Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 26319 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 26319 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 29/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso 23407 – 2019 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e in concordato preventivo in persona del liquidatore e legale rappresentante NOME COGNOME e del liquidatore giudiziale NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME giusta procura in calce al ricorso, con indicazione de ll’ indirizzo pec;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME
dal quale è rappresentata e difesa giusta procura in calce al controricorso, con indicazione de ll’ indirizzo pec;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2742019/ della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, pubblicata il 21/1/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/1/2025 dal consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria del Procuratore generale in persona del sostituto NOME COGNOME
lette le memorie delle parti.
FATTI DI CAUSA
Come risulta dalla sentenza impugnata, con contratto del 30/9/2003 la Regione Emilia Romagna appaltò al Consorzio RAGIONE_SOCIALE i lavori di risezionamento del fiume Montone, nel tratto a valle della SS 9 Emilia, per il valore di euro 1.649.983,10 oltre IVA al 20%; fu stabilito che il dovuto sarebbe stato compensato con il controcredito della Regione per la cessione di calcolati circa 638 metri cubi del materiale terroso da estrarre (sabbiella): il prezzo del materiale fu fissato in euro 1.649.000, a cui sarebbe stata applicata una maggiorazione del 20%, non però a titolo di IVA , perché l’ente territoriale non era soggetto d’imposta.
In data 22/7/2003, il Consorzio assegnò l’esecuzione dei lavori appaltati alla consorziata RAGIONE_SOCIALE (di seguito RAGIONE_SOCIALE) che provvide all’estrazione del materiale.
Terminati i lavori, il Consorzio emise fattura a carico della Regione per euro 2.012.010,70 (1.676.675,58, oltre IVA al 20%) per i lavori eseguiti, mentre la Regione emise fattura, per la cessione del materiale terroso, di euro 2.009.489,00 pari a euro 1.649.000, oltre la
concordata maggiorazione del 20%; la differenza tra i due importi di euro 2.521,70 fu considerata tra le parti «abbuono passivo».
Il Consorzio, quindi, emise fattura nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, con base imponibile l’ importo di E. 2.009.489,00 corrispondente al prezzo della sabbiella, per un totale di E. 2.411.386,80.
La Trascoop contestò la debenza dell’ulteriore somma pari ad E. 401.897,80 a titolo di IVA: sostenne, infatti, la necessità di scorporare preventivamente il 20% dal prezzo della sabbiella fissato dalla Regione perché già era stata considerata l’IVA che non poteva perciò essere duplicata.
Il Consorzio chiese e ottenne decreto ingiuntivo, per quel che qui ancora rileva, per la somma non pagata di tale fattura.
Avverso questo decreto ingiuntivo, con atto di citazione del 13/2/2009, Trascoop propose opposizione dinanzi al Tribunale di Ravenna.
Con sentenza n. 1399/2013, il Tribunale, espletata una c.t.u. per valutare la correttezza dell’importo fatturato, accolse l’opposizione e revocò il decreto ingiuntivo, condannando il Consorzio al pagamento delle spese di lite, di c.t.u. e di c.t.p.; asserì che la Regione avesse applicato prezzi già maggiorati di IVA.
Con sentenza n. 274/2019, la Corte d’appello di Bologna accolse l’impugnazione del Consorzio, condannando Trascoop al pagamento della somma di euro 399.376,10, oltre interessi ex d.lgs.231/02 e alla restituzione delle spese pagate in esecuzione della sentenza di primo grado, compensandole integralmente fra le parti per i due gradi di giudizio.
Per quel che qui rileva, la Corte territoriale rimarcò che l’importo pagato dal Consorzio RAGIONE_SOCIALE non era scorporabile in capitale e IVA, perché la Regione non era soggetto attivo IVA, sicché necessariamente l’importo a base imponibile avrebbe dovuto essere
corrispondente all’intero prezzo pagato, in assenza di IVA detraibile, essendo invece, certamente, la cessione della sabbiella da Consorzio a consorziata avvenuta tra soggetti assoggettati a imposta.
Avverso questa sentenza, RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e in concordato preventivo ha proposto ricorso per cassazione, affidandolo a cinque motivi; il RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Il Pubblico ministero ha concluso per il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e in concordato preventivo ha lamentato, in riferimento al n.4 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ. , la nullità della sentenza per avere la Corte d’appello deciso in base ad un documento irritualmente acquisito. Invero, il regolamento interno del Consorzio non sarebbe stato prodotto tempestivamente in giudizio, né in sede di atto introduttivo, né in sede di memorie ex art. 183 cod. proc. civ., comparendo unicamente per la prima volta come allegato alla consulenza tecnica depositata l’11 giugno 2012 : anche nell’ espletamento della consulenza tecnica, tuttavia, non è possibile aggirare le preclusioni già maturate; nel rispetto del principio dell’onere della prova, le notizie assunte al di fuori del processo dal consulente d’ufficio possono vertere unicamente su fatti di mero carattere tecnico e non su fatti direttamente costitutivi delle pretese azionate; la c.t.u., infatti, non può costituire un mezzo sostitutivo dell’onere della pro va e deve rimanere unicamente lo strumento del processo necessario per integrare l’attività del giudice e permettergli di interpretare, con il filtro di particolari conoscenze tecniche, fatti già acquisiti e offerti dalle parti.
Con il secondo motivo, la ricorrente ha denunciato, in riferimento al n.4 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ. , la
nullità della sentenza per essersi la Corte pronunciata su una domanda di cui sarebbe stata mutata la causa petendi in appello, in violazione del principio del contraddittorio fra le parti: nel corso del giudizio di primo grado, il Consorzio non avrebbe mai chiesto l’accertamento della natura e della regolamentazione dei rapporti con la RAGIONE_SOCIALE, sicché la domanda proposta in appello avrebbe dovuto essere ritenuta nuova e perciò inammissibile in quanto fondata sull’obbligo della consorziata di tenerla indenne da ogni costo.
2.1. Il secondo motivo, da esaminarsi per primo per logica espositiva, è infondato. Evidentemente la debenza dell’IVA e la individuazione della base imponibile per la cessione degli inerti scavati a compensazione dei lavori svolti in appalto necessitavano della previa ricostruzione in diritto dei rapporti intercorsi tra le parti, sicché la questione non è affatto nuova, né implica un mutamento della causa petendi.
Come ricostruito in sentenza e sottolineato in controricorso, il Consorzio è una società cooperativa con scopo mutualistico avente ad oggetto l’assunzione per conto delle cooperative consorziate di appalti e forniture nei confronti di committenze pubbliche e private: lo scopo mutualistico era perseguito attraverso l’acquisizione dei contratti e, poi, l’assegnazione della fase esecutiva alle imprese consorziate; non risulta vi sia stata cessione del contratto né subappalto, sicché, in forza del vincolo consortile come costruito dagli art. 27 e 27 bis del d.lgs. C.p.S. 14/12/1947 n. 1577, applicabili ratione temporis , il Consorzio era una struttura passante che assegnava il lavoro alle proprie associate ribaltando sulle stesse tutti i costi e tutti i ricavi legati all’esecuzione e rimanendo neutro rispetto al risultato economico del lavoro, perché il rischio di commessa ricadeva esclusivamente in capo alla consorziata.
Ciò posto, poiché il Consorzio era il soggetto contraente dell’appalto pubblico, i rapporti tra Regione appaltante e Consorzio costituivano la necessaria premessa dei rapporti tra Consorzio e consorziata assegnataria dell’esecuzione, sicché necessariamente e correttamente i rapporti tra le tre parti sono stati ricostruiti, dalla Corte territoriale, per la risoluzione della controversia.
2.2. Ciò precisato, il primo motivo è inammissibile perché non conferente rispetto all’intera ratio decidendi .
La Corte d’appello (pag. 6 della sentenza) ha innanzitutto rimarcato che il Consorzio dovesse necessariamente applicare l’IVA sulla cessione di inerti a Trascoop; quindi, ha ritenuto, in applicazione dell’art. 2602 cod.civ., secondo cui «con il contratto di consorzio più imprenditori istituiscono un’organizzazione comune per la disciplina o per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese», che i costi dell’operazione dovevano essere ribaltati sulla assegnataria in quanto beneficiaria degli utili della commessa (primo capoverso di pag. 8 della sentenza); la s omma di E. 2.009.489,00, cioè dell’importo fatturato dalla Regione, costituiva per il Consorzio un costo integrale, in quanto l’IVA non era scorporabile perché non dovuta dalla Regione , sicché necessariamente l’intero prezzo pagato alla Regione per gli inerti doveva essere considerato come unico importo quale base imponibile: «diversamente – ossia se il Consorzio avesse ribaltato il solo importo di euro 2.009.489,00, senza maggiorarlo di IVA -si sarebbe verificata una perdita secca di CC pari all’importo dell’ IVA così contravvenendosi allo scopo mutualistico, nonché (enfasi qui aggiunta) alle previsioni del Regolamento consortile (art.5)».
Con il terzo motivo, la società ha prospettato, in riferimento al n.5 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ, l’omesso esame di un fatto decisivo o, in subordine, in riferimento al n.4 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ ., la nullità della sentenza per vizi del procedimento, per avere il giudice di merito omesso di considerare che era stato comunque accertato, dal consulente nominato, il valore del materiale scambiato, in riferimento ai prezzi determinati dall’art. 20 della legge regionale dell’Emilia Romagna n.7/2004 e l’importo che avrebbe dovuto essere riportato nella fattura emessa dal Consorzio per la cessione del materiale «sulla base del valore venale della sabbiella» (così nella relazione di consulenza); in forza dell’accertamento, in primo grado, era stata, infatti, chiesta, in subordine alla revoca del decreto opposto, la limitazione della condanna al solo importo calcolato come dovuto dal c.t.u. e, cioè, euro 70.631,87 (o, in via ulteriormente subordinata, euro 92.703,87).
1.4. Con il quarto motivo, la ricorrente ha sostenuto, in riferimento al n.3 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ, la
violazione e falsa applicazione degli artt. 11, 13, comma 2, lett. d) e 14, comma 1, d.P.R. n. 633/1972, per non avere la Corte d’appello applicato la normativa vigente in materia di IVA e, in particolare, l’art. 11 del d.P.R. n.633/72, secondo cui la permuta non rappresenterebbe un’unica operazione ai fini IVA, ma consisterebbe, al contrario, in due operazioni autonome e indipendenti fra loro, cui deve essere applicata la relativa disciplina in punto di IVA; con riferimento alla determinazione della base imponibile nelle operazioni permutative, l’art. 13 prevede che l’imposta dovuta de bba essere commisurata al valore normale dei beni e dei servizi che formano oggetto delle rispettive operazioni e infine l’art. 14 stabilisce che il criterio p rincipale di determinazione del valore normale dovrebbe corrispondere al valore di mercato, mentre quello residuale dovrebbe essere quello del costo; nel caso di specie quindi, non essendo possibile individuare il valore normale sulla scorta degli accordi consortili in quanto, così come osservato dalla c.t.u., non corrispondono né ai valori pattuiti dalle parti né a quelli di mercato, la Corte avrebbe dovuto applicare il valore dei canoni demaniali vigenti (pari a euro 2,80 al metro cubo).
1.5. Con il quinto motivo, Trascoop ha infine lamentato, in riferimento al n.3 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ, la violazione e falsa applicazione degli artt. 19 e 26 del d.P.R. 633/1972 e dell’art. 6, comma 6, d.lgs . 471/1997 per avere Corte d’appello violato il principio fondante il sistema normativo IVA, secondo cui l’imposta deve applicarsi sol tanto se, in quanto e nella misura in cui essa risulti dovuta: p ertanto, se l’imposta applicata dal Consorzio non fosse dovuta o fosse dovuta in misura diversa rispetto a quella indicata in fattura, a nulla rileverebbe l’eventuale sussistenza della possibilità per Trascoop di detrarre la maggiore imposta, posto che tale imposta sarebbe in ogni caso indebita e illegittimamente applicata; infine e in
ogni caso, la detraibilità dell’imposta non opera a tempo indeterminato e, allo stato attuale, tale possibilità risulterebbe ormai preclusa.
5.1. Il terzo, il quarto e il quinto motivo, che possono essere trattati congiuntamente per continuità di argomentazione, sono inammissibili perché del tutto eccentrici rispetto alla motivazione della sentenza impugnata.
La Corte d’appello, alle pag. 8 e 9 della sentenza impugnata, come già anticipato al punto 2.2, ha innanzitutto sottolineato che lo schema applicativo dell’imposta sul valore aggiunto prevede un contribuente di diritto e uno di fatto: il primo è il responsabile dell’applicazione dell’imposta, il cosiddetto soggetto passivo titolare della partita IVA, mentre il secondo è il soggetto inciso e, cioè, colui su cui grava il peso finale dell’imposta (nella generalità dei casi, il privato consumatore); il principio fondamentale della «neutralità» dell’IVA implica, per i soggetti di imposta, il diritto/dovere di rivalsa di questa imposta gravante sulla cessione o sulla prestazione sugli acquirenti che, per converso, hanno il diritto alla detrazione dell’importo addebitato loro a tale titolo.
Ciò puntualizzato, la Corte d’appello ha, quindi, come detto, rimarcato che era certamente obbligatoria l’applicazione dell’IVA alla cessione degli inerti estratti effettuata dal Consorzio in favore di RAGIONE_SOCIALE, in quanto entrambi imprese – soggetti IVA, sicché la soluzione della controversia sull’ammontare della base imponibile non involge l’esame della normativa in tema di IVA, certamente dovuta sulla transazione, ma unicamente «il senso degli accordi intercorsi tra Regione e Consorzio» assegnatario dell’ appalto: come già riportato al punto 2.1., infatti, il Consorzio titolare del contratto era «una struttura passante» che assegnava il lavoro alle proprie associate, ribaltando sulle stesse tutti i costi e tutti i ricavi legati all’esecuzione e rimanendo neutro rispetto al risultato economico del lavoro.
Pertanto, in considerazione di questa fondamentale funzione del Consorzio quale mera «struttura passante», è escluso che la cessione del materiale estratto a compenso dei lavori eseguiti potesse avvenire ad un prezzo diverso da quello stabilito con la Regione: come detto, la consorziata non è subentrata nel contratto ma è stata soltanto assegnataria dell’esecuzione dei lavori appaltati e, pertanto, non può pretendere una differente valutazione del valore degli inerti di cui le è stata ceduta la proprietà in corrispettivo.
In tal senso è inconferente il terzo motivo concernente una diversa determinazione del prezzo del materiale ceduto.
Risulta allora accertato -ed è dato acquisito nel presente giudizio -che a fronte dei lavori appaltati per euro 2.012.010,70 (1.676.675,58, oltre IVA al 20%), la Regione Emilia Romagna cedette la proprietà degli inerti estratti, al prezzo complessivo di euro 2.009.489,00: come proprio rilevato in sentenza, tuttavia, il prezzo complessivo del materiale ceduto risultò «un corrispettivo globale e unitario».
In conseguenza, questo valore della quantità di inerti acquisita, consentì, in ogni caso, al Consorzio di pareggiare l’importo fatturato per l’appalto e, cioè, il valore dei lavori (euro 1.676.675,58 ) e l’IVA al 20% corrisposta allo Stato; non consentì, invece, di recuperare in detrazione il 20% del prezzo degli inerti, portandolo in compensazione con il debito verso l’erario, perché la Regione non era soggetto IVA e si ribadisce – il prezzo del materiale ceduto non era scomponibile in capitale e imposta.
Ciò posto, necessariamente l’ulteriore cessione della sabbiella doveva essere effettuata alla Trascoop per l’intero prezzo di euro 2.009.489,00 stabilito dalla Regione per l’acquisizione del materiale a compenso della fattura dei lavori appaltati: fatturando sulla diversa e ridotta base imponibile di euro 1.649.000, come preteso dalla
ricorrente Trascoop, infatti, il Consorzio avrebbe sì ricevuto euro 2.009.489,00, ma ne avrebbe dovuto versare il 20 % allo Stato, restando così, rispetto alla prima transazione con la Regione, con il costo dell’IVA non recuperato.
Le considerazioni che precedono mostrano l’inconferenza delle censure articolate, con il quarto motivo, in riferimento alla disciplina della permuta, perché, come già rimarcato, nel presente giudizio non sono più in discussione i rapporti tra Regione appaltante e Consorzio e il prezzo stabilito per gli inerti dall’Ente per l’appaltatore costituisce un dato acquisito.
Infine, non può diversamente rilevare la considerazione della non detraibilità dell’imposta in conseguenza del tempo trascorso, non risultando evidentemente imputabili al Consorzio le conseguenze della consapevole opposizione della consorziata.
Il ricorso è perciò, respinto, con conseguente condanna della RAGIONE_SOCIALE al rimborso delle spese processuali in favore del RAGIONE_SOCIALE, liquidate in dispositivo in relazione al valore della causa.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna RAGIONE_SOCIALE al pagamento, in favore del RAGIONE_SOCIALE, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella
misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte suprema di Cassazione del 29 gennaio 2025.
La Presidente NOME COGNOME