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Azione revocatoria: cessione d’azienda e pregiudizio

Una società creditrice ottiene l’inefficacia di una cessione di ramo d’azienda tra due società attraverso un’azione revocatoria. La Corte d’Appello ha confermato la decisione, stabilendo che il trasferimento, sebbene definito ‘formale’, costituiva un pregiudizio per il creditore (eventus damni) in quanto trasformava beni materiali in denaro, più facile da occultare. La Corte ha inoltre accertato la consapevolezza del danno (scientia fraudis) sia da parte del debitore che del terzo acquirente.

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Azione Revocatoria: Inefficace la Cessione d’Azienda che Pregiudica il Creditore

L’azione revocatoria rappresenta uno dei più importanti strumenti di tutela a disposizione dei creditori. Essa consente di rendere inefficaci gli atti con cui un debitore dispone del proprio patrimonio, danneggiando le possibilità di soddisfacimento del credito. Una recente sentenza della Corte d’Appello di Ancona chiarisce i presupposti applicativi di tale azione, con particolare riferimento alla cessione di un ramo d’azienda definita meramente ‘formale’ dalle parti.

I Fatti del Caso

Una società creditrice, vantando un credito derivante da cambiali insolute e protestate, agiva in giudizio per ottenere la dichiarazione di inefficacia di un atto di cessione di ramo d’azienda. L’atto era intercorso tra la società debitrice e un’altra società. Oggetto della cessione era il ramo d’azienda relativo alla produzione di energia elettrica, comprensivo di impianti fotovoltaici, contratti e utenze.

Le società appellanti (cedente e cessionaria) si difendevano sostenendo che l’operazione fosse puramente ‘formale’. A loro dire, la cessione non avrebbe diminuito la garanzia patrimoniale del debitore, in quanto l’impianto fotovoltaico era già di fatto di proprietà della società acquirente e gli altri beni ceduti (come le utenze e i contratti con il GSE) non avevano un valore autonomo.

Il Tribunale di primo grado accoglieva la domanda del creditore. La questione giungeva quindi dinanzi alla Corte d’Appello.

La Decisione della Corte d’Appello

La Corte d’Appello ha rigettato il ricorso, confermando la sentenza di primo grado e dichiarando l’inefficacia dell’atto di cessione nei confronti della società creditrice. I giudici hanno ritenuto sussistenti tutti i presupposti per l’esercizio dell’azione revocatoria ai sensi dell’art. 2901 del Codice Civile: l’esistenza del credito, il pregiudizio per le ragioni creditorie (cd. eventus damni) e la consapevolezza di tale pregiudizio in capo al debitore e al terzo acquirente (cd. scientia fraudis).

L’Azione Revocatoria e il Pregiudizio per il Creditore (Eventus Damni)

La Corte ha chiarito un punto fondamentale: per integrare l’elemento dell’eventus damni, non è necessario un danno concreto ed effettivo. È sufficiente un pericolo di danno, ovvero una modifica qualitativa o quantitativa del patrimonio del debitore che renda più incerta o difficile la futura esecuzione coattiva del credito.

Nel caso di specie, l’atto di cessione aveva privato la società debitrice dei suoi unici beni di valore, trasformandoli in un corrispettivo in denaro che non era mai stato rintracciato nel patrimonio sociale. Secondo la Corte, il denaro è un bene molto più facile da occultare rispetto a un impianto fotovoltaico o a un ramo d’azienda. Questa trasformazione ha quindi integrato una modifica peggiorativa della garanzia patrimoniale, sufficiente a giustificare l’azione revocatoria.

La Prova della Consapevolezza (Scientia Fraudis)

Essendo l’atto di cessione successivo al sorgere del credito, era necessario dimostrare la consapevolezza del pregiudizio sia da parte della società cedente (debitrice) sia della società cessionaria (terza acquirente).

La Corte ha ritenuto provata tale consapevolezza sulla base di presunzioni semplici:
1. Per la società debitrice: prima della cessione, le erano stati notificati numerosi atti esecutivi (precetti e pignoramenti), dimostrando la sua piena conoscenza della situazione debitoria e delle conseguenze pregiudizievoli dell’atto di disposizione.
2. Per la società acquirente: era stata coinvolta in un precedente procedimento esecutivo in qualità di terzo pignorato nei confronti della debitrice. Inoltre, un dato cruciale emerso dalle visure camerali era che le due società avevano la medesima sede legale. Questo elemento, unito agli altri, è stato considerato sufficiente a dimostrare che anche il terzo acquirente fosse consapevole del pregiudizio arrecato al creditore.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha smontato la tesi difensiva secondo cui la cessione fosse un atto ‘formale’ e privo di valore. I giudici hanno sottolineato che una volta che il creditore prova la variazione patrimoniale, spetta al debitore dimostrare che il suo patrimonio residuo è sufficiente a garantire il soddisfacimento del credito, prova che in questo caso non è stata fornita.

Il cuore della motivazione risiede nel principio che l’azione revocatoria ha una funzione cautelare: proteggere il creditore non solo dalla totale compromissione del patrimonio del debitore, ma anche da qualsiasi atto che ne renda più difficile o incerto il recupero. La trasformazione di beni immobili o aziendali, difficilmente occultabili, in denaro, facilmente trasferibile e nascondibile, costituisce un classico esempio di eventus damni.

Inoltre, la Corte ha ribadito che la prova della scientia fraudis del terzo può essere ricavata da presunzioni, come i rapporti tra le parti o la condivisione della stessa sede legale, che fanno ragionevolmente supporre la conoscenza della situazione debitoria e delle finalità dell’operazione.

Le Conclusioni

Questa sentenza ribadisce l’efficacia dell’azione revocatoria come strumento di tutela per i creditori. Essa insegna che qualsiasi atto dispositivo, anche se presentato come una mera formalità, può essere reso inefficace se comporta una modifica peggiorativa della garanzia patrimoniale del debitore. La valutazione non si ferma al valore contabile, ma considera la concreta aggredibilità dei beni. Infine, la decisione conferma che la consapevolezza del pregiudizio, elemento soggettivo dell’azione, può essere provata anche tramite presunzioni gravi, precise e concordanti, come i legami fattuali e giuridici tra le società coinvolte.

Un atto di cessione ‘formale’ può essere soggetto ad azione revocatoria?
Sì. La Corte ha stabilito che anche un atto definito ‘formale’ è revocabile se produce una modifica qualitativa o quantitativa del patrimonio del debitore che rende più incerto o difficile il soddisfacimento del credito, come la trasformazione di beni aziendali in denaro.

Cosa si intende per ‘pregiudizio’ (eventus damni) nell’azione revocatoria?
Il pregiudizio non deve essere un danno concreto e già verificato. È sufficiente un pericolo di danno, cioè una situazione che, in una prospettiva futura, renda l’esecuzione forzata del credito più incerta o meno fruttuosa. La sostituzione di un bene difficilmente occultabile con denaro liquido integra tale pregiudizio.

Come si dimostra la consapevolezza del terzo acquirente (scientia fraudis) nella cessione?
La consapevolezza del terzo può essere dimostrata tramite presunzioni. Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto rilevante il fatto che la società acquirente fosse già stata coinvolta in procedure esecutive contro la debitrice e, soprattutto, che le due società avessero la medesima sede legale, elementi che indicavano una conoscenza della situazione debitoria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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