non trasferibile, il bonifico domiciliato è regolato dalle norme sul mandato. Di conseguenza, l’istituto di pagamento non è responsabile se dimostra di aver agito con la diligenza professionale richiesta, identificando chi si presenta all’incasso tramite la verifica del documento, del codice fiscale e della password fornita dal disponente, anche senza conservarne una copia.

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Pubblicato il 26 ottobre 2025 in Diritto Bancario, Diritto Civile, Giurisprudenza Civile

Bonifico domiciliato e pagamento all’impostore: la Cassazione chiarisce la responsabilità

Il bonifico domiciliato rappresenta uno strumento utile per trasferire somme di denaro a beneficiari che non dispongono di un conto corrente. Ma cosa succede se l’istituto di pagamento eroga la somma a un truffatore che si presenta con documenti falsi? Con la sentenza n. 2002/2024, la Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti cruciali sulla diligenza richiesta all’intermediario e sui confini della sua responsabilità, distinguendo nettamente questo strumento dall’assegno non trasferibile.

I Fatti di Causa: Il Pagamento Controverso

Una compagnia assicurativa aveva disposto un bonifico domiciliato di 2.000,00 Euro a favore di una propria creditrice, comunicandole le istruzioni e la password necessarie per l’incasso. Tuttavia, a ritirare la somma si presentava una persona diversa dalla reale beneficiaria. Quest’ultima, pur esibendo un documento di identità con le generalità corrette (ma presumibilmente falso) e fornendo il codice fiscale e la password esatti, era in realtà un’impostora.

Di conseguenza, la compagnia assicurativa si vedeva costretta a effettuare un secondo pagamento per soddisfare la vera creditrice e citava in giudizio l’istituto di pagamento, chiedendo il risarcimento del danno per inadempimento contrattuale.

Il Percorso Giudiziario: Dal Giudice di Pace alla Cassazione

Il Giudice di Pace accoglieva la domanda della compagnia, applicando per analogia la disciplina dell’assegno non trasferibile (art. 43, R.D. 1736/1933), che prevede una responsabilità quasi oggettiva della banca in caso di pagamento a persona non legittimata.

La decisione veniva però integralmente riformata in appello. Il Tribunale rigettava la domanda, sostenendo che il bonifico domiciliato non è un titolo di credito, ma si inquadra nella delegatio solvendi, regolata dalle norme sul mandato. Secondo il giudice d’appello, l’istituto di pagamento aveva adempiuto con la dovuta diligenza, avendo verificato la carta d’identità, il codice fiscale e la password, elementi che consentivano di ritenere assolto l’onere di identificazione. La questione giungeva così all’esame della Corte di Cassazione.

La qualificazione giuridica del bonifico domiciliato

La Suprema Corte ha confermato l’impostazione del giudice d’appello, rigettando il ricorso della compagnia assicurativa. I giudici hanno chiarito che il bonifico domiciliato è ontologicamente diverso da un assegno. Non essendo un titolo di credito, non gli si può applicare per analogia la stringente disciplina prevista per gli assegni.

La sua natura giuridica è quella della delegazione di pagamento, per cui l’istituto incaricato agisce come un mandatario del disponente. La responsabilità per un eventuale pagamento errato va quindi valutata secondo le regole generali sull’inadempimento contrattuale, in particolare gli articoli 1176 (diligenza nell’adempimento) e 1218 (responsabilità del debitore) del codice civile.

La diligenza professionale nel bonifico domiciliato e l’onere della prova

Il punto centrale della decisione riguarda lo standard di diligenza esigibile dall’operatore professionale. L’istituto di pagamento ha l’onere di provare di aver adempiuto correttamente o, in caso di errore, che l’inadempimento non gli è imputabile. Nel caso di specie, la Cassazione ha ritenuto che la prova della diligenza fosse stata raggiunta.

La verifica del documento d’identità

La Corte ha stabilito che la verifica di un solo documento di identità, apparentemente autentico, unita al riscontro del codice fiscale e della password segreta, costituisce una condotta conforme al modello di diligenza professionale. Non esiste una norma o una best practice che imponga all’intermediario di richiedere due documenti di identità o di conservarne una copia. Anzi, la conservazione della copia è limitata a casi specifici previsti dalla legge, anche per tutelare la privacy dell’interessato.

Il fatto che l’istituto non abbia prodotto in giudizio la copia del documento non è stato ritenuto decisivo. Il giudice di merito ha legittimamente desunto la prova dell’avvenuta verifica da altri elementi, come l’annotazione degli estremi del documento sulla quietanza di pagamento, attraverso un ragionamento presuntivo.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha motivato la sua decisione sottolineando la corretta qualificazione del bonifico domiciliato come delegazione di pagamento soggetta alle norme sul mandato. Di conseguenza, la responsabilità dell’intermediario non è oggettiva, ma va valutata alla luce del criterio della diligenza professionale (art. 1176, comma 2, c.c.). I giudici hanno ritenuto che l’istituto di pagamento avesse fornito la prova liberatoria, dimostrando di aver eseguito tutte le verifiche richieste dalle condizioni contrattuali e dalla prassi comune: riscontro della concordanza dei dati anagrafici sul documento presentato, verifica del codice fiscale e della password comunicata dal disponente. La Corte ha inoltre precisato che non sussiste un obbligo generalizzato di richiedere un secondo documento o di conservarne copia, e che l’avvenuta verifica può essere provata anche per presunzioni, come l’annotazione degli estremi sulla quietanza. Pertanto, l’operato dell’istituto è stato giudicato diligente e non colpevole.

Le conclusioni

In conclusione, la sentenza stabilisce un importante principio: nel servizio di bonifico domiciliato, l’istituto di pagamento che paga a un impostore non è responsabile se dimostra di aver agito con la diligenza dell’operatore professionale qualificato. Tale diligenza si considera assolta quando l’identificazione del presentatore avviene tramite il controllo di un documento di identità apparentemente valido e la verifica di ulteriori elementi di sicurezza forniti dal disponente, come il codice fiscale e una password. La decisione rafforza il principio secondo cui la responsabilità dell’intermediario non è automatica, ma deve essere accertata in concreto, bilanciando l’esigenza di prevenire le frodi con un modello di diligenza ragionevole e sostenibile.

Quale regime di responsabilità si applica al bonifico domiciliato in caso di pagamento a un soggetto non legittimato?
Al bonifico domiciliato si applica il regime della responsabilità contrattuale basato sulle norme del mandato (artt. 1176 e 1218 c.c.), e non quello, più severo, previsto per l’assegno non trasferibile. L’istituto di pagamento è responsabile solo se non dimostra di aver agito con la diligenza professionale richiesta.

È sufficiente controllare un solo documento di identità per adempiere all’obbligo di diligenza nel pagamento di un bonifico domiciliato?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, la verifica di un solo documento di identità apparentemente autentico, unitamente al controllo di altri dati di sicurezza come il codice fiscale e la password, è sufficiente per considerare la condotta dell’intermediario diligente. Non è socialmente o legalmente esigibile la richiesta di un secondo documento.

L’istituto di pagamento è obbligato a conservare una copia del documento d’identità del soggetto che incassa il bonifico?
No. La sentenza chiarisce che non esiste una norma o una prassi consolidata (best practice) che imponga all’intermediario di estrarre e conservare copia del documento esaminato, anche in ragione della necessità di bilanciare le esigenze di identificazione con la tutela della privacy. La prova della verifica può essere fornita anche con altri mezzi, come l’annotazione degli estremi del documento sulla quietanza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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