Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 2052 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 2052 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 19/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15673/2019 R.G. proposto da:
NOME e NOME PATRIZIO , elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), giusta procura speciale in atti
-ricorrenti- contro
COGNOME NOME , COGNOME IOLE e OGNISSANTI NOME, domiciliati ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE, giusta procura speciale in atti
-controricorrenti-
avverso la SENTENZA della CORTE DI APPELLO DI MESSINA n. 110/2019 depositata il 19/02/2019;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09/01/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME conveniva in giudizio avanti al Tribunale di Messina NOME e NOME COGNOME, premettendo di essere proprietario di un attico con terrazza a livello sito all’ultimo piano d ell’INDIRIZZO di Messina e lamentando che ignoti, nel maggio 1999, avevano tagliato gli elementi verticali della ringhiera/ parapetto in ferro ivi esistente, posizionando una chiusura con pannelli in alluminio dell’altezza di metri due, provocando anche danni alle mattonelle del cordolo e della pavimentazione.
Poiché a seguito di indagini preliminari avviate a seguito di una sua denuncia, conclusasi con l’archiviazione per morte del reo, era emerso che l’autore dell’illecito era NOME COGNOME, chiedeva la condanna dei convenuti, nella loro qualità di eredi dello stesso, al risarcimento dei danni subiti.
Si costituiva in giudizio NOME COGNOME, assumendo che nel 1998 l’attore aveva sostituito il preesistente muro con una ringhiera, costituendo un’illegittima servitù di veduta a carico della proprietà di NOME COGNOME e che quest’ultimo era stato costretto a ripristinare lo stato dei luoghi tramite la posizione di pannelli in alluminio. Chiedeva pertanto in via riconvenzionale la declaratoria di inesistenza di servitù di veduta a carico dell’immobile COGNOME e la condanna del COGNOME al risarcimento dei danni causati tanto
dall ‘ illegittima costituzione della servitù quanto dall’esecuzione dei lavori.
Con sentenza n. 2425/15 il Tribunale di Messina condannava NOME e NOME COGNOME al pagamento in favore di NOME COGNOME a titolo di risarcimento, secondo le rispettive quote ereditarie, della somma di euro 5.000,00 e rigettava le domande riconvenzionali.
Proponevano appello NOME e NOME COGNOME, lamentando la nullità della sentenza per difetto di legittimazione processuale passiva per mancata integrazione del contraddittorio per essere il lastrico solare di proprietà di NOME COGNOME e per indimostrata sussistenza della pretesa servitù di veduta vantata dall’attore. Si costituivano COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, quali eredi di NOME COGNOME.
Con sentenza n. 110/2019 la Corte di appello di Messina rigettava l’appello, confermando integralmente la decisione impugnata.
Nei confronti della pronuncia di appello NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno presentato ricorso per cassazione, articolato in cinque motivi.
NOME COGNOME, NOME COGNOME e COGNOME NOME hanno depositato controricorso.
In prossimità dell’adunanza, parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Con il primo motivo i ricorrenti deducono, ai sensi dell’art. 360 comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione degli artt. 101 e 112 c.p.c. e dell’art. 1079 c.c. per avere la Corte d’appello di Messina ritenuto che l’oggetto del giudizio di grado esulasse dalla fattispecie della confessoria servitutis di cui all’art. 1079 c.c., ritenendo l ‘azione
limitata solo alla richiesta risarcitoria causata dalla turbativa di tale servitù.
Specificamente, la Corte non avrebbe considerato l’esplicita contestazione del preteso diritto di servitù di veduta attuata dall’originario proprietario NOME COGNOME e non avrebbe tenuto adeguato conto delle domande proposte in giudizio dall ‘allora attore (il contenuto dell’atto di citazione e delle memorie ex art. 183 c.p.c.; l’ articolazione di prova testimoniale volta a comprovare l’acquisto della servitù di veduta), dalle quali risultava la proposizione di una ‘confessoria servitutis’, con la necessità di evocare in giudizio il proprietario del preteso fondo servente.
2.Con il secondo e il terzo motivo, con riferimento all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., i ricorrenti ritengono la sentenza affetta da nullità, per violazione degli artt. 81, 99, 101, 112 c.p.c. e 1079 c.c., posto che la stessa, dopo avere riconosciuto che proprietaria del preteso fondo servente era NOME COGNOME, come dichiarato dall’originario attore (e che i ricorrenti non avevano alcun rapporto di natura reale con tale bene), non ha dichiarato la nullità del giudizio di prima istanza e ha ritenuto non necessaria l’ integrazione del contraddittorio.
3.Con il quarto motivo si lamenta, con riguardo all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., la violazione degli artt. 81, 99, 101, 112 c.p.c. e 1079 c.c. perché la decisione impugnata ha confermato la sentenza di primo grado ritenendo che gli attuali controricorrenti non avessero l’onere di provare l’esistenza della dichiarata servitù di veduta, non spiegando così la connessione logica o giuridica tra l’accoglimento della domanda di risarcimento dei danni per la lesione del vantato diritto di servitù e la mancata prova dell’esistenza della predetta.
4.L’ultimo motivo (violazione, ex art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., degli artt. 1079 e 2697 c.c.) censura la sentenza della Corte
distrettuale sul punto della giustificazione attribuita all’eccezione di inammissibilità della prova testimoniale sul presupposto acquisto della servitù di veduta, che ha reso indimostrata l’esistenza di tale diritto.
Il ricorso è destituito di fondamento e va rigettato.
Il primo motivo è inammissibile, in quanto volto ad ottenere una diversa qualificazione giuridica dei fatti di causa, contravvenendo il consolidato principio secondo il quale l’interpretazione delle domande, eccezioni e deduzioni delle parti dà luogo ad un giudizio riservato in via esclusiva al giudice di merito.
Fermo restando che lo stesso principio non trova applicazione quando si assume che tale interpretazione avrebbe determinato, come prospettano i ricorrenti, un vizio riconducibile alla violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato (trattandosi della denuncia di un ” error in procedendo ” che attribuisce alla Corte di cassazione il potere-dovere di procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali e, in particolare, delle istanze e deduzioni delle parti), è evidente, nel caso de quo , che l’attore NOME COGNOME propose in giudizio non già un’azione reale a difesa della servitù di veduta, ma un’azione personale di risarcimento del danno cagionato alle mattonelle del cordolo e alla pavimentazione dall ‘apposizione dei pannelli di alluminio in luogo della ringhiera/parapetto in ferro sulla terrazza a livello.
Questo è comprovato dalle conclusioni della domanda attorea riportate anche a pag. 6 del controricorso, nelle quali si chiedeva che il Tribunale volesse dichiarare l’illiceità dei fatti e comportamenti commessi al tempo da NOME COGNOME ex art. 2043 c.c., nonché la responsabilità di questi ex art. 2051 c.c. quale proprietario dell’immobile dal quale erano state poste in essere le opere abusive,
e conseguentemente condannare i convenuti eredi COGNOME NOME
e COGNOME NOME a risarcire tutti i danni subiti dall’attore.
Le deduzioni dei ricorrenti avevano già formato oggetto del primo motivo di gravame, che è stato ritenuto dalla sentenza impugnata palesemente infondato , posto che ‘ nello stesso atto di appello (lettere C e D) il RAGIONE_SOCIALE, pur vantando l’esistenza dei servitù di veduta a carico della limitrofa proprietà COGNOME, non ha mai avanzato ‘nessuna domanda’ volta all’accertamento della (sua) relativa esistenza ‘. Continua la sentenza che è sufficiente ‘ la lettura dell’atto di citazione per verificare che l’attore ha avanzato a carico dei convenuti, nella qualità di eredi del COGNOME, la domanda di risarcimento dei danni che assumeva provocati dall’apposizione dei pannelli alle mattonelle della terrazza di proprietà ‘.
Correttamente, pertanto, la Corte distrettuale ha escluso la necessità di integrare il contradditorio con NOME COGNOME, proprietaria del lastrico solare, non essendo la medesima né autrice materiale del danno cagionato, né erede del NOME COGNOME.
Non giova al ricorrente il richiamo alla produzione dell ‘atto stragiudiziale a firma NOME COGNOME diretto a contestare l’esistenza della servitù, né gli stralci delle argomentazioni difensive contenute negli atti difensivi dei controricorrenti, che non intaccano il tenore della domanda giudiziale proposta.
7.Le argomentazioni sopra esposte valgono a rigettare per infondatezza anche il secondo e il terzo motivo di ricorso, che tacciano la sentenza di nullità per mancata integrazione del contradditorio.
Non essendo stata proposta in giudizio un’azione di ‘ confessoria servitutis ‘ e non essendo dunque in questione turbative o molestie relative all’esercizio del diritto, appare inconferente la giurisprudenza citata dal ricorrente riguardante la necessità di integrare il
contradditorio con il proprietario del fondo qualora vengano in considerazione tali turbative o molestie.
8.Ancora per le medesime ragioni, appaiono inammissibili il quarto e il quinto motivo di ricorso, tra loro connessi, con il quale i ricorrenti ritengono erronea la sentenza impugnata per non avere ritenuto che gli attuali controricorrenti avessero l’onere di provare l’esistenza della dichiarata servitù di veduta, la quale sarebbe risultata indimostrata, non avendo gli appellati richiesto l’assunzione della prova testimoniale volta a provarla.
A tacere della scarsa chiarezza del quinto motivo di ricorso, che ne mina l’autosufficienza, dai mezzi di doglianza emerge il tentativo di ribaltare la situazione processuale da parte dei ricorrenti, che hanno avanzato domanda riconvenzionale di negatoria servitutis , già dichiarata dal giudice del merito inammissibile perché proposta in carenza di legittimazione attiva, imputando all’allora att ore, che si è limitato ad avanzare difese contro tale domanda anche in ordine alla prova testimoniale, di non avere provato una (inesistente) domanda di confessoria servitutis .
9.In conclusione, la sentenza impugnata appare immune dai denunciati vizi e il r icorso va rigettato. I ricorrenti devono essere condannati al rimborso delle spese di lite in forza del principio della soccombenza. Le spese vengono liquidate come in dispositivo, in favore dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, anticipatario che ne ha fatto richiesta.
10.Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge, con distrazione in favore del difensore antistatario.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione