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Azioni edilizie alternative: la scelta è irrevocabile

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 23819/2025, ha ribadito il principio secondo cui le azioni edilizie alternative, ovvero la risoluzione del contratto e la riduzione del prezzo per vizi della cosa venduta, sono tra loro incompatibili. Una volta che l’acquirente ha scelto una via tramite domanda giudiziale, tale scelta diventa irrevocabile e non può essere modificata in un successivo giudizio. Nel caso di specie, un’acquirente che aveva già ottenuto una riduzione del prezzo in un primo procedimento, non ha potuto successivamente chiedere la risoluzione del contratto per gli stessi vizi.

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Pubblicato il 8 settembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Azioni edilizie alternative: la scelta tra risoluzione e riduzione del prezzo è definitiva

Quando si acquista un bene che si rivela difettoso, la legge offre al compratore due strade principali: chiedere la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo. Queste opzioni, note come azioni edilizie alternative, sono al centro di una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 23819/2025), che ha ribadito un principio fondamentale: una volta intrapresa una delle due vie in sede giudiziale, la scelta diventa irrevocabile. Approfondiamo la vicenda per comprendere le implicazioni pratiche di questa decisione.

I fatti di causa: una fornitura difettosa e due giudizi

La controversia nasce dalla fornitura di attrezzature da cucina a un’impresa di ristorazione. A seguito della scoperta di vizi nel materiale fornito, l’acquirente aveva avviato un primo giudizio chiedendo la riduzione del prezzo e il risarcimento del danno. In quel procedimento, dopo alterne vicende, la Corte d’Appello aveva accolto la domanda di riduzione del prezzo, decisione poi confermata in Cassazione.

Non soddisfatta, l’acquirente decideva di avviare un secondo, nuovo giudizio, questa volta domandando la risoluzione dell’intero contratto, sempre a causa della medesima fornitura. La società venditrice si opponeva, sostenendo che la questione era già stata decisa e che le due azioni (riduzione del prezzo e risoluzione) non potevano essere proposte in successione.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello davano ragione alla venditrice, dichiarando la nuova domanda inammissibile. La Corte distrettuale, in particolare, sottolineava come le azioni di risoluzione e riduzione del prezzo siano alternative e incompatibili, con una scelta che diventa irrevocabile una volta esercitata in giudizio.

La decisione della Corte di Cassazione sulle azioni edilizie alternative

Investita della questione, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso dell’acquirente, confermando le decisioni dei giudici di merito. Gli Ermellini hanno smontato uno per uno i motivi del ricorso, ribadendo con forza il principio sancito dall’articolo 1492 del Codice Civile.

L’acquirente aveva tentato di sostenere che l’impegno del venditore a eliminare i vizi avesse dato vita a una nuova e autonoma obbligazione, il cui inadempimento avrebbe giustificato una nuova azione di risoluzione. La Corte ha però ritenuto inammissibile tale argomento, poiché non era stato adeguatamente discusso nei precedenti gradi di giudizio.

Il cuore della decisione, tuttavia, risiede nella conferma del carattere alternativo e non cumulabile delle due tutele. La scelta tra la risoluzione del contratto (actio redhibitoria) e la riduzione del prezzo (actio quanti minoris) è rimessa all’acquirente, ma una volta formalizzata con una domanda giudiziale, diventa irreversibile.

Le motivazioni della Corte

La Corte di Cassazione ha basato il suo ragionamento sull’interpretazione letterale e sistematica dell’art. 1492 c.c. Il secondo comma della norma stabilisce chiaramente che ‘la scelta è irrevocabile quando è fatta con la domanda giudiziale’. Questo principio mira a garantire la certezza dei rapporti giuridici e ad evitare che il venditore rimanga indefinitamente esposto a mutevoli richieste della controparte. Consentire all’acquirente di cambiare idea dopo aver già avviato un’azione creerebbe un’ingiustificata instabilità processuale e contrattuale.

I giudici hanno precisato che, sebbene sia possibile proporre le due domande nello stesso giudizio in via subordinata (ad esempio, chiedere in via principale la risoluzione e, in subordine, la riduzione del prezzo), non è ammissibile esercitare un’azione in un primo processo e, dopo il suo esito, esercitare l’altra in un procedimento separato per gli stessi fatti. La controversia sui vizi della fornitura, infatti, era già stata definita con la sentenza passata in giudicato che aveva concesso la riduzione del prezzo, coprendo così l’intera questione del contendere.

Le conclusioni: implicazioni pratiche per l’acquirente

Questa ordinanza offre un importante monito per qualsiasi acquirente che si trovi a contestare i vizi di un bene. La decisione iniziale su quale rimedio legale perseguire è strategica e, soprattutto, definitiva. È fondamentale, prima di avviare un’azione legale, valutare attentamente con il proprio avvocato quale tutela sia più conveniente per il caso specifico. La risoluzione del contratto è un rimedio drastico che pone fine al rapporto, mentre la riduzione del prezzo permette di mantenere il bene, correggendo lo squilibrio economico causato dal vizio. Una volta intrapresa una strada, non si può più tornare indietro.

È possibile chiedere prima la riduzione del prezzo per un bene difettoso e poi, in un secondo momento, la risoluzione del contratto per gli stessi vizi?
No. Secondo la Corte di Cassazione, l’articolo 1492 del Codice Civile stabilisce che la scelta tra azione di risoluzione e azione di riduzione del prezzo è irrevocabile una volta che è stata formalizzata con una domanda giudiziale. Non è possibile, quindi, avviare un secondo giudizio per chiedere un rimedio diverso da quello già richiesto nel primo.

Cosa significa che le azioni di risoluzione e riduzione del prezzo sono ‘alternative’?
Significa che l’acquirente di un bene viziato deve scegliere uno solo dei due rimedi. Non può ottenerli entrambi né può chiederne uno dopo che la sua domanda per l’altro è stata decisa. La legge gli offre una scelta, ma questa scelta, una volta esercitata in tribunale, è definitiva per tutelare la certezza dei rapporti giuridici.

L’impegno del venditore a riparare i vizi permette di superare la scelta già fatta in un precedente giudizio?
Nel caso specifico, la Corte ha dichiarato inammissibile questo motivo di ricorso perché la questione non era stata sollevata e discussa adeguatamente nei precedenti gradi di giudizio. La sentenza non si esprime quindi sul merito generale del principio, ma sottolinea l’impossibilità di introdurre per la prima volta in Cassazione argomenti di fatto non precedentemente esaminati.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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