Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 25394 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 25394 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13414/2021 R.G. proposto da:
COMUNE PORTO SAN GIORGIO, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliato in MACERATA C/O DOMICILIO DIGITALE, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
nonchè
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
nonchè
contro
SCOTECE
NOME
-intimato- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ANCONA n. 1184/2020 depositata il 10/11/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Fatti di causa
-l’impresa RAGIONE_SOCIALE ha eseguito lavori per migliorare il funzionamento della fognatura del Comune di Porto San Giorgio.
Ha emesso fattura per il pagamento di tali lavori ma il comune ne ha rifiutato il pagamento. L’impresa ha dunque agito in un primo momento direttamente nei confronti del comune, davanti al Tribunale di Fermo che, con sentenza numero 654 del 2010, ha rigettato la domanda rilevando che non era stato stipulato alcun contratto avente forma scritta e che dunque non era validamente sorto alcun rapporto obbligatorio, né poteva dirsi ammissibile l’azione di ingiustificato arricchimento.
-L’impresa ha dunque nuovamente agito, sempre davanti al Tribunale di Fermo, nei confronti degli amministratori, che avevano con i propri atti commissionato i lavori di cui si chiedeva il
pagamento, e che dunque avevano agito in violazione dell’articolo 191 del testo unico degli enti locali.
L’impresa ha chiesto in via principale la condanna di quei dipendenti in proprio, ed in subordine, la condanna dello stesso comune in via surrogatoria.
In altri termini, l’impresa ha agito sostituendosi ai funzionari comunali, i quali avrebbero dovuto proporre nei confronti del comune azione di arricchimento ingiustificato, ma erano rimasti inerti.
In quel giudizio si è costituito anche il Comune di Porto San Giorgio il quale ha negato che l’opera abbia avuto una qualche utilità, e dunque ha negato il presupposto della azione nei suoi confronti.
3. -Il Tribunale di Fermo ha accertato che il rapporto era intercorso tra l’impresa ed un funzionario del comune, ed ha dunque ritenuto quest’ultimo legittimato all’azione di arricchimento ingiustificato nei confronti dell’ente e di conseguenza ha ammesso l’azione surrogatoria da parte della impresa in sostituzione del funzionario inerte.
Questa decisione è stata confermata dalla Corte di appello di Ancona, che ha rigettato l’appello principale del comune e dichiarato assorbiti gli appelli incidentali dei funzionari e della impresa.
-Ricorre il Comune di Porto San Giorgio con cinque motivi.
Hanno notificato controricorso l’impresa RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME il funzionario ritenuto responsabile della spesa effettuata dal comune, i quali entrambi hanno chiesto il rigetto della impugnazione.
Ragioni della decisione
1. -Per ragioni logiche va esaminato per primo il quinto ed ultimo motivo , che prospetta violazione degli articoli 2041 c.c. e 191 TUEL.
La tesi sostenuta con tale motivo, infatti, attiene ad un presupposto dell’azione surrogatoria, della cui fondatezza si occupano i motivi successivi.
Ed infatti, il ricorrente qui contesta che il funzionario abbia azione di arricchimento verso il comune, e dunque contesta che il funzionario abbia verso il comune un credito da arricchimento ingiustificato: l’insussistenza di un tale credito, e dunque l’inerzia nel farlo valere, priva l’azione surrogatoria dei suoi presupposti.
Il motivo è infondato.
Qui, l’impresa ricorrente si sostituisce al funzionario comunale nel diritto di costui di agire verso il comune per arricchimento ingiustificato.
In altri termini, inerte il funzionario, è l’impresa che esercita l’azione spettante a costui.
Che il funzionario, citato dal creditore, per una propria diretta responsabilità, ossia per avere dato causa ad una prestazione onerosa per l’ente locale, possa a sua volta, far accertare che quella prestazione è tornata utile all’ente, è ormai pacifico.
A porlo in evidenza fu la Corte Costituzionale, chiamata a giudicare la legittimità della legge che prevede la responsabilità diretta del funzionario che ha agito, e che, in quella occasione, ha precisato che ‘ è quindi coerente che, in caso di violazione di tale disposizione, i contratti e gli atti posti in essere non siano riferibili all’Amministrazione, ma esclusivamente all’amministratore o al funzionario che abbia consentito la fornitura. Nè è violato il principio generale dell’indebito arricchimento perché l’azione ex art. 2041 cod. civ. (ancorché non esperibile dal terzo contraente) può comunque essere promossa dal funzionario od amministratore che abbia adito in proprio nei limiti dell’utilitas conseguita
dall’Amministrazione che abbia acquisito i beni o i servizi ‘ (Corte Cost. n. 4467 1995).
Il principio ha una sua giustificazione pratica, che peraltro corrisponde alla fattispecie dell’arricchimento ingiustificato: il funzionario che ha impegnato l’ente ne ha altresì determinato l’arricchimento, avendo procurato all’ente una prestazione comunque utile, e che l’ente non è obbligato a remunerare, poiché la prestazione è sorta in violazione delle regole di contabilità ed amministrative; ma, al contempo, quella condotta, oltre che arricchire l’ente, ha depauperato il funzionario, che è chiamato a corrispondere direttamente lui la somma dovuta all’impresa.
Questa ragionevole ricostruzione della fattispecie ha indotto questa Corte a seguire l’indicazione del giudice delle leggi, e ad affermare, in ormai numerose decisioni, che il funzionario responsabile della spesa può agire nei confronti del comune per l’arricchimento ingiustificato derivato dalla prestazione a favore di quest’ultimo (Cass. 1391/ 2014; Cass. 15415/ 2018; Cass. 5665/ 2021).
Ciò detto.
1.1 -Con il primo motivo si prospetta violazione dell’articolo 2900 del codice civile.
La tesi del ricorrente è la seguente.
Presupposto perché possa proporsi l’azione surrogatoria è che il credito di chi si surroga, ancorché possa essere non esigibile, deve però essere certo, nel senso che non può agire in surrogatoria un creditore il cui credito sia contestato, e sia in via di accertamento giudiziale.
Per supportare questa conclusione, il ricorrente invoca un precedente di questa Corte (Cass. n. 10428/ 19989).
Sostiene di conseguenza che, poiché il credito della impresa non era stato accertato da alcuna sentenza ed era dunque ancora in contestazione, la stessa impresa non poteva agire in surrogatoria a tutela di quel credito.
Il motivo è infondato.
Ed infatti, il credito è stato accertato nel momento stesso in cui è stato consentito al creditore di farlo valere in via surrogatoria.
La ratio della giurisprudenza citata è quella di impedire che venga esercitata una azione a garanzia del credito (surrogatoria), quando quest’ultimo è incerto, e potrebbe alla fine risultare inesistente: nella fattispecie, invece, il credito è stato accertato contestualmente alla azione con cui il terzo si è surrogato al creditore. Nulla vieta al creditore di agire contemporaneamente sia per l’accertamento del credito che, di conseguenza, per la surrogatoria a garanzia del medesimo, non essendo necessario che egli debba ottenere l’accertamento del suo credito in un distinto giudizio, prima di poter agire in surrogatoria, ed essendo la surrogatoria ovviamente subordinata a quell’accertamento: se il giudice di merito avesse negato il credito, la surrogatoria sarebbe stata a sua volta inammissibile.
-Con il secondo motivo si prospetta violazione dell’articolo 2900 c.c.
Sostiene il ricorrente che presupposto della surrogatoria è l’inerzia del debitore.
Chi agisce in surrogatoria deve dimostrare che si sta sostituendo ad un proprio debitore, a causa della inerzia di costui nel far valere un proprio credito. In questo caso l’impresa non aveva neanche allegato quale fosse, ed in che termini vi fosse, l’inerzia del debitore, ed i giudici di merito, erroneamente, hanno ritenuto che l’inerzia potesse anche manifestarsi dopo l’introduzione della causa, ossia dopo l’esperimento della surrogatoria.
Inoltre, la società creditrice non aveva indicato quali rimedi il suo debitore avrebbe dovuto esperire che non ha esperito, e dunque per quale ragione l’inerzia di costui era tale da giustificare la surrogatoria.
Il motivo è infondato.
Come si è detto in precedenza, l’inerzia del debitore (il funzionario) è nel mancato esperimento dell’azione di arricchimento nei confronti del comune, il che connota anche il rimedio che costui avrebbe dovuto esperire.
3. -Il terzo motivo prospetta sempre violazione dell’articolo 2900 c.c.
Tra i presupposti dell’azione surrogatoria v’è il pericolo di non poter soddisfare il credito, e dunque chi agisce in surrogatoria deve dimostrare che l’inerzia del debitore ha diminuito il patrimonio di costui, o meglio, che se il debitore avesse agito per recuperare il suo credito, il suo patrimonio sarebbe più capiente.
Ritiene il ricorrente che l’azione surrogatoria è stata ammessa nonostante il surrogante, il creditore che si è surrogato, non abbia dimostrato che l’inerzia del suo debitore, l’ha pregiudicato.
Il motivo è inammissibile.
Postula un accertamento in fatto qui non consentito.
L’accertamento è stato in realtà compiuto dal giudice di merito, il quale ha ravvisato nella inerzia una ‘sensibile riduzione della garanzia patrimoniale del debitore’ (p. 7, punto 12, ma si richiama anche l’accertamento svolto in primo grado, p. 6).
Dunque, la censura si risolve nella richiesta di un accertamento diverso.
4. -Il quarto motivo prospetta violazione dell’articolo 112 c.p.c.
Secondo il ricorrente, l’impresa ha chiesto, in surrogatoria, solo il la condanna al relativo ammontare; per contro, il giudice di merito ha mero accertamento dell’arricchimento ingiustificato, e non deciso anche la condanna, così pronunciando oltre il richiesto.
Il motivo è infondato.
Invero la decisione impugnata ha interpretato la domanda, con giudizio qui non sindacabile, se non per difetto assoluto di motivazione, come comprensiva anche della condanna, della pronuncia costitutiva, e non quale azione di mero accertamento.
Né ovviamente poteva deporre in tale ultimo senso il fatto che l’impresa si era riservata di procedere esecutivamente. Semmai, la riserva di agire esecutivamente dimostra che in quel procedimento si chiede la condanna, e che solo per l’esecuzione di essa ci si riserva ulteriori azioni.
Il ricorso va pertanto rigettato. Le spese seguono la soccombenza P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, nella misura di 4500,00 euro, oltre 200,00 euro per esborsi, ed oltre spese generali.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, se dovuto, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 19/05/2025. Il Presidente NOME COGNOME