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Blocco retributivo società partecipate: no all’estensione

La Corte di Cassazione ha stabilito che il blocco retributivo previsto per i dipendenti pubblici non si applica automaticamente ai lavoratori delle società partecipate, anche se a totale controllo pubblico. Tali società, soggette al diritto privato, possono contenere i costi del personale solo attraverso la contrattazione collettiva di secondo livello e non con un’imposizione unilaterale. Pertanto, i dipendenti hanno diritto agli aumenti previsti dal loro Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) privatistico, fin dalla loro maturazione.

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Blocco Retributivo Società Partecipate: la Cassazione Fa Chiarezza

La questione del blocco retributivo nelle società partecipate rappresenta un punto di frizione costante tra le esigenze di contenimento della spesa pubblica e la tutela dei diritti dei lavoratori, regolati da contratti di diritto privato. Con una recente sentenza, la Corte di Cassazione ha tracciato una linea netta, stabilendo che le norme sul blocco stipendiale previste per il pubblico impiego non si estendono automaticamente ai dipendenti delle società controllate da enti pubblici.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine dalla richiesta di alcuni dipendenti di una società per azioni, interamente partecipata da un ente pubblico metropolitano e affidataria di servizi in house. I lavoratori rivendicavano il diritto a percepire le differenze retributive maturate tra il 2015 e il 2018, in seguito al rinnovo del loro Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL), appartenente al settore privato (terziario).

La società datrice di lavoro si era opposta, sostenendo di essere soggetta, in quanto ente a partecipazione pubblica, alle stesse misure di contenimento dei costi del personale applicate alla Pubblica Amministrazione, incluso il blocco della contrattazione e degli stipendi in vigore in quegli anni.

La Corte d’Appello, in parziale riforma della sentenza di primo grado, aveva riconosciuto il diritto dei lavoratori solo a partire dal 1° gennaio 2016, ritenendo che fino al 31 dicembre 2015 dovesse applicarsi il regime di blocco, la cui illegittimità costituzionale (dichiarata dalla Consulta con sentenza n. 178/2015) avrebbe prodotto effetti solo per il futuro.

La Disciplina del Blocco Retributivo nelle Società Partecipate

La Corte di Cassazione ha ribaltato la decisione della Corte d’Appello, accogliendo il ricorso dei lavoratori. Il punto centrale della sentenza è la netta distinzione tra il rapporto di lavoro pubblico e quello privato, anche all’interno di società a capitale pubblico.

I giudici hanno chiarito che i dipendenti delle società partecipate sono legati da un rapporto di lavoro di natura privatistica, regolato dal codice civile e dai contratti collettivi di settore. La partecipazione pubblica non trasforma la natura del rapporto.

La normativa specifica per il contenimento dei costi del personale nelle società partecipate (in particolare l’art. 19 del D.Lgs. n. 175/2016, Testo Unico sulle società a partecipazione pubblica) non prevede un blocco unilaterale delle retribuzioni. Al contrario, essa delinea un meccanismo diverso:

1. Obiettivi di Contenimento: Le amministrazioni pubbliche socie fissano obiettivi di contenimento dei costi.
2. Recepimento tramite Contrattazione: Le società devono perseguire tali obiettivi attraverso propri provvedimenti, da recepire, per quanto riguarda gli oneri contrattuali, “ove possibile”, nella contrattazione di secondo livello.

Questo passaggio è cruciale: il legislatore non ha imposto un blocco, ma ha indicato la via della negoziazione sindacale come strumento per bilanciare le esigenze di risparmio con i diritti dei lavoratori.

L’evoluzione Normativa

La Corte ha ricostruito l’evoluzione normativa, evidenziando come, a partire dal 2013, il legislatore abbia progressivamente abbandonato l’idea di un’applicazione diretta delle norme del pubblico impiego, per privilegiare un sistema basato sull’autonomia negoziale, seppur finalizzata al raggiungimento di obiettivi di spesa fissati dall’ente controllante.

Le Motivazioni della Corte

La Suprema Corte ha affermato che l’erroneità del richiamo alla sentenza della Corte Costituzionale n. 178/2015 risiede nel fatto che quella pronuncia riguardava esclusivamente il blocco della contrattazione nei comparti del pubblico impiego (disciplinati dal D.Lgs. 165/2001), non i rapporti di lavoro privati.

La disciplina applicabile alle società partecipate è autonoma e specifica. Essa non prevede un’estensione automatica del blocco retributivo. La riduzione dei costi deve passare attraverso un accordo sindacale di secondo livello. L’impossibilità per la società di imporre unilateralmente un taglio o un congelamento degli stipendi significa che i diritti derivanti dal CCNL applicato devono essere pienamente riconosciuti.

L’inciso “ove possibile” nell’art. 19 del D.Lgs. 175/2016 non va interpretato come una facoltà di agire unilateralmente in caso di mancato accordo, ma come il riconoscimento che il raggiungimento dell’accordo non è un risultato coercibile. Gli amministratori della società hanno il dovere di attivarsi per negoziare, ma non possono essere ritenuti responsabili del semplice fallimento delle trattative.

Le Conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha stabilito i seguenti principi:

1. Il blocco retributivo previsto per la Pubblica Amministrazione non si applica ai dipendenti delle società partecipate, il cui rapporto di lavoro è regolato dal diritto privato.
2. Il contenimento dei costi del personale in tali società deve essere perseguito attraverso la contrattazione collettiva di secondo livello.
3. In assenza di un accordo sindacale che modifichi i trattamenti economici, i lavoratori hanno pieno diritto a percepire gli incrementi previsti dal loro CCNL, fin dal momento della loro maturazione.

La sentenza rigetta quindi il ricorso principale della società e accoglie quello dei lavoratori, cassando la sentenza d’appello e affermando il loro diritto a ricevere le differenze retributive per l’intero periodo richiesto, a partire dall’aprile 2015.

Il blocco retributivo previsto per i dipendenti pubblici si applica ai lavoratori delle società partecipate?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che la normativa sul blocco stipendiale e contrattuale riguarda solo il personale delle pubbliche amministrazioni (come definite dal D.Lgs. 165/2001) e non può essere estesa ai dipendenti delle società partecipate, i cui rapporti di lavoro sono di natura privatistica.

Come può una società partecipata ridurre legittimamente i costi del personale?
Secondo la sentenza, la via maestra per il contenimento dei costi del personale è la contrattazione collettiva di secondo livello. L’ente pubblico controllante fissa gli obiettivi di spesa, ma la loro attuazione, per quanto riguarda la retribuzione, deve passare attraverso un accordo con le organizzazioni sindacali, non tramite un’imposizione unilaterale da parte dell’azienda.

Perché la sentenza della Corte Costituzionale sul blocco della contrattazione pubblica non è stata applicata a questo caso?
La sentenza della Corte Costituzionale n. 178 del 2015, che ha dichiarato l’illegittimità della proroga del blocco contrattuale, si riferiva specificamente al settore del pubblico impiego. La Corte di Cassazione ha ritenuto tale richiamo errato perché il caso in esame riguarda dipendenti di una società di diritto privato, ai quali si applica una disciplina autonoma e distinta che non prevede un analogo blocco.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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