Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 14829 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 14829 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1966/2020 R.G. proposto da:
NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME AVV_NOTAIO rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato AVV_NOTAIO che li rappresenta e difende;
– controricorrenti –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI n. 566/2019 depositata il 26/06/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/05/2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Oristano la RAGIONE_SOCIALE esponendo di essere proprietaria di un terreno sito in agro di Cuglieri, INDIRIZZO, località Colconeddu, distinto al catasto al F. 64 mappale 82, e comproprietaria di altro fondo sito nella medesima località, in catasto al F. 64 mappale 933, chiedendo venisse accertata e dichiarata la inesistenza della pretesa servitù di passaggio, gravante sul proprio fondo e a favore di quello di proprietà di NOME COGNOME, concesso in godimento alla RAGIONE_SOCIALE convenuta che aveva agito anche in possessorio.
I convenuti, costituitisi, contestavano il fondamento dell’avversa domanda, chiedendone il rigetto.
Il Tribunale adito dichiarava l ‘ improponibilità delle domande formulate dalla attrice, stante il divieto posto dall’art. 705 c.p.c.; nel caso di specie, infatti, era del tutto pacifico che al momento della introduzione del giudizio era ancora pendente tra le stesse parti il procedimento possessorio per reintegra instaurato dai convenuti nei confronti della COGNOME, conclusosi con sentenza del 14.3.2017 di condanna della COGNOME di reintegra dei ricorrenti nel possesso previa rimessione in pristino dello stato dei luoghi; pronuncia che, tra l’altro, era anche rimasta anche ineseguita.
Ric. 2020 n. 1966 sez. S2 – ud. 15/05/2024
Peraltro, non era possibile neanche la sopravvenienza in corso di causa del presupposto originariamente mancante.
Il Tribunale riteneva insussistente l’ allegato timore di parte attrice di un pregiudizio irreparabile derivante dalla mancata proposizione dell’azione petitoria, consistente nel decorso del termine per l’usucapione.
NOME COGNOME proponeva appello, cui resistevano le controparti, costituendosi in giudizio.
Con la proposta impugnazione l’appellante richiamava la sentenza n. 25/92 della Corte Costituzionale con la quale era stata dichiarata la illegittimità costituzionale dell’art. 705 c.p.c. nella parte in cui non consentiva al convenuto in un giudizio possessorio di proporre autonoma domanda petitoria in presenza di danno grave ed irreparabile e ribadiva che, nella specie, tale danno sarebbe sussistente e consistente nella maturazione del tempo utile alla usucapione, da parte degli appellati, della servitù di passaggio.
La Corte d’Appello di Cagliari rigettava il gravame.
La Corte richiamava la giurisprudenza secondo cui il divieto di agire in petitorio per il convenuto in possessorio finché il primo giudizio non sia definito e la decisione non sia stata eseguita, produce effetti a decorrere dal momento del deposito del ricorso possessorio in quanto si tratta di un presupposto della domanda giudiziale – necessario per la valida introduzione del giudizio, che deve pertanto sussistere, quale requisito formale di procedibilità al momento del/ ‘instaurazione del procedimento – e non una condizione dell’azione la quale, come è noto, può verificarsi anche in corso di giudizio” (Cass. 4728/ 11).
La Corte d’Appello confermava anche l’irrilevanza, ai fini della procedibilità della domanda petitoria della COGNOME, del fatto che il giudizio possessorio si fosse concluso con sentenza dovendosi appunto avere riguardo al momento della proposizione della domanda e, oltretutto, essendo comunque ancora pendente per essere stata la sentenza del possessorio impugnata dalla COGNOME. Per le stesse ragioni era irrilevante la avvenuta esecuzione o meno di tale pronuncia.
La Corte di merito, r iteneva infondato l’assunto secondo il quale sussisteva il pericolo di un grave pregiudizio derivante dalla impossibilità di agire in petitorio. Infatti, secondo la giurisprudenza di legittimità, l’azione petitoria, ancorché irritualmente esperita nel corso del giudizio possessorio nonostante il divieto posto dall’art, 705, primo comma, cod. proc. civ., sul piano sostanziale è idonea ad interrompere l’usucapione a norma degli articoli 1165 e 2943 cod, civ., costituendo esercizio del diritto di proprietà e manifestazione della volontà del suo titolare di evitarne la perenzione (Sez. 2, Sentenza n. 4892 del 01/04/2003, Rv. 561615).
Doveva dunque ritenersi, in applicazione del predetto principio, che la domanda petitoria proposta dalla COGNOME aveva avuto, sotto il profilo sostanziale, l’effetto di interrompere l’usucapione e, pertanto, non era ravvisabile il grave pregiudizio allegato dalla appellante che avrebbe reso procedibile la domanda petitoria dalla stessa proposta.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza.
NOME COGNOME dei RAGIONE_SOCIALE COGNOME e NOME COGNOME ha resistito con controricorso
Entrambe le parti con memoria depositata in prossimità dell’udienza ha nno insistito nelle rispettive richieste.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1165 e 2943 c.c. in relazione all’art. 705 c.p.c.. Nullità della sentenza per insufficienza, illogicità e palese contraddittorietà delle motivazioni
La censura attiene alla sussistenza del grave pregiudizio negata dalla Corte d’Appello , unica condizione e presupposto che le consentirebbe di proporre l’azione petitoria in pendenza della causa possessoria, sulla base della pronuncia della Corte Costituzionale n.25 del 1992 che ha dichiarato la incostituzionalità dell’art. 702 c.p.c. nella parte in cui non consente al convenuto nel giudizio possessorio di proporre autonoma domanda petitoria in presenza di danno grave ed irreparabile.
Il danno grave ed irreparabile nella specie sarebbe costituito dalla maturazione del periodo utile ad usucapire vantato dai ricorrenti in possessorio.
Il pregiudizio prospettato dalla COGNOME, secondo la Corte territoriale, pur sussistendo, sarebbe venuto meno per effetto della proposizione del l’ azione petitoria.
Secondo la ricorrente, il ragionamento della Corte d’Appello assumerebbe il carattere della illogicità nel momento in cui, per un verso riconosce la fondatezza del pericolo prospettato dalla odierna ricorrente evitabile solo con il promovimento dell’azione giudiziaria – con ciò confermando quanto sempre sostenuto dalla COGNOME
NOME nei due gradi del giudizio -e dall’altro, in palese contraddizione, afferma che l’azione deve ritenersi improponibile perché il pregiudizio è stato comunque evitato per effetto della interruzione della usucapione a seguito dell’avvio della causa di rivendica.
Sarebbe evidente, pertanto, sia il travisamento delle norme, che la manifestamente illogicità e la irriducibile contraddittorietà delle argomentazioni addotte dalla Corte a sostegno di una decisione finale di rigetto della impugnazione che apparirebbe, ex sé , in evidente contrasto con le stesse motivazioni.
1.1 Il primo motivo di ricorso è infondato.
Preliminarmente giova considerare che la norma di cui all’art. 705, comma 1, cod. proc. civ., sanzionante il divieto per il convenuto in possessorio di proporre giudizio petitorio per far valere i propri diritti fino al momento in cui l’altrui situazione di fatto da lui violata non sia stata integralmente ripristinata, pone un impedimento temporaneo alla proposizione della domanda petitoria (cfr., in tal senso, Cass. SS.UU. civ., sent. n. 3086 del 19.V.1982) di natura eminentemente processuale, e non dà luogo ad una improponibilità assoluta, né ad una inefficacia radicale della domanda.
Da ciò consegue che l’azione petitoria, pur irritualmente esperita ai sensi della norma dianzi citata, sul piano sostanziale produce l’effetto interruttivo della prescrizione del possesso utile ad usucapire ex artt. 1165 e 2943, commi 1, 2 e 3, cod. civ. in ragione del dato che la sua proposizione, di per sé, indica la vitalità del diritto e la determinazione del suo titolare di evitarne la perenzione.
Ric. 2020 n. 1966 sez. S2 – ud. 15/05/2024
Si è infatti ripetutamente affermato che: L’azione petitoria, ancorché irritualmente esperita nel corso del giudizio possessorio nonostante il divieto posto dall’art, 705, primo comma, cod. proc. civ., sul piano sostanziale è idonea ad interrompere l’usucapione a norma degli articoli 1165 e 2943 cod, civ., costituendo esercizio del diritto di proprietà e manifestazione della volontà del suo titolare di evitarne la perenzione (Sez. 2, Sentenza n. 379 del 13/01/1995, Rv. 489680 – 01).
Il medesimo effetto interruttivo del possesso si realizza allorquando nel giudizio possessorio il convenuto proponga un’eccezione di natura petitoria . Anche in tal caso, sul piano sostanziale, si realizza l’effetto interruttivo ex art. 1 165 c.c.. Solo nel caso in cui il convenuto nel giudizio possessorio si limiti RAGIONE_SOCIALEmente a contestare l’altrui possesso, senza proporre, a sua volta, alcuna specifica domanda diretta a rivendicare la proprietà o il possesso dello stesso non si produce il suddetto effetto (Sez. 2, Sentenza n. 4892 del 01/04/2003).
1.2 Ciò premesso deve osservarsi che questa Corte ha già avuto modo di chiarire che il pregiudizio irreparabile cui fa riferimento la sentenza della Corte Costituzionale n. 25 del 1992, allorché ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 705, primo comma, c.p.c. nella parte in cui non consente l’esercizio dell’azione petitoria al convenuto in possessoria prima che la sentenza possessoria sia divenuta definitiva o sia stata eseguita, è limitato ai danni materiali e non può estendersi al l’eventuale danno derivabile al convenuto dalla pendenza, oltre il limite del ragionevole, del giudizio possessorio, con il pericolo del maturare
dell’usucapione (Sez. 2, Sentenza n. 8367 del 20/06/2001, in motivazione).
