Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 34240 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 34240 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 31857/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in Amministrazione Straordinaria, elettivamente domiciliata in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE,
-ricorrente-
contro
Fallimento RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME COGNOME Vincenzo (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE,
-controricorrente e ricorrente incidentale-
avverso sentenza della Corte d’Appello di Bari n. 1213/2020 depositata il 26/06/2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/10/2024
dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1 La Corte d’Appello di Bari, in totale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Trani che, in accoglimento della domanda proposta dalla Congregazione RAGIONE_SOCIALE in Amministrazione Straordinaria(di seguito denominata per brevità ‘Congregazione in RAGIONE_SOCIALE), aveva dichiarato l’inefficacia nei confronti della procedura dell’atto di cessione dei crediti stipulato in data 5/7/2012, tra la RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE (breviter ‘RAGIONE_SOCIALE‘) ed aveva condannato la società convenuta alla restituzione dell’importo di € 200.000, percepite in forza della cessione, accoglieva il gravame proposto da NOME (fallita nel corso del giudizio di secondo grado) rigettando la domanda originariamente proposta da RAGIONE_SOCIALE
1.1 La Corte distrettuale, per quanto di interesse in questa sede, ha escluso che la cessione dei crediti potesse integrare gli estremi del pagamento anomalo in quanto tale atto era stato previsto come una modalità di estinzione delle forniture di servizi erogati dalla società cessionaria da specifiche previsioni contenute nell’art. 20 del contratto a monte di somministrazione dei pasti stipulato, in data 30/11/2000, tra Congregazione e Ambrosia. Andava, quindi, secondo i giudici di seconde cure , data una lettura unitaria dell’atto di cessione del 5/7/2023 oggetto di revocatoria e del contratto di fornitura pasti intercorso tra le medesime parti in epoca non sospetta.
2 Congregazione in A.S ha proposto ricorso per Cassazione affidandosi a sei motivi, RAGIONE_SOCIALE ha svolto difese con
contro
ricorso ed ha proposto ricorso incidentale cui ha replicato la ricorrente. Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1 I motivi del ricorso principale possono così sintetizzarsi:
violazione degli artt. 1362, 1363 e 1366, c.c., in relazione all’art. 360 1° comma nr. 3, c.p.c.: la ricorrente lamenta che la Corte, nell’attribuire all’atto di cessione dei crediti valenza attuativa dell’accordo stipulato dodici anni prima, sarebbe incorsa nella violazione di plurimi canoni di ermeneutica contrattuale che, ove correttamente seguiti, avrebbero orientato la decisione verso un giudizio di indipendenza e autonomia dell’atto dispositivo del 2012 rispetto al contratto di fornitura del 30.11.2000;
violazione e falsa applicazione dell’art. 67 comma 1 l.fall ., in relazione all’art. 360, comma 1 nr. 3 c.p.c.: la Corte, a giudizio della ricorrente, avrebbe malamente negato la sussunzione della cessione nell’ambito della disciplina della revocatoria fallimentare pur in presenza di tutti gli elementi richiesti dalla norma;
omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione, in relazione all’art. 360, comma 1 nr. 5 c.p.c., rappresentato dalla mancanza, nei dodici anni precedenti in cui si è svolto il rapporto di fornitura di servizi tra le parti, dell’utilizzo della cessione di crediti vantati dalla Congregazione verso le ASL quale modo di pagamento (cessioni avvenute nel corso del rapporto eseguite nel diverso ambito di rapporti di factoring);
e 5) violazione degli artt.111 Cost. e 132, comma 2, nr. 4 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1 nr. 4 c.p.c.: la motivazione sarebbe affetta da contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili per aver la Corte fondato il proprio convincimento mediante l’inappropriato richiamo all’ordinanza della Cassazione nr.
