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Azione revocatoria e fallimento: la Cassazione chiarisce

Un ente religioso ha intentato un’azione revocatoria contro una società di servizi per una cessione di crediti. Durante il processo, la società è stata dichiarata fallita. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 34240/2024, ha dichiarato l’azione improcedibile, stabilendo che dopo la dichiarazione di fallimento non è più possibile mirare alla restituzione del bene, ma il creditore deve insinuarsi al passivo del fallimento per ottenere il controvalore del bene stesso.

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Azione revocatoria: cosa succede se il debitore fallisce a processo in corso?

L’azione revocatoria è uno strumento fondamentale per la tutela dei creditori, ma la sua efficacia può essere messa in discussione da un evento tanto dirompente quanto il fallimento del debitore. Con l’ordinanza n. 34240 del 23 dicembre 2024, la Corte di Cassazione torna su questo tema cruciale, chiarendo i limiti dell’azione e le vie alternative a disposizione del creditore quando il convenuto viene assoggettato a una procedura concorsuale.

I Fatti di Causa: dalla cessione del credito al ricorso in Cassazione

La vicenda trae origine da una controversia tra un ente religioso in amministrazione straordinaria e una società di servizi tecnologici. L’ente aveva agito in giudizio per ottenere la revoca di un atto di cessione di crediti, del valore di 200.000 euro, effettuato a favore della società. Secondo l’attore, tale atto pregiudicava le sue ragioni creditorie.

Il Tribunale di primo grado aveva accolto la domanda, dichiarando inefficace la cessione. La Corte d’Appello, tuttavia, ribaltava la decisione, ritenendo che la cessione non costituisse un pagamento anomalo ma fosse una modalità di estinzione del debito prevista in un contratto di fornitura stipulato tra le parti anni prima, in epoca non sospetta.

Il caso approda in Cassazione, ma con una novità decisiva: nelle more del giudizio d’appello, la società convenuta era stata dichiarata fallita. La curatela fallimentare, costituitasi in giudizio, sollevava una questione pregiudiziale: l’improcedibilità dell’azione revocatoria a seguito del fallimento.

Azione revocatoria e fallimento sopravvenuto: la questione giuridica

Il cuore della decisione della Suprema Corte non riguarda il merito della revocabilità dell’atto, ma si concentra interamente sulla questione processuale sollevata dalla curatela. È ammissibile proseguire un’azione revocatoria, finalizzata a far rientrare un bene nel patrimonio del debitore per poterlo aggredire, contro un soggetto il cui patrimonio è ormai gestito secondo le regole del concorso fallimentare?

La risposta della Cassazione, in linea con i principi consolidati espressi dalle Sezioni Unite, è negativa e si fonda su un pilastro del diritto fallimentare.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte accoglie il ricorso incidentale della curatela, cassa la sentenza d’appello senza rinvio e dichiara l’improcedibilità del processo. Le motivazioni si articolano attorno a principi cardine del diritto concorsuale.

Il Principio della Cristallizzazione del Passivo

Il fulcro del ragionamento è il principio di ‘cristallizzazione dell’asse fallimentare’. Con la dichiarazione di fallimento, il patrimonio del debitore viene ‘fotografato’ e vincolato alla soddisfazione paritaria di tutti i creditori (par condicio creditorum). Nessuna azione individuale successiva può alterare la composizione di tale patrimonio.

L’azione revocatoria ha natura costitutiva, cioè mira a modificare una situazione giuridica preesistente rendendo inefficace un atto dispositivo. Permettere il suo esito vittorioso dopo il fallimento significherebbe sottrarre un bene dall’attivo fallimentare a vantaggio di un singolo creditore, violando il principio della par condicio.

Dalla Restituzione del Bene alla Pretesa per Equivalente

La Cassazione, richiamando le sentenze delle Sezioni Unite (in particolare la n. 12576/2020), chiarisce che l’improcedibilità dell’azione non lascia il creditore privo di tutela. La sua pretesa si trasforma: non può più mirare alla restituzione materiale del bene (o del credito, come in questo caso), ma si converte in una pretesa creditoria per un valore equivalente.

In altre parole, l’obiettivo non è più recuperare il bene per soddisfare il proprio credito individuale, ma ottenere il riconoscimento di un credito di pari valore da far valere all’interno della procedura fallimentare, concorrendo con gli altri creditori.

L’Azione Revocatoria diventa Improcedibile

Di conseguenza, il giudizio ordinario di revocatoria diventa improcedibile. Il creditore dovrà attivare la tutela adeguata nel contesto della procedura concorsuale: l’insinuazione al passivo del fallimento. Sarà il giudice delegato al fallimento a dover valutare, in via incidentale (incidenter tantum), la sussistenza dei presupposti per la revoca dell’atto, al solo fine di ammettere o meno il credito del creditore procedente per il controvalore del bene.

Le Conclusioni

La pronuncia della Cassazione riafferma un principio fondamentale: il fallimento di una delle parti nel corso di un giudizio di revocatoria ne determina l’improcedibilità. La tutela del creditore non viene annullata, ma viene ‘canalizzata’ all’interno delle procedure concorsuali. La pretesa reale (restituzione del bene) si trasforma in una pretesa per equivalente monetario da far valere tramite l’insinuazione al passivo. Questa soluzione garantisce un equilibrio tra la tutela del singolo creditore e la necessità di rispettare le regole del concorso e la parità di trattamento tra tutti i creditori del soggetto fallito.

È possibile proseguire un’azione revocatoria contro una società che viene dichiarata fallita nel corso del giudizio?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la dichiarazione di fallimento sopravvenuta nel corso del giudizio determina l’improcedibilità dell’azione revocatoria, poiché questa mira a recuperare un bene specifico, alterando l’attivo fallimentare che deve invece rimanere ‘cristallizzato’ alla data del fallimento.

Se l’azione revocatoria diventa improcedibile, il creditore perde ogni tutela?
No, la tutela del creditore si trasforma. Non potrà più ottenere la restituzione del bene, ma potrà far valere una pretesa per il suo controvalore economico. Dovrà presentare domanda di insinuazione al passivo del fallimento, chiedendo di essere ammesso come creditore per un importo pari al valore del bene oggetto dell’atto revocando.

Qual è il ruolo del giudice fallimentare in questi casi?
Il giudice delegato al fallimento, in sede di verifica dei crediti, dovrà valutare se sussistevano i presupposti per l’azione revocatoria. Questa valutazione (detta ‘delibazione della pregiudiziale costitutiva’) avviene in via incidentale, cioè al solo fine di decidere sull’ammissione del credito al passivo, senza che la decisione abbia effetto di giudicato al di fuori della procedura fallimentare.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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