In tale occasione questa Corte ha precisato che, quanto all’individuazione del pregiudizio irreparabile, cioè del limite all’operare del divieto di cui all’art. 705 c.p.c., nella sentenza n. 25 del 1992 si riconosce esplicitamente che l’esecuzione di un provvedimento possessorio può determinare un pregiudizio di tale specie: a) in ipotesi di beni mobili non registrati “soprattutto (ma non solo) quando lo spogliato risulti essere un ladro, un ricettatore, un ritrovatore infedele o un indiziato di truffa; rientrato in possesso della cosa, in esecuzione della sentenza di reintegrazione, egli potrà alienarla ad un terzo di buona fede, che ne diverrà proprietario in virtù dell’art. 1153 c.c., applicabile anche alle cose rubate”; b) in materia immobiliare quando lo spoglio si concretizza nella costruzione di un manufatto; in tal caso l’onere di eseguire la decisione prima di proporre il giudizio petitorio costringe il convenuto a distruggere un’opera che, come risulterà dal successivo giudizio petitorio, aveva diritto di costruire.
Dunque, non può ritenersi ammissibile l’autonoma domanda petitoria (o anche la sua eccezione nel giudizio possessorio) sulla base di un asserito pregiudizio irreparabile derivante dall’approssimarsi del termine per il compimento dell’usucapione, ciò anche in ragione dell’ orientamento sopra riportato riguardo all’idoneità della domanda o dell’eccezione, ancorché inammissibili sul piano processuale, a produrre l’effetto interruttivo sul piano sostanziale degli articoli 1165 e 2943 c.c., costituendo esercizio del diritto di proprietà e manifestazione della volontà del suo titolare di evitarne la perenzione (Cass. n. 379/1995).
Deve anche aggiungersi che, dato che la nozione di irreparabilità del pregiudizio è stata dal giudice delle leggi inequivocabilmente individuata nella perdita materiale e irreversibile del bene, la deduzione del pericolo di perdita del bene per il decorso del termine utile ad usucapire nella specie è dedotta in termini puramente generici ed astratti perché riferiti al momento di inizio del giudizio e senza alcuna specificazione della effettività e incombenza del pericolo.
In conclusione, come si è detto, e come correttamente evidenziato dalla Corte d’Appello tanto l’azione, quanto l’eccezione petitoria, ancorché irritualmente esperita o sollevata nel corso del giudizio possessorio nonostante il divieto posto dall’art. 705, primo comma, c.p.c., sul piano sostanziale sono idonee ad interrompere l’usucapione a norma degli articoli 1165 e 2943 c.c., costituendo esercizio del diritto di proprietà e manifestazione della volontà del suo titolare di evitarne la perenzione (cfr. Cass. n. 379/1995) e, dunque, non sussiste il grave pregiudizio che giustifica l’ammissibilità dell’azione .
Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e/o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c.
Secondo parte ricorrente nella specie sarebbe palese la violazione dei presupposti di legge in punto di soccombenza. Infatti, se si riconosce, come di fatto ha riconosciuto la Corte d’Appello nella sentenza impugnata, che la causa petitoria, per la COGNOME NOME, costituiva l’unica via percorribile per interrompere il decorso del tempo utile per l’usucapione fatta valere dalla RAGIONE_SOCIALE e dal RAGIONE_SOCIALE e, quindi, per conservare la piena proprietà del terreno oggetto di causa, non si comprende
Ric. 2020 n. 1966 sez. S2 – ud. 15/05/2024
come la stessa possa, per questo, essere condannata al pagamento delle spese del giudizio.
Di fatto non vi sarebbe alcuna soccombenza né virtuale, né sostanziale. Infatti, al di là delle regioni di merito, mai sviluppate perché sia nel primo che nel secondo grado del giudizio i Giudici si sono pronunciati esclusivamente sulla questione pregiudiziale circa la ammissibilità dell’azione, le buone ragioni della odierna ricorrente sono state pienamente riconosciute.
Né potrebbe, ragionevolmente, sostenersi che la COGNOME, una volta ottenuto, con la notifica della citazione che aveva dato avvio al primo grado del giudizio, l’effetto interruttivo che intendeva perseguire avrebbe potuto esimersi dal propone appello.
2.1 Il secondo motivo è infondato.
Come si è detto, l ‘eccezione petitoria , ancorché inammissibile, poteva produrre l’effetto interruttivo anche se proposta nel giudizio possessorio. In altri termini, risulta infondata la tesi del ricorrente secondo cui la proposizione della domanda costituiva l’unica via percorribile per interrompere il decorso del tempo utile per l’usucapione in quanto la proposizione di eccezioni ex iure proprio nello stesso processo possessorio avrebbe prodotto il medesimo risultato utile sul piano sostanziale.
Ne consegue che l’azione proposta non era assolutamente necessitata e alla pronuncia di inammissibilità della domanda correttamente ha fatto seguito l’applicazione del criterio della soccombenza. La violazione dell’art. 91 c.p.c., infatti, si realizza unicamente allorché sia stata condannata alle spese la parte totalmente vittoriosa (Cass. n. 18128 del 31/08/2020 Rv. 658963 -01).
Il ricorso è rigettato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater D.P.R. n. 115/02, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità nei confronti della parte controricorrente che liquida in euro 3000, più 200 per esborsi, oltre al rimborso forfettario al 15% IVA e CPA come per legge;
ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto;
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione