Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 25382 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 25382 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 16/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6173/2022 R.G., proposto da
PUGLIESE NOME NOME e NOME NOME , rappresentati e difesi dall’avv. prof. NOME COGNOME domiciliati ex lege come da indirizzo pec indicato, per procura su foglio separato allegato al ricorso,
-ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso ex lege dall’ Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato ex lege come da indirizzo pec indicato,
-controricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE INTERNAZIONALE DI RAGIONE_SOCIALE ASSICURATIVO
-intimata-
Azione surrogatoria -Inerzia del debitore -Pericolo di insolvenza Prova
ad. 19.5.2025
per la cassazione della sentenza n. 5531/2021 della CORTE d’APPELLO di Roma pubblicata il 27.7.2021;
udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 19.5.2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza n. 7151/2014, pubblicata il 28.3.2014, il Tribunale di Roma, nella contumacia di RAGIONE_SOCIALE rigettava la domanda surrogatoria proposta da NOME COGNOME nei confronti dell’ente Nazionale per l ‘ Aviazione Civile -ENAC (in avanti indicato come RAGIONE_SOCIALE), compensava le spese di lite e poneva a carico dell’attore le spese della disposta C.T.U.
Osservava il Tribunale che l’attore aveva proposto il giudizio nei confronti di RAGIONE_SOCIALE quale sostituto processuale di RAGIONE_SOCIALE (ora RAGIONE_SOCIALE) ex art. 2900 cod. civ. e 81 cod. proc. civ., stante l’inerzia di questa ultima nel fare valere le proprie ragioni per l’asserita illegittimità del recesso operato dal convenuto e, comunque, per la condotta dello stesso, che aveva omesso di indicare nel bando di gara a licitazione privata l’esistenza dell’accordo circa il diritto del broker al compenso diretto, con conseguente diritto di RAGIONE_SOCIALE e per essa dell’attore al risarcimento del danno. Della domanda svolta, tuttavia, non ricorrevano i presupposti , poiché l’attor e aveva dedotto di essere creditore di RAGIONE_SOCIALE, ma non lo aveva provato sia sul piano del titolo, sia su quello dell’effettiva esecuzione dell e prestazioni, così da rendere superfluo l’esame circa l’esistenza del credito di RAGIONE_SOCIALE nei confronti dell’E nac.
La Corte d’Appello di Roma, nella contumacia di RAGIONE_SOCIALE, con sentenza pubblicata il 27.7.2021, dinanzi alla quale si costituivano NOME COGNOME, NOME e NOME COGNOME quali eredi di NOME COGNOME a seguito del suo decesso, rigettava l’appello proposto e gravava gli appellanti delle spese del grado.
La Corte d’appello notava che il Tribunale non aveva pronunciato sulla domanda principale proposta dall’attore nei confronti dell’Enac (‘ di
condanna di RAGIONE_SOCIALE al pagamento diretto nei suoi confronti, delle somme dovute per l’espletamento dell’incarico affidatogli da RAGIONE_SOCIALE ‘), ma aveva verificato solamente l’esistenza dei presupposti dell’azione surrogatoria svolta in via subordinata (‘ di condanna dell’Enac al pagamento in favore di RAGIONE_SOCIALE del compenso per le attività svolte in esecuzione dell’incarico affidato a tale società, e, per l’effetto, di condanna della RAGIONE_SOCIALE al pagamento in favore di esso Matera del compenso pari al 60% di quello spettante alla RAGIONE_SOCIALE . L’appellante nelle conclusioni aveva riproposto la domanda di condanna diretta di RAGIONE_SOCIALE, ma non aveva impugnato l’omessa pronuncia sulla domanda principale, per essersi concentrato sulla errata valutazione della prova e sull’esistenza dei presupposti per l’esercizio dell’azione surrogatoria ex art. 2900 cod. civ.
Tanto premesso, la corte disattendeva la censura in ordine alla violazione del principio di non contestazione quanto all’esistenza del credito del Matera, non potendo questo valere nei confronti di RAGIONE_SOCIALE in quanto contumace, mentre ampia contestazione era stata svolta dal convenuto, sia in relazione ai presupposti della condanna al pagamento diretto, sia ai requisiti dell’azione ex art. 2900 cod. civ. La Corte d’appello, inoltre, riteneva sussistente la prova del credito rivendicato dall’attore tanto con riferimento alla fonte negoziale, quanto allo svolgimento da parte di RAGIONE_SOCIALE che aveva riconosciuto all’attore il 60% delle provvigioni dovute dalle compagnie presso cui i contratti sarebbero stati appoggiati, dell’attività propedeutica alle gare e delle trattative andate deserte.
Sennonché, la fondatezza di tale profilo non consentiva l’accoglimento dell’azione surrogatoria , con cui era stato invocato il diritto di RAGIONE_SOCIALE al risarcimento del danno da lesione ‘del diritto all’immagine ed alla reputazione commerciale ‘ correlato all’inadempimento da parte di Enac. Pur ammettendo raggiunta la prova del credito del Matera nei confronti di RAGIONE_SOCIALE e anche ipotizzando l’inadempimento contrattuale di Enac , ‘ non vi alcuna prova della lesione del diritto all’immagine e delle conseguenze patrimoniali di tale lesione … Va sottolineata, nella specie, la carenza
assertiva e probatoria, laddove, evidentemente, il danno all’immagine non si può identificare nella mancata percezione del compenso che RAGIONE_SOCIALE avrebbe tratto dall’espletamento dell’attività affidatale’ .
Da ultimo, la Corte d’appello affermava che la domanda svolta era carente della prova del pericolo di danno alle ragioni del creditore a causa dell’inerzia tenuta dal debitore. L’intervento conservativo del surrogante è giustificato solo quando il pericolo di insolvenza e la condotta omissiva del debitore di conservazione del suo patrimonio ‘siano tal i da determinare una situazione patrimoniale concretamente pregiudizievole per il soddisfacimento delle sue ragioni’.
Per la cassazione della sentenza della Corte ricorrono NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME sulla base di cinque motivi. Resiste con controricorso l’Enac.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, ai sensi dell’art.380bis .1. cod. proc. civ..
Il Pubblico Ministero presso la Corte non ha presentato conclusioni scritte.
I ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
La Corte deve procedere preliminarmente all’esame del quarto motivo di ricorso, la cui rilevanza, in ordine al complesso delle questioni affrontate nel corso del giudizio, è tale da assorbire lo scrutinio dei primi tre motivi relativi alla sussistenza del credito vantato dal surrogato, posto che esso verte in merito al pericolo di danno, che deve essere prospettato dal creditore agente in via surrogatoria.
Con il quarto motivo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, la violazione dell’art. 2900 cod. civ.
Lamentano i ricorrenti che la Corte d’appello erroneamente ha limitato l’interpretazione dell’art. 2900 cod. civ. dell’ eventus damni in capo al surrogante quando ricorra ‘un pericolo di insolvenza’ del debitore surrogato derivante soltanto da una ‘incapienza patrimoniale’ di quest’ultimo , ‘…
circostanza che l’attore odierno appellante -nemmeno aveva allegato …’ . La Corte d’appello, tuttavia, ha escluso dall’ambito di applicazione della norma i casi in cui il creditore surrogante possa subire comunque uno specifico pregiudizio concreto e attuale al suo diritto a causa dell’inerzia del debitore surrogato. Tale impostazione è confermata dal riconoscimento da parte della giurisprudenza della funzione «satisfattiva» dell’azione surrogatoria, diretta, non già alla mera conservazione della garanzia patrimoniale, bensì alla più pregnante attribuzione al surrogante dello specifico bene della vita a cui ha diritto, ‘specie in presenza di rapporti contrattuali strettamente collegati tra loro’. La finalità dell’art. 2900 cod. civ., ovvero assicurare al surrogante ‘che siano soddisfatte o conservate le sue ragioni’, può estendersi a ogni ipotesi in cui subisca un pregiudizio immediato e diretto al suo credito a causa dell’inerzia del surrogato, a prescindere dalla sua capienza patrimoniale.
3. Il motivo è infondato.
L’azione surrogatoria, al pari dell’azione revocatoria e del sequestro conservativo, è strumento di conservazione della generica garanzia patrimoniale del debitore ex art. 2740 cod. civ., riconosciuto al creditore nella fase intermedia fra la costituzione del rapporto obbligatorio e il momento dell’adempimento. In quanto tal e, l’azione surrogatoria è diretta a salvaguardare l’effettiva possibilità per il creditore di soddisfarsi sul patrimonio del debitore, così svolgendo una funzione conservativacautelare. Segnatamente, essa realizza tale risultato mediante un incremento del patrimonio del debitore o evitando un decremento a vantaggio di tutti i creditori di quest’ultimo.
In quanto attributiva di un potere di sostituzione rispetto al debitore rimasto inerte, e non di una speciale azione giudiziaria nei confronti del terzo, la domanda ex art. 2900 cod. civ. è un rimedio di carattere eccezionale riconosciuto al creditore di natura sostitutiva nella tutela del patrimonio del debitore. Questo spiega, tanto i limiti entro i quali tale legittimazione sia ammessa, quanto i risultati con essa conseguibili, non
potendo essere sindacato il modo con cui il debitore abbia ritenuto di esercitare la propria situazione giuridica nell’ambito del rapporto, né essere contestate le scelte e l’idoneità delle manifestazioni di volontà da questo poste in essere a produrre gli effetti riconosciuti dall’ordinamento (v. Cass., sez. II, 12 aprile 2012, n. 5805; 28 novembre 2022, n. 34940).
Ad ogni modo, per andare tema sollecitato dal motivo, per quanto diretta ad assicurare che siano conservate le ragioni del creditore, l’azione surrogatoria nella prospettiva del legislatore poggia sulla ricorrenza di un «pericolo di insolvenza», riferito alla sfera del debitore, che per la sua inerzia rischia di compromettere la generica garanzia patrimoniale ex art. 2740 cod. civ. È necessario che l’inerzia del debitore produca o aggravi il pericolo dell’insolvenza (v. Cass., sez. III, 31 gennaio 1984, n. 741), ossia produca o aggravi il pericolo di insufficienza del patrimonio del debitore a soddisfare il diritto del creditore, dovendo essa risultare pregiudizievole per le ragioni del creditore.
Tale pericolo di insolvenza legittima l’esercizio dell’azione surrogatoria, poiché in assenza di esso non vi è interesse che giustifichi l’ingerenza del creditore nella sfera giuridica del debitore in deroga al principio dell’autonomia privata. Inoltre, il pericolo di insolvenza deve essere attuale e concreto, non bastando una generica eventualità di futura insufficienza della garanzia patrimoniale del debitore.
È stato affermato da questa Corte che per l’esercizio dell’azione surrogatoria ‘ occorre un interesse specifico, determinato dal pregiudizio che può derivare alla ragione del creditore medesimo dal comportamento inerte o negligente del debitore. Tale interesse, per il principio generale dell’onere probatorio, deve essere provato da chi lo allega, non potendo la prova di essa ritenersi implicita nel solo fatto dell’esercizio dell’azione (v. Cass., sez. I, 16 maggio 1967, n. 1021; Cass., sez. I, 26 giugno 1971, n. 2017).
Tale interesse del creditore all’esperimento dell’azione surrogatoria, è stat o precisato, ‘ sussiste ogni qual volta si delinei l’eventualità che il patrimonio del debitore, in conseguenza del suo comportamento inerte e
negligente, non offra adeguate garanzie per il soddisfacimento del credito; non occorre, pertanto, al fine del riconoscimento di detto interesse, l’accertamento dell’effettivo stato di insolvenza del debitore, e cioè di un pregiudizio attuale e certo per il creditore, essendo sufficiente un pericolo di insolvenza, un nocumento eventuale e possibile ‘ (v., Cass., sez. III, 20 ottobre 1975, n. 3448; Cass., sez. III, 27 giugno 1977, n. 2761; Cass., sez. III, 31 gennaio 1981, n. 741). Dunque, se non è richiesto il previo esperimento di un’azione esecutiva da parte del surrogante, come pur sostenuto da autorevole dottrina, stante il carattere prospettico dell’espressione ‘per assicurare che siano soddisfatte o conservate le ragioni’, non è possibile prescindere dal pericolo di insolvenza riferito al debitore surrogato.
Viceversa, quando il diritto del creditore ha per oggetto un determinato bene del debitore, è stato osservato in dottrina, è sufficiente a legittimare l’intervento surrogatorio che l’inerzia del debitore metta in pericolo l’ adempimento di quella determinata obbligazione. Con il che si giustifica l’affermazione della natura «satisfattiva» in relazion e all’azione surrogatoria esercitata in materia di contratti preliminari di vendita a catena aventi a oggetto lo stesso bene (v. Cass., sez. III, 11 maggio 2009, n. 10744; Cass., sez. II, 14 ottobre 2008, n. 25136; 8 gennaio 1996, n. 51). Vicende rispetto alle quali, è stato osservato, l’azione non è intesa soddisfare direttamente il creditore (promissario acquirente), ma a far acquisire alla sfera giuridica del debitore (promittente venditore) il bene sul quale l’attore in surrogatoria potrà soddisfarsi, proponendo nei confronti di quest’ultimo, domanda di esecuzione in forma specifica del contratto preliminare ex art. 2932 cod. civ.
In questa cornice, erroneamente i ricorrenti assumono che il pericolo di insolvenza possa essere riguardato nella prospettiva del surrogante, il quale dall’inerzia del surrogato , vede compromettere la possibilità di conseguire il proprio credito, poiché, come già detto, dato il carattere
eccezionale del potere di sostituzione, il pericolo dell’insolvenza attiene alla sfera del surrogato e non del surrogante.
Detto pericolo, tuttavia, come evidenziato dalla Corte d’appello a pagina 15 non ricorreva, perché ‘ el caso di specie non emerge, dagli atti di causa, alcun elemento che consenta di ritenere sussistente, all’epoca di introduzione del giudizio, un pericolo di insolvenza di RAGIONE_SOCIALE ossia una sua incapienza patrimoniale (circostanza che l’attore odierno appellante nemmeno aveva allegato) che legittimasse l’intervento surrogatorio del Matera nell’esercizio dell’azione risarcitoria che, nelle sua prospettaz ione, competeva alla società, propria debitrice’ .
La decisione della Corte d’appello , pertanto, non merita la svolta censura, poic hé i requisiti dell’azione devono risultare, sia pure implicitamente, dalla domanda di chi la esercita, ivi compreso il pregiudizio alle ragioni del creditore derivanti dall’inerzia del debitore, e tale elemento deve essere accertato dal giudice anche d ‘ ufficio (v., Cass., sez. I, 12 maggio 1973, n. 1284).
Il rigetto del quarto motivo, atteso il suo carattere assorbente rispetto alla svolta domanda surrogatoria, determina l’assorbimento dei primi tre motivi:
con il primo motivo si censura, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4 , cod. proc. civ., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione agli artt. 163, 183, sesto comma, e 342 cod. proc. civ. (omessa pronuncia sulla domanda di risarcimento del danno patrimoniale subito da RAGIONE_SOCIALE a causa dell’inadempimento di RAGIONE_SOCIALE al contratto di brokeraggio stipulato con la stessa, per aver la Corte d’appello pronunciato solo sul diverso danno non patrimoniale);
con il secondo motivo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell’art. 112, in relazione agli artt. 183, comma sesto, 132, n. 4, cod. proc. civ. e 111 Cost. (si lamenta l’assenza di ogni qualsiasi motivazione idonea
a giustificare la presunta reiezione della domanda del risarcimento del danno patrimoniale azionata ex art. 2900 cod. civ.);
con il terzo motivo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., in relazione agli artt. 1218, 1219, 1223, 1372, comma primo, 1175 e 1375 cod. civ. ( la Corte d’appello avrebbe omesso di porre a fondamento della decisione i fatti non contestati da Enac, nei quali si è sostanziato l’inadempimento agli obblighi derivanti dal contratto di brokeraggio in violazione degli obblighi di correttezza e buona fede. La considerazione di queste circostanze fattuali avrebbe dovuto portare la Corte alla sussunzione nelle norme in tema di responsabilità contrattuale, con conseguente condanna dell’ente al risarcimento del danno da mancato guadagno provvigionale).
Con il quinto motivo è denunciata , ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 91 cod. proc. civ. e dell’art. 21 T.U. 1611/1933 in combinato disposto con l’art. 11 l. 576/1980 e gli artt. 1, 3 e 5 d.p.r. 633/1972.
I ricorrenti lamentano che la Corte d’appello , nel pronunziare la condanna degli appellanti alla rifusione delle spese di lite in favore dell’appellato, ha riconosciuto anche il contributo per la cassa forense e l’iva, i quali non possono spettare agli avvocati dell’Avvocatura dello Stato, che in quanto dipendenti di quest’ultima sono soggetti al relativo regime previdenziale, fiscale e di quiescenza . Né spetta all’appellato il rimborso dell’iva , perché i procuratori e gli avvocati dello Stato non possono essere qualificati esercenti arti e professioni ai sensi degli artt. 1, 3 e 5 d.p.r. 633/1972.
5.1. Il motivo è fondato.
Come correttamente osservato dai ricorrenti, è stato affermato da questa Corte che ‘ il contributo aggiuntivo previdenziale è previsto dall’art. 11 della legge 20.9.1980, n. 576 (come modificato dall’art. 2 della legge 2.5.1983, n. 175) soltanto per gli iscritti agli albi di avvocato e procuratori
e non certo per gli avvocati del cd. foro erariale che sono dipendenti dello Stato’ (v. Cass., sez. III, 23 maggio 2000, n. 6723).
Analogamente , in quanto l’assistenza giudiziale in favore dell’appellato è stata svolta dall’Avvocatura dello Stato , non spetta il rimborso dell’Iva, po iché gli avvocati dello Stato non essendo esercenti ‘arti o professioni’, ma dipendenti dello Stato, non sono tenuti all’applicazione dell ‘ Iva, il cui presupposto è la cessione di beni o la prestazione di servizi effettuata nel territorio dello Stato nell’esercizio di imprese o nell’esercizio di arti e professioni (art. 1 d.p.r. 633/1972).
Per esercizio di arti e professioni in base all’art. 5 d.p.r. 633/1972 ‘ si intende l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, di qualsiasi attività di lavoro autonomo da parte di persone fisiche ovvero da parte di società semplici o di associazioni senza personalità giuridica costituite tra persone fisiche per l’esercizio in forma associata delle attività stesse ‘. È evidente che tale non è il caso di specie, sì che all’appellato non si sarebbe potuto riconoscere neppure il diritto al rimborso dell’iva , applicabile in sede di rivalsa da parte del prestatore del servizio di assistenza legale appartenente al libero foro.
In accoglimento del quinto motivo, rigettato il quarto motivo ed assorbiti i primi tre motivi, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione e , decidendo nel merito ai sensi dell’art. 384, comma secondo, cod. proc. civ., va dichiarata la non debenza del contributo previdenziale aggiuntivo e del rimborso dell’iva su quanto liquidato nella sentenza impugnata a titolo di compenso professionale in favore dell’appellato.
L’esito complessivo del giudizio giustifica la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quinto motivo di ricorso, rigettato il quarto ed assorbiti i primi tre motivi, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito, ai sensi dell’art. 384, comma secondo, cod. proc. civ., dichiara la non debenza del contributo previdenziale aggiuntivo e del rimborso dell’iva su quanto
liquidato nella sentenza impugnata a titolo di compenso professionale in favore dell’appellato; compensa le spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza sezione civile della
Corte Suprema di Cassazione in data 19 maggio 2025.
Il Presidente Dott. NOME COGNOME