14002/2018 che, per escludere la natura solutoria della cessione del credito, fa riferimento non alle previsioni dell’accordo a monte ma a durata e modalità di pagamento seguite in concreto dalle parti. La sentenza sarebbe anche viziata da motivazione apparente in quanto i passaggi dove si riconosce il collegamento tra il contratto di somministrazione e la cessione dei crediti, negandosi ogni autonomia tra i due contratti, e dove si ritiene che la cessione dei crediti sia l’unica modalità di pagamento , si baserebbero su affermazioni apodittiche;
violazione dell’art 112 c.p.c., in relazione all’art.360, 1 comma nr. 4 c.p.c.: la Corte non si sarebbe pronunciata sulla domanda, proposta in via subordinata di revocatoria delle cessioni dei crediti ai sensi dell’art. 67 nr. 4 l.fall. e sull’eccezione di giudicato interno avanzata dalla Congregazione nella comparsa in appello e, nel riformare la sentenza, si sarebbe pronunciata su una domanda mai proposta dall’appellante.
2 Il primo motivo del ricorso incidentale denuncia nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 comma 1 nr. 4 c.p.c.: si ascrive alla Corte di non essersi pronunciata sulla specifica eccezione proposta dal Fallimento di sopravvenuta inammissibilità della domanda di revocatoria fallimentare promossa nei confronti di una società dichiarata fallita nel corso del giudizio di secondo grado.
Si precisa, quindi, che la Corte avrebbe dovuto dichiarare l’inammissibilità della domanda in ossequio ai principi enunciati dalla Corte di cassazione con la sentenza a sezioni unite nr. 30416/2018.
2.1 Il secondo motivo deduce violazione dell’art 112 c.p.c. per avere la Corte omesso di pronunciarsi sull’eccezione della sopravvenuta carenza di interesse ad agire in quanto la Congregazione in A.S. non aveva formulato alcuna istanza tempestiva e/o tardiva di ammissione allo stato passivo del
Fallimento NOME del credito di € 200.000 riconosciuta dalla sentenza di primo grado.
3 Ragioni di ordine logico e di economicità impongono di esaminare prioritariamente il primo motivo del ricorso incidentale, che pone all’attenzione di questo Collegio la questione della ammissibilità dell’azione revocatoria nei confronti di una procedura fallimentare.
3.1 Occorre precisare che il mancato esame da parte del giudice di una questione puramente processuale non può dare luogo a vizio di omessa pronuncia, che si configura solo nel caso di mancato esame di domande o eccezioni di merito; in tale ipotesi si può profilare un vizio della decisione per violazione di norme diverse dall’art. 112 c.p.c., se ed in quanto si riveli erronea, oltre che utilmente censurata, la soluzione implicitamente data dal giudice alla questione prospettata dalla parte (Cass. 22860/2004, 14486/2004, 24808/2005 e 15843/2015).
Nella fattispecie in esame il controricorrente ha comunque denunciato la violazione di legge in cui sarebbero incorsi i giudici di secondo grado nel non aver dichiarato inammissibile la revocatoria connessa all’ingresso di Ambrosia in fallimento .
3.2 Il motivo, così riqualificato, è fondato per quanto di ragione.
3.3 E’ pacifico che RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, convenuta nel giudizio di revocatoria fallimentare ex art. 67 comma 1 l.fall., è stata dichiarata fallita, con sentenza del Tribunale di Milano nr 728/2071, nelle more del giudizio di appello; il processo si è interrotto per poi essere riassunto dalla Curatela che ha chiesto, in sede di precisazione delle conclusioni, in via principale, che fosse dichiarata inammissibile la domanda di revocatoria fallimentare sulla scorta dei principi enucleati da questa Corte.
3.4 Al riguardo è opportuno sinteticamente ricostruire l’evoluzione giurisprudenziale sulla tematica giuridica della ammissibilità o meno dell’azione revocatoria nei confronti di una curatela fallimentare.
3.5 L’orientamento tradizionale e prevalente espresso dalla giurisprudenza di legittimità non ritiene ammissibile un’azione revocatoria, ordinaria o fallimentare, nei confronti di una procedura concorsuale, stante il principio di cristallizzazione del passivo alla data di apertura del concorso e il carattere costitutivo della predetta azione (cfr. tra le tante Cass. 3672/2012 e 10486/2011).
3.6 A diverse conclusioni si era pervenuti con riferimento all’azione revocatoria iniziata prima del fallimento della parte convenuta; si era riconosciuta la proseguibilità dell’azione in considerazione del fatto che effetti restitutori conseguenti alla revoca retroagiscono alla data della domanda, per il generale principio che la durata del processo non deve recar danno a chi ha ragione (cfr. Cass. 437/2000 e 5443/1996). Si era tuttavia escluso che l’eventuale, vittorioso, esperimento dell’azione revocatoria trascritta anteriormente alla data del fallimento dell’acquirente, abilitasse il creditore dell’alienante non fallito a promuovere l’esecuzione sull’immobile compravenduto: il bene, attesa l’inefficacia solo relativa della sentenza di accoglimento della domanda di revoca, doveva infatti considerarsi ad ogni altro effetto entrato a far parte dell’attivo fallimentare e, pertanto, soggetto al divieto di cui all’art. 51 l. fall. (cfr. Cass. nr. 25850/2011).
3.7 L’indirizzo tradizionale ha trovato autorevole conferma nelle Sezioni Unite di questa Corte (cfr. sentenza n. 30416 del 23/11/2018), le quali hanno ribadito il principio secondo cui: «la sentenza che accoglie la domanda revocatoria, sia essa ordinaria o fallimentare, al di là delle differenze esistenti tra le due azioni ed in considerazione dell’elemento soggettivo di comune accertamento da parte del giudice, ha natura costitutiva in quanto modifica “ex post” una situazione giuridica preesistente, privando di effetti atti che avevano già conseguito piena efficacia e determinando la restituzione dei beni o delle somme oggetto di revoca alla funzione di generale garanzia patrimoniale ed alla soddisfazione dei creditori
di una delle parti dell’atto dispositivo». Con la conseguenza che deve ritenersi inammissibile l’azione revocatoria, ordinaria o fallimentare, esperita nei confronti di un fallimento, trattandosi di un’azione costitutiva che modifica ex post una situazione giuridica preesistente ed operando il principio di cristallizzazione del passivo alla data di apertura del concorso, in funzione di tutela della massa dei creditori.
3.8 La questione è stata nuovamente rimessa alle Sezioni Unite, anche in considerazione dell’esigenza di assicurare tutela al ceto creditorio del soggetto disponente, leso dall’atto di frode (o comunque depauperativo) comunque verificatosi prima del fallimento del beneficiario dell’atto stesso; evento che determinerebbe un irragionevole arricchimento dei creditori di questi a danno, invece, di quelli del primo.
3.9 Le Sezioni Unite, pronunciandosi sulla questione, con la sentenza nr. 12576/2020 hanno confermato la natura costitutiva dell’azione revocatoria e ribadito il principio, desumibile dalla lettura degli artt. 42, 44,45,51 3 52 l.fall., della cristallizzazione dell’asse fallimentare (il patrimonio, e dunque l’attivo) alla data del fallimento.
3.10 Si afferma, in particolare che: «nel sistema della L. Fall., la vocazione collettiva sintetizzata dall’espressione “il fallimento apre il concorso dei creditori sul patrimonio del fallito” (art. 52) deve esser letta col sottinteso riferibile al titolo giustificativo anteriore alla sentenza dichiarativa (in pratica come se dicesse che il fallimento apre il concorso dei creditori sul patrimonio del fallito “per titolo anteriore alla sentenza”); e questo perché niente che sia insorto dopo può determinare un’ingerenza sull’asse patrimoniale assoggettato al concorso. Per contro il positivo esercizio dell’azione revocatoria finirebbe col sottrarre il bene che ne costituisce oggetto alla garanzia dei creditori del fallimento dell’acquirente sulla base di un atto (la sentenza) successivo a tale fallimento; atto-sentenza
che, in nome del principio per cui la durata del processo non può pregiudicare chi ha ragione, retroagisce, quoad effectum, alla data della domanda, essa pure successiva al fallimento».
3.11 Se la prima parte della sentenza delle Sezioni Unite non si discosta, nella sostanza, dal consolidato indirizzo culminato con l’arresto del 2018, la seconda parte, dandosi carico delle criticità del sistema in punto di tutela dei creditori dell’alienante evidenziate dall’ordinanza interlocutoria, propone originali ed innovative soluzioni.
3.12 Nello sforzo di individuare un equo contemperamento degli interessi in gioco tra il suindicato principio di cristallizzazione dell’attivo, posto a salvaguardia degli interessi dei creditori del fallito acquirente (convenuto in revocatoria) e le esigenze di tutela dei creditori dell’alienante, la seconda pronuncia di questa Corte ha selezionato strumenti e rimedi, diversi dall’indiscriminata ed illimitata ingerenza nel patrimonio del terzo fallito, che i creditori pregiudicati dall’atto dispositivo possono attivare a tutela dei propri interessi.
3.13 Secondo le Sezioni Unite del 2020 è dunque da considerare diritto vivente il principio per cui: «oggetto della domanda di revocatoria (ordinaria o fallimentare) non è il bene in sè, ma la reintegrazione della generica garanzia patrimoniale dei creditori mediante l’assoggettabilità del bene a esecuzione, ne deriva che il bene dismesso con l’atto revocando viene in considerazione, rispetto all’interesse di quei creditori, soltanto per il suo valore…con la precisazione che, quando l’assoggettabilità del bene all’esecuzione diviene impossibile perché il bene è stato alienato a terzi con atto opponibile ai creditori, il naturale sostitutivo è dato dalla reintegrazione dei creditori medesimi per equivalente pecuniario (v. Cass. n. 18369-10). Ciò è tanto vero che l’interesse del creditore ad agire in revocatoria non recede (e resta intatto) anche quando il bene oggetto dell’atto di cui si chiede la revoca non
sia più nella disponibilità dell’acquirente, per essere stato da questi alienato a terzi con atto trascritto anteriormente alla trascrizione dell’atto di citazione in revocatoria».
Da tali premesse si arriva ad affermare che «il fallimento del terzo acquirente, dichiarato dopo l’atto di alienazione, vale a dire dopo l’atto di frode determinativo della lesione della garanzia patrimoniale ma prima che l’azione revocatoria sia esercitata, impedisce solo l’esercizio dell’azione costitutiva, non anche invece l’esercizio di quell’azione restitutoria per equivalente parametrata al valore del bene sottratto alla garanzia patrimoniale. Il fallimento del terzo acquirente, prevenuto all’azione costitutiva, rende l’azione suddetta inammissibile perché non è consentito incidere sul patrimonio del menzionato fallimento recuperando il bene alla sola garanzia patrimoniale del creditore dell’alienante: e quindi perché non è dato di sottrarre quel bene all’asse fallimentare cristallizzato al momento della dichiarazione di fallimento. Ma, così come accade ove prevenuta sia la rivendita con atto già trascritto, il fallimento dell’acquirente impedisce di recuperare il bene onde esercitare su questo l’azione esecutiva, non di insinuarsi al passivo di quel fallimento per il corrispondente controvalore».
Essendo, quindi, l’atto revocabile anteriore al fallimento del terzo acquirente ai creditori dell’alienante non può essere precluso, nelle forme e con gli effetti che il sopravvenuto fallimento consente, l’esercizio della pretesa volta a ottenere la reintegrazione per equivalente.
3.14 Le Sezioni Unite precisano che «tali forme sono quelle indotte dalle regole della concorsualità, giacché il fallimento apre il concorso dei creditori sul patrimonio del fallito nello specifico e qui rilevante senso che chiunque si affermi creditore e intenda concorrere sul ricavato della liquidazione di beni compresi nell’asse fallimentare resta soggetto alle regole che il legislatore ha prescritto per l’accertamento del passivo. E ciò vale quale che sia il
fatto generatore della pretesa, alla sola condizione che esso (fatto) nella specie identificabile nell’atto lesivo della garanzia patrimoniale – sia anteriore alla sentenza di fallimento. La pretesa creditoria è, quindi, soggetta a una verifica endoconcorsuale – con possibilità di contraddittorio con gli altri creditori controinteressati, cioè connaturata al carattere dell’esecuzione fallimentare con la conseguenza che l’accertamento esaurisce la propria rilevanza nell’ambito della procedura fallimentare medesima (L. Fall., art. 96)».
3.15 In definitiva stante l’intangibilità dell’asse fallimentare in base a titoli formati dopo il fallimento (cd. cristallizzazione), l’azione revocatoria nei confronti di un fallimento non può essere esperita con la finalità di recuperare il bene alienato alla propria esclusiva garanzia patrimoniale, poiché si tratta di un’azione costitutiva che modifica ex post una situazione giuridica preesistente; tuttavia, i creditori dell’alienante (e, per essi, il curatore fallimentare ove l’alienante sia fallito) restano tutelati nella garanzia patrimoniale generica dalle regole del concorso, nel senso che possono insinuarsi al passivo del fallimento dell’acquirente per il valore del bene oggetto dell’atto di disposizione astrattamente revocabile, demandando al giudice delegato di quel fallimento anche la delibazione della pregiudiziale costitutiva.
3.16 La soluzione applicativa delineata dalla sentenza delle Sezioni Unite, secondo il principio esposto con riguardo a diversa fattispecie ma di portata più generale, ove offre al creditore dell’alienante la possibilità di far valere, in sede di verificazione dei crediti, la pretesa per equivalente, parametrata al valore del bene, previa decisione da parte del giudice delegato, incidenter tantum , della sussistenza dei requisiti dell’azione costitutiva, assicura, in realtà, una tutela più rapida e un miglior coordinamento decisorio, consentendo di ritenere altresì improcedibile l’azione revocatoria
ordinaria nel caso in cui il fallimento viene dichiarato, come nel caso di specie, nelle more del giudizio.
3.17 L’azione revocatoria promossa prima dell’apertura del fallimento nei confronti dell’acquirente, poi fallito, è infatti diretta ad ottenere il recupero del bene ai soli fini della garanzia patrimoniale del creditore dell’alienante ma tale risultato, come sopra più volte evidenziato, è impedito dal principio di cristallizzazione dell’attivo; con la conseguenza che il vittorioso esperimento dell’azione revocatoria trascritta anteriormente alla data del fallimento dell’acquirente non abilita il creditore dell’alienante non fallito a promuovere l’esecuzione sui beni compravenduti, in quanto essi sono ormai entrati a far parte dell’attivo fallimentare.
3.18 Dunque, l’obbligazione restitutoria cui ha di mira la domanda si converte sempre, sia che l’azione revocatoria sia iniziata nei confronti di un fallimento sia che la stessa sia promossa contro l’accipiens in bonis, successivamente fallito nel corso del giudizio, nel debito corrispondente al valore del bene alla data dell’atto revocato.
3.19 In mancanza di restituzione del bene nella sua materialità, bene che non può più essere distratto dall’attivo fallimentare dell’accipiens, resta assoggettata al concorso la pretesa restitutoria, il cui antecedente logico-giuridico è costituito dalla sussistenza dei requisiti per l’accoglimento della revocatoria; l’insinuazione ha così per oggetto il controvalore che il creditore dell’alienante deve azionare, cioè chiedere sia ammesso, in sede di verifica dei crediti anche se il fallimento sia stato dichiarato nel corso del giudizio di revocatoria esperita in via ordinaria.
4 Il secondo motivo del ricorso incidentale e i motivi del ricorso principale restano assorbiti.
5 Verificatasi una causa di improcedibilità del processo, l’impugnata sentenza va cassata senza rinvio ai sensi dell’art.382 comma 3 c.p.c.
6 Le spese del presente giudizio vanno poste a carico della ricorrente stante il criterio della soccombenza e si liquidano come da dispositivo sulla base del valore della causa dichiarato dalla ricorrente, mentre quelle dei gradi di merito vanno interamente compensate, tenuto conto della peculiarità delle questioni sottese al giudizio e del suo andamento rispetto alla condizione delle parti.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso incidentale, cassa l’impugnata sentenza senza rinvio in quanto il processo non poteva essere proseguito, per le ragioni di cui in motivazione.
Condanna la Congregazione RAGIONE_SOCIALE in Amministrazione Straordinaria al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in € 20.200 , di cui € 200 per esborsi , oltre Iva Cap e rimborso forfettario nella misura del 15%.
Compensa interamente le spese dei gradi di merito.
Così deciso nella Camera di Consiglio del 16 ottobre 2024