Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 7462 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 7462 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 20/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso 14724-2021 proposto da:
NOME, COGNOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME AVV_NOTAIO, che li rappresenta e difende;
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso l’Avvocatura Centrale dell’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, COGNOME NOME, NOME PREDEN;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 680/2020 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 26/11/2020 R.G.N. 7/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/12/2023 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
Oggetto
R.G.N. 14724/2021
COGNOME.
Rep.
Ud. 14/12/2023
CC
RILEVATO CHE:
la Corte d’appello dell’Aquila (con la sentenza nr. 280 del 2012) respingeva l’impugnazione proposta dall’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza del Tribunale di Vasto che aveva riconosciuto agli odierni ricorrenti il diritto alla rivalutazione dell’anzianità contributiva, ai sensi della legge nr. 257 del 1992, art. 13, comma 8;
la Corte territoriale motivava la propria decisione di rigetto affermando di non condividere la tesi dell’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE secondo cui, anche per i lavoratori che alla data del 2.10.2003 (in cui il coefficiente di rivalutazione di 1,50 era stato ridotto ex lege a 1,25) avessero maturato il diritto al trattamento pensionistico speciale, era richiesta l’esposizione all’amianto in concentrazione media annua non inferiore a 100 fibre/litro come valore medio di otto ore al giorno per oltre dieci anni (limite previsto dal D.Lgs. n. 277 del 1991); invero, secondo la Corte di merito, tale limite aveva l’unica funzione di costringere il datore di lavoro a rientrare in limiti più bassi e ad attuare ulteriori misure di protezione; comunque, gli appellati avevano dato prova di aver maturato alla predetta data il requisito dell’esposizione ultradecennale all’amianto;
r icorreva per cassazione l’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE e il ricorso era accolto; la sentenza veniva cassata e la causa rinviata alla medesima Corte di Appello, in diversa composizione, per un nuovo esame nel merito, alla stregua del principio per cui, ai fini dei benefici contributivi, è necessaria la verifica di una esposizione che, oltre alla durata decennale, abbia valori superiori a quelli indicati nel Decreto nr. 277 del 1991;
il giudice del rinvio, conformemente al comando giudiziale espresso in sede rescindente, procedeva al riesame
della fattispecie concreta e, all’esito di una indagine tecnica affidata ad un ausiliario, escludeva che i lavoratori, ciascuno nello svolgimento della propria attività, fossero stati esposti alle fibre d’amianto in concentrazione media annua, su otto ore di lavoro giornaliere, superiore ai valori indicati negli artt. 24 e 31 del d.Lgs. nr. 277 del 1991;
avverso la decisione ricorre la parte in epigrafe con sette motivi, illustrati con memoria;
resiste l’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, con controricor so;
chiamata la causa all’adunanza camerale, il Collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di cui all’art. 380 bis 1, comma 2, cod.proc.civ.
CONSIDERATO CHE
8. con il primo motivo ai sensi dell’art. 360 nr. 4 cod.proc.civ. – è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’ art. 112 cod.proc.civ. in relazione artt. 24 e 111 Cost. nonché in relazione all’art. 195 c od.proc.civ., in combinato disposto con l’art. 13, co.8, della legge nr. 257 del 1992: carattere perplesso e/o assenza della motivazione con riferimento al tema probandum e decidendum . È denunciata inoltre la violazione dell’art. 132 nr.4 cod.proc.civ. e/o degli artt. 24 e 111 Cost., in relazione all’art. 13 , comma 8, della legge nr. 257 del 1992;
in estrema sintesi, si assume la nullità della sentenza per mancata motivazione del rigetto delle contestazioni avverso la CTU, sia in relazione alle prove in atti che ai rilievi del consulente di parte;
con il secondo motivo ai sensi dell’art. 360 nr. 5 cod.proc.civ. – è dedotto l’ omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti in ordine alle domande ex art. 13, comma 8, della legge nr. 257 del 1992 e/o ex art. 47 della legge nr. 326 del 2003;
11. si imputa alla Corte di appello di avere omesso l’esame di fatti decisivi per il giudizio che, ove valutati, avrebbero dimostrato, con certezza, il superamento della soglia delle 100 ff/ii per oltre dieci anni e, quindi, il buon diritto dei ricorrenti. La sentenza, dunque, sarebbe «afflitta da difetto di motivazione»;
12. con il terzo motivo ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ. – è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116, 421, 445 cod.proc.civ. e dell’art. 2697 cod.civ. e ss. in combinato disposto con l’art 13 cit. Violazione dell’art. 416 c od.proc.civ. sempre in combinato disposto con l’art. 13 ;
13. i ricorrenti ribadiscono di aver dedotto e provato che nell’ambiente lavorativo il livello di contaminazione di polveri e fibre di amianto era elevato, come confermato da numerose consulenze tecniche e dalle sentenze di condanna dell’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE all’accredito contributivo in favore di altri colleghi di lavoro; la Corte di appello, invece, avrebbe formulato il giudizio tenendo conto solo delle conclusioni del CTU, senza ammettere le prove richieste e dissociandosi dai principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di valutazione delle prove e di rilevanza di ciò che non è stato specificamente contestato;
14. con il quarto motivo – a i sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ. – è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 191, 195, 445, 156, 157 cod.proc.civ., in relazione all’art. 13, comma 8, della legge nr. 157 del 1992 nonché violazione degli artt. 24 e 111 Cost. in combinato disposto con l’art. 13 cit .;
15. si assume che la Corte di appello avrebbe formulato il giudizio alla stregua della espletata CTU senza rilevarne la nullità, la parzialità e la non esaustività. I giudici non
avrebbero tenuto conto delle criticità evidenziate dell’erroneità del calcolo elaborato;
e
con il quinto motivo ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ. – è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 416 c od.proc.civ. in relazione all’articolo 13 cit . e agli artt. 24 e 31 del d.lgs. nr. 277 del 1991;
per i ricorrenti, la Corte di appello non avrebbe considerato fatti pacifici, non contestati dall’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE;
con il sesto motivo ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ. – è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 13 in relazione agli artt. 24 e 31 D.Lgs. nr. 277 del 19 91 e all’art. 3 nr. 7 del d.m. del 2004 nonché alle norme già citate « sub capi a, b, c, d, ed e) del ricorso»;
con il settimo motivo ai sensi dell’art. 360 nr. 4 cod.proc.civ. – è dedotta la violazione degli artt. 24 e 111 Cost. e del giusto processo , con riferimento all’art.360 -bi s cod.proc.civ.;
gli ultimi motivi imputano ancora alla Corte di merito errori nel recepire gli esiti della consulenza tecnica, fondata su criteri personali di valutazione, nonché la violazione delle norme sul giusto processo e a tutela del diritto di difesa, per non aver considerato che le prove documentali offerte non erano state contestate in modo specifico dall’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE ;
tutti i mezzi d ‘ impugnazione, da esaminarsi congiuntamente, per la loro stretta connessione, vanno disattesi;
come emerge dalla sintetica descrizione delle censure mosse alla decisione impugnata, i motivi non rispettano i modelli normativi dei vizi denunciati. Complessivamente può dirsi che tutte le censure, anche quelle formulate in termini di violazione di legge, sollecitano la rivalutazione del merito, in ordine alla valenza probatoria degli elementi posti a base del decisum ;
23. nel dettaglio, i vari errori processuali che si imputano alla Corte di appello (omissione di pronuncia sulle eccezioni formulate, mancata ammissione delle richieste istruttorie, violazione del principio di contestazione) non sono assistiti, sul piano dell’assoluzione degli oneri imposti dall’art. 366 nr. 6 cod.proc.civ., dalla sufficiente trascrizione degli atti necessari a consentire il controllo richiesto. Detto onere, riferito alla puntuale indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi su cui il ricorso si fonda, anche interpretato alla luce dei principi contenuti nella sentenza della CEDU, sez. I, 28 ottobre 2021 (r.g. n. 55064/11), non è rispettato quando, come nella specie, il contenuto degli atti medesimi non è trascritto adeguatamente, così che non può dirsi soddisfatto il requisito ineludibile dell’autonomia del ricorso per cassazione fondato sulla idoneità delle censure a consentire la decisione (v. Cass. nr. 12481 del 2022; Cass. nr.6769 del 2022; v., anche, Cass., sez. un., nr. 8950 del 2022);
24. i motivi, inoltre, deducono il vizio di motivazione secondo un paradigma censorio non più attuale;
25. il più volte richiamato «fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti» il cui esame sarebbe stato omesso dalla Corte distrettuale non è riferito ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storiconaturalistico ma piuttosto – come si dirà meglio in prosieguoall'(omesso) esame di elementi istruttori dai quali sarebbe dovuta emergere l’esposizione qualificata alle fibre di amianto. La diffusa critica alla consulenza tecnica – in disparte, anche per tale documento, considerazioni di non specificità – difetta proprio della illustrazione del «fatto» omesso dall’ausiliario e invece decisivo ai fini di un diverso esito della lite;
26. va aggiunto, che, come più volte ha già avuto modo questa Corte di chiarire, la riformulazione dell’art. 360, comma 1, nr. 5 cod.proc.civ., dev’essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al «minimo costituzionale» del sindacato di legittimità sulla motivazione, con la conseguenza che è pertanto, denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; anomalia che si esaurisce nella «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di «sufficienza» della motivazione (Cass., Sez.Un., nn. 8053 e 8054 del 2014 e plurime successive conformi: tra le tante, più di recente, Cass. nr. 15495 del 2022). Situazioni tutte senz’altro da escludere in riferimento alla pronuncia impugnata che, chiaramente, traccia il percorso decisionale; può discutersi della condivisibilità o meno dello stesso ma su un piano diverso da quello che attiene alla motivazione in sé;
27. si osserva, ulteriormente, che non sono pertinenti neppure i richiami alle regole desumibili dagli artt. 2697 cod.civ. e 115 e 116 cod.proc.civ. dal momento che non risultano errori nella ripartizione degli oneri probatori o giudizi espressi sulla base di prove non prodotte o richieste dalle parti o con attribuzione alle stesse di un valore diverso da quello legale. I ricorrenti incorrono nell’evidente equivoco di ritenere che l’attività di valutazione del materiale probatorio possa essere censurata in questo modo. Va,
invece, ribadito che «il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile né nel paradigma dell’art. 360 nr. 5 cod.proc.civ. (che, come detto, attribuisce esclusivo rilievo all’omesso esame di un fatto storico, oggetto di discussione tra le parti, con carattere decisivo per il giudizio), né in quello dell’art. 360 nr. 4, disposizione che come del pari si è osservato – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale» (tra le tante, Cass., sez.un. nr. 20867 del 2020; conf. ex plurimis Cass. nr. 29246 del 2021);
28. in definitiva, il ricorso, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, aspira, in realtà, ad una non consentita rivalutazione dei fatti storici operata dai giudici di merito, poiché persegue surrettiziamente la trasformazione del giudizio di legittimità in un ulteriore grado di merito (Cass., sez.un., nr. 34476 del 2019; Cass. nr. 5987 del 2021);
29. va da sé che l’istanza formulata in sede di memoria, volta a richiedere la decisione del ricorso in sede di udienza pubblica, deve essere respinta;
30. il ricorso va, dunque, rigettato, con la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità. Non si pone questione di esonero ai sensi dell’art. 152 disp. att. cod.proc.civ. Va fatta applicazione, infatti, del principio secondo cui (v. Cass. nr. 37044 del 2022 con richiamo a Cass. nr. 16676 del 2020) il regime di esenzione dal pagamento delle spese processuali previsto dalla citata disposizione espressione di diritto singolare, come tale non applicabile a casi non espressamente indicati – opera in relazione ai giudizi promossi per il conseguimento di prestazioni previdenziali o
assistenziali in cui il diritto alla prestazione sia l’oggetto diretto della domanda introdotta in giudizio e non solo la conseguenza indiretta ed eventuale di un diverso accertamento.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura di legge e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